Certezza del diritto nell`ordinamento processuale

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Certezza del diritto nell`ordinamento processuale
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Certezza del diritto ed ordinamento giuridico amministrativo
1. Nozione di certezza del diritto
Quello inerente alla definizione di certezza del diritto rappresenta un interrogativo
risalente nella riflessione giuridica connotato da un insuperabile poliformismo, frutto
della stessa difficoltà di cogliere una definizione uniforme di ordinamento e norma
giuridica, questi ultimi risultando, a loro volta, fortemente condizionati da
presupposti postulati di natura storica, sociale ed economica.
Riprova della complessità della nozione è costituita dai
significati:
suoi seguenti possibili
a)
b)
c)
d)
e)
f)
g)
Stabilità nel tempo della regolamentazione giuridica;
Efficacia dell’ordinamento;
Osservanza delle norme giuridiche da parte dei destinatari;
Accessibilità alle norme;
Effettiva conoscenza delle norme;
Univocità delle qualificazioni giuridiche;
Tutelabilità giurisdizionale della posizioni giuridiche e prevedibilità delle
decisioni;
h) Inviolabilità dei diritti quesiti;
i) Conformità del diritto a standard di giustizia;
j) Caratteri specifici dell’ordinamento: irretroattività della legge, principio di
legalità, separazione dei poteri e distinzione delle funzioni pubbliche.
La nozione di certezza giuridica è passata attraverso tre fasi storiche, segnatamente
quella della codificazione (secoli XVIII e XIX), quella del XX secolo, giungendo
così alla riflessione contemporanea.
A) Fase della Codificazione e del Primo Giuspositivismo
Si tratta di un’epoca in cui forte era la spinta verso la formalizzazione delle regole
giuridiche, per cui la certezza del diritto viene individuata come “conoscibilità ex
ante delle conseguenze giuridiche dei comportamenti individuali, fondata sulla
conoscenza delle norme”. Si trattava di una qualità essenziale dell’ordinamento
giuridico che lo differenziava da altri (morale e costume) e lo connotava come un
insieme di norme facilmente identificabili e conoscibili, fedelmente applicate ai casi
particolari. Esprimeva l’ideologia dello “Stato liberale di diritto “, propria del primo
giuspositivismo. Secondo tale concezione l’applicazione della legge, intesa come
fonte suprema ed unica di un sistema ordinamentale chiuso ed unitario, era pressochè
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meccanica, effetto di un sillogismo di derivazione dalla regola generale al caso
particolare che nessun ambito discrezionale lasciava all’interprete.
B) Fase del Positivismo normativista
In tale fase muta la concezione dell’ordinamento giuridico, ora inteso come sistema
complesso e composto da norme non sempre identificabili, la cui applicazione
concreta non è pedissequa. Qui certezza del diritto diviene “conoscenza ex ante delle
modalità e limiti dell’esercizio del potere coercitivo quando avviene in forma legale”.
In tal modo, la certezza diviene qualità solo eventuale del diritto positivo, sebbene
mantenga insieme alla concezione del primo positivismo i caratteri di predittività (nel
senso che guarda al futuro come una direttiva), pubblicità, non retroattività,
chiarezza e stabilità nel tempo. I maggiori esponenti di tale corrente sono stati Hans
Kelsen e Herbert Hart.
KELSEN concepisce l’ordinamento come sistema dinamico in continuo movimento,
in cui le norme sono poste su basi differenti secondo uno schema piramidale al cui
vertice esiste la norma fondamentale (Grundnorm). In tale contesto, la certezza del
diritto non dipende necessariamente dalla chiarezza e precisione linguistica del
precetto, ma deve tenersi conto della sua funzione quale schema di riferimento,
come cornice, al cui interno esistono molteplici possibilità di esecuzione. La norma,
in quanto generale ed astratta, potrebbe anche essere volutamente indeterminata, per
cui la sua applicazione richiede l’intervento dell’interprete che può optare per una
delle soluzioni normative possibili con un atto necessario di volontà. Per Kelsen,
pertanto, la certezza del diritto risulta essere fortemente condizionata dalla
discrezionalità dell’attività interpretativa all’interno di un sistema giuridico
dinamico. Egli distingue inoltre tra sistemi accentrati e decentrati: nel primo caso, la
produzione del diritto spetta solo alla legge ed assicura la massima certezza a
discapito della flessibilità, mentre nel secondo la produzione è affidata anche a
Tribunali ed organi amministrativi, che, oltre ad applicare la legge, creano nuovi
precetti indipendenti dalla norma di diritto positivo. Si tratta di posizioni ideali e non
reali, ossia di modelli estremi e possibili, al cui interno esistono ordinamenti giuridici
reali che soddisfano esigenze di certezza del diritto secondo i principi accennati.
