Nel file pdf allegato potrete leggere la storia del travaglio e l` epicrisi
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In data 16.11.2009 la sig. V. R. veniva ricoverata presso struttura complessa di Ginecologia ed Ostetricia con diagnosi di “prodromi di travaglio di parto in gravida alla 41 + 2 sg. para 0020”. Dalla copia della cartella clinica pervenuta allo scrivente risulta foglio RAD con indicazione di ricovero urgente, senza verbale di PS allegato e con ora di ingresso 01:15, inoltre nelle diarie medica ed infermieristica non risultano valutazioni antecedenti il parto della paziente tranne quanto presente del diario di travaglio – parto – post partum a firma della dott.ssa Q. S. che appare una relazione di quanto accaduta piuttosto che una rendicontazione effettuata al momento degli eventi intercorsi. In tale relazione si legge: “La paziente si presenta in sala parto a mezzanotte riferendo contrazioni uterine. Inizia monitoraggio CTG alle ore 00:04 comparsa di due decelerazioni, rispettivamente alle ore 00:19 e alle ore 00:25 circa, con successiva ripresa della normale frequenza cardiaca. La paziente fino a quel momento eseguiva il monitoraggio CTG in posizione seduta per riferita difficoltà a restare distesa.”. Nella copia della cartella clinica sono presenti i suddetti monitoraggio cardiotocografici: Il monitoraggio riportato evidenza una prima decelerazione variabile alle ore 00:09 con nadir tra 80 e 90 bpm seguita alle ore 00:17 da una prima decelerazione variabile severissima, di durata di 3 minuti, con nadir inferiore a 50 bpm e lento ritorno alla linea di base immediatamente seguita da un’analoga decelerazione alle ore 00:23 a lento ritorno alla linea di base a cui seguiva alle ore 00:30 un’ulteriore decelerazione variabile della durata di circa due minuti con nadir di 100 bpm, lento recupero e variabilità ridotta a 5 bpm. Per comprendere il significato di tali anomalie del BCF, ricordiamo che in accordo alla forma e ad alla relazione con la contrazione”, le decelerazioni sono divise in quattro tipi: 1. precoci 2. tardive 3. variabili 4. prolungate 1) le decelerazioni precoci, sono decelerazioni dalla forma uniforme con un inizio graduale e un graduale ritorno alla linea di base. Esse iniziano precocemente nel ciclo delle contrazioni uterine, hanno il loro nadir al picco della contrazione e ritornano alla linea di base prima che la contrazione sia completata. L’accelerazione della frequenza cardiaca generalmente non precede o segue una decelerazione precoce. Un importante caratteristica delle decelerazioni precoci è l’ampiezza minima. Il grado di rallentamento della frequenza cardiaca fetale è generalmente proporzionale alla forza delle contrazioni ma raramente scende sotto 100-110 bpm, o 20 -30 bpm sotto la linea basale. Si ritiene che le decelerazioni precoci siano provocate da una compressione della testa fetale con un alterato flusso cerebrale che abbassa la frequenza cardiaca attraverso un riflesso vagale. Decelerazioni precoci si osservano generalmente nella fase attiva del travaglio, tra 4-7 centimetri di dilatazione cervicale. Non sono associate a tachicardia, perdita di variabilità od altri cambiamenti della frequenza cardiaca. La decelerazione precoce è un aspetto della frequenza cardiaca fetale rassicurante e non è associato con acidosi o basso punteggio Apgar del feto. 2) le decelerazioni tardive in forma ed uniformità sono simili alle decelerazioni precoci ma con cadenza ritardata rispetto alla contrazione uterina. L’inizio della decelerazione avviene spesso trenta secondi o più dopo l’inizio della contrazione. Il nadir della decelerazione avviene dopo il picco della contrazione e normalmente il ritorno alla linea basale avviene dopo che la contrazione è finita. Nel riconoscere una decelerazione tardiva ci sono, oltre la cadenza, caratteristiche molto importanti. La discesa ed il ritorno sono graduali