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n° 317 - ottobre 2004 © Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it La pittura di pietra L’arte del commesso può considerarsi l’evoluzione rinascimentale dell’opus sectile in voga per tutto il periodo di Roma Imperiale, con il quale era possibile ottenere un mosaico lapideo composto da sezioni di pietre dure policrome, tagliate con millimetrica precisione in diverse forme, utilizzando lo strumento dell’archetto e abrasivi, secondo perimetri articolati in svariate soluzioni formali, in modo da “commettersi” e congiungersi perfettamente l’una con l’altra. Quest’arte, risorta nella Roma della seconda metà del XVI secolo, fu prontamente adottata anche a Firenze, dove le sue prime applicazioni seguirono i dettami della moda romana che prediligeva composizioni decorative per lo più astratte, orientate poi con Francesco I de’ Medici a iconografie di carattere naturalistico, seguendo le precise inclinazioni di questo mecenate. La svolta determinante per il “commesso fiorentino” la dobbiamo al suo successore, il granduca Ferdinando I, che durante il soggiorno romano come cardinale, aveva conosciuto e acquistato alcuni esemplari di produzione locale le cui testimonianze vivono nelle pagine degli inventari della sua collezione. Ma una volta insediatosi a Firenze, la manifattura delle pietre dure subì un marcato ed ambizioso rinnovamento che accompagnò lo sviluppo e la celebrità di tale lavorazione presso tutte le corti europee, consacrando quest’arte che seppe contraddistinguersi fra le molte sorte nelle botteghe granducali, e rappresentando universalmente in tutta Europa, l’alto artigianato della Firenze rinascimentale. In particolare Francesco I, proprio in virtù della conoscenza dei modelli che si eseguivano prevalentemente, come si è detto, in Roma, volle per la sua città uno stile nuovo, in virtù del quale dall’astrazione ripetitiva e dallo scopo prevalentemente decorativo delle tavole in commesso, fosse possibile, nell’evoluzione della tecnica e del segno, passare ad una “pittura in pietra”. Il sofisticato gusto del tardo manierismo e l’estetica figurativa che nel Seicento svilupperà le ben note espressioni artistiche, concorsero a sensibilizzare gli artisti che iniziarono a cimentarsi in questa nuova sfida dell’arte manuale. Praticamente si dovevano trasferire nella complessa tavolozza lapidea le procedure ed i temi iconografici della pittura tradizionale, cercando i materiali più idonei per morfologia e cromia. L’impegno del Granduca fu tale da gestire personalmente l’organizzazione stessa delle botteghe preposte a realizzare il commesso; per dotare i laboratori delle riserve necessarie di pietre, Ferdinando I dispose che giungesse a Firenze quanto di meglio era possibile trovare nel territorio non solo della Toscana, ma commissionò scavi anche in Sicilia e nella Corsica dove noti erano i giacimenti di diaspri dai colori infuocati o smeraldini, in Germania per reperire le agate per le «macchiature circoncentriche che creano vortici di colore» (Giusti), in Persia dove era possibile rintracciare il raro lapislazzuli che avrebbe donato alle future composizioni gli straordinari azzurri e blu che lo rendono inconfondibile tra le molteplici tonalità delle pietre. Attraverso vari agenti commerciali, missionari e gesuiti giunsero fino all’estremo Oriente che garantiva una ricchezza straordinaria di materia prima, come le sanguigne agate di Goa, ed il calcedonio orientale delle Indie, che con la sua trasparente iridescenza trovò molte suggestive applicazioni nei capolavori che sarebbero usciti dalle botteghe granducali fiorentine. In questo periodo la concreta sperimentazione della nuova manifattura stimolò gli eruditi a scrivere trattati sulle pietre dure che crearono un prezioso compendio con i progressi della manualità artistica, la quale poteva anch’essa valersi di repertori specifici che ne alzassero il valore sociale e culturale, come stava avvenendo per le altre arti. Ferdinando de’ Medici, a questo fervore rispose con un progetto talmente ambizioso da divenire nel tempo l’icona per eccellenza dell’arte medicea nel mondo: la realizzazione Manifattura Granducale: Caduta dalla manna Firenze, San Lorenzo Manifattura Granducale: Veduta del Duomo di Firenze (part) Firenze, Museo degli Argenti pag. 2 del