Secondo HART, invece, la certezza del diritto va esaminata alla luce della relazione
esistente tra diritto e linguaggio, nel senso che il primo è costituito da enunciati
prescrittivi, a volte aventi un significato fisso, a volte incerto; tale situazione è
superabile attraverso il ricorso ad una scelta discrezionale tra più significati possibili.
Per Kelsen ed Hart la certezza del diritto è un obiettivo ideale, tendenziale degli
ordinamenti e non anche un carattere fattuale; in quanto obiettivo ideale, esso è
posto in relazione ad altri, quali la flessibilità che ne costituisce una forma di
contrapposizione.
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Sul tema interessante è anche la posizione del “garantismo giuridico”, esposta da
Luigi FERRAJOLI.
Si tratta di un’impostazione propria dello Stato liberale che muove dall’esigenza di
assicurare tutela all’individuo nei confronti del potere e quindi dettato dalla esigenza
di conoscere in presenza di determinati atti o fatti quali possano essere le reazioni
degli organi giudicanti e le eventuali decisioni; valori liberali di riferimento sono
quelli di uniformità della decisione, uguaglianza, sicurezza e libertà personale.
Ferrajoli muove dal presupposto per cui nell’ordinamento non è applicabile la
metodologia sillogistica, poiché nell’attività giudiziaria esistono ambiti di
indeterminazione connessi a spazi insopprimibili di discrezionalità , solo
parzialmente controllabili dal diritto. Egli, nel soffermarsi sulla strutturazione ed
attuazione del potere giudiziario, ne individua quattro fasi, le prime tre a
connotazione cognitiva, l’ultima dispositiva. Le fasi cognitive sono quelle
dell’accertamento probatorio (dimostrazione dei fatti su cui giudicare), denotazione
(qualificazione giuridica dei medesimi) e connotativa (riflettente la valutazione
equitativa dei medesimi al fine delle conseguenze giuridiche da applicare); l’ultima
fase è quella “dispositiva” ed è condizionata da valutazioni personali del giudice di
ordine etico e morale. Mentre le prime tre fasi sono di natura oggettiva e possono
essere suscettibili di controllo, la quarta si sottrae a tale verifica, per cui dovrebbe
essere eliminata tout court a fini di assicurare un adeguato grado di certezza del
diritto.
C) La riflessione contemporanea
Questa esalta il ruolo dell’attività di interpretazione che non si limita alla
ricognizione del significato delle norme e dei limiti dell’ordinamento, assumendo più
propriamente funzione costruttiva del sistema ad esito non predeterminabile. Nella
riflessione contemporanea emerge una concezione della certezza del diritto intesa
come esigenza dell’individuo, oltre che quale elemento carattere del sistema.
Esistono attualmente due teoriche del problema, l’una soggettiva, l’altra oggettiva.
Secondo la dimensione soggettiva, la certezza del diritto esprime un’esigenza
dell’individuo che ne sposta i confini entro quelli della “sicurezza giuridica”.
Ad opinione di Gregorio Peces Barba la sicurezza giuridica si esprime attraverso
tre forme:
a) nei confronti del potere coercitivo, ed in tal senso si parla di sicurezza
“attraverso “ il potere, sia con riferimento alla sua origine, sia rispetto alle
modalità di esercizio;
b) nei confronti del sistema giuridico, come sicurezza “nel diritto”, rispetto
all’ordinamento ed a sua singole branche;
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c) rispetto alla società, intesa come “sicurezza sociale”, nel senso di tutela delle
classi deboli o svantaggiate.
La sicurezza giuridica finisce così per assumere il ruolo di oggetto di protezione a
livello costituzionale, quale diritto fondamentale dell’individuo.
Altro Autore, Erhard Denninger rileva l’attuale passaggio dallo Stato liberale allo
Stato sociale nell’individuazione della nozione di certezza del diritto. Invero, mentre
nel primo modello ci si riferiva a valori di uguaglianza, libertà e certezza giuridica,
con la Stato sociale, che impone di prendere in considerazione il cittadino all’interno
del gruppo di appartenenza, i nuovi valori sono quelli di solidarietà, diversità e
sicurezza sociale, a presidio della dignità umana, valore fondamentale irrinunciabile
di ogni formazione sociale.
