1 LA PIANIFICAZIONE DEL RISCHIO
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1 LA PIANIFICAZIONE DEL RISCHIO
LA PIANIFICAZIONE DEL RISCHIO: UN’INTRODUZIONE AL METODO “RAP” (Risk Adjusted Planning)1 “Plans are nothing; planning is everything” (Dwight D. Eisenhower) L’ azienda moderna deve affrontare la gestione dei rischi all’interno del processo di pianificazione finanziaria. Solo in questo modo si può apprezzare come il rischio non rappresenti solo un “disturbo” imprevedibile, ma anzi possa dischiudere opportunit à strategiche importanti per l’azienda. I vantaggi di questo approccio sono: (i) una migliore comprensione della natura e dell’entit à dei rischi stessi; (ii) una determinazione ottimale delle eventuali politiche di copertura da adottare e soprattutto (iii) una efficiente allocazione delle risorse dell’azienda (capitale) alle attività più produttive e potenzialmente più profittevoli. Con il modello di pianificazione qui proposto, la funzione di tesoreria aziendale, tradizionalmente isolata all’interno dell’azienda e relegata a compiti squisitamente “tecnici”, si inserisce a pieno diritto nel processo di determinazione della strategia d’azienda. 1. Premessa L’evoluzione nelle tecniche di gestione dei rischi finanziari a cui abbiamo assistito negli ultimi venti anni può essere riassunta nelle fasi seguenti. • • • • 1 Percezione del problema: l’azienda si rende conto che la volatilità indotta sui suoi ricavi dai movimenti dei mercati finanziari (principalmente cambi) non è accettabile ed è potenzialmente pericolosa. Prime soluzioni: vengono proposti sul mercato strumenti finanziari mirati alla eliminazione di problemi di rischiosità inerenti a situazioni “singole” (es. il domestic currency swap copre dal rischio di cambio la singola commessa); Ricerca di ottimizzazione organizzativa: l’azienda si rende conto che gestire il rischio (esposizione) considerando singolarmente ogni situazione in cui questo si manifesta non rappresenta una soluzione efficiente; le aziende procedono quindi a creare tesorerie centralizzate e a “nettare” i rischi al loro interno. Contemporaneamente gli intermediari finanziari creano nuove tipologie di strumenti che consentono di “scambiare” ogni tipo di profilo rischio/ritorno con quasi ogni altro ed introducono metodologie di gestione “dinamica” o “quantitativa” del rischio. Integrazione della gestione del rischio all’interno della gestione strategica d’impresa: l’evoluzione delle tecniche finanziarie e degli strumenti di calcolo (computers) permettono oggi di determinare, misurare e gestire il rischio d’azienda nella sua accezione più globale valorizzando anche il potenziale “ritorno” che sempre lo accompagna. L’obiettivo è raggiungere l’allocazione ottimale delle risorse dell’azienda (patrimonio e debito). Gli intermediari finanziari sono stati tra i primi ad avvicinarsi a questo tipo di A cura di Francesco Ceci. 1 metodologie integrate con la valutazione del “Value at Risk” (VAR)2 dei loro portafogli. Il passaggio alla quarta fase è avvenuto in concomitanza con l’attenzione sempre maggiore che viene prestata al “valore economico” d’azienda e alle sue variazioni piuttosto che semplicemente ai risultati contabili. Infatti, è noto che la contabilità deve seguire regole e convenzioni che non sono sempre condivisibili da un punto di vista economico e finanziario. Ad esempio, il trattamento di certe voci come attività o passività piuttosto che come ricavi o costi è spesso fonte di ambiguità3, così come è spesso discutibile il trattamento a bilancio delle operazioni sui prodotti finanziari derivati. Una corretta gestione delle risorse dell’azienda impone invece una focalizzazione sempre maggiore sul reale valore economico dell’azienda, sulle sue potenzialità (ritorni) e sui rischi, in linea non solo con la moderna teoria finanziaria, ma anche - tra l’altro - con quanto più o meno informalmente suggerito da molti grandi gestori ed analisti4. Il metodo RAP, che qui introduciamo, si pone come una soluzione pratica per rispondere esattamente a queste esigenze. 2. E’ necessario gestire il rischio? “Si faccia pure quello che si vuole... il capitale rimane sempre a rischio” “Noi abbiamo deciso che è corretto coprire i nostri rischi, ma a fine anno ci troviamo sempre ugualmente a chiederci se abbiamo veramente fatto bene oppure no.”5 Il fatto che un’azienda si debba preoccupare della gestione del suo rischio non è sempre stato dato per scontato. In particolare, la teoria finanziaria classica, prendendo in considerazione il caso della cosiddetta “public company”, ha messo in dubbio l’utilità per l’azienda di gestire i rischi dai quali l’azionista si può proteggere in proprio6. Se l’azienda copre questi rischi, offre agli azionisti un servizio inutile, e l’azionista non è propenso a premiarla per questo (cioè a favorire un incremento del prezzo dell’azione). Un caso a proposito è rappresentato dalla gestione del rischio di cambio. Secondo questa teoria, l’azienda può anche evitare di coprire le proprie 2 Oggi in molti paesi le autorità di controllo dei mercati finanziari richiedono agli intermediari il calcolo giornaliero del loro rischio globale con metodologie tipo VAR. Vedi il Mini Glossario per maggiori informazioni. 3 Tutti gli analisti di bilancio devono infatti sempre procedere a riclassificazioni più o meno complesse per ricavare dai dati contabili informazioni economicamente rilevanti. 4 Cf. per tutti Peter Lynch, “Beating the Street”, Simon & Schuster 1993, ma anche i recenti libri di Warren Buffett. 