e dolci. Non vi sono normalmente accelerazioni che precedono o seguono la decelerazione. La frequenza cardiaca fetale raramente scende più di 30 o 40 battiti per minuto sotto la linea basale e normalmente è non più di 10 o 20 battiti per minuto. …[ omissis ] 3) Decelerazioni variabili l’aspetto più frequente della decelerazione della frequenza cardiaca fetale in travaglio è una decelerazione variabile. Questo aspetto è chiamato in modo appropriato variabile in quanto lo è in tutti i suoi aspetti: figura, forma, durata, intensità e cadenza, relativamente alle contrazioni uterine. È usualmente il risultato della compressione del cordone ombelicale ma può derivare da ogni interruzione del flusso ematico ombelicale sia che sia acuto che intermittente. Altre cause di interruzione del flusso cordonale includono cordone stirato e freddo (es. rapide infusione di amnioinfusioni alla temperatura ambiente). In aggiunta la compressione della testa può determinare o alterare la forma, la profondità e la durata di una decelerazione variabile. Poiché la compressione del funicolo durante il travaglio avviene più frequentemente durante le contrazioni uterine, usualmente la decelerazione variabile coincide con la contrazione uterina. Questa è tuttavia una coincidenza inconsistente e tali decelerazioni possono apparire con una, ma non con la sua successiva contrazione. Caratteristicamente queste decelerazioni sono repentine sia nell’inizio sia nel ritorno alla linea basale. Piccole improvvise accelerazioni della frequenza cardiaca fetale usualmente precedono e o seguono queste decelerazioni. Decelerazioni variabili sono osservate anche occasionalmente durante un monitoraggio antepartum con i movimenti fetali. Sembra esservi un’associazione tra la presenza di decelerazioni variabili in un monitoraggio anteparto ed oligoidramnios e distress fetale in travaglio. Il grado di oligoidramnios è correlato con la frequenza delle decelerazioni variabili severe in travaglio. La stima del volume del liquido fetale dovrebbe essere considerata in pazienti anteparto con decelerazione variabili durante un test della frequenza cardiaca fetale ed in pazienti con decelerazioni variabili che avvengono in una fase precoce del travaglio. È utile pensare a quattro potenziali gruppi di cause di decelerazioni variabili80, perché questi gruppi aiutano a capire la patofisiologia determinando i migliori metodi per la correzione e predicendo il più probabile andamento. Decelerazioni variabili che iniziano precocemente nella fase attiva del travaglio sono spesso associate con, e causate da, oligoidramnios [….omissis]… quelle che si sviluppano durante o appena prima dell’inizio della seconda fase del travaglio sono molto probabilmente dovute ad uno stiramento o compressione del cordone ombelicale. Questo tempo del travaglio coincide con un’accelerazione della discesa della parte presentata e queste decelerazioni sono molto comunemente probabili in associazione con dei giri di funicolo attorno al collo fetale. È presumibile che in tali circostanze le decelerazioni variabili siano dovuti allo stiramento del cordone al momento che il feto scende. Questi eventi sono così comuni che infermiere esperte nel travaglio e nel parto sanno che è giunto il momento di esaminare la paziente perché la nuova comparsa di decelerazioni variabili spesso annuncia all’inizio del secondo stadio. Raramente la comparsa di una decelerazione variabile può annunciare la presenza del prolasso del cordone ombelicale e questa è un’altra importante ragione per esaminare la paziente. L’ultima categoria di cause di compressione del funicolo può essere considerata come un funicolo anomalo comprese cose come funicolo corto, nodo vero, giri di funicolo avviluppati a piccole parti fetali, prolasso occulto del funicolo, etc.” In aggiunta occorre riportare quanto espresso dalle linee guida RCOG del 2001 sul tracciato