La certezza del diritto scivola così verso il concetto di sicurezza giuridica per esserne
inglobata per continenza; lungi dal venire abbandonata, essa deve ora confrontarsi
con altri valori propri della sicurezza sociale e non sempre prevale (si pensi alla
diminuzione di garanzia processuali per delitti gravi contro l’ordine pubblico e la
sicurezza).
La dimensione oggettiva tratta della rilevanza dell’attività di interpretazione
come procedura argomentativa. E’ certo quel diritto «le cui applicazioni ai casi
particolari
sono coerenti con i principi fondamentali dell’ordinamento
giuridico, ricavate in accordo con una procedura razionalmente fondata e
condivisa da una data società». In questo modo, la certezza del diritto diventa
nozione “debole”, perché da conoscibilità ex ante delle conseguenze giuridiche dei
comportamenti e da conoscenza dei limiti del potere, diviene giustificabilità ex post
delle decisioni particolari.
Secondo Mac Cormik la certezza del diritto è fedeltà al precedente, ossia si attua
se nel tempo, quindi diacronicamente, casi simili trovano soluzioni analoghe.
L’Autore rileva la decisività di un percorso argomentativo di tipo razionale fondato
su due caratteri, la conformità della soluzione al diritto precedente (consistency) e
l’adattabilità ad essi della decisione particolare (coherence). Un terzo elemento, la
consequentiality, è invece l’aspetto che guarda al futuro e concerne le implicazioni
della decisione sull’assetto ordinamentale. Ma si tratta di un carattere che mina la
certezza del diritto.
Secondo Habermas la certezza del diritto non è funzione del risultato della
interpretazione, ma consiste nella garanzia procedurale di partecipazione e di
correttezza del procedimento interpretativo, tale da scongiurare l’adozione di
soluzioni irrazionali e comunque arbitrarie.
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Da ricordare è anche la posizione di Alexy che, incentrando l’indagine sulla portata
dei principi giuridici, opera una distinzione tra principi e regole, assegnando ai
primi un contenuto maggiormente generico e astratto; al riguardo, si parla di precetti
di ottimizzazione, ossia realizzabili solo in parte e in misura variabile che non
prescrivono condotte specifiche. L’elasticità del principio non dipende dalla sua
validità, ma secondo Habermas, dal suo “peso”, ossia dalla relazione con altri
principi concorrenti in un giudizio di bilanciamento rimesso all’interprete. Essendo
generico e vago, il principio non assicura certezza, né è possibile parlare di
formalismo di principi, sebbene un’esigenza di stabilità potrebbe comunque essere
assicurata attraverso il controllo razionale dei processi argomentativi che scongiurano
il rischio di arbitrio.
2. La certezza del diritto nel sistema amministrativo sostanziale
L’esposizione teorica della nozione di certezza del diritto attraverso le vari fasi
storiche impone di chiedersi quale ne sia la dimensione nell’attuale sistema
sostanziale amministrativo.
Dal punto di vista generale, si può osservare come caratteristica coessenziale alla
concezione del potere autoritativo nel nostro ordinamento, anche a livello
costituzionale, sia la fluidità delle regole di sua concretizzazione in atto
(funzione), dipendente dall’elasticità ed ampiezza della ricerca di valori di
interesse pubblico, sempre più contrapposti (si pensi alla tutela della salute
pubblica in materia di organizzazione e gestione del servizio di rifiuti, in
connessione con la dislocazione territoriale degli impianti, ambito in cui confliggono
diversi profili di dimensionamento di quello che è un medesimo interesse pubblico,
riconducibile singulatim ad un diritto fondamentale dell’individuo) o, comunque,
difficilmente conciliabili (salute pubblica e tutela ambientale o pianificazione
territoriale), che impongono la ricerca di soluzioni denotanti un sistema ispirato
alla più ampia flessibilità, anche dal punto di vista organizzativo, come dimostrato
dal frequente ricorso a poteri di natura sostituiva e ad a regimi sistemici eccezionali.
Ed in un sistema in cui opera ampia flessibilità – ed anche un certo atteggiamento di
favor per il decisore pubblico - la certezza del diritto diviene valore recessivo, non
potendo esprimere la funzione propria di garanzia sottesa alla capacità predittiva di
soluzioni certe.