5 Gino Santini, Executive Vice President for Business Strategy alla Eli Lilly & Co. USA, nel corso di una conversazione con l’autore nel 1997. Ma quanti altri di noi hanno fatto questa stessa riflessione? 6 Cf. F. Modigliani - M. Miller, “The cost of capital, corporation financing, and the theory of investment”, American Economic Review, June 1958. 2 esportazioni valutarie perchè i suoi azionisti, conoscendo in quali mercati esporta possono provvedere loro stessi ad effettuare coperture sul loro patrimonio personale qualora lo desiderassero. L’azionista infatti ha almeno due alternative: (i) effettuare operazioni di copertura sul mercato dei cambi e (ii) diversificare il proprio portafoglio comprando azioni di tante aziende esportatrici ed importatrici in varie divise in modo da ridurre il rischio ad un livello per lui tollerabile. L’esperienza pratica degli ultimi decenni ha tuttavia evidenziato i seguenti fatti che non sono stati considerati da questa teoria. • I costi / benefici derivanti dalla volatilità dei risultati economici dell’azienda non sono simmetrici. Il guadagno che deriva a un’azienda da un movimento favorevole ed inatteso dei mercati può produrre un eccesso di profitto che il management attento riconoscerà come casuale. Viceversa una perdita derivante anch’essa da un evento fortuito può - a seconda della sua misura – non solo rappresentare un evento “una tantum” sul conto economico ma anche mettere a rischio l’azienda stessa. In quest’ultima ipotesi, i costi associati ad una liquidazione o a un fallimento, si sommano a quelli derivanti dalla perdita casuale con effetti molto pesanti sia per gli azionisti che per il management. • Le aziende private sono - specialmente in Italia - possedute normalmente da un numero molto ristretto di azionisti, i quali hanno una buona parte del loro patrimonio personale vincolata alle sorti dell’azienda stessa. Non è facile raggiungere un’efficace diversificazione per questi patrimoni e – anche a causa dell’arretratezza del mercato e della vischiosità delle leggi fiscali – è quasi sempre impensabile effettuare operazioni di copertura economicamente razionali. • Nell’ambito della propria strategia di sviluppo, un’azienda deve poter disporre di risorse finanziarie (patrimonio e/o debito) quando serve e non dipendere eccessivamente per questa esigenza dal verificarsi di eventi casuali. Una riduzione del rischio (inteso come variabilità inattesa dei flussi di cassa), può dunque favorire una più efficace penetrazione di mercato ed in ultima analisi il successo commerciale dell’azienda stessa. • Il management di un’azienda può risentire in modo incoerente ed amplificato di un eccesso di volatilità dei risultati. Questo dipende in parte da meccanismi di premi / bonus che non sempre sono razionali, ma può anche derivare dalla difficoltà del management a determinare in modo oggettivo il livello di rischiosità “ottimale” per l’azienda. In queste situazione, la scelta normale è una scelta di prudenza che porta a ridurre la volatilità dei risultati con il primo obiettivo di evitare risultati negativi7. 7 L’avversione al rischio e il suo impatto sulle decisioni sono stati ampiamente comprovati in studi psicologici. “Probabilmente l’aspetto più significativo e pervasivo della macchina del piacere umano è che tutti siamo più sensibili agli stimoli negativi che a quelli positivi [...] pensate a come vi sentite oggi e provate ad immaginare quanto meglio vi potreste sentire. Esiste un certo numero di cose che può farvi sentire meglio, ma il numero di quelle che può farvi sentire peggio è pressochè illimitato.” (Amos Tversky, “The Psychology of Risk”, 1990 trad. mia). 3 In pratica, l’esperienza ha ormai mostrato che è necessario che l’azienda effettui una gestione consapevole dei propri rischi, non tanto (o non necessariamente) con l’obiettivo di minimizzarli quanto con quello di misurarli, controllarli e – se è il caso – sfruttarli. 3. La gestione integrata dei rischi “The market will fluctuate.” (J. P. Morgan8) Nella maggior parte delle aziende, il “top management” è perfettamente a suo agio nella gestione dei rischi commerciali pertinenti all’attività della società (business risk). I rischi finanziari (financial risk) sono invece normalmente delegati ad un team di specialisti (tesoreria) e sono considerati separatamente dagli altri. Esiste da un lato l’idea che si tratta di rischi in qualche modo slegati dall’attività corrente della società; inoltre il top management usualmente ne ha un’esperienza molto limitata. La percezione diffusa è che si tratti di una scommessa indesiderata in cui l’azienda si trova necessariamente ed involontariamente coinvolta nel corso della sua normale attività. Come se non bastasse, la capacità previsiva di economisti ed analisti sull’andamento prospettico dei mercati finanziari è pateticamente bassa nè è pensabile che essa migliori nel futuro. A poche situazioni come questa sembra adattarsi la sconsolata affermazione di Macbeth: “life is a story told by an idiot”. La gestione moderna dei rischi, in cui si inquadra il nostro RAP, esprime tuttavia l’idea che i rischi commerciali e finanziari e più in generale tutte le cause che concorrono a determinare la volatilità dei risultati d’azienda siano da considerare in modo congiunto. A questa conclusione si giunge sulla base dell’ovvia osservazione che comunque i rischi non sono evitabili e che in questo modo si ottengono almeno tre vantaggi: • • • si ottiene un’ immagine complessiva e probabilisticamente misurabile della rischiosità globale dell’azienda; si possono evidenziare e sfruttare le eventuali correlazioni tra cause di rischiosità diverse ma tra loro collegate9; si può decidere con una maggiore consapevolezza quale rischio ridurre o eliminare e quale invece accettare o anche incrementare al fine di raggiungere i propri obiettivi di performance. 