cardiotocografico in cui si identifica come patologico un tracciato che presenti due o più evidenze non rassicuranti o almeno una evidenza anormale; nel caso concreto assistiamo alle ore 00:17 ad una decelerazione variabile anormale della durata di tre minuti, classificabile come reperto ANORMALE, seguita alle ore 00:23 da una analoga decelerazione classificabile come ANORMALE, quindi caratterizzando il tracciato come PATOLOGICO, tale da richiedere, come espresso nelle succitate linee guida, l’espletamento del parto entro un tempo ragionevole di 30 minuti, fatto non avvenuto con conseguente aggravamento delle condizioni fetali, come individuabile dalla prosecuzione del monitoraggio cardiotocografico, dove si assiste ad una variabilità minore di 5 bpm per più di 10 minuti a partire da un’ulteriore decelerazione variabile delle ore 00:30, che appare ragionevole, alla luce delle decelerazioni precedenti, ascrivere ad una situazione di ipossia fetale. INVECE, decidendo per un comportamento di attesa, il parto avveniva solo alle ore 01:57 del 16.11.2009, tramite taglio cesareo a carattere di urgenza; l'esame del tracciato cardiotocografico dimostra intorno alle ore 1.30 la gravissima sofferenza fetale. Il taglio cesareo veniva così descritto: inizio intervento in urgenza con l'ostetrica DS. in attesa dell'arrivo del collega reperibile dott. L. e della strumentista reperibile IP S. …. Si estrae un feto in presentazione cefalica, atonico, che viene affidato prontamente al pediatra presente in sala. Liquido amniotico melmoso. Secondamento manuale completo. A questo punto giunge in sala operatoria il dott. L. come secondo operatore e la strumentista. Scovolamento di cavità uterina … . Quanto evidente dal registro di sala operatoria, evidenzia un ulteriore profilo di malpractice rappresentato dalla tardiva attivazione dell'équipe chirurgica il che, pur non rappresentando una criticità verso l'alto come neonatale, rappresenta una inescusabile sottostima di un travaglio sicuramente patologico già da almeno uno ora. Nonostante le cure prestate al neonato, il decesso avveniva inesorabile alle ore 03:00 circa. Il riscontro anatomopatologico era il seguente: anectasia polmonare con inalazione massiva di liquido amniotico e di sostanza mecomiale in feto a termine normoconformato. Stato petecchiale, edema e congestione acuta pluriparenchimale. Corionamniosite subacuta; trombosi murale dei vasi coriali e del cordone ombelicale. Alla luce dell'esame morfologico del cadavere del feto, risulta quanto segue: assenza di impregnazione meconiale … Versante fetale della placenta di colorito verdognolo … Membrane presentano colorito diffusamente verdastro. Quanto risulta così descritto porta alla conclusione che si trattava di una sofferenza fetale acuta e collocabile nell'ora antecedente la tardiva scelta di effettuare il taglio cesareo. La sofferenza fetale acuta è la conseguenza di una carenza di ossigeno che avviene in breve tempo e che costringe il feto a ricavare energia soltanto dalla glicolisi anaerobia, con produzione di metaboliti acidi e consumo di basi tampone. Le cause di sofferenza fetale acuta sono moltiplici: - Carenza di ossigeno negli spazi intervillosi (indipendentemente dalla capacità della placenta di trasferirlo al feto), - Riduzione della circolazione negli spazi intervillosi (trombosi degli spazi intervillosi, improvvisa ipotensione materna, eccessiva contrazione dell’utero spesso da sovradosaggio di ossitocina), - Insufficienza placentare acuta (distacco di placenta, placenta previa), - Ostruzione dei vasi ombelicali. La sofferenza fetale acuta inizia a manifestarsi con decelerazioni tardive, a cui poi si associa una assenza di variabilità. Aggravandosi la carenza di ossigeno subentra una grave e persistente bradicardia che prelude alla morte fetale. La conferma della diagnosi di sofferenza fetale acuta si ottiene con un microprelievo di