Mirko Casagranda PROCEDURE DI NAMING NEL PAESAGGIO
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Mirko Casagranda PROCEDURE DI NAMING NEL PAESAGGIO
Mirko Casagranda Procedure di naming nel paesaggio linguistico canadese 10 Intersezioni/Intersections Collana di anglistica Mirko Casagranda, Procedure di naming nel paesaggio linguistico canadese Copyright © 2013 Tangram Edizioni Scientifiche Gruppo Editoriale Tangram Srl Via Verdi, 9/A – 38122 Trento www.edizioni-tangram.it – [email protected] Intersezioni/Intersections – Collana di anglistica – NIC 10 Prima edizione: ottobre 2013, Printed in Italy ISBN 978-88-6458-098-2 Il regolamento e la programmazione editoriale sono pubblicati sul sito dell’editore (www.intersections.it) Direzione Oriana Palusci Comitato scientifico Maria Teresa Chialant, Università degli Studi di Salerno Rossella Ciocca, Università di Napoli ‘L’Orientale’ Lidia Curti, Università di Napoli ‘L’Orientale’ Laura Di Michele, Università degli Studi dell’Aquila Bruna Di Sabato, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Napoli Paola Faini, Università degli Studi Roma Tre Eleonora Federici, Università della Calabria Vita Fortunati, Università degli Studi di Bologna Alba Graziano, Università della Tuscia, Viterbo Gerhard Leitner Faha (Hon.), Freie Universität, Berlin Carlo Pagetti, Università degli Studi di Milano Biancamaria Rizzardi, Università degli Studi di Pisa Margherita Ulrych, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano In copertina: Road Sign. Blue Sky and Clouds © Alex_Mac – Fotolia.com Stampa su carta ecologica proveniente da zone in silvicoltura, totalmente priva di cloro. Non contiene sbiancanti ottici, è acid free con riserva alcalina In your life there are a few places, or maybe only the one place, where something happened, and then there are all the other places. (Munro 2009:162) Sommario Introduzione 11 1. Paesaggio linguistico e procedure di naming 1.1 Paesaggi e lingue postcoloniali 1.2 Toponomastica e applied toponymy 1.3 Critical toponymy 1.4 Il paesaggio linguistico 1.5. Alcune considerazioni metodologiche 19 19 22 25 28 34 2.Il panorama canadese: storie, culture, lingue, toponimi 2.1 Storie: la costruzione di un’identità canadese 2.2 Culture: una, nessuna, centomila? 2.3 Lingue: bilinguismo ufficiale e plurilinguismo 2.4 Toponimi: procedure di naming in Canada 41 41 49 53 58 3.Giardini ai confini del mondo: toponimi aborigeni nel nord del Canada 3.1 «Speaking with names» 3.2 Toponimi aborigeni nell’Ontario e nel Québec 3.3 ᐃᓄᒃᑎᑐᑦ: Nunavut Sanginivut 3.4 Caniapiscau: 101 colline trasformate in isole 65 65 69 75 80 4.Odonimi plurilingui: camminando per le strade di Toronto e Montréal 4.1 Odonimi e paesaggio linguistico 4.2Le survey area: Toronto e Montréal 4.3 Marchi e vestigia della doppia colonizzazione 4.4 Tracce e segni dell’alterità linguistica e culturale 87 87 91 98 103 Conclusioni 111 Appendice 115 Bibliografia 119 Figure e Tabelle Figura 1.1: Intersezioni metodologiche tra linguistic landscape e critical toponymy. 30 Figura 1.2: Linguistic Landscape e Linguistic Landscaping. 35 Tabella 1.1: Tipologie di toponimi secondo George R. Stewart (1954; 1975). 23 Tabella 2.1: Distribuzione della popolazione per L1-19312011 (adattata e tradotta da Castonguay 1998:38). 56 Tabella 2.2: Distribuzione della popolazione per lingua domestica – 1971-2011 (adattata e tradotta da Castonguay 1998:39). 57 Tabella 3.1: Toponimi aborigeni assegnati dall’Ontario Geographic Names Board (2008-2013). 71 Tabella 3.2: Sostituzione di toponimi francesi o inglesi con nomi aborigeni nel Québec. 74 Tabella 3.3: Toponimi delle 26 comunità del Nunavut. 78 Tabella 4.1: Distribuzione delle lingue parlate nella GTA (Census 2011). 93 Tabella 4.2: Prime dieci lingue non ufficiali parlate nella GTA (Census 2011). 94 Tabella 4.3: Distribuzione delle lingue parlate nella CMM (Census 2011). 