8 Una volta che dei giornalisti gli chiesero da che parte sarebbe andato il mercato. Allo stesso modo in cui un investitore riduce il rischio globale del suo portafoglio con un’attenta diversificazione tra diverse azioni, un’azienda può scoprire che considerando congiuntamente diverse cause di rischio, esse tendono almeno parzialmente ad annullarsi tra loro. 9 4 Forse dopo tutto, il futuro non è così fuori dal nostro controllo come pensava Macbeth. 4. Una nuova soluzione: il Risk Adjusted Planning (RAP) “Anche la tartaruga, animale notoriamente cauto, per andare avanti deve tirar fuori la testa dal guscio” (osservazione naturalistica) “There is no free lunch” (osservazione finanziaria) Vi sono alcuni assiomi che stanno alla base della teoria moderna della gestione dei rischi e anche del RAP. Essi sono riassumibili nei seguenti semplici punti che non crediamo necessitino di alcuna ulteriore spiegazione: a) b) c) d) non c’è ritorno senza rischio; quasi sempre ad ogni rischio corrisponde un ritorno potenziale; ogni azienda corre dei rischi (anche se talvolta non lo sa); è meglio gestire i rischi tutti insieme (almeno per sfruttare i benefici della diversificazione). Un’altra considerazione importante riguarda la misurazione del rischio ed è riassumibile nella domanda “rischioso in confronto a cosa?”. Non ha molta utilità pratica definire e misurare il rischio in senso assoluto10, ma è sicuramente più rilevante ragionare in termini di rischio rispetto ad un “benchmark”. Ad esempio, la domanda “quale è la probabilità di non raggiungere il budget delle vendite di quest’anno?” trasmetterà immediatamente a molti di noi l’idea di “rischio” assai meglio di qualsiasi definizione teorica. In questa frase, il budget delle vendite rappresenta quindi il “benchmark”. RAP necessita dunque di un benchmark per poter essere applicato. La scelta del benchmark può essere una cosa estremamente delicata11 e molto soggettiva e vi torneremo nel paragrafo 6. Per il momento ci basta sottolineare il fatto che il benchmark può essere definito anche in termini abbastanza semplici ma che comunque dovrebbe essere riferito all’azienda nel suo complesso in ottemperanza al punto d) sopra riportato. Il benchmark può essere, ad esempio, un certo livello di profitto prima delle tasse. Oppure, in una logica più moderna e più coerente con la cornice interpretativa della metodologia qui proposta, si potrebbe utilizzare un indice di crescita del valore economico dell’azienda. Un candidato possibile è 10 Una definizione “classica” del rischio è quella proposta dall’economista di Chicago Frank Knight negli anni 20 secondo cui il rischio è “incertezza misurabile”. Cf. F.H. Knight, “Risk, Uncertainty and Profit”, Century Press 1964 (orig. 1921). 11 Cf. D. Shimko, “Accentuate the Positive”, RISK, March 1997. 5 rappresentato dall’indice EVA 12 o più semplicemente dal profitto operativo dopo le tasse ma prima dei costi del debito (NOPAT)13. Una volta scelto il benchmark occorre analizzare le cause che concorrono a determinare la performance dell’azienda rispetto al benchmark stesso. Esse sono normalmente molteplici ed impongono un esercizio di pianificazione finanziaria. Per essere più precisi, RAP diviene la pianificazione finanziaria dell’azienda. Un esempio può servire a meglio chiarirne il funzionamento. Consideriamo, per amor di brevità, una situazione assai semplificata (RAP è un processo che può essere ovviamente usato per descrivere situazioni ben più complesse e realistiche). La Tabella 1 riporta i dati iniziali dell’azienda mentre la Tabella 2 riporta le assunzioni usate per pianificare la performance futura. Nell’esempio, la performance dell’azienda viene determinata dalle seguenti variabili. • • • Vendite: dipendono dalla crescita globale del mercato che l’azienda attende sia al 3% con una volatilità di 0,50%. Le divise in cui l’azienda fattura sonoi tre: lire, dollari e marchi14. Costi: si analizzano qui i soli costi variabili. Racchiudono tutte le spese tranne quelle relative al debito. Si tratta quindi delle spese di marketing e di vendita, delle spese di produzione e delle materie prime, delle spese amministrative, delle spese di ricerca e sviluppo e dei costi generali. Costo del debito: dipende dal livello medio del debito e dal livello medio del tasso di interesse inclusivo degli oneri bancari. Si assume qui che il livello del debito sia correlato al livello delle vendite secondo una relazione fissa semplificata che lega il capitale circolante alle vendite. Uno degli aspetti fondamentali di RAP è che per ciascuna di queste variabili è possibile effettuare non solo una previsione puntuale (una cifra), ma può venire esplicitato un intervallo previsivo che può essere definito in vari modi qualitativi o quantitativi15. Ovviamente in molti casi, la definizione dell’intervallo è normalmente più realistica del calcolo di un singolo numero anche perchè permette di esplicitare il rischio che è ad essa legato. Ad esempio si può dire che si attende che una certa azione di marketing porti un incremento delle vendite del 3% però l’esperienza ha insegnato che il risultato può oscillare tra lo 0% ed il 5% con gli estremi meno probabili del risultato centrale. 