sangue fetale dallo scalp e misura dell’equilibrio acido/base. La presenza di una acidosi (pH inferiore a 7.20) indica che lo squilibrio metabolico è già in atto; l’eccesso di basi indica la riserva metabolica prima di cadere nello scompenso. Un ostacolo circolatorio a livello del funicolo si manifesta con decelerazioni variabili ad andamento capriccioso; se esse si ripetono spesso ed hanno una evidente componente tardiva, conducono più o meno rapidamente ad una compromissione metabolica fetale. La sofferenza fetale acuta si risolve quando si riesce a rimuovere tempestivamente la causa della ipossia. Se le contrazioni sono troppo intense e/o ravvicinate si possono correggere diminuendo o sospendendo la somministrazione di ossitocina o ricorrendo ad un tocolitico; se vi è una sindrome cavale un ostacolo funicolare si modifica il decubito. In caso di successo la frequenza cardiaca fetale ritorna alla norma, altrimenti si passa al parto immediato, per via vaginale o laparotomia a seconda del caso. Le decisioni devono essere adottate prima che la compromissione metabolica diventi irreversibile. La sofferenza fetale cronica si verifica quando il feto durante la gravidanza, da qualche settimana o da qualche mese, riceve poco nutrimento e poco ossigeno. In tale situazione il feto ha tutto il tempo di adottare, ben inteso entro certi limiti, meccanismi di compenso che ne permettono almeno la vita, se non una regolare crescita (difetto di crescita intrauterino). Una causa può risiedere nella ipertensione arteriosa materna indotta dalla gravidanza o preesistente ad essa, che comporta un scarsa crescita della placenta e un ridotto flusso ematico negli spazi intervillosi. Un feto al limite della sopravvivenza presenta una ipossia ed una acidosi metabolica cronica. Il tracciato cardiotocografico presenta una variabilità progressivamente sempre più ridotta; in queste condizioni un taglio cesareo elettivo permette di ottenere un feto che presenta una acidosi moderata e reversibile, spesso senza danni neurologici. Se la situazione è più grave, la variabilità è assente ed inoltre possono comparire decelerazioni spontanee, anche al di fuori della contrazione uterina. La morte fetale è imminente, il compenso metabolico è assai precario, brevi episodi di ipossia conseguenti a lievi contrazioni uterine possono far precipitare improvvisamente la situazione. Una immediata estrazione mediante taglio cesareo permette di ottenere un feto vivo, ma fortemente acidotico, il cui recupero è variabile. Bisogna sottolineare che non esiste una stretta relazione fra i tracciati cardiotocografici, la misura dell’equilibrio acido/base nel sangue dell’arteria ombelicale alla nascita e l’indice di Apgar, che misura il grado di depressione neonatale. La causa delle discrepanze dipende dalle diversità e numerosità dei fattori che intervengono in ciascuna di queste tre tecniche. Il tipo di sofferenza fetale, la velocità con cui insorge, l’età gestazionale e quindi la maturità fetale, il tipo di parto, il tipo di analgesia o anestesia modificano in modo diverso i parametri clinici e strumentali. Una concordanza si verifica solo nei casi di sofferenza fetale molto grave: ad esempio un tracciato cardiotocografico con assenza di variabilità concorda con un basso indice di Apgar alla nascita. La diagnosi di sofferenza fetale non deve essere basata soltanto su un tratto di tracciato cardiotocografico, ma deve invece derivare dalle conclusioni di un esame completo di tutti i dati clinici e strumentali disponibili. Raramente avviene che il feto nasce con un basso score di Apgar ed una acidosi, mentre il tracciato cardiotocografico durante il travaglio di parto era normale. Una simile circostanza può dipendera da varie cause: - Periodo espulsivo molto stressante per i feto, Feto affetto da malattie genetiche, Infezioni fetali, Prematurità estrema, Aspirazione di meconio, Effetto di