96 Tabella 4.4: Prime dieci lingue non ufficiali parlate nella CMM (Census 2011). 97 Tabella 4.5: Odonimi della City of Toronto che commemorano figure francofone di rilevanza storico-artistica. 99 Tabella 4.6: Odonimi ‘reali e imperiali’ della City of Toronto. 100 Tabella 4.7: Odonimi aborigeni nella City of Toronto. 104 Procedure di naming nel paesaggio linguistico canadese Introduzione What’s in a name? That which we call a rose by any other word would smell as sweet. (Shakespeare 1988:345) La celeberrima battuta tratta dal Romeo and Juliet shakespeariano (1594) che fa da epigrafe a questa introduzione è forse tra le più citate negli studi sui nomi. Spesso adattata nei titoli di articoli scientifici e divulgativi (tra gli altri, Danesi 2011; Edelman 2009; Harris 2001; McConnell-Ginet 2003; Milani 2010), talvolta satirizzata e storpiata in quelli giornalistici, la questione sul contenuto di un nome è di frequente usata come spunto per riflessioni filosofiche, culturali e linguistiche sulla natura e le caratteristiche dei nomi propri e delle pratiche di naming1. Senza voler scomodare il dibattito filosofico e religioso relativo alla matrice linguistica della creazione dell’universo (dalla vibrazione cosmica della sillaba om della tradizione indovedica all’incipit della Bibbia – «in principio era il Verbo»), è possibile affermare che ciò che ci circonda esiste per noi innanzitutto perché lo identifichiamo a livello linguistico e perché lo nominiamo. Il linguaggio, quindi, non solo è lo strumento attraverso cui l’essere umano si esprime, ma è anche il mezzo con cui costruisce sistemi sociali e comunicativi che sono delle vere e proprie reti di significati e discorsi. Facendo il verso a un noto slogan di una compagnia di telefonia mobile italiana potremmo affermare che, poiché la lingua 1 Come si può notare dal titolo di questo volume, preferisco utilizzare il termine naming in quanto, grazie alla desinenza del gerundio, esso riesce a esprimere meglio l’idea del processo attraverso cui l’atto linguistico del nominare diviene anche un atto sociale, culturale e politico. In questo lavoro, quindi, farò uso del termine inglese. 11 Introduzione «è tutta intorno a noi», essa assume forme concrete, visibili e leggibili anche nello spazio pubblico in cui ci muoviamo, che per questo può essere definito linguistic landscape (paesaggio o panorama linguistico). Anche quando la lingua non è direttamente visibile lo spazio può essere comunque identificato attraverso una struttura linguistica, in particolare un nome proprio. In questo caso parleremo di toponimi – dal greco topos, luogo, e onoma, nome – che esistono sia in forma orale che scritta (per esempio, su una cartina geografica o in un registro comunale). Che cos’è dunque un nome? Secondo la versione online del Macmillan Dictionary con il lemma “name” si intende «a word or set of words by which a person or thing is usually known»2. Attraverso un nome, quindi, la lingua riveste una funzione unica con la quale viene stabilito un rapporto di referenzialità e identificazione tra nome e soggetto. Partendo dalla tradizione filosofica di John Stuart Mill3, Kripke (1981) si basa su tale relazione per sostenere l’idea che i nomi propri siano dei singular referring terms, dei termini che si riferiscono a un solo soggetto. Anche quando due persone si chiamano allo stesso modo, infatti, il nome ne identifica solo una delle due a seconda di come viene utilizzato all’interno della situazione comunicativa. Dal punto di vista di Kripke, quindi, i nomi sono dei ‘denotatori rigidi’ (rigid designators) poiché essi denotano senza connotare. In altre parole, i nomi propri non sono descrittivi, non forniscono, cioè, alcuna informazione sul soggetto nominato. In quanto singular referring terms, inoltre, Kripke considera i nomi propri come simili ad altre strutture linguistiche che non hanno un significato se non quello riconducibile alla loro funzione denotativa4. Queste caratteristiche distinguono i nomi dai sostantivi, che, invece, possono avere una proprietà semantica che va oltre la pura denotazione. Come afferma John Anderson in The Grammar of Names, dal punto di vista di Kripke, i nomi non fanno parte del sistema linguistico perché contengono «only a concept of a referent that gives access to encyclopaedic inforOnline al sito www.macmillandictionary.com/dictionary/british/name. Si veda Mill (1919). 