Giornata di studio “La programmazione partecipata: ruolo del Se
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Giornata di studio “La programmazione partecipata: ruolo del Se
Giornata di studio “La programmazione partecipata: ruolo del Servizio Sociale nella costruzione del nuovo welfare locale” (venerdì 1 dicembre 2006 – Udine) Relazione “Aspettative dei protagonisti nella fase di avvio dei piani di zona” di Alessandro Sicora (Responsabile settore formazione, IRSSeS Trieste) 1. Le aspettative come immagini del futuro che dirigono l’azione L’idea/concetto di “aspettativa” appare in una pluralità di discipline di studio assumendo connotazioni diverse tutte riconducibili alla costruzione di una immagine di una particolare “porzione” del futuro. Tale termine individua: nel linguaggio giuridico, la “possibilità astratta di acquistare un diritto in base a circostanze che devono ancora maturare” (Istituto della Enciclopedia Italiana 1986: 301); in economia, il “valore atteso di una variabile economica (p.es., il livello del reddito, ecc.) da parte dei soggetti economici” oppure, più in generale “l’atteggiamento verso il futuro che influenza le decisioni da prendersi nel presente” (idem); in psicologia, l’anticipazione di un qualche evento futuro che si forma sulla base di una sequenza regolare di eventi. L’aspettativa diventa un elemento essenziale di alcune teorie sull’apprendimento elaborate in un’ottica comportamentistica (p.es. tra le prime, quella di Tolman1) e, nella cosiddetta “teoria dell’aspettativa” elaborata nel campo della motivazione al lavoro per la prima volta da Vroom2. Quest’ultima, “concepita principalmente come una teoria della scelta, (…) afferma che la forza per seguire una determinata azione è la somma dei prodotti delle “valenze” dei risultati dell’azione e del grado di aspettativa che un dato atto verrà seguito da quei risultati. La valenza è definita come la soddisfazione anticipata” (Locke 1986: 76); in sociologia, “l’anticipazione degli eventi futuri sulla base dell’esperienza passata e degli stimoli presenti. (…) Il formarsi di aspettative è particolarmente rilevante sia per la comprensione del rapporto interpersonale che per l’analisi delle interazioni presenti nel sociale più vasto, inteso come sistema di ruoli più o meno istituzionalizzati” (Volpe 1987: 172). In tale attività anticipatoria assumono una particolare forza deformante sia gli stereotipi riferiti a gruppi sociali che i bisogni individuali quando questi, specialmente se particolarmente intensi, incidono significativamente sulla formazione dei “giudizi sugli altri” sino alla creazione, in casi estremi, di fenomeni simil-allucinatori (idem: 173 – 174). Organismi viventi, individui e sistemi sociali orientano quindi le loro azioni in funzione di immagini del domani “dipinte” includendo, tra le altre cose, anche gli effetti della manifestazione della propria intenzionalità. La decisione presa in base alle aspettative sugli effetti producibili consente di connettere passato, presente e futuro. In tal modo il senso di incertezza del soggetto può essere ridotto grazie ad aspettative che si formano anche, ma non solo, sulla base delle esperienze pregresse e delle regolarità percepite nell’ambito dei fenomeni su cui si intende agire. 1 Cfr. Tolman, E.C. Il comportamento intenzionale negli animali e negli uomini, Armando, Roma, 1983 citato in Havrè, Rom; Lamb, Roger e Mecacci, Luciano. Psicologia. Dizionario enciclopedico, Laterza, Bari, 1986, p. 75. A tale ambito di studi appartengono anche alcuni noti esperimenti di addestramento di animali da laboratorio quali dei ratti alla ricerca di cibo in un labirinto. 