Il Grembiulino a quadretti rossi

Transcript

Il Grembiulino a quadretti rossi
_ProsaOK_Layout 1 05/08/15 16.55 Pagina 47
Maria se ne stava sempre nei
pressi della baracca perché andare in giro poteva significare
incappare in una granata inesplosa e non far più ritorno. Il
tempo trascorse lento ma alla
fine anche io fui riparata, ve
lo dico per non togliervi il gusto del lieto fine.
Ora sono molto cambiata, mi
hanno ingrandita, ho il tetto
nuovo e il lume ad olio sostituito
da una luce immobile ed incandescente; ho dovuto imparare
parole nuove: parabola, climatizzatore, videocitofono e l’intonaco ha coperto i sassi facendomi bianca come la neve.
Nella sala grande però, nel camino, c’è una piccola crepa,
una specie di ruga, che mi ricorda quei giorni.
Quante cose avrei ancora da
dire, ma avremo altre occasioni, magari fra cent’anni.
All’inizio ho detto che le parole
sono come pietre, ora vi dico
che le pietre sono come parole,
storie, ricordi: parole, importanti per chi ha rispetto dei valori delle genti che si sono susseguite fino ad oggi e forse hanno già scoperto l’essenziale della vita; storie perché mentre la
Storia spesso divide, le storie
della povera gente, quelle che
nessuno scrive, invece uniscono; ricordi, già, ricordi e non
memoria: avete mai pensato
che i computer hanno tanta
memoria e nessun ricordo
mentre noi case, come voi uomini, abbiamo poca memoria
e tanti ricordi? Proprio così,
perché la sede dei ricordi non
è la memoria, ma il cuore: l’unico filtro capace di farci vedere
le cose più preziose per quello
che veramente sono.
di Annalisa Gritti
Dopo il diploma in Lingue
straniere, ha lavorato come
intreprete e traduttrice in varie
aziende. Ora è in pensione e
si dedica alla scrittura, allo studio
della musica e a fare la nonna
di due splendidi gemelli di 10
anni. Vive a Cermenate (Co).
Partecipa al Concorso 50&Più
per la seconda volta.
__CONCORSO PROSA__
IL
GREMBIULINO
A QUADRETTI
ROSSI
D
DALLA GRANDE TERRAZZA della nostra
casa vicina al bosco, alla periferia di un
pittoresco paesino della Brianza, si vedevano le montagne del Lecchese. Era uno
spettacolo grandioso in quella limpida giornata di Giugno. Le ragazze avevano invitato
un bel gruppo di compagni e con una sfrenata corsa nei prati manifestavano la loro
gioia per l’imminente arrivo della stagione
che annunciava la fine della scuola.
«Giochiamo a nascondino!», gridavano allegre, e qualcuno iniziò a contare. La casa
era perfetta per quel genere di giochi perché offriva numerose possibilità per nascondersi: dalla cantina all’ampio solaio,
alle varie stanze alle quali le ragazze ed i
loro amici avevano libero accesso.
«Ti ho visto!».
«Libero per me, libero per tutti!».
Rovistando poi in solaio avevano tro»
SETTEMBRE 2015 I 47
_ProsaOK_Layout 1 05/08/15 16.55 Pagina 48
CONCORSO PROSA
vato affascinanti cose antiche e
vecchi abiti dei quali si erano
vestite, improvvisando una breve simpatica sfilata. Ed ecco che
da quel grembiulino a quadretti
rossi e da un mosaico di immagini che appartengono al
passato, emerge nitida la graziosa figura di una bambina: il
visetto impertinente incorniciato da riccioli scuri, occhi verdi e il naso a patatina.