4 Tra queste Schwarz (1979:xi) enumera i pronomi (you, she), gli aggettivi dimostrativi (this, that) e le descrizioni generiche (a Martian). 2 3 12 Introduzione mation, idiosyncratic information particular to that or those individuals that bear(s) the name» (2007:158). L’approccio linguistico allo studio dei nomi, invece, ha dimostrato come essi ricoprano funzioni proprie di altre categorie linguistiche, specialmente se si allarga il punto di vista a sistemi linguistici non occidentali. Oltre alla distinzione tra lemma e funzione grammaticale, infatti, secondo la linguistics of names è necessario considerare i nomi propri come delle classi semantiche e sintattiche che partecipano alla costruzione di significati e alla codificazione di discorsi al pari di altre strutture linguistiche (Van Langendonck 2007:11). Insieme alla linguistica e all’onomastica, anche l’antropologia e l’etnografia hanno contribuito allo studio dei nomi come elementi appartenenti a grammatiche e sistemi sintattici che producono significati all’interno del mondo sociale (Bodenhorn e vom Bruck 2006:8), fornendo informazioni, per esempio, sul genere sessuale o la classe di appartenenza di una persona. Essendo pratiche sociali e culturali, i nomi svolgono una funzione sociopragmatica che è anche performativa in quanto «conferring a name (on someone or something) is a performative act that involves a subject-constituting power and takes place within a wider field of conventions and ideological relations» (Humphrey 2006:158). Le pratiche di naming, quindi, sono una forma di negoziazione sociale e un’espressione di relazioni di potere che coinvolgono coloro che nominano e coloro che sono nominati. Mentre i primi operano spesso all’interno di entità amministrative e sono pertanto anonimi, ai secondi, soprattutto nel caso di minoranze e gruppi marginalizzati, viene attribuita un’identità stereotipata e omogenea che ne annulla l’individualità rendendoli a loro volta ‘anonimi’. La domanda di Giulietta pronunciata dal balcone di casa Capuleti riguarda il contenuto di un nome, «what’s in a name?». Se Romeo fosse stato un linguista forse le avrebbe risposto mettendo in evidenza che oltre all’identità, un nome racchiude una serie di atti performativi che si realizzano a livello sociale e discorsivo in quanto «[t]he subject is at least in part constituted as a social being by being named» (Humphrey 2006:158) e «subjects are brought into existence and classified through speech acts such as naming» (vom Bruck 2006:226). Poiché anche le pratiche e le strategie discorsive di dominazione coloniale si sono 13 Introduzione realizzate attraverso atti performativi (oltre che prettamente militari e politici), è possibile leggere l’esperienza coloniale come una forma diffusa e pervasiva di naming articolata capillarmente su tutto il territorio imperiale attraverso i nomi imposti su spazi e soggetti coloniali. Come teorizzato da Paul Carter nel fondamentale The Road to Botany Bay (1987), il colonialismo europeo riscrive e si appropria dello spazio attraverso i nomi geografici registrati sulle mappe. Dato che «the named person is […] able to exert agency largely within and by means of linguistic conventions concerning when names may (or may not) be used» (Humphrey 2006:159), è possibile sovvertire la condizione di inferiorità e la relazione dicotomica tra centro e periferia attraverso delle pratiche linguistiche che sono delle forme di riappropriazione