rivestimento in pietre dure della Cappella dei Principi in San Lorenzo, la basilica della famiglia, iniziata ad edificare nel 1604. Per la messa a punto della sua grande idea, il Granduca organizzò un cantiere dedicato a questo programma facendo confluire a Firenze artisti dell’Italia settentrionale e specialisti del settore. Prevedendo quale sarebbe stata la complessità del lavoro, fece avviare quindici anni prima dell’effettivo inizio della costruzione, la preparazione delle pietre necessarie. Furono coinvolti due tra i maestri più importanti della corte, Bernardino Poccetti e Jacopo Ligozzi, che realizzarono i modelli pittorici per la decorazione della Cappella, seguiti poi dal Buontalenti e da pittori di più giovane generazione, come Ludovico Cigoli, incaricato anche di assistere gli artigiani pietristi nella scelta delle “macchie” delle pietre. Sfortunatamente, come è noto, non fu possibile per i Medici portare a termine l’impresa, non solo per l’impegno finanziario elevatissimo, ma anche per le numerose maestranze artistiche che vi avrebbero dovuto lavorare; lasciato incompiuto per anni, il progetto fu completato dalla dinastia Asburgo Lorena dopo la metà dell’Ottocento, arrivando ad ottenere una soluzione finale sempre molto sfarzosa, ma decisamente più moderata rispetto all’idea originaria. Parallelamente alla grande impresa della Cappella dei Principi, la manifattura del commesso realizzava anche opere singole e non necessariamente legate al gigantesco cantiere Laurenziano; furono infatti prodotte creazioni straordinarie che dimostravano come quest’arte fosse in crescente sviluppo anche da un punto di vista tecnico e procedurale. Il fervore operativo impresso dall’entusiasmo di Ferdinando, continuò anche durante il regno del figlio Cosimo II che intraprese contatti con la manifattura boema, dalla quale utilizzò celebri artisti e intagliatori. Durante questo periodo nacquero alcuni insuperati capolavori dell’arte del commesso, come il piano di tavolo detto dei “fiori sparti” oggi agli Uffizi, realizzato su disegni del Ligozzi e del Poccetti, dove la maestria della tecnica sembra superare la sveltezza di una pennellata che non esiste, e nei cartigli armoniosi riesce a farci sentire un profumo di magiche vegetazioni. Negli anni che seguirono le botteghe del commesso non smisero mai di creare manufatti di eccellente qualità, durante il primo decennio lorenese i lavori che vi si realizzarono erano per lo più destinati alla corte viennese e mantenevano l’impostazione del repertorio decorativo floreale definito durante la committenza medicea. La svolta, nel repertorio e nello stile dei commessi fiorentini, sarebbe avvenuta di lì a poco, intorno al 1748, con la nomina a direttore della manifattura del francese Luigi Siries che dava inizio ad una lunga generazione di incisori appartenenti alla stessa famiglia fino alla metà del XIX secolo. Con i Siries si abbandonò gradualmente l’antico gu- sto delle grottesche e dei fiori su fondo nero, per passare a composizioni architettoniche e paesaggistiche che produssero nuovi esemplari di alto valore tecnico ed artistico. Il celebre pittore Giuseppe Zocchi, vedutista di fama europea, partecipò al rinnovamento tematico e stilistico dei commessi in pietre dure con i suoi prototipi disegnativi che nel corso del Settecento trovarono pregevoli impieghi, non solo nella singola opera con intento prevalentemente decorativo, ma furono ideati veri e propri apparati per l’arredo della corte e di altre dimore principesche pubbliche e private. Quando alla fine del secolo Ferdinando III dovette lasciare la Toscana dietro l’incalzare delle conquiste napoleoniche, tra i numerosi saccheggi artistici operati in Firenze per arricchire le raccolte francesi, furono inclusi purtroppo anche molti lavori in pietre dure; ma l’indulgenza dei conquistatori evitò almeno la minacciata chiusura della manifattura del commesso, assicurandone la continuità nel secolo che stava per nascere, ultimo, ma ancora fulgido periodo del suo lungo e straordinario percorso artistico. Manifattura Granducale: Piano di tavolo - Firenze, Palazzo Pitti Galleria Palatina Manifattura Granducale: Piano di tavolo con pappagallo e fiori (part) - Firenze, Museo degli Argenti miriam fileti mazza Emanuele “Tedesco”: Paesaggio - Firenze, Museo dell’Opificio delle Pietre Dure