«... Aveva undici anni e andava
incontro ad un’avventura che
avrebbe sconvolto la sua vita
felice facendola precipitare verso una realtà che non poteva
rifiutare: il letto in penombra
nella stanza triste, le mani inutilmente tese verso la speranza
48 I 50epiu.it I SETTEMBRE 2015
«... Aveva undici
anni e andava
incontro ad
un’avventura
che avrebbe
sconvolto la
sua vita felice
facendola
precipitare
verso una
realtà che
non poteva
rifiutare...»
e tanto dolore che entrava di prepotenza nel vivere quotidiano.
Da tempo ormai la madre non
partecipava ai giochi, non ascoltava le sue confidenze; qualcosa
di oscuro le divideva e l’incomunicabilità cresceva con l’aggravarsi della malattia, creando fra
loro un abisso incolmabile. Non
riusciva a dimenticare quel letto,
quella figura nemica, irreale, che
contrastava con la madre che lei
conosceva, sempre attenta e
pronta a darle affetto e sostegno.
Lasciava a volte che le lacrime si
sciogliessero nel vento e sperava
invano che qualcuno potesse
consolarla e proteggerla ma non
voleva umiliarsi e chiedere aiuto
neppure al padre poiché tutti la
lodavano per il carattere “forte”.
La sua migliore amica comprendeva e rimaneva in silenzio: erano legate da un affetto profondo
sin dai primi anni di vita ed avevano vissuto le stesse esperienze,
le stesse amicizie, gli stessi giochi
e frequentavano la stessa scuola.
Trascorrevano ore serene fantasticando lassù sulla terrazza così
vicina alle stelle da poterle contare ed alle quali avevano dato
nomi di animali preistorici. Durante le notti di luna piena le loro
tortine impastate con il fango “diventavano oro” se pronunciavano
insieme una formula magica che
solo loro conoscevano.
Nei primi lunghi giorni d’estate
i campi si riempivano del colore
del grano quasi maturo, del rosso
dei papaveri e dell’azzurro dei
fiordaliso creando un contorno
suggestivo alla periferia di quella
Milano degli Anni ’50, quando il
cemento non aveva ancora divorato il verde. Davanti all’unica
casa di un quartiere oggi affollato
sostavano spesso gli zingari con
i loro carrozzoni e le grosse lussuose macchine. A volte, quando
partivano, abbandonavano cani
e gatti affamati e fu così che un
giorno, attraversando il prato, la
bimba sentì uno strano ansimare
dietro di sé: un grosso cane nero
la seguiva per rubarle la merenda.
Leo: un’amicizia destinata a diventare importante per entrambi;
un’intesa che poteva finire soltanto se uno dei due finiva.
Dall’oratorio domenicale tornava
con una sgradevole sensazione
di vuoto appiccicata addosso, con
l’odore delle candele sul grembiulino a quadretti rossi e qualche goccia di cera sui sandaletti
di cuoio cuciti a mano dal Mario.
La funzione pomeridiana e le
amicizie di quei tempi non le appartenevano; non si identificava
con quello strano ambiente che
raccoglieva in preghiera silenziosa giovani ragazze che avevano
invece sete di sapere, di confrontarsi e discutere dei loro problemi
presenti e futuri. Meglio passare
il tempo a giocare all’aperto e rubare qualche frutto dall’orto del
contadino (senza rischio poiché
abitava altrove) in quel luogo,
ora irriconoscibile, dove il “progresso” urbano ha cancellato ri-
_ProsaOK_Layout 1 05/08/15 16.55 Pagina 49
cordi e tracce di verde e le case portano i segni di un feroce inquinamento a causa delle numerose fabbriche e del traffico intenso.
Tra le colonne sagomate del balcone
in cemento si poteva infilare la mano
per toccare un nido di vespe, tirare
la coda alle lucertole e da quel luogo
la bimba poteva chiamare l’altro piccolo cane affettuoso, compagno fedele ed impeccabile “guardia del corpo”: Tirlì che, scodinzolando, la invitava al gioco. Attraversata la camera triste la bimba scendeva le scale, superava il giardino ed usciva
nella strada per tuffarsi in quel mondo fantastico fatto di cose per bambini e cani che solo cani e bambini
possono comprendere.
