gh`è scià ul dümila, e si torna al pennino
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gh`è scià ul dümila, e si torna al pennino
n47a05 4 E d io devo confessarvi d’aver avuto difficoltà a scrivere il titolo in dialetto. Infatti, mio padre affermava – pur avendo io sempre parlato il «ticinese» in casa e con i compagni di scuola – di non sempre sapermi esprimere correttamente con questo idioma. Talvolta traducevo simultaneamente ed il risultato corrispondeva ad una definizione dal misto «italiano-dialetto ticinese». Ciò mi rammaricava, poiché prediligevo codesta lingua con la quale comunicavo tra le mura domestiche, con alcune persone anziane e con i miei amici. Non è però su questo argomento che voglio soffermarmi: codesta introduzione è stata dettata dal titolo che, peraltro, non so neppure se sia stato scritto in modo equo. «Gh’è scià ul dümila: i radioascoltatori ticinesi sono forse anche saturi di sentirne parlare. Perché? – si chiederà qualcuno. – Poiché questa frase per parecchio tempo la si udì alla nostra radio di lingua italiana, in concomitanza ad un concorso al quale i ra- RIVISTA DEGLI STENOGRAFI GH’È SCIÀ UL DÜMILA, E SI TORNA AL PENNINO di Daniela Bianchi dioascoltatori poterono partecipare con un racconto (scritto in dialetto), proprio nell’imminenza del traguardo del 21mo secolo. Siamo agli sgoccioli di questo 1999. È una giornata di ottobre (la nebbia sovrasta il Comune di Ligornetto). Da poco è giunto il postino. Puntuale, come ogni mattina, mi affretto ad aprire la bucalettere. Tra la diversa corrispondenza trovo il programma dei «Corsi per adulti», corsi organizzati in tutto il Cantone Ticino da parte del Dipartimento dell’istruzione e della cultura. Inizio dall’indice: Corsi artigianali ed artistici, corsi di cucina e sartoria, corsi di lingue e contabilità, corsi di informatica, maturità sociosanitaria, corsi speciali. La mia lettura si sofferma sul paese di Grave- sano (località poco distante da Lugano). Cosa trovo? Nientemeno che un corso di Calligrafia. Sì, avete letto bene: «calligrafia». Sotto il nome di codesto paese viene citato pure quello della docente ed in due righe vi è la spiegazione del corso in questione: «Ci si avvicina all’arte della scrittura con il pennino, esplorando le forme dei caratteri». Seguono il giorno del corso, l’orario e, evidentemente, il prezzo. R esto stupita, ma nel contempo provo un immenso piacere nel pensare che alla soglia del Duemila si organizzi un simile corso. Nell’era degli elaboratori, a lato dei corsi «Word per Windows», «Excel per Windows», «introduzione all’Apple Macintosh», «Access per Windows», «Work per Windows», «FileMaker Pro per Windows», «Internet»... ecco un corso nel quale si riparla del «pennino», uno dei tanti che usammo decenni or sono sui banchi di scuola. Mi sovviene la figura della mia maestra di scuola elementare, donna dall’aspetto austero, che incuteva nel contempo soggezione. Come dirle che a furia di scrivere il pennino si era guastato? A volte ci si recava da lei con timore, quando occorreva cambiarlo. – Possibile che non scriva più bene? – affermava. – No, signorina maestra, è da parecchio tempo che scrivo con questo. Oramai «raschia». Allora lei ti scrutava con gli occhiali appoggiati a metà naso e, con lo sguardo che «parlava da solo», senza proferire ulteriore parola si attendeva il tanto agognato nuovo mezzo per scrivere. Già sapevamo – noi scolari di nove anni – che il «dono» di quel g iorno che sarebbe fuoruscito dalla scatoletta occorreva serbarlo per parecchio tempo e RIVISTA DEGLI STENOGRAFI riservargli il massimo riguardo, affinché non si rompesse. Trascorsa quell’ansia che ci aveva oppresso in petto, si tornava al banco e, cammin facendo, con la saliva già s’iniziava a togliere un po’ di quella «patina» (se così la possiamo definire), che la laminetta d’acciaio possedeva, per far sì che una volta intinta nell’inchiostro si potesse iniziare a scrivere. All’inizio non sempre tutte le lettere risultavano completamente chiare: occorreva dosare bene l’inchiostro: in seguito, però, lo scritto diveniva nitido e la pagina assumeva un altro aspetto. Un corso d’arte per scrivere con bei caratteri: ecco ciò che organizza il Dipartimento dell’istruzione e della cultura. Ci si è forse accorti che oggigiorno, non si sa più scrivere manualmente? Se così fosse, penso che il prof. Andrea Innocenzi di Roma potrebbe essere «fiero», poiché le sue innumerevoli tesi rispetto alla grafia e soprattutto il suo adoperarsi in difesa della stessa verrebbero premiate. È forse questo un segno premonitore che in questi ultimi decenni si è corso troppo dal lato informatico e una cerchia della popolazione non riesca più a stare al passo con i tempi? L’organizzazione del corso in questione è l’iniziativa di un nostalgico? 5 Perché allora, noi stenografi manuali andiamo ripetendo che, ormai la stenografia manuale è defunta? Perchè probabilmente siamo più prossimi alla realtà? Il vivere quotidiano non dipende in parte predominante dall’essere umano? Non siamo forse noi stessi che imputabile unicamente alla nuova società che fatica a fare sacrifici per ottenere qualcosa e che tutto ciò che vuole deve essere acquisito immediatamente senza impiegare troppi anni di studio? L’analisi è molto vasta. Anche noi, probabilmente, siamo caduti in Una pubblicità di fine Ottocento in elogio dell’Arte e del piacere della scrittura. abbiamo voluto la sepoltura della stenografia manuale per adeguarci ai tempi? Abbiamo saputo negoziare in modo adeguato con chi di dovere o la soppressione della «nobil arte» nelle scuole è un fatto questo vortice di «detto-scritto», «desideroottengo», «ordino-ricevo». Ogni cosa deve avvenire nel minor tempo possibile: tutto dev’essere prioritario, supersonico, satellitare. Perché non riusciamo a porre un freno a questo stress opprimente? Un po’ di tranquillità, di tanto in tanto, ce la potremmo imporre. Molto dipende soprattutto da noi stessi. Qualcuno attese pure con frenesia ed impazienza l’eclissi dello scorso 11 agosto. Personalmente seguii l’evento sullo schermo televisivo e il fatto d’aver chiuso completamente le imposte della sala contribuì a rendermi l’atmosfera ancor più «solenne». I diversi collegamenti che le emittenti televisive trasmettevano dalla fascia dell’Europa che dal Mare del Nord va al Mar Nero resero l’evento maggiormente suggestivo, dato che alle mie latitudini l’oscuramento fu tenue. Eppure già in mattinata nell’atmosfera si percepiva qualcosa: questa almeno, fu la mia impressione. Anche il sole dalle 11.11 alle 13.58 di quell’11 agosto fu oscurato. Molte ombre, in questi ultimi anni, sono scese sulla stenograf ia. La stenog raf ia, comunque, manterrà sempre la sua importanza, un indelebile valore, nello spazio e nel tempo. Quest’anno è forse tornata a risplendere, nel caso in cui i PC, con l’avvento del nuovo millennio, vadano in tilt? Gh’è scià ul dümila: starem a vedé.