La risposta a tale carattere probabilmente ineludibile del sistema e della concezione
del potere pubblico, è stata innanzitutto individuata nella funzione di “controspinta”
riconosciuta al principio di imparzialità rispetto a quello di buon andamento; più
specificamente, la certezza del diritto si ascrive al necessario carattere intrinseco di
una decisione discrezionale in cui la sublimazione dell’interesse pubblico trova
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temperamento e limite giuridicamente rilevante nel “peso specifico” riconosciuto al
non eccessivo sacrificio del contrapposto interesse del cittadino che intercetta il
potere. E’ appena il caso di ricordare come i contenuti dell’imparzialità, come regola
dell’agire autoritativo, siano stati coraggiosamente e progressivamente definiti
dall’opera incessante della giurisprudenza del Consiglio di Stato che, attraverso il
prisma ottico delle figure sintomatiche dell’eccesso di potere, ha definito il modo di
essere dell’azione pubblica sostanzialmente legittima (dando vita ad un’opera di
ricerca di fatto senza limiti di tempo), da intendersi come guida per la ricerca di
quello “spirito della legge” di cui il provvedimento deve costituire piena attuazione.
E’ però inevitabile che la complessità della decisione pubblica non possa trovare
fisiologica stabilità nella fissazione di regole specifiche a priori, potendo la
certezza del diritto risolversi esclusivamente in una verifica a posteriori, come tale
ricadente nell’accezione oggettiva della nozione come in precedenza richiamata.
Altro aspetto di forte criticità ritraibile dalla scomposizione della fase decisionale è la
distinzione tra attività di interpretazione della norma ed apprezzamento del
fatto, ambedue rientranti, secondo l’idea di Ferrajoli, nella attività di cognizione del
decisore (di primo o di secondo grado, inteso quest’ultimo come organo di ricorso);
qui è sufficiente rilevare come riecheggino le mai sopite problematiche inerenti alla
complessità di decisioni tecniche spettanti alla amministrazione pubblica, in cui
i due momenti spesso si confondono, creando forte incertezza sull’oggettiva
verificabilità della scelta compiuta.
Una risposta in tal senso, frutto anche dell’atteggiamento di sfiducia mostrato dal
legislatore – forse perché interprete di esigenze di sicurezza giuridica provenienti dal
basso – è stata la progressiva riduzione dell’area del potere discrezionale in
favore di quello vincolato, o comunque l’individuazione di regole normative
fortemente compressive ed invasive di un potere dispositivo che per assicurare
certezza e sicurezza giuridica riducono la capacità di efficienza dell’azione
amministrativa.
Altro nodo problematico della certezza del diritto è rappresentato dalla connotazione
del rapporto tra autorità e libertà rispetto all’esercizio di diritti fondamentali
della persona, proprio dell’epoca in cui la distinzione tra liberalizzazione e
semplificazione sembra essere appena sfumata; il riferimento è alla nuova disciplina
sulla segnalazione certificata di inizio attività ed all’ampliamento delle ipotesi di
silenzio assenso: in questi casi, la certezza del diritto, che si esprime attraverso il
rafforzamento della posizione dell’istante (che induce a recuperare non senza
suggestione l’antica teorica dei diritti in attesa di espansione) confligge con
altrettanto rilevanti esigenze di certezza connesse alla tutela del terzo, al punto,
quasi, da trasformare il rapporto di diritto pubblico, quantunque ormai connesso ad
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un potere vincolato di mero accertamento, nella contrapposizione tra posizioni di
diritto soggettivo, aventi dignità civilistica.
Di rilievo è poi la tutela delle aspettative, da porsi in stretta connessione con la
salvaguardia di posizioni prossime ai diritti quesiti, come comprovato dai limiti
temporali posti dalla legge n. 215/2015 alla funzione di annullamento di
provvedimenti favorevoli al privato.
Infine, senza alcuna pretesa di esaustività, va ricordato quello “spirito” della legge n.
241/90 che, proprio richiamando Habermas, impone, come epifania della certezza
del diritto in termini di valore giuridico, la partecipazione del destinatario della
funzione alla formazione della volontà del decisore pubblico all’interno del
procedimento, fino a giungere a possibili soluzioni frutto di codecisione (accordi);
non può essere, comunque, sottaciuta la progressiva dequotazione ad opera del
legislatore di tale originaria ideale impostazione attraverso interventi modificativi (il
riferimento specifico è alla legge n. 15/2005), che, pur tuttavia, non hanno fatto
recedere parte della dottrina e della giurisprudenza dal qualificare l’essenza della
funzione come gestione e definizione di un rapporto, piuttosto che come
manifestazione finale di volontà provvedimentale.