Tirlì era stato finito con una fucilata
pietosa dopo che una delle poche
macchine in circolazione lo aveva
investito e ridotto in condizioni estreme. Un brutto colpo mai dimenti-
+
NEI PRIMI LUNGHI GIORNI D’ESTATE I
CAMPI SI RIEMPIVANO DEL COLORE
DEL GRANO QUASI MATURO, DEL
ROSSO DEI PAPAVERI E
DELL’AZZURRO DEI FIORDALISO
CREANDO UN CONTORNO
SUGGESTIVO ALLA PERIFERIA DI
QUELLA MILANO DEGLI ANNI ’50
cato. Una leggera nebbia umida segnava l’inizio di quella giornata
incompiuta, lontana
nel tempo ma con la
memoria di chi ha già
vissuto secoli di storia
ricalcando gesta di centinaia di generazioni.
Aveva giocato per tutto
il pomeriggio con Clara, la zingarella scalza
e senza mutandine, di
passaggio con la sua
numerosa famiglia e
restava ancora qualche
ora di luce per cercare
l’amica preferita, stranamente assente quel
giorno. Una cupa sensazione vagava nell’aria, trascinata dalla
musica lontana del teatro-tenda che stava per
iniziare lo spettacolo
pomeridiano: un motivo lamentoso tanto simile ad una richiesta di
aiuto. Anche il tempo
stava mutando e il cielo
scuro minacciava pioggia. Nella camera triste
notò qualcosa di insolito: la vecchia nonna
piangeva, alcune donne
in disparte pregavano
e l’immagine di Padre
Pio era a terra, scivolata
via da quelle mani rattrappite, inutili. La piccola doveva agire in
fretta: chiamare il medico, cercare un prete
e pregare, sì: pregare
che quella strana presenza là nel letto finisse
di esistere se la sua vera
mamma non poteva
più tornare. Correva, scalza, sotto la
pioggia ed eseguiva ogni cosa con
scrupolosa precisione, fredda e sicura
in contrasto con la confusione generale. Accanto al letto mendicò uno
sguardo, un segno di tenerezza, un
barlume d’intesa ma nulla le fu dato.
Il dolore conduceva la mente negli
oscuri meandri dell’inconscio, lontana
dal presente, verso realtà impalpabili
e mute dove ogni affetto, ogni gesto
le veniva negato. Quando arrivò la
notizia che aspettava, volle vederla.
Era avvolta in un kimono di seta color
avorio con ricami in tinta sulle larghe
maniche e fu allora che la riconobbe:
finalmente quella era la sua mamma
e le sorrideva “contenta e rilassata”.
Questo disse e fu portata subito via
perché la sua affermazione fu ritenuta sconveniente e così pure quel
grembiulino a quadretti rossi, sostituito da un’orribile cosa nera che a
stento le passava dal capo, ruvida
sulla pelle delicata del viso. Non gradiva essere bersaglio di sguardi curiosi e compassionevoli, non gradiva
sfilare per le strade dietro il carro
funebre frenando il passo e la voglia
di fuggire. La musica non riusciva a
strapparle nemmeno una lacrima,
mentre pian piano era pervasa da
una pace immensa, dal desiderio di
sensazioni nuove, dal bisogno di una
fuga almeno fantastica verso un sogno che le parlasse di vita, di speranza e di amore».
Seduti a cerchio intorno a me, avevano ascoltato il racconto con grande
attenzione, in silenzio, commossi. E
quando l’unica nuvola bianca passò
leggera fremendo nel cielo terso, insieme alzammo lo sguardo prendendoci istintivamente per mano, consapevoli che stavamo vivendo qualcosa di magico ed avvertendo una
presenza evanescente sì, ma vera, dolce e positiva. La stessa che non ha
mai cessato di seguirmi.
SETTEMBRE 2015 I 49