12 Economic Value Added è l’indice proposto dai consulenti Stern Stewart & Co. e si riferisce al rendimento economico del capitale d’azienda (patrimonio e debito) al netto del suo costo. Vedi il Mini Glossario per maggiori informazioni. 13 Net Operating Profit After Tax. Si tratta del vero rendimento economico del capitale d’azienda. Un’altra misura proposta da Stern Stewart & Co.. Vedi il Mini Glossario. 14 Si fa l’assunzione eroica che i prezzi di vendita non influenzino il volume. Questa come altre assunzioni usate in questo esempio non sono in generale realistiche, ma servono a semplificarci considerevolmente i calcoli. 15 Si possono ad esempio usare distribuzioni di probabilità teoriche o empiriche o, in taluni casi, anche definizioni qualitative del tipo “crescita alta”, “bassa”, “media”, eccetera. 6 Ancora più importante in RAP è l’esplicitazione degli eventuali vincoli legati alla previsione. Ad esempio, è possibile prevedere che le vendite cresceranno del 2% con una variabilità tra l’1% ed il 3% se non vengono introdotti nuovi prodotti, mentre cresceranno del 3% con una variabilità tra 1.5% e 4% in caso contrario. A sua volta l’introduzione del nuovo prodotto può essere più o meno probabile. Con tutte queste informazioni, si effettua poi una simulazione numerica utilizzando una metodologia di tipo Monte Carlo16. Alcuni dei risultati di questa simulazione sono rappresentati nelle Figure 1, 2 e 3 che riportano gli istogrammi della distribuzione cumulata attesa del profitto prima delle tasse (PBT), del NOPAT e dell’EVA. Cumulative PBT 100.00% 90.00% 80.00% 70.00% 60.00% 50.00% 40.00% 30.00% 20.00% 10.00% 80000 70000 60000 50000 40000 30000 20000 10000 0 -10000 -20000 -30000 -40000 0.00% Figura 1 I dati principali relativi alla Figura 1 sono riportati nella Tabelle 3 e 4 (p.18 colonna “scoperto”). Osserviamo quindi come la probabilità che il profitto prima della tasse (PBT) sia inferiore a 25.000 sia pari al 11,6%. (Tabella 3). Osserviamo anche che nel 95% dei casi il PBT sarà incluso tra 19.968 e +50.680 (Tabella 4). La Figura 2 riporta simili dati relativamente al NOPAT: in questo caso la probabilità che il rendimento del capitale sia inferiore a 22.000 è pari al 37,2% e nel 95% dei casi esso è incluso tra 16.641 e 30.587. Per quello che riguarda l’EVA, la probabilità che esso sia inferiore a –1000 è pari al 41,80% e nel 95% dei casi esso è incluso tra –7.531 e +7.590. I dati medi attesi per PBT, NOPAT ed EVA sono rispettivamente 34.724, 23.277 e –168. 16 Vedi il Mini Glossario. La metodologia Monte Carlo è, non a caso, utilizzata anche nei programmi di determinazione del VAR dagli intermediari finanziari. 7 Incidentalmente, (lo scopo di questo esercizio non è suggerire soluzioni alla nostra ipotetica azienda, ma solo illustrare l’approccio RAP), può essere interessante osservare come un’azienda con risultati contabili positivi (PBT), può essere finanziariamente ed economicamente inefficiente e distruggere valore (EVA negativo). Tornando al RAP osserviamo che il primo vantaggio evidente è rappresentato dalla rapida ed intuitiva visualizzazione del rischio permessa da questa analisi. Se ad esempio il benchmark fosse rappresentato da un certo valore del profitto, del NOPAT o dell’EVA, sarebbe immediatamente chiaro se tale benchmark è raggiungibile e quale è la sua probabilità stimata. NOPAT 100.00% 90.00% 80.00% 70.00% 60.00% 50.00% 40.00% 30.00% 20.00% 10.00% 37000 34000 31000 28000 25000 22000 19000 16000 13000 10000 7000 4000 1000 0.00% Figura 2 EVA 100.00% 90.00% 80.00% 70.00% 60.00% 50.00% 40.00% 30.00% 20.00% 10.00% 11000 8000 5000 2000 -1000 -4000 -7000 -10000 -13000 -16000 -19000 -22000 -25000 0.00% Figura 3 8 L’azienda deve a questo punto decidere se il livello di rischio qui illustrato è accettabile o meno. Vi sono sostanzialmente tre tipi di risposte possibili: (a) per l’azienda tutto va bene; (b) il rischio è troppo elevato; (c) il profilo di rischio richiede aggiustamenti perchè accettabile su alcuni parametri ma troppo elevato relativamente ad altri. Gli ultimi due casi sono ovviamente i più rilevanti. Attraverso l’analisi effettuata, l’azienda può identificare le cause del rischio e procedere a valutare eventuali operazioni di copertura. Tali operazioni possono essere operazioni finanziarie, mutamenti organizzativi o ridefinizioni strategiche dei piani dell’azienda. Nel nostro caso, una delle cause di volatilità (peraltro non la maggiore) deriva dall’esposizione dei ricavi e dei costi dell’azienda alla volatilità del mercato dei cambi e dei tassi di interesse. Può essere interessante chiedersi che effetto possono avere in questo quadro delle operazioni di copertura. Abbiamo quindi rifatto la stessa analisi precedente ipotizzando di effettuare tre operazioni di copertura: (i) vendita a termine 100 milioni di dollari, (ii) vendita a termine di 130 milioni di marchi e (iii) interest rate swap per 200 miliardi di lire. Questi valori sono stati scelti perchè rappresentano un’ipotesi di copertura pari circa al 90-95% dell’esposizione. Si può quindi ipotizzare che una copertura più ridotta in percentuale porti a dei risultati intermedi tra questi e quelli calcolati precedentemente. Cumulative PBT 1 0.9 0.8 0.7 0.6 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 80000 70000 60000 50000 40000 30000 20000 10000 0 -10000 -20000 -30000 -40000 -50000 -60000 0 