La Ragionevole durata del processo
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La Ragionevole durata del processo
STUDIO LEGALE ASSOCIATO AVVOCATI SGUERSO Via Roma 3/3 – 16121 Genova Avv. Mario Sguerso Avv. Chiara Sguerso Avv. Filippo Sguerso Partita IVA e codice fiscale 03870580101 Importante: indirizzare corrispondenza a: Casella Postale 1570 – 16100 GENOVA Avv. Elisabetta Menegazzi Avv. Silvia Filippi Avv. Cristina Mori Avv. Luca Maria Paganucci Avv. Manuela Roggero Avv. Claudio Scarlassa Tel. 010 542.045 – 010 566.850 Fax 010 588.659 e-mail: [email protected] Web: www.studiosguerso.it Dott.ssa Simona Demurtas Dott. Fabio Odetti La Ragionevole durata del processo: la Legge n. 89/2001 (Legge Pinto) così come recentemente modificata Introduzione: origine della Legge n. 89/2001 La legge n. 89 del 24 marzo 2001 (meglio nota come “Legge Pinto”, dal nome del suo estensore Michele Pinto), intitolata per esteso “Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile”, ha previsto il diritto di richiedere un'equa riparazione per il danno subito, patrimoniale o non patrimoniale, a causa dell'irragionevole durata del processo. Il principio fondamentale, per la difesa del quale è stata promulgata la Legge oggetto della presente analisi, è quello ben noto della ragionevole durata del processo, tutelato fin dal 1950 dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) ed in particolare dall'art. 6, paragrafo I, nel quale si legge: “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente ed imparziale, costituito per legge”. E' infatti agevole comprendere che se il lasso di tempo che intercorre tra il momento in cui viene adita l'Autorità Giudiziaria ed il momento nel quale viene pronunciata la decisione si dilata in maniera spropositata è verosimile che possano verificarsi dei mutamenti nelle situazioni fattuali, giuridiche o personali tali da vanificare il risultato processuale raggiunto. Pertanto è assolutamente necessario, affinchè la Giustizia raggiunga risultati concreti ed effettivi, che i processi si concludano 1 in un termine “ragionevole”. Purtroppo l'Italia ha sempre manifestato notevoli difficoltà nel rispettare questo principio ed in plurime occasioni la Corte di Strasburgo si è trovata costretta a condannare il nostro Paese e ad intimargli l'adozione di provvedimenti legislativi interni volti a garantire il risarcimento. E' così che, in seguito al recepimento della CEDU e alla modifica dell'art. 111 della Costituzione inerente il c.d. “giusto processo”, si è giunti alla promulgazione della Legge n. 89 del 24 marzo 2001, profondamente modificata, sia in relazione ad aspetti sostanziali sia ad aspetti processuali, dal D.l. 83/2012 (poi convertito con Legge n. 134 del 7.08.2012), nonché anche dal D.l. 35/2013 (poi convertito con Legge n. 64 del 6.06.2013) con il fine di rendere più agevole, efficace e celere il giudizio di equa riparazione e di disincentivare la proposizione di domande inammissibili o manifestamente infondate. Pare opportuno precisare che, stante l'impostazione “pratica” che si è scelto di dare a questo approfondimento, volutamente si tralasceranno commenti e analisi in merito ai dubbi di incostituzionalità sollevati da autorevole dottrina in relazione ad alcune disposizioni introdotte con le suddette modifiche apportate alla Legge del 2001, che parrebbero introdurre limiti al soddisfacimento dei crediti vantati dai ricorrenti all'esito del procedimento di equa riparazione. Il procedimento di equa riparazione Il presupposto oggettivo fondamentale per ottenere il risarcimento, per ogni anno di eccessiva durata del processo, è costituito dall'irragionevole durata del medesimo giudizio, la cui valutazione spetta al Giudice sulla scorta di elementi indicati espressamente dal legislatore, ossia la complessità del caso, l'oggetto del procedimento, il comportamento delle parti e del Giudice durante il procedimento, nonché quello di ogni altro soggetto chiamato a concorrervi o a contribuire alla sua definizione. In ogni caso la Legge, così come modificata dagli interventi legislativi sopra menzionati, stabilisce i limiti temporali entro i quali deve considerarsi rispettato il termine ragionevole del processo: tre anni per il primo grado, due anni per il secondo grado ed un anno per il giudizio di legittimità nanti la Corte di Cassazione, 2 considerando come momento iniziale del processo il deposito del ricorso introduttivo ovvero la notificazione dell'atto di citazione. Viene inoltre esclusa la configurabilità della violazione se il giudizio comunque si definisce in modo irrevocabile in un periodo non superiore a sei anni (e quindi indipendentemente dal susseguirsi di tutti e tre i gradi di giudizio), senza tenere conto del tempo in cui il processo è sospeso né dei termini per la proposizione delle impugnazioni. L'indennizzo inoltre, in base alla nuova formulazione del testo normativo, non può mai essere riconosciuto alla parte che abbia abusato dei poteri processuali o che si sia avvantaggiata dell'irragionevole durata del giudizio. La domanda si propone con ricorso da depositarsi, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla sentenza che definisce il giudizio durato oltre il termine ragionevole e può essere proposta a prescindere dall'esito della lite, non avendo alcuna rilevanza che il ricorrente abbia vinto, perso o che la causa sia stata transatta. Il ricorso va proposto al Presidente della Corte d'Appello del distretto territorialmente competente e per garantire la terzietà e l'indipendenza del Giudice chiamato a decidere sulla domanda di risarcimento si fa riferimento alla tabella