farmaci (anche anestetici), Sofferenza fetale acuta sopravvenuta nella fase finale del periodo espulsivo (quando spesso la registrazione cardiotocografica viene sospesa). Bisogna anche tenere in debita considerazione che la cardiotocografia presenta un’alta sensibilità nell’individuare un feto sano, ma non è altrettanto in grado di predire se un feto è sofferente. In alcusi casi il tracciato non è interpretabile per impossibilità di ottenere un segnale soddisfacente a causa della posizione del feto, della elevate obesità materna o dall’inadeguatezza dell’apparecchiatura. Non è interpretabile un tracciato privo della registrazione dell’attività uterina, anche se sono presenti accelerazioni e variabilità normale, perché possono sfuggire lievi decelerazioni che sono erroneamente scambiate per trascurabili variazioni della frequenza di base.” Riguardo la presenza di liquido intensamente tinto di meconio, fatto che presumibilmente, in assenza di valutazioni cardiotocografiche e flussimetriche fetali, possono aver indotto i sanitari ad evidenziare una situazione di grave sofferenza fetale, si cita: Sindrome d’aspirazione meconiale: “ La sindrome da aspirazione meconiale (SAM) è un’affezione respiratoria acuta legata al passaggio di meconio nelle vie aree del neonato prima, durante e/o subito dopo il parto. Il liquido amniotico tinto di meconio (LAT) si trova nel 15% di tutte le gravidanze: in circa la metà dei casi il meconio si rinviene in trachea dopo la nascita ma solo il 10% dei neonati con LAT presenta la sindrome di aspirazione meconiale. La frequenza di LAT aumenta con l’età gestazionale; così come la prevalenza della SAM che peraltro è maggiore nei neonati SGA. […] Inoltre, altri disturbi respiratori (tachipnea transitoria, ipertensione polmonare persistente, polmonite, ecc.) si osservano nel 510% dei neonati con LAT. Eziopatogenesi. Il meconio è un materiale denso, appiccicoso, di colore tra il nero ed il verde scuro, che comincia a comparire nell’intestino fetale nel terzo mese di gestazione. Deriva dall’accumulo di cellule di desquamazione intestinale e cutanea, mucina, lanugo, vernice caseosa, liquido amniotico e secrezioni intestinali. Si è sempre ritenuto che il passaggio fisiologico di meconio nel liquido amniotico, che inizia precocemente nel corso della gestazione, cessasse verso la 20° settimana in concomitanza con l’innervazione dello sfintere anale. Nel 2003, però, Ramon y Cajal ha documentato con gli US in 240 feti tra 15 e 41 settimane di gestazione il passaggio fisiologico di meconio attraverso l’ano, che tende a ridursi con l’approssimarsi del termine. L’emissione di meconio in utero può rappresentare un evento fisiologico legato alla maturazione dell’intestino e di peptidi bioattivi (come la motilina) responsabili della motilità intestinale. Tant’è vero che la presenza di LAT nel pretermine deve sempre far sospettare una polmonite (per esempio Listeria) responsabile di liquefazione del meconio. Più spesso, però, rappresenta l’effetto di una noxa patogena, in genere un insulto anossico: da tempo è noto che condizioni di ipoafflusso ematico all’utero (obesità, anemia, gestosi, gravidanza protratta, infezione) si associano spesso a LAT. L’anossia in utero, per effetto della centralizzazione del circolo (diving reflex), determina una riduzione del flusso ematico agli organi che tollerano meglio l’ipossia (intestino, reni, polmoni, muscoli) a vantaggio del cuore e del cervello. D’altra parte, l’ischemia intestinale provoca molto rapidamente iperperistalsi e rilasciamento dello sfintere anale, con inevitabile emissione di meconio. Il semplice passaggio di meconio in utero, quindi, si può considerare uno stadio di sofferenza fetale compensata, in quanto gli organi vitali sono ancora ben ossigenati: in questa fase, infatti, il pH e la FCF sono normali e il punteggio di Apgar a 1’ è alto. Se però perdura la noxa asfittica i