2 Vroom, V.H. Work and motivationI, Wiley, New York, 1964 citato in Havrè, Rom; Lamb, Roger e Mecacci, Luciano op. cit., p. 76. relazione_sicora.doc – autore: A. Sicora – stampa dd. dd/12/yy 1 2. Aspettative e prima fase di avvio dei piani di zona nel Friuli Venezia Giulia Quali sono state le aspettative dei diversi attori nella prima fase di avvio dei piani di zona (PdZ) nel Friuli Venezia Giulia ed in che modo hanno influenzato i processi programmatori zonali? I PdZ, quali processi di programmazione locale partecipata, sono il prodotto di un accordo tra una pluralità di soggetti che hanno inteso far convergere volontà e visioni diverse verso il perseguimento di obiettivi ed azioni comuni. La costruzione di un piano d’azione è inevitabilmente frutto anche di aspettative sugli effetti dei processi attivati e sulle azioni effettivamente intraprese dagli altri attori in gioco. In altre parole, il PdZ può essere considerato allo stesso tempo prodotto e creatore di aspettative. Interrogarsi sulle aspettative dei protagonisti nella fase d’avvio dei PdZ ha senso in quanto, tra le altre cose, in tale ambito: i processi decisionali attivati su una pluralità di livelli riflettono e portano a sintesi attese e speranze di una molteplicità di soggetti; pur nell’ottica di un contesto normativo specifico, l’intensità ed i tempi di attivazione delle programmazioni zonali sono state influenzate da “ciò che ci si può aspettare” non solo dai PdZ quali strumenti utili per un governo efficace ed efficiente della rete dei servizi sociali ”, ma anche da ciascuno dei soggetti coinvolti nei diversi tavoli attivati; le attese suscitate dai PdZ appaiono quali “profezie che si autorealizzano”, ovvero tanto più vi è fiducia nello strumento e nei “partner” di progettazione zonale tanto più vi è investimento di risorse, tempo ed energie e, conseguentemente, maggiore è la probabilità di successo dei processi di programmazione locale partecipata. Per indagare su tali aspetti relativamente alla recente esperienza d’avvio dei PdZ nel Friuli Venezia Giulia si fa qui riferimento a due ricerche: la prima realizzata dall’IRSSeS di Trieste nel 2005 per conto della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia con l’intento di descrivere lo “stato organizzativo” del Servizio Sociale dei Comuni (SSC) e, tramite interviste semistrutturate con i Responsabili del SSC ed i Presidenti delle Assemblee dei Sindaci di Distretto, di evidenziare le aspettative e le motivazioni che hanno dato avvio all’esperienza dei PdZ in quelle realtà territoriali che hanno spontaneamente anticipato la scelta regionale di dare attuazione con proprie disposizioni alla realizzazione di PdZ su tutto il territorio del Friuli Venezia Giulia; la seconda condotta quasi contemporaneamente, nell’ambito di una più ampia ricerca di interesse nazionale (PRIN) cofinanziata dal MIUR, su "Servizi sociali e territorio. Regionalizzazione delle politiche sociali e "trifocalità" del servizio sociale". L’Università di Trieste, che ha assunto il ruolo chiave dell’indagine, si è avvalsa della collaborazione anche di altri soggetti quali l’Ordine regionale degli Assistenti Sociali del Friuli Venezia Giulia e l’IRSSeS. In tale ambito sono stati intervistati assistenti sociali coordinatori e non, nonché responsabili di entità collocate nel mondo della cooperazione e dell’associazionismo. Alcuni degli interrogativi a cui pare interessante cercare una risposta nell’ambito delle ricerche di cui sopra sono: quali aspettative di risultati positivi hanno spinto i soggetti che si sono mossi per primi verso i PdZ? quali aspettative sono state espresse in merito ai costi/benefici dell’avvio dei PdZ? quali sono state le attese dei diversi soggetti in campo rispetto agli altri “partner” nella realizzazione dei PdZ? E, nello specifico, con quali aspettative sono entrati nei processi relazione_sicora.doc – autore: A. Sicora – stampa dd. dd/12/yy 2 pianificatori zonali i soggetti del Terzo Settore? Quali sono state le attese nei riguardi dell’azione di regolamentazione della Regione? Quali quelle sugli assistenti sociali? 