Figura 4 Le Figure 4,5 e 6 e le Tabelle 3 e 4 (colonna “con copertura”) mostrano i risultati della nuova analisi. Osserviamo che la probabilità che il PBT scenda al di sotto di 25.000 è scesa praticamente a zero, così come la probabilità che il NOPAT sia inferiore a 22.000. La probabilità che l’EVA scenda al di sotto di –1.000 è invece del 31,10% (migliorata del 10,7%). Osserviamo anche che, come era da attendersi, questi miglioramenti sono accompagnati da diminuzioni dell’ “upside”, cioè da una riduzione della 9 probabilità di ottenere un guadagno elevato. La Tabella 4 mostra questa riduzione: nel 95% dei casi il PBT non supera 36.849 (contro 50.680 nel caso in cui non si fosse effettuata la copertura), il NOPAT non supera 24.023 (contro 30.587) e l’EVA non supera 4.127 (contro 7.590). Infine, osserviamo che queste conclusioni sono lo stesse indipendentemente dal fatto che le operazioni di copertura generino, singolarmente considerate, un utile o una perdita. NOPAT 100.00% 90.00% 80.00% 70.00% 60.00% 50.00% 40.00% 30.00% 20.00% 10.00% 22000 25000 28000 31000 34000 37000 -4000 -1000 2000 5000 8000 11000 19000 16000 13000 10000 7000 4000 1000 0.00% Figura 5 EVA 100.00% 90.00% 80.00% 70.00% 60.00% 50.00% 40.00% 30.00% 20.00% 10.00% -7000 -10000 -13000 -16000 -19000 -22000 -25000 0.00% Figura 6 10 RAP permette dunque di evidenziare il contributo delle operazioni di copertura dal rischio sul risultato globale d’azienda valutato rispetto ad un benchmark predeterminato che è esattamente la procedura che la teoria finanziaria moderna suggerisce. Naturalmente, i risultati ottenuti con le operazioni di copertura possono in taluni casi, non essere sufficienti al fine di ridurre il rischio ad un livello accettabile. Normalmente una gestione del rischio ottimale richiede interventi che vanno ben aldilà dell’effettuazione di operazioni di copertura sul mercato finanziario. In questo esempio, noi abbiamo trattato questa tipologia di riduzione del rischio perchè sufficientemente semplice per essere illustrata in poche righe, ma dovrebbe essere evidente a tutti che RAP può essere usato anche per analizzare ipotesi di soluzione ben più complesse. 5. La valenza strategica del RAP “If you don’t know where you are going, all roads will get you there” (Lewis Carrol) L’approccio RAP può dunque essere utilizzato per pianificare il rischio che l’azienda può permettersi (o vuole) subire con riferimento a decisioni di tutti i tipi. Ad esempio, può essere usato per rispondere a domande relativamente all’opportunità di intraprendere nuovi investimenti oppure di investire in ricerca, oppure ancora di attivare nuove iniziative promozionali (sconti, condizioni di pagamento, campagne pubblicitarie, ecc.). In questo senso RAP si presenta anche come un’alternativa al tradizionale metodo di valutazione degli investimenti legato al calcolo del tasso di ritorno interno successivamente confrontato con il costo medio del capitale. A differenza di quest’ultimo approccio, RAP permette (i) di visualizzare il rischio relativo a quel particolare investimento e (ii) di misurarne l’impatto sulla rischiosità globale dell’azienda17. Poichè tutte le aziende dispongono di un importo limitato di risorse finanziarie (patrimonio più debito), è fondamentale allocare efficentemente queste risorse. Infatti esse devono essere il più produttive senza tuttavia comportare un livello e una tipologia di rischi inaccettabile e/o ingestibile. L’approccio RAP rappresenta probabilmente la migliore metodologia oggi disponibile per fare questo. Con riferimento al caso proposto nel paragrafo 4, supponiamo per esempio, che l’azienda sia felice del suo livello di rischiosità anche senza intraprendere alcuna azione di copertura. Dovrebbe in questo caso procedere ugualmente ad effettuare le operazioni di swap? La risposta fornita da RAP è che l’azienda ha convenienza ad effettuare comunque delle operazioni di copertura anche se soddisfatta del suo livello “naturale” di rischiosità se può sostituire al rischio eliminato dalle operazioni di 17 Non si tratta della stessa cosa: i rischi non sempre si sommano e se sono tra loro correlati negativamente si possono anche cancellare. 11 copertura, un rischio di dimensione più o meno analoga legato ad altre operazioni di natura commerciale o di investimento che offrono maggiori possibilità di ritorno. Ad esempio, l’azienda una volta ridotto il suo livello di rischiosità effettuando operazioni di copertura sui mercati finanziari, può poi ripristinare tale livello originario aumentando l’investimento in ricerca o pianificando una nuova campagna promozionale per i suoi prodotti. In questo modo vi sono almeno due vantaggi: (i) il contenimento dei rischi globali ad un livello accettabile e (ii) un investimento produttivo in un settore di competenza e presumibilmente con un alto ritorno potenziale. Che fare invece nel caso l’azienda sia comunque soddisfatta del suo livello di rischiosità “naturale” ed al tempo stesso non intraveda possibilità di investimenti commerciali sufficientemente remunerative? Questa situazione potrebbe in generale, essere sintomo di un eccessiva patrimonializzazione. Se essa perdura, la risposta fornita da RAP sarebbe probabilmente di aumentare il livello di indebitamento, di procedere ad una qualche forma di distribuzione dei dividendi oppure di considerare acquisizioni. Se invece, nonostante l’azienda abbia effettuato tutte le possibili azioni di copertura, il livello di rischiosità rimane troppo elevato, occorre