meccanismo di compenso vengono meno, come documentato dal calo di pH e dalle alterazioni della FCF. Si creano così i presupposti per l’inalazione del meconio e l’asfissia alla nascita,che, anche in questa fase, gioca un ruolo determinante. Senza asfissia alla nascita, infatti, l’inalazione non si verfica in quanto i fisiologici movimenti respiratori in utero sono superficiali e la glottide è quasi sempre chiusa; inoltre, nel travaglio, a preparare i polmoni alla loro funzione, s’instaura un flusso continuo di liquido polmonare verso l’esterno, che contrasta l’inalazione di liquido amniotico e di meconio. In presenza, invece, di asfissia, i movimenti respiratori fetali diventano più profondi con le caratteristiche del gasp e la glottide rimane beante; contemporaneamente si blocca il meccanismo di clearence del liquido polmonare. Sono tutti fattori che predispongono all’inalazione già in utero. Probabilmente però, almeno nella maggioranza dei casi, il meconio al momento del parto si trova in trachea o, al massimo, nei bronchi principali; solo con i primi atti respiratori, spontaneo o provocati, tende a scendere nelle vie aree più basse. Nel caso, infine, in cui la noxa asfissiante sia stata particolarmente grave e prolungata, già in utero si può verificare un’inalazione diffusa fino alle vie aeree più profonde; sono forme molto rare che si manifestano subito con un quadro di di grave insufficienza respiratoria e spesso si concludono rapidamente con il decesso. Il più delle volte, sono i casi in cui l’ipossia cronica ha provocato un’eccessiva muscolarizzazione dei vasi polmonari, premessa per una ipertensione polmonare persistente particolarmente grave e tenace. Talora, nelle forme più gravi, si associa un’infezione intrauterina. Il meconio nei polmoni altera la funzione respiratoria attraverso diverse modalità: - Ostruzione delle vie aeree più o meno diffusa e completa a seconda della quantità inalata. Molto raramente l’aspirazione massiva nelle vie aeree principali provoca un quadro di asfissia acuta e di cuore polmonare rapidamente mortale. Quasi sempre la quantità di meconio inalato è modesta e l’occlusione si verifica a carico delle vie aeree profonde; se questa è completa provoca atelettasia, quando invece è parziale si stabilisce un meccanismo a valvola responsabile, almeno in un primo momento, di enfisema. - Irritazione, già dopo 24-48 ore, a opera soprattutto dei Sali biliari, della parete bronco alveolare fino a una vera e propria polmonite chimica con infiltrazione di polimorfo nucleati e macrofagi, edema, distruzione dell’epitelio, essudazione protinacea e necrosi cellulare. Sembra che il LAT, non il meconio in sé, abbia una attività chemio tattica verso i polimorfo nucleati mediati dall’IL-8. - Infezione. Il meconio è sterile, ma rappresenta con la sua componente mucopolisaccaridica un eccellente pabulum per i batteri. Inoltre, inibisce la fagocitosi e il burst ossidativo dei polimorfo nucleati. Pertanto il LAT rappresenta un importante fattore di rischio per l’infezione in utero. - Broncospasmo a seguito dell’irritazione delle vie aeree. - Vasocostrizione polmonare e, quindi, ipertensione polmonare persistente, secondarie all’ipossia e all’acidosi. - Inibizione e/o spostamento del surfattante dalla superficie alveolare da parte degli acidi grassi del meconio con conseguente tendenza all’atelettasia e alla formazione di materiale ialino. Dargaville nel 2001 ha documentato nel liquido di lavaggio polmonare dei neonati con SAM una maggiore concentrazione, rispetto ai controlli, degli inibitori del surfattante, a fronte di livelli normalli di fosfolipidi tensioattivi e SP-A. Fisiopatologia. L’alternarsi di aree di enfisema e di atelettasia è responsabile di numerose alterazioni funzionali, tra cui soprattutto l’alterazione del V/Q che, se prevalgono le atelettasie, assume le caratteristiche dello shunt dx-sn intrapolmonare, come