Il primo viaggio

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Il primo viaggio
Il primo viaggio
Non rammento molto del mio passato, dell'origine, rivivo le emozioni, i suoni, le parole.
Ricordo che me la passavo bene, ma veramente bene!
Assorto nel silenzio e nella quiete del mio habitat, non avevo alcun pensiero e la mia
tranquillità veniva distolta solo da qualche inaspettato singhiozzo e da dei simpatici "toc,
toc" che si ripetevano con cadenza quotidiana. Mi cullava la musica e le vibrazioni di
quella voce, così cara e udita da sempre, mi confortavano.
Sentivo spesso sussurrare: “Alberto mi senti?"; "Amore ti aspettiamo"; "Alberto sono il
tuo papà"; "Amore, Alberto, Alberto, Amore" ...
Sicuramente tra queste parole si nascondeva il mio nome.
Mangiavo, dormivo e crescevo e questo lo capivo perchè le mie braccia e le mie gambe
trovavano sempre più dei morbidi ostacoli mentre le allungavo. Diciamolo pure: non
vivevo in una posizione comodissima, ma a me sembrava molto naturale. Non avevo
bisogno di nulla: tutto era perfetto!
Non avevo cognizione del tempo, però, senza che lo volessi, man mano qualcosa stava
cambiando. La sacca che mi conteneva e che, sino a quel momento, mi aveva garantito
una dolcissima protezione si stava rompendo: "Quanta forza ho!" - ho pensato."No, no,
dai! Non può essere!" Ed invece involontariamente mi sono ritrovato verso un canale
oscuro per me ed ho intuito che il mio viaggio verso la vita stava per iniziare.
"Buon viaggio Alberto" - mi sono detto - "Forza e coraggio".
Ero impegnatissimo e concentrato nel capire cosa fare, come muovermi da quel
momento in poi e mi rassicurava sentirmi dire da lei, la mia compagna d'avventura:
"Tutto andrà per il meglio, saremo bravissimi ed io non vedo l'ora di poterti tenere tra le
mie braccia". Il legame che ci univa era intenso e viscerale e la consapevolezza di non
essere più due vite in un unico corpo mi disorientava. Intanto procedevo, mi sentivo
massaggiato da ritmiche contrazioni che mi permettevano di andare avanti. Flettevo
sempre più la testa col mento verso il torace in modo da ridurre al minimo le mie
dimensioni e, contemporaneamente, compivo rotazioni per adattarmi, nei vari passaggi,
allo spazio circostante. "Scusate, qualcuno può aiutarmi?" Che fatica, ma nulla da fare!
Ero io da solo lungo questa strada.
Il cuore mi batteva fortissimo, ma sentivo di potercela fare. Ero come un atleta. Tutte le
funzioni del mio organismo rispondevano alla grande. "Uno spiraglio di luce – pensavo forse sto arrivando alla meta" -. E poi: "Eccomi, sono pronto al mio debutto in società."
Aiutato dall'ennesima spinta, la mia testa sgusciava all'esterno, compivo l'ultima
rotazione e liberavo le spalle. Il viaggio si era concluso, il miracolo della vita si era
compiuto: ero nato!
"Brrr … che freddo, che luce, quanti sguardi, quanti rumori ... troppi ... da far piangere."
Davanti a me tanta gente ed un simpatico omaccione che in lacrime mi guardava e con
voce commossa mi diceva: "Ben arrivato Alberto, io sono il tuo papà".
Mi hanno poggiato sul cuore della mia mamma: la donna che mi aveva custodito
nell'amore in questi nove mesi. Era sfinita, sudata ma i suoi occhi brillavano e i suoi
battiti pulsavano dolcemente. Fissandomi mi ha detto: "Ce l'abbiamo fatta piccolo mio!"
Dopo, hanno tagliato il cordone che mi univa a lei. Ed è così, proprio così, che sono
venuto al mondo.
Adesso vivo tra le braccia dei miei genitori e con loro sono pronto ad affrontare questo
nuovo, lungo e intenso viaggio che è la vita.
Mariangela Santonocito