forse considerare un aumento della patrimonializzazione. Anche in questo caso, RAP può essere un utile strumento per quantificare l’entità dell’aumento necessario. Dovrebbe dunque apparire evidente come in questo modo la funzione finanziaria si integra nel processo di definizione della strategia d’azienda ed anche come operazioni a volte apparentemente secondarie, quali delle semplici coperture da rischi finanziari, possano giocare un ruolo ben più importante di quello che è normalmente loro ascritto. L’approccio RAP serve dunque a determinare da quali rischi proteggersi e come farlo, ma anche quali rischi è invece opportuno sopportare. L’ esperto di finanza e tesoreria viene perciò ad assumere anche il ruolo di “strategic risk manager” ed in questo senso deve assumere una parte fondamentale nel disegno dei piani aziendali. 6. Ancora sulla scelta del “benchmark” “The computer [...] cannot make [strategic decisions]. [...] , all it can do is compute. For this reason it demands clear analysis, especially of the boundary conditions the decision has to satisfy. And that requires risk-taking judgment of a high order.” (Peter Drucker18) Abbiamo precedentemente accennato alla necessità di individuare un benchmark per poter pianificare e gestire il rischio d’azienda. Possiamo dire di più: se il benchmark non è determinato correttamente, tutta l’analisi numerica che si può effettuare diviene irrilevante. 18 “The Effective Executive”, Harper & Row, 1966 (!) e la considerazione è ancora valida trent’anni dopo. 12 Abbiamo anche sviluppato un esempio dove il benchmark era rappresentato da un semplice valore (o intervallo di valori), relativo al profitto prima delle tasse, al NOPAT o all’EVA. Normalmente la determinazione del benchmark deve tuttavia tener conto di una serie di altri elementi più complessi: riteniamo opportuno accennare almeno ai principali. Il benchmark degli azionisti Gli azionisti sono interessati a massimizzare il valore economico della loro azienda. Essi tuttavia possono fare questo solo rispettando certi vincoli. In particolare essi devono rispettare tutti i vincoli relativi ai debiti che sono stati concessi all’azienda. Vi sono quindi vincoli relativi ai flussi di cassa (che devono garantire almeno il pagamento degli interessi) e vincoli più complessi relativi agli indici di patrimonializzazione e liquidità (spesso necessari al fine di ottenere o di mantenere un certo “rating” creditizio). Il benchmark minimo di performance economica da rispettare è perciò definibile come quello che garantisce il completo soddisfacimento delle esigenze dei creditori dell’azienda, ma al loro livello minimo. Normalmente tuttavia, l’azionista che possiede un’azienda che lavora in un certo settore industriale è anche pronto ad accettare tutti i rischi che quel settore industriale comporta19. Spesso però, si attende che la sua azienda abbia una performance migliore dei concorrenti. Giungiamo dunque ad una seconda possibile definizione di benchmark. La performance economica può essere infatti definita in relazione alla performance media delle aziende concorrenti operanti nello stesso settore. In situazioni particolari, l’azionista può poi essere prioritariamente interessato al raggiungimento di obiettivi quali una certa quota di mercato, una certa efficenza produttiva o un certo livello minimo di investimenti in ricerca. Dovrebbe comunque essere ormai chiaro che l’analisi dei rischi ed il RAP, in quanto analisi relativa ad un benchmark, si può presentare molto diversamente da caso a caso. Il benchmark dei creditori La posizione dei creditori può essere in un certo senso interpretata come quella di investitori che hanno venduto agli azionisti un’opzione put sui flussi di cassa (e sul valore economico) dell’azienda. L’opzione ha come prezzo di esercizio il livello di cassa necessario all’azienda per rimborsare i suoi debiti inclusivi degli interessi. La situazione è rappresentata nella Figura 7. Se i flussi di cassa superano il livello necessario a soddisfare tutti i pagamenti dovuti ai creditori (il livello indicato come X in Figura 7), i creditori sono 19 In taluni casi, come ad esempio nel caso delle aziende minerarie, gli investitori comprano le azioni di queste aziende per costruire “sinteticamente” nel loro portafoglio una posizione “lunga” in quella particolare materia prima. Essi non sarebbero molto soddisfatti se il management di quelle aziende coprisse sistematicamente il rischio derivante dalla volatilità di prezzo di quei particolari minerali che l’azienda estrae. Cf. D. Shimko, “Accentuate the Positive”, RISK, March 1997. 13 soddisfatti perchè hanno ottenuto il ritorno che attendevano. Se viceversa, i flussi non sono sufficienti, il ritorno dei creditori si muoverà lungo la retta AB a seconda che il rimborso sia parziale (in caso di ristrutturazione del debito) o addirittura nullo (come spesso accade per i crediti chirografari in caso di fallimento). L’unica differenza con il caso dell’opzione tradizionale è che il “premio” viene qui incassato dal venditore alla data di scadenza dell’opzione20. Uno dei capisaldi della teoria delle opzioni è che il valore di tale strumento è tanto più basso quanto più bassa è la volatilità della grandezza a cui si riferisce (in questo caso i flussi di cassa dell’azienda). I creditori (avendo ceduto l’opzione) preferiranno quindi di gran lunga un’azienda con flussi stabili nel tempo ad una che sperimenta un’alta volatilità. Questa conclusione, ricavata dalla