nella HMD. Ne derivano ipossia e acidosi mista, con ipercapnia e accumulo di acidi fissi, secondario all’ipossia. Tali alterazioni contribuiscono a mantenere elevate le resistenze vascolari polmonari e, quindi, a porre le basi per l’ipertensione polmonare persistente, con shunt dx-sn extrapolmonare. Probabilmente, a tutto ciò partecipa anche l’enfisema diffuso sia mediante l’aumento della capacità funzionale residua sia tramite la riduzione del ritorno venoso e, quindi, della gittata cardiaca. La riduzione della compliance specifica si spiega con la già citata azione del meconio sul surfattante; alla riduzione della compliance dinamica contribuirebbero sia la ridotta elasticità polmonare sia l’aumento delle resistenze delle vie aeree, fenomeni legati entrambi all’azione irritante del meconio. Il volume corrente è ridotto, anche per il difetto di diffusione secondario alla polmonite chimica, mentre il volume/minuto è aumentato grazie alla tachipnea. Anatomia patologica. Nel coniglio l’inalazione sperimentale di meconio provoca in un primo momento (a 6h), oltre a sporadiche aree di atelettasia, soprattutto iperespansione; inoltre, il danno iniziale della parete è rappresentato dall’infiltrazione di polimorfonucleati nei setti alveolari e da perdita delle ciglia nell’epitelio delle vie aeree. Successivamente (a 24 h) si osserva una diffusione sia delle zone atelettasiche sia di quelle iperespanse; il danno della parete progredisce con aumento dell’infiltrazione di polimorfonucleati e presenza di materiale ialino negli alveoli. Alla fine (48 h) domina il quadro dell’atelettasia diffusa e solo alcuni segmenti polmonari sono enfisematosi. L’epitelio bronco alveolare appare necrotico, con aumento dell’infiltrazione di polimorfonucleati. Analogamente, nell’uomo, nelle forme più gravi arrivate al decesso, le lesioni appaiono come il risultato di un danno meccanico seguito da una polmonite chimica ingravescente: oltre all’atelettasia si osserva danneggiamento della parete bronco-alveolare, con essudazione ed emorragia. Quadro clinico. Varia moltissimo in rapporto alla quantità di meconio inalato e alle conseguenze dell’eventuale asfissia perinatale concomitante sui vari apparati (SNC, cuore, reni, ecc.): da forme asintomatiche a quadri, ormai rari, d’inalazione massiva rapidamente mortali. Nella maggioranza dei casi si tratta di neonati a termine o postmaturi, spesso con anamnesi di asfissia perinatale, con vernice caseosa, unghie e cordone ombelicale di colore giallo verdastro per l’impregnazione meconiale. Questo dipende essenzialmente dalla durata dell’esposizione in utero al meconio: sono sufficienti 6 ore per le unghie e 12-14 ore per la vernice caseosa. Una sindrome respiratoria analoga a quella della HMD compare subito dopo la nascita nelle forme più gravi, più tardivamente nelle altre: dopo 6-12 h quando il meconio si sposta nelle vie aeree più profonde. E’ caratterizzata da cianosi, tachipnea, segni di dispnea e rientramenti inspiratori, che sono però meno marcati rispetto alla HMD, data la maggiore stabilità della gabbia toracica del neonato a termine. Inoltre, il torace appare iperespanso (a botte), mentre nella HMD è ipoespanso. Non sono rari i segni dell’asfissia perinatale a carico di diversi apparati, soprattutto del SNC. Nelle forme più gravi l’asfissia acuta perinatale si aggiunge a quella cronica in utero: sono quelle in cui si instaura più spesso un’ipertensione polmonare persistente particolarmente grave e tenace, con tutte le sue conseguenze. Per quanto riguarda le principali alterazioni emogasanalitiche, l’ipossia è di solito di grado lieve e si corregge con FiO2 medio-basse, se è secondaria soprattutto a ipoventilazione e/o alterazione del V/Q; è invece grave se coesiste IPP e non si corregge neppure con l’ossigeno ad alte concentrazioni. Dell’acidosi prevale di solito la componente metabolica; l’ipercapnia, in genere modesta