identitaria e delle vere e proprie procedure di naming e renaming. Tali atti linguistici sono intimamente politici perché, sfruttando la performatività dei nomi e la loro fluidità e prismaticità semantica, permettono al soggetto coloniale e postcoloniale di fare proprie «the instability and possibilities of subversion that are inherent in the everyday reiteration of names and the reference order that their usage can both affirm and undermine» (Blom Hansen 2006:203-204). Poiché parte degli studi tradizionali sui nomi ha avuto timore della portata politica e ideologica contenuta nei toponimi (Palonen 1993:103) e «it has also failed to honestly reflect on its own complicity in power struggles over toponymies» (Vuolteenaho e Berg 2009:9), questo lavoro cerca di reindirizzare la questione adottando un approccio interdisciplinare che includa una riflessione critica sulla lingua e sulle dinamiche socio-culturali tenendo conto dei recenti sviluppi degli studi postcoloniali e integrando a livello metodologico la critical toponymy con alcuni elementi del linguistic landscape approach. In altre parole, pur riconoscendo la necessità di un ulteriore approfondimento di tale metodologia così da includere un numero maggiore di dati e contesti (tipologie di toponimi, elementi del paesaggio linguistico, città e paesi), ritengo che l’incontro tra queste discipline possa essere estremamente fruttuoso per lo studio dei nomi geografici e dei paesaggi linguistici postcoloniali in quanto permette di dare spazio e voce a dinamiche codificate nell’uso linguistico che resterebbero altrimenti ignorate: 14 Introduzione The actual research undertakings by linguistically trained onomasticians have tended to leave such promises unfulfilled because of an unevenly strict foci on isolated langue systems (à la Saussure) – a methodological trick that brackets everything ‘extra-linguistic’ outside their analyses. Indeed, for a critical researcher of toponymy there always lurks a danger of succumbing too deeply to the minutiae or normalized rules of specific languages, leading to a myopia regarding wider social and cultural processes (ivi). Oltre che al significato di un nome e al suo contenuto, le strategie di riappropriazione toponomastica e di riconfigurazione del paesaggio linguistico prese in esame in questo lavoro sembrano portarci oltre la domanda di Giulietta e all’esortazione che rivolge a Romeo inconsapevole di essere ascoltata dall’amato. È proprio in quel «deny thy father and refuse thy name», infatti, che possiamo individuare una metafora per descrivere il processo di abrogazione delle dinamiche di dominio coloniale e di sovversione delle identità imposte forzatamente su comunità e territori attraverso i nomi degli altri. «O, be some other name!» (II.1.84). *** Attraverso l’analisi dei toponimi e dei paesaggi linguistici di Nunavut, Ontario e Québec, questo volume propone una mappatura del legame indissolubile tra le pratiche di naming e i discorsi culturali e ideologici del Canada che esprimono e dispiegano le complesse dinamiche tra l’eredità della doppia colonizzazione francese e inglese, la vitalità delle culture inuit e First Nations e la natura fluida e prismatica delle comunità multiculturali. Leggere i nomi dei luoghi geografici del nord del Canada e delle strade di Toronto e Montréal significa ritrovare le tracce della storia culturale e linguistica del paese e dei processi che hanno portato alla cancellazione di alcuni nomi e alla marginalizzazione o all’inclusione di altri. Dopo aver introdotto il contesto teorico postcoloniale, in particolare le relazioni dicotomiche tra le categorie ‘colonizzatore’ e ‘colonizzato’, ‘centro’ e ‘periferia’, il primo capitolo si concentra sulle prospettive metodologiche della toponomastica, toponomastica applicata, critical toponymy e linguistic landscape approach. A differenza delle prime due, la critical toponymy 15