3. La certezza del diritto nell’ordinamento processuale amministrativo
Occorre ora svolgere quale breve considerazione sulla risposta offerta dallo
strumento processuale proprio dell’ordinamento particolare amministrativo, limitando
ogni considerazione riguardo alla certezza del diritto rispetto alla sindacabilità del
potere autoritativo.
Qui, a differenza di quanto osservato in precedenza, il conflitto ruota intorno a valori
di certezza che afferiscono al grado di effettività di tutela ed al significato attuale
del diritto di cui all’art. 24 della Carta.
Nel dibattito odierno si è intensificato l’insanabile e immanente contrasto tra
esigenze di certezza dell’azione amministrativa, riconducibili ai suoi caratteri
necessari di continuità e stabilità, tali da giustificare fin dalla nascita del sistema
giustiziale la configurazione di un regime decadenziale del diritto di azione di
annullamento, ed esigenza di tutela giurisdizionale della persona, implicanti una
capacità di accesso al processo che non sia eccessivamente disagevole e
discriminatoria; al riguardo, è appena il caso di
richiamare le attuali criticità
connesse ad un regime fiscale eccessivamente oneroso per chi intenda rivolgersi al
giudice, condizione ostativa che finisce per aumentare, in via di fatto, una riserva di
amministrazione che mal si concilia con l’epoca attuale in cui forte è sentita
l’esigenza, attraverso la tutela dell’interesse legittimo, di assicurare controlli
sull’azione pubblica, soprattutto ove si gestiscono e dispensano risorse economiche
(il richiamo è a Corte Costituzionale n. 246/2015) .
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Ad aggravare il contrasto ideale è ora la nuova parziale riscrittura dell’art. 120 del
c.p.a., ad opera del d.lgs. 50/2016, che ha imposto al concorrente l’impugnazione ovviamente a pena di decadenza - di atti di ammissione di altri concorrenti alla gara.
L’incidenza deflattiva sul contenzioso è percepibile, attesi gli elevati rischi connessi
all’attivazione di un interesse processuale, effettivamente – e fino a questo momento
secondo pacifica giurisprudenza – non attuale. Occorre chiedersi, pertanto, se
esigenze di assicurare stabilità a determinati approdi procedimentali – segnatamente
quelli riferibili alla fase di qualificazione dei concorrenti e, quindi, parziale e
strumentale – possano giustificare una volontà normativa che, esasperando istanze di
ipotetica certezza del diritto - magari inutili ove riferite alla preservazione
dell’interesse pubblico - finiscano per scoraggiare il ricorso al giudice amministrativa
che resta pur sempre, nell’architettura generale del sistema, un garante – forse
l’ultimo - della legittimità dell’esercizio del potere.
In ordine alla certezza del diritto rispetto al regime processuale restano sul tappeto tre
ulteriori questioni.
Innanzitutto, vi è quella inerente alla giurisdizione, sempre più oggetto di una
verifica postuma in sede giurisdizionale, piuttosto che costituire patrimonio della
cultura di giudici ed avvocati, se non addirittura degli stessi cittadini, come pur
preteso dall’accezione programmatica della norma di cui all’art. 25 della
Costituzione, che pone il paradigma quello del giudice naturale, da intendersi (anche)
come quello precostituito per legge, ossia in base a criteri inequivoci.
Ebbene, nonostante la giurisdizione debba essere certa a priori, sia come limite
esterno della sua estensione, sia come limite interno, ritengo quasi superfluo
ricordare le aspre e defatiganti contese tra le Supreme Magistrature che hanno dato
vita a radicali conflitti in cui “vittima illustre” è stata proprio la certezza del diritto e
l’affidabilità del sistema processuale in sé. Viene, pertanto, da chiedersi se
l’istituzione di un organo decisore delle questioni (anzi, dei conflitti) di giurisdizione
che sia a composizione mista, sul modello del Tribunale dei Conflitti
dell’ordinamento francese, non possa contribuire alla soluzione di tali gravi
problematiche di sostanziale rivendicazione del controllo giudiziario sull’azione
pubblica; basti richiamare la nota “crisi della pregiudiziale amministrativa“ ,
originata dai principi individuati nella sentenza delle SS.UU. n. 500/99 (che, a parere,
di chi scrive rappresenta un chiaro caso di eccesso di potere giudiziario, non
essendosi , in linea di fatto, risolta nella soluzione di questione di giurisdizione, ma
nel tentativo, tra l’altro incompiuto, di creare un istituto giuridico nuovo, quello dello
statuto della responsabilità civile per danni da provvedimento), le cui incertezze
interpretative e applicative avevano generato una vera e propria paralisi del sistema
processuale amministrativo e civile, alla fine risolvendosi il tutto con il noto
“armistizio” dell’art. 30 c.p.a. che, di fatto, ha lasciato immutata la strategia
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processuale volta ad assicurare tutela risarcitoria a chi sia stato danneggiato da un
provvedimento illegittimo.