teoria finanziaria, combacia perfettamente con l’esperienza di tutti i giorni: le banche preferiscono sempre prestare denaro ad aziende con una crescita stabile e costante e sono più caute con aziende che mostrano andamenti troppo altalenanti anche se mediamente positivi. ritorno per il creditore B flussi cassa dell’azienda X A Figura 7 Da questo ragionamento discende che i creditori hanno una bassa tolleranza per il rischio e tenderanno a definire dei benchmark spesso più conservativi di quelli definiti dagli azionisti preferendo penalizzare le possibilità di crescita dell’azienda piuttosto che incorrere in volatilità elevate. Il benchmark del management Spesso il management di un’azienda non è azionista della stessa. In questo caso, specialmente se le politiche di remunerazione non sono state definite correttamente, gli interessi del management possono non coincidere con 20 In gergo finanziario, si tratta di una “Boston option”. La differenza con una tradizionale “opzione europea” è finanziariamente insignificante. 14 quelli degli azionisti e si crea ciò che in teoria è conosciuto come “agency problem”. Questa situazione è frequentissima nelle aziende di stato ma si riscontra spesso anche nelle aziende private quotate e non. Le conseguenze di questo fatto sono rilevanti anche per la gestione del rischio. In generale, il management tende ad ottimizzare il proprio ritorno personale che si esprime in termini di retribuzione, carriera e riconoscimenti vari. Spesso l’ottica del management è di medio-lungo periodo ed in questo coerente con quella degli azionisti (specialmente nelle aziende non quotate). Talvolta però, retribuzioni, carriere e riconoscimenti non sono collegati correttamente all’aumento del valore economico dell’azienda e ad una gestione corretta dei rischi derivanti dallo stesso. Questo fatto è molto importante, perchè in molti casi è proprio il management che definisce ed impone la strategia dell’azienda. Il benchmark, dichiarato o meno, con cui lavora il management può quindi essere diverso da quello degli azionisti. La strategia d’azienda finirà per essere plasmata più spesso sul benchmark del management piuttosto che su quello degli azionisti. Ad esempio, se il ritorno del management non è ben collegato alla performance economica dell’azienda, il benchmark sarà ovviamente molto più conservativo del dovuto e forse più vicino a quello dei creditori che non a quello degli azionisti. Questa situazione, sempre molto delicata, normalmente si risolve studiando e realizzando nuovi schemi di incentivazione. 7. Conclusione “We are all continually faced with a series of great opportunities brilliantly disguised as insoluble problems.” (John W. Gardner) La moderna teoria finanziaria ci insegna che le possibilità di ritorni sono sempre collegate a dei rischi. La moderne tecniche di gestione dei rischi ci indicano che è più opportuno gestire i rischi nel loro insieme piuttosto che considerarli separatamente. RAP offre una metodologia per gestire il processo di pianificazione d’azienda integrando tra loro tutti i rischi al fine non solo di favorirne la comprensione ed il controllo, ma anche per sfruttarli al meglio ottimizzando la strategia d’azienda. La perfetta integrabilità di RAP con le moderne metodologie di pianificazione e controllo (come EVA) costituisce poi un ulteriore importante elemento positivo. L’implementazione pratica di RAP non avviene in modo completamente “naturale” all’interno delle aziende. Essa richiede determinazione ed anche un certo mutamento di mentalità. La definizione del benchmark richiede un attento “esame di coscienza” sia da parte del management che degli azionisti su quelli che veramente sono gli obiettivi che si desidera raggiungere. Gli aspetti quantitativi di RAP possono inoltre inizialmente intimidire, e la richiesta 15 posta ai managers di effettuare previsioni evidenziando in modo razionale anche i rischi può essere accolta con diffidenza. Riteniamo tuttavia che lo sforzo possa essere ampiamente ripagato in termini di una migliore e più consapevole definizione della strategia aziendale. L’evoluzione dei mercati (finanziari e commerciali), l’avanzamento della teoria e la dinamicità dei tempi in cui viviamo non lasciano del resto alcuno scampo: non gestire in modo ottimale la relazione tra rischio e ritorno può rivelarsi fatale. 16 ________________________________________________________________ Tabella 1 Dati usati nell’esempio Performance dell’anno precedente Vendite in unità (per area geografica) Italia Germania USA 30.000 27.000 35.000 Vendite in lire (per area geografica) Italia Germania USA Totale (lire mln) 150.000 142.941 168.000 460.941 Costi Debito Medio (Ammontare) Costo del debito (lire) Patrimonio (lire mln) 413.723 215.885 21.586 50.000 Profitto prima delle tasse (PBT) (lit mln) NOPAT (lire mln) ROE Costo medio del capitale (WACC) EVA (lire mln) 25.633 21.248 23.07% 10.45% -6.537 _______________________________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________________ Tabella 2 Dati usati nell’esempio Assunzioni usate per la pianificazione aziendale Crescita delle vendite (unità) Crescita del mercato (*) Valore medio atteso 3,00% Deviazione standard 0,50% Costi Costi variabili 4,50 (per unità) Ammontare del debito % delle vendite (*) Patrimonio (lire mln) 47,00% 50.000 2,50% Situazione mercati finanziari Spot $/Lira (**) Spot DM/Lira (**) Correlazione Tasso interesse Lira (**) Tasso Int. Rate Swap Diff. $-Lira Diff. DM-Lira 1700 985 -0,15 7,60% 7,70% 1,00% 3,50% 8,20% 5,50% Prezzi unitari per area geografica Italia (Lire) Germania (DM) USA ($) (*) (**) 1,00% 5.000.000 5.000 3.000 Si assume che queste variabili siano distribuite normalmente. Si assume che queste variabili siano distribuite log-normalmente. I dati medii dei mercati finanziari sono quelli spot vigenti al momento dell’esercizio. Anche le volatilità possono essere desunte da dati di mercato. 