3. Le aspettative degli “anticipatori” A partire dal secondo semestre del 2002 e prima dell’approvazione del DGR 3236/2004 contenente accanto alle “Linee guida per la predisposizione del Programma delle attività territoriali” le “Linee guida per la predisposizione del Piano di Zona”, 10 SSC su 19 hanno attivato in una qualche forma dei processi di costruzione di PdZ. Ciò avviene negli ambiti distrettuali di: Alto Isontino, Basso Isontino, Gemona, Carnia, San Daniele, Tarcento, Codroipo, Udine, Latisana e San Vito al Tagliamento. Dalla ricerca realizzata dall’IRSSeS all’inizio del 2005 emerge che tale attivazione è il frutto: della convergenza della volontà di Amministratori locali particolarmente motivati e, sul piano tecnico, da Responsabili di SSC e da coordinatori di èquipe. Tali soggetti appaiono in sintonia nel dare particolare importanza ad un avvio tempestivo dei PdZ (Istituto Regionale per gli Studi di Servizio Sociale 2005: 2 - 3); di aspettative, chiaramente espresse dagli amministratori intervistati, di un potenziamento complessivo del funzionamento del sistema locale dei servizi e di un migliore e più mirato utilizzo dei fondi disponibili (Istituto Regionale per gli Studi di Servizio Sociale 2005: 34). dalla presenza nei territori sopra elencati di esperienze pregresse di progettazione e programmazione partecipata dall’esito ritenuto particolarmente positivo. “Tali esperienze erano connesse in gran parte alla Legge 285/97, ma facevano riferimento anche ad originali iniziative di pianificazione locale (come quella relativa alle attività integrate, nella realtà dell'Alto Friuli [e nel Sandanielese dove le ASS hanno in delega gestionale, per] gli ambiti di distretto, il SSC, o con riferimento ai piani sociali comunali realizzati nel Basso Isontino) per cui ai Responsabili dei SSC e agli Amministratori locali è sembrato abbastanza “naturale” proseguire l'impegno di lavoro di comunità avviando il processo di costruzione dei PdZ” (idem). In altre parole, le esperienze passate di programmazione partecipata hanno generato fiducia (aspettative positive) verso il PdZ quale strumento per dare maggiore forza alla rete territoriale dei servizi; della convinzione, espressa dai responsabili dei SSC, che la notevole “fatica” rappresentata dai PdZ verrà compensata dal “plus-valore” che il processo di pianificazione sta già portando e porterà a tutti gli attori coinvolti (Istituto Regionale per gli Studi di Servizio Sociale 2005: 22 23). A tale proposito merita rilevare la sottolineatura data da un intervistato alla “frustrazione degli operatori che devono rispondere, con uguali risorse umane, alla quotidianità della loro attività e, in parte, alle nuove progettualità” e al fatto che “la metodologia della programmazione partecipata richiede una disponibilità in termini di tempo (incontri per lo più serali) che pone delle riflessioni in termini di organizzazione del lavoro, considerato anche il “genere” dei professionisti coinvolti” (idem). Tale quadro si accompagna ad un elevato grado di incertezza percepito in merito alle risorse a disposizione (Istituto Regionale per gli Studi di Servizio Sociale 2005: 30 - 31); da notevoli aspettative, soprattutto nei Presidenti delle Assemblee dei sindaci di ambito distrettuale, sulle potenzialità del terzo settore quale co-protagonista della pianificazione territoriale (Istituto Regionale per gli Studi di Servizio Sociale 2005: 33). A tale proposito appare esemplificativa l’opinione di un amministratore che afferma: “ci saranno dei miglioramenti sia a livello organizzativo, con ricadute sulla qualità delle prestazioni e sulla completezza dell’offerta di servizi, sia a livello sociale grazie al coinvolgimento del terzo settore nelle diverse fasi della programmazione che permetterà la costruzione di una comunità più solidale” (Istituto Regionale per gli Studi di Servizio Sociale 2005: 34). relazione_sicora.doc – autore: A. Sicora – stampa dd. dd/12/yy 3 Interessanti infine appaiono le aspettative verso la Regione, con riferimento agli Uffici della Direzione Centrale Salute e Protezione Sociale, direttamente impegnati sulle problematiche pianificatorie sociali. Per quanto riguarda le aspettative a tale