se è conseguenza dell’alterazione del V/Q, è più grave quando entra in gioco anche l’ipoventilazione per depressione del SNC. Le complicanze sono rappresentate principalmente dal pneumotorace e dall’ipertensione polmonare persistente: il primo presente nel 20% dei pazienti non ventilati meccanicamente, arriva anche al 40% in quelli in ventilazione meccanica; la seconda è frequente soprattutto nelle forme più gravi. Diagnosi. Si basa, oltre che sul rilievo del LAT e del meconio sulla cute del neonato, sul quadro radiografico del torace, che nella forma tipica mostra iperespansione polmonare con zone di addensamento grossolane e diffuse. Talora questo aspetto è limitato al polmone destro o al suo lobo superiore. L’eventuale polmonite batterica si manifesta con una maggiore estensione delle opacità fino all’opacamento completo di un intero lobo. Quest’ultimo si verifica, a carico di entrambi i polmoni, associato a congestione del disegno vasale e cardiomegalia, nelle rare forme di aspirazione massiva. Sono frequenti raccolte aeree iperdiafane, pseudo cistiche, che possono rompersi nella cavità pleurica, provocando pneumomediastino e/o pneumotorace. La normalizzazione del quadro radiografico avviene in genere in 48 ore; raramente è più lenta, arrivando anche a 10 giorni. Prognosi. La presenza di LAT si associa, non solo a depressione alla nascita (20-30% dei casi) ma anche a una maggiore mortalità perinatale (1,5 per mille contro lo 0,3 per mille dei casi senza LAT), legata soprattutto alla SAM. La mortalità per SAM, appannaggio quasi esclusivo dei casi con grave asfissia perinatale e/o IPP, si aggirava fino a qualche anno fa intorno al 4%. Wiswell nel 2000 ha documentato con uno studio controllato che l’aspirazione tracheale accurata subito dopo la nascita nei neonati con LAT fa crollare la mortalità per SAM allo 0,5%. Tuttora controverso è il valore prognostico dell’aspetto del meconio, denso (thick) o fluido (thin). Classicamente il meconio fluido, verde chiaro o giallo, s’interpreta come espressione di un passaggio fisiologico moderato nel corso della gravidanza. Il meconio denso, verde scuro, sarebbe invece la conseguenza di un insulto anossico recente durante il travaglio o poco prima. Probabilmente l’aspetto del meconio è legato soprattutto alla quantità che ne è passata in utero: tanto questa è maggiore tanto più grave e prolungata è stata la noxa asfissiante e tanto più gravi saranno le conseguenze a seguito dell’inalazione. Tra le sequele, è stata osservata un’incidenza di asma bronchiale, o più genericamente di broncospasmo, maggiore rispetto a quella della popolazione generale. Profilassi. Prima del parto. Nelle ultime fasi della gravidanza e durante il travaglio il rilievo di LAT rappresenta un segnale che impone l’assiduo monitoraggio della FCF e, possibilmente, del pH. In presenza di segni di sofferenza fetale e di meconio denso, potrebbe essere utile l’amnioinfusione, che consiste nell’introduzione in utero per via trans cervicale di 1 litro di soluzione fisiologica ogni 6 ore fino all’espletamento del parto, al fine di diluire il meconio e di correggere il frequente oligoidramnios; in tal modo si mira anche a prevenire la compressione del cordone e, quindi, la stimolazione vagale, possibile causa di emissione del meconio e di gasping fetale. In sala parto. Si basa su: - aspirazione accurata dell’orofaringe e delle fosse nasali, che in presenza di LAT va attuata al perineo materno prima del disimpegno delle spalle o, in caso di taglio cesareo, al tavolo operatorio prima del primo vagito; nella maggioranza dei casi, infatti, la quantità più rilevante di meconio viene inalata nelle vie aeree profonde con i primi atti respiratori validi. Anche se uno studio controllato di Vain, concluso nel 2004, ha dimostrato che tale politica non modifica sostanzialmente la prevalenza della MAS, la necessità e la durata della ventilazione