dell'art. 11 del Codice di Procedura Penale, in base alla quale la Corte competente è quella più vicina territorialmente a quella cui appartiene il Giudice avanti il quale si è svolto il procedimento oggetto di contestazione (a titolo di esempio: la Corte d'Appello di Torino è competente per i procedimenti svoltisi nel distretto della Corte d'Appello di Genova, la Corte d'Appello di Milano è competente per i procedimenti svoltisi nel distretto della Corte d'Appello di Torino, ecc...). Il soggetto resistente è il Ministero della Giustizia se si tratta di procedimenti del giudice ordinario, oppure il Ministero della Difesa quando si tratta di procedimenti del giudice militare ed il Ministero delle Finanze quando si tratta di procedimenti del giudice tributario, in ogni altro caso il ricorso sarà proposto nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri. Quanto poi al contenuto, il ricorso deve contenere l'esposizione dei fatti e la prova della lungaggine processuale, la quale viene fornita prevalentemente mediante la produzione dei verbali delle udienze, necessari per evidenziare i rinvii disposti tra l'una e l'altra 3 udienza; è altresì necessaria la produzione di una copia conforme della sentenza, se il procedimento si è concluso con sentenza o ordinanza irrevocabile, nonchè degli atti di causa (atto di citazione o ricorso, comparse e memorie). Le modifiche introdotte alla Legge n. 89/2001, volte ad un ulteriore snellimento della procedura, prevedono che il giudizio si svolga dinnanzi al Presidente della Corte d'Appello o ad un altro Giudice assegnatario della trattazione della causa, mentre nella formulazione originaria la Corte giudicava in Camera di consiglio e fin dal principio il giudizio si svolgeva nel contraddittorio tra le parti. Attualmente il procedimento risulta invece suddiviso in due fasi: l'una, senza contraddittorio, a cognizione sommaria e l'altra, solo eventuale, di opposizione nella quale si instaura un reale contraddittorio tra le parti ricorrente e resistente. Nel caso in cui verifichi la sussistenza dei requisiti previsti dalla Legge, il Giudice accoglie il ricorso ed ingiunge con decreto all'Amministrazione contro cui è stata proposta la domanda di pagare senza dilazione la somma liquidata a titolo di equa riparazione, autorizzando la provvisoria esecuzione e liquidando anche le spese del procedimento. Il ricorso unitamente al decreto che accoglie, in tutto o in parte, la domanda di equa riparazione è notificato al soggetto nei cui confronti la domanda è proposta. Viceversa se il Giudice ritiene insufficientemente giustificata la domanda proposta, invita il ricorrente ad integrare le prove; qualora il ricorrente non risponda all'invito o non ritiri il ricorso oppure se la domanda non è accoglibile, il Giudice la rigetta con decreto motivato. Se il ricorso è in tutto o in parte respinto la domanda non può essere riproposta ma la parte può fare opposizione. Quanto all'opposizione, come sopra anticipato, si tratta di una fase eventuale azionabile da parte del ricorrente, nel caso di decreto di rigetto o di accoglimento solo parziale della domanda, oppure da parte del Ministero nei cui confronti è stata proposta la domanda di equa riparazione. Tale eventuale fase di opposizione si svolge in contraddittorio tra le parti e si propone con ricorso davanti all'Ufficio Giudiziario al quale appartiene il Giudice che ha emesso il decreto e la Corte d'Appello provvede in Camera di consiglio entro quattro mesi dal deposito del ricorso, con decreto immediatamente esecutivo, impugnabile in 4 Cassazione. I danni risarcibili La legittimazione attiva per la proposizione del ricorso spetta sia alle persone fisiche che alle società e, come sopra accennato, i danni risarcibili, derivanti dall'ingiustificata lungaggine processuale, sono di duplice natura: danni patrimoniali o non patrimoniali. Per danni patrimoniali, come si evince dal termine stesso, si intendono quelli prettamente economici che siano conseguenza diretta ed immediata del ritardo processuale e la parte ricorrente deve essere in grado di fornire la prova della relativa esistenza. Quanto invece ai danni non patrimoniali, ossia quei danni che non sono suscettibili di valutazione economica e che solitamente risultano più difficili da provare, la giurisprudenza ritiene che per queste voci di danno l'onere probatorio sia invertito, in quanto la presenza di danni non patrimoniali non deve essere provata dal ricorrente ma gli stessi si considerano già accertati, salvo prova contraria dell'Amministrazione dello Stato. Quanto alla misura dell'indennizzo il testo legislativo, così come modificato, prevede la liquidazione di una somma di denaro non inferiore ad Euro 500,00 e non superiore ad Euro 1.500,00 per ciascun anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, che eccede il termine ragionevole di durata del processo. I criteri utilizzati dal Giudice per la determinazione dell'indennizzo sono espressamente indicati dalla Legge e sono: l'esito del processo, il comportamento del Giudice e delle parti, la natura degli interessi coinvolti, il valore e la rilevanza della causa, valutati anche in relazione alle condizioni personali della parte. Inoltre la Corte di Cassazione circa la natura del risarcimento, con una pronuncia del 2010, ha qualificato il ritardo stesso come un evento di per sé lesivo dei diritti della persona, che obbliga ex lege ad un'equa riparazione. Le somme che vengono liquidate a favore del ricorrente costituiscono pertanto ristoro di un danno patito, non incrementano la ricchezza e quindi non sono soggette ad imposte. Avv. Filippo Sguerso 5