proposito espresse dai Responsabili dei SSC, è “possibile far riferimento alla dizione di “prossimità leggera”, che significa aiuto, sostegno (anche mediante la realizzazione di percorsi formativi e informativi), coordinamento, ma nel rispetto delle specificità territoriali e delle originalità di approccio professionale, che un percorso complesso come quello relativo ai PDZ, per forza di cose non può che richiedere” (idem). Invece “gli amministratori intervistati richiamano la Regione ad un esercizio di responsabilità piuttosto rigoroso. Tale responsabilità si dovrebbe esprimere garantendo la erogazione di sufficienti risorse economiche alle realtà territoriali e assicurando la predisposizione di precisi dispositivi formali capaci di sostenere gli adempimenti amministrativi che localmente le amministrazioni comunali dovranno assumere per dare effettivo avvio ai PdZ; come a dire non lasciateci soli nella predisposizione e realizzazione di questa impegnativa esperienza” (Istituto Regionale per gli Studi di Servizio Sociale 2005: 48). 4. Le aspettative dei soggetti del Terzo Settore La ricerca "Servizi sociali e territorio. Regionalizzazione delle politiche sociali e "trifocalità" del servizio sociale" offre interessanti spunti di riflessione in ordine ad aspettative presenti in responsabili e referenti di organismi del terzo settore. In tale ambito è stata posta la domanda “Pensando al PdZ, quali sono le sue aspettative nei confronti di questa prossima tappa di sviluppo delle politiche sociali locali?”. Dalle risposte raccolte sembra essere presente un diffuso senso di prudente ottimismo. Alcune delle dichiarazioni espresse manifestano l’aspettativa di: partecipare con un ruolo da protagonisti dopo aver superato una prima fase di avvio in cui ci si è sentiti spettatori di un “laboratorio in costruzione”; maggiore sistematicità nello scambio di informazioni con un incremento della loro quantità e qualità; conseguire una maggiore attenzione da parte degli enti pubblici alle istanze ed alle idee espresse dal terzo settore; giungere ad una forte condivisione di obiettivi tra pubblico e privato sociale; dare una maggiore dinamicità al sistema dei servizi; invertire, mediante una diversa relazione tra istituzioni e cittadinanza, la diffusa tendenza ad abbandonare gli spazi di partecipazione e di confronto. Non manca il riconoscimento del superamento di alcune aspettative negative (perdita di tempo e pochi risultati) in ragione di una prima fase di avvio dei processi programmatori particolarmente soddisfacente. 5. Le aspettative degli assistenti sociali Non è stato chiesto esplicitamente agli assistenti sociali quali fossero le loro aspettative sui PdZ, le domande rivolte a questi operatori sono sostanzialmente legate ad una ricognizione del presente più che a raccogliere attese, speranze e/o timori sul futuro3. Quale modello interpretativo implicito è 3 Le domande poste agli assistenti sociali nella già citata ricerca PRIN sono state: DOM. 1 Di quali modalità e strumenti vi avvalete per rilevare i bisogni della popolazione? DOM. 2. In che modo date seguito alla fase della rilevazione? Con quali modalità e strumenti procedete all’individuazione e definizione delle risposte ai bisogni rilevati? DOM. 3 Siete dotati di strumenti e modalità di valutazione in grado di rilevare l’eventuale distanza emergente tra la risposta al bisogno e l’attesa dell’utente? Se sì, può descrivermeli? Se no, per quali motivi? DOM. 4 Per ciò che riguarda il coinvolgimento della comunità territoriale, vi sono in atto esperienze di collaborazione con soggetti privati? 4.1 Se sì, con quali soggetti? In quali aree d’intervento? 4.2 Se no, per quali motivi? 