17 ____________________________________________________________________________________________ Tabella 3 Protezione derivante dalla copertura Prob(PBT ≤ 25.000) Prob(NOPAT ≤ 22.000) Prob(EVA ≤ -1.000) Azienda “scoperta” 11,6% 37,2% 41,8% con copertura 0% 0% 31,1% miglioramento 11,6% 37,2% 10,7% ____________________________________________________________________________________________ ____________________________________________________________________________________________ Tabella 4 Intervalli di confidenza al 95% e valore atteso (media) PBT NOPAT EVA Azienda “scoperta” 19968 ↔ 50680 16641 ↔ 30587 -7531 ↔ 7590 con copertura 32882 ↔ 36849 22974 ↔ 24023 -4554 ↔ 4127 Media (azienda scoperta) 34724 23277 -168 Media (con copertura) 34945 23483 38 ____________________________________________________________________________________________ MINI GLOSSARIO Rischio: normalmente in azienda si distingue tra rischio commerciale (business risk) e rischio finanziario (financial risk). Il primo è il rischio collegato allo svolgimento della normale attività commerciale dell’azienda e riflette, ad esempio, la possibilità che la domanda di un particolare prodotto cresca o diminuisca e le assunzioni sul comportamento della concorrenza. Il secondo riguarda più specificatamente le operazioni finanziarie che l’azienda intraprende e le esposizioni finanziarie che l’azienda subisce a seguito della sua attività commerciale. Il nostro punto è che questa distinzione può essere controproduttiva: i rischi dovrebbero essere valutati nel loro insieme. Volatilità: una delle misure del rischio più usate in finanza è la cosiddetta “volatilità”. Con tale termine ci si riferisce normalmente agli scostamenti che una certa grandezza può subire rispetto a quello che è il suo valore atteso. Ad esempio, dire che ci si attende che le vendite crescano del 3% rappresenta una previsione puntuale che può essere più o meno significativa. Se chi fa le previsioni aggiunge che la previsione può essere errata dello 0,5% trasmette un’affidabilità molto maggiore che non dicendo che lo scostamento può essere del 5%. La misura di queste variazioni inattese passa sotto il nome di “volatilità”. Una misura comunemente usata in statistica per misurare la volatilità è la cosiddetta “deviazione standard” che è un indice matematico che misura gli scostamenti rispetto alla media. Value at Risk (VAR): si tratta di una metodologia di valorizzazione di portafogli finanziari che tenendo conto di tutte le correlazioni storiche esistenti tra le varie forme di attività finanziarie possedute in un certo momento, calcola uasndo simulazioni Monte Carlo la probabilità che la perdita massima superi un certo livello. L’orizzonte temporale a cui si applica il VAR è normalmente molto breve (una decina di giorni) e la metodologia è oggi usata dai grandi finanziari e in via sperimentale da alcune grandi aziende che hanno ampi portafogli finanziari. EVA : Economic Value Added. Si misura calcolando prima il NOPAT (net operating profit after tax) che consiste nei ricavi dell’azienda al netto dei costi e delle tasse ma al lordo delle spese per interessi. Successivamente si sottrae al NOPAT il costo medio ponderato del capitale per ottenere una stima del valore economico aggiunto (o distrutto) in un particolare 18 esercizio. La metodologia EVA è oggi usata da diverse grandi aziende negli USA e sta lentamente prendendo piede anche in Italia. Si tratta in sostanza di una procedura il cui obiettivo è di misurare la reale performance economica dell’azienda senza farsi fuorviare dalle regole e convenzioni imposte dalla contabilità. Cf. G. Bennett Stewart, “The Quest for Value”, Harper Business, 1990. Costo medio ponderato del capitale (o WACC = weighted average capital cost): si tratta di una misura del costo del capitale dell’azienda. Si calcola moltiplicando l’importo del debito d’azienda per il suo costo marginale e quindi sommando l’importo del patrimonio per il suo costo stimato. La cifra così ottenuta viene quindi divisa per il totale del capitale usato in azienda (patrimonio + debito). Normalmente per stimare il costo del patrimonio, si usa un modello conosciuto come CAPM (capital asset pricing model) che mette in relazione il costo del patrimonio per una particolare azienda con la sua rischiosità relativamente all’intero mercato. Cf. ogni buon manuale di finanza aziendale, ad es. Ross – Westerfield - Jordan, “Fundamentals of Corporate Finance”, Irwin 1993. Monte Carlo: una procedura numerica spesso usata in statistica per effettuare simulazioni di eventi complessi. Originata durante la seconda guerra mondiale, si assiste oggi ad una sua “rinascita” grazie all’avvento di computers sempre più potenti. In sostanza, la procedura consiste nel determinare a priori le distribuzioni di probabilità (teoriche o empiriche) di particolari variabili e quindi, attraverso ripetute simulazioni (trials) che utilizzano serie di numeri pseudo-casuali, nell’ottenere una distribuzione di probabilità dei risultati sulle variabili che rappresentano l’oggetto dello studio. 19