Ulteriore aspetto rilevante nella relazione tra certezza del diritto e ordinamento
processuale riguarda la funzione nomofilattica affidata alle giurisdizioni superiori,
nel caso del processo amministrativo, all’Adunanza Plenaria. Qui, tale compito si
rivela assumere particolare importanza, in considerazione dell’immanente necessità
di offrire un’interpretazione autorevole a norme amministrative di settore, alla luce
dei principi generali che informano l’azione autoritativa della amministrazione
pubblica.
Investire l’Adunanza Plenaria di questioni interpretative è strumento che se da un lato
assicura senz’altro stabilità a chiarezza agli operatori giuridici, dall’altro, se utilizzato
in forma eccessiva, rischia di ingessare il dinamismo proprio del meccanismo di tipo
induttivo del differenziarsi progressivo degli orientamenti nascenti nella
giurisprudenza di primo grado, inaridendone di conseguenza le radici.
Al riguardo, occorre compiere una riflessione sulla disposizione di cui all’art. 99,
secondo comma c.p.a., secondo cui “prima della decisione, il presidente del
Consiglio di Stato, su richiesta delle parti o d'ufficio, può deferire all'Adunanza
Plenaria qualunque ricorso, per risolvere questioni di massima di particolare
importanza ovvero per dirimere contrasti giurisprudenziali”.
L’attuale più intenso ricorso all’Adunanza Plenaria, oltre ad averne aumentato in
modo esponenziale le pronunce rispetto alla media degli ultimi anni, ha finito per
minacciarne la stessa autorevolezza e decisività solutoria, non essendo infrequenti
situazioni di incertezza durevole interne allo stesso Consiglio di Stato, che oltre a
contrastare con la funzione di unificazione e chiusura propria della funzione di
nomofilachia, finisce – dando vita ad uno strano effetto di turn back – per
affidare nuovamente alla giurisprudenza di primo la scelta tra più opzioni
possibili, tutte “autorevoli”. E’ quanto accaduto a proposito della relazione tra
ricorso principale e ricorso incidentale escludente in materia di gara per l’affidamento
di contratti pubblici e, più recentemente, in ordine alla rilevanza dell’indicazione
degli oneri di sicurezza interni nell’offerta; l’incertezza conseguente a tali ondivaghi
orientamenti finisce per disorientare giudici, avvocati ed imprenditori, spesso
chiamati a valutare la temerarietà di una lite, con le conseguenti ricadute in tema di
aggravamento delle spese di giudizio. In questo senso, ci si domanda se, al di là
della relazione dicotomica tra flessibilità e certezza del diritto, la funzione
nomofilattica, da interpretativa, stia consolidando una sua capacità creativa,
quale fonte atipica e rinforzata, a latere delle consuete fonti di produzione
dell’ordinamento.
Da ultimo, un cenno va operato al potere di conformazione della sentenza di
annullamento nei confronti della futura azione da rinnovarsi a cura
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dell’amministrazione. In questo caso la certezza del diritto si relazione con
l’effettività della tutela giurisdizionale attraverso l’efficacia del dictum
giudiziale. Da tale punto di vista, va riconosciuto che molta strada è stata percorsa
migliorando la relazione funzionale tra ambito giurisdizionale di tutela e fase di
riedizione del potere, che, seppur timidamente, sta qualificando la sentenza come
elemento di correzione e di indirizzo del potere, accostando sensibilmente
procedimento e processo in funzione della realizzazione del medesimo interesse
pubblico. In conclusione, quale ultima suggestione, si potrebbe ipotizzare che la
certezza del diritto rispetto a legittime istanze di giustizia troverebbe la sua massima
espansione solo consentendo al giudice piena sindacabilità sull’azione
amministrativa, sino a giungere alla possibilità di emanazione, oltre che di
annullamento, anche di sentenze di revoca.