4.3 Quali i punti di forza e quali le criticità di tale coinvolgimento? DOM. 5 Avete affidato a terzi la gestione di alcuni servizi? relazione_sicora.doc – autore: A. Sicora – stampa dd. dd/12/yy 4 sotteso a ciò? Tale “dimenticanza” è dovuta al fatto che comunque tali operatori “devono fare” (interpretazione negativa) oppure che il lavoro di progettazione con il territorio e con le reti è una componente connaturata al Servizio Sociale stesso? Dai dati raccolti nella ricerca Cofin/PRIN si riesce comunque a ricavare alcuni “indizi” sulle aspettative degli assistenti sociali intervistati, nonché, nello stesso ambito di indagine ma da interviste rivolte ad opinion leaders del Terzo Settore, si possono desumere alcune delle attese rivolte al Servizio Sociale. “Dalle interviste, emerge che gli assistenti sociali ritengono le conoscenze e competenze relative al lavoro di comunità un patrimonio acquisito e caratterizzante del profilo dell’assistente sociale, anche se da reinterpretare in base all’attuale scenario di politica sociale. […] questo (il lavoro con la comunità) lo facciamo da sempre, sta nella nostra professionalità, nel nostro bagaglio formativo, credo sia una cosa che facevano già le colleghe 30 anni fa. (As5) (corsivo mio, nda) (omissis) Non è che si è arrivati alla 328 dal nulla. Si è arrivati alla 328 perché c’è stato tutto un percorso storico che è andato in una certa direzione[…] la 328 non si inventa le cose.(As17) Gli elementi di crisi del Welfare State ripropongono la necessità di scelte di priorità nel destinare le risorse scarse, che si ripercuoterà anche sulla relazione tra assistente sociale, utente e comunità finalizzandola sempre più a superare l’asimmetria informativa tra utente stesso e l’offerta dei servizi erogati da diverse agenzie che vedono coinvolti i diversi settori del pubblico, privato e no profit. Gli opinions leaders intervistati non mettono in discussione le competenze professionali degli assistenti sociali nell’affrontare i bisogni e nel rapportarsi con la comunità, ma soprattutto la mancanza di risorse umane nei servizi, il continuo turn-over degli operatori e le molteplici incombenze a cui devono far fronte che non permettono un contatto continuo con i bisogni del territorio, con quelle fasce di popolazione in stato di bisogno-disagio che non si rivolgono ai servizi. Mi dà l’impressione che le assistenti sociali fisicamente siano sempre meno presenti nel territorio, li trovi nel palazzo… poco nel territorio, nelle famiglie, nelle situazioni difficili , girano poco. (Cop2) (corsivo mio, nda) Le assistenti sociali hanno un carico di lavoro enorme. Il Comune agisce sempre solo sull’emergenza, e non conoscendo completamente la realtà del territorio ha continuato e continuerà ad agire sull’emergenza […] se non si conosce bene il territorio, i bisogni e le risorse è inutile fare un piano (Cr1)” (Francescutto e Zennarolla 2006: 18) 6. Conclusioni La fase di avvio della programmazione locale tramite lo strumento dei PdZ ha tratto nutrimento dalla fiducia e dal prudente ottimismo diffusi, seppur con sfumature diverse, tra i sui protagonisti in relazione ai risultati attesi di miglioramento del sistema dei servizi e alla capacità degli attori in campo di essere “partner” affidabili e apportatori di valore aggiunto. Tale “capitale” positivo può essere dissipato o incrementato a seconda di quelle che saranno le diverse valutazioni sui risultati conseguiti con l’attuazione dei primi PdZ. In un’ottica processuale circolare tali giudizi modificheranno le aspettative rispetto alla prosecuzione dei processi programmatori zonali rinforzando od indebolendo le motivazioni dei soggetti agenti. 5.1 Se sì, quali? 5.2 Nell’individuazione dei soggetti cui affidare tali servizi la qualità del servizio che essi possono garantire che ruolo ricopre? DOM. 6 Pensando al PdZ, quali soggetti della comunità avete/prevedete di coinvolgere? Per quali motivi proprio questi? Quali modalità e quali strumenti avete/prevedete di utilizzare per operare tale coinvolgimento? DOM. 7 Dall’entrata in vigore della L.328/2000 e della normativa regionale che la attua (cfr. L.R. 23/2004) l’assetto organizzativo del vostro ente è stato modificato? Se sì, in che modo? Se no, per quali motivi DOM. 8 Pensando alla sua figura professionale, alla luce dei nuovi orientamenti normativi (L.328/2000 e normativa regionale) ritiene che le sue competenze richiedano di essere modificate o potenziate? Se sì, in che termini? relazione_sicora.doc – autore: A. Sicora – stampa dd. dd/12/yy 5 Non esiste una sola valutazione ma piuttosto delle “valutazioni” in quanto i criteri adottati sono diversi a seconda degli attori interessati. Miretta Prezza, docente di Psicologia di comunità presso la Facoltà di psicologia dell’Università “La Sapienza” di Roma, evidenzia tale realtà con la seguente storiella: “Un padre chiede al figlio dopo le prime settimane di scuola “Com’è la nuova insegnante di matematica?” “Molto brava” risponde il figlio. “E perché?” continua il padre. “Perché ci assegna pochissimi compiti”. E’ evidente che se il padre non avesse chiesto di esplicitare il criterio di giudizio avrebbe potuto pensare che l’insegnante era brava perché spiegava con chiarezza o per molti altri motivi” (Leone e Prezza 2003: 132). Ad una programmazione condivisa non può che seguire una valutazione all’interno di un approccio costruttivista in quanto questo ha i medesimi fondamenti dell’approccio concertativo alla progettazione. In tale ambito si ritiene che “non esistono condizioni d’oggettività in termini assoluti, cioè indipendenti dall’osservatore. Ogni osservatore si porrà in atteggiamento valutativo rispetto a quel determinato intervento guidato dai propri presupposti cognitivi e quindi la valutazione non può essere considerata un insieme di procedure asettiche e neutrali” (Leone e Prezza 2003: 135). Tale ulteriore fase partecipata richiede la capacità di creare spazi di riflessività condivisa e diffusa nel sistema integrato dei servizi al fine di: 1. condurre verso forme di “apprendimento diffuso” all’interno della rete, 2. generare e/o consolidare spazi strutturati, e non improvvisati, dove poter rivedere e ri-costruire con tutti gli attori in campo il significato dell’esperienza dei PdZ individuando un “filo” che connettendo passato, presente e futuro ovvero muovendosi tra “memorie” sulle esperienze compiute e “aspettative” sugli scenari possibili – possa dare più forza all’azione di consolidamento e sviluppo del sistema dei servizi. Bibliografia e fonti Battistella, Alessandro; De Ambrogio, Ugo e Ranci Ortigosa, Emanuele. Il piano di zona, Carocci, Roma, 2004 Francescutto, Alessandra e Zennarolla, Anna. “La partecipazione della comcomunità locale alla costruzione delle politivhe sociali”, estratto dal primo rapporto della Ricerca di interesse nazionale (PRIN) cofinanziato dal MIUR su "Servizi sociali e territorio. Regionalizzazione delle politiche sociali e "trifocalità" del servizio sociale", 2006 Istituto della Enciclopedia Italiana. Vocabolario della lingua italiana, Istituto della Enciclopedia Italiana, Milano, 1986 Istituto Regionale per gli Studi di Servizio Sociale, Indagine sullo stato del Servizio Sociale dei Comuni. Regione Friuli Venezia Giulia – II volume, Trieste, 2005 Lalande, Andrè. Dizionario critico di filosofia, Isedi, Milano, 1971 Leone, Liliana e Prezza, Miretta. Costruire e valutare i progetti nel sociale, FrancoAngeli, Milano, 2003 Locke, Edwin A. Voce ”Teoria dell’aspettativa” in Havrè, Rom; Lamb, Roger e Mecacci, Luciano. Psicologia. Dizionario enciclopedico, Laterza, Bari, 1986, p. 76 Mackintosh, N.J. Voce ”Aspettativa” in Havrè, Rom; Lamb, Roger e Mecacci, Luciano. Psicologia. Dizionario enciclopedico, Laterza, Bari, 1986, pp. 75 - 76 Ricerca di interesse nazionale (PRIN) cofinanziato dal MIUR su "Servizi sociali e territorio. Regionalizzazione delle politiche sociali e "trifocalità" del servizio sociale", trascrizioni delle interviste, materiale non pubblicato relazione_sicora.doc – autore: A. Sicora – stampa dd. dd/12/yy 6 Volpe, V. “Voce “aspettative” in De Marchi, Franco; Ellena, Aldo; Cattarinussi, Bernardo. Nuovo dizionario di sociologia, Paoline, Milano, 1987, pp. 172 – 177 relazione_sicora.doc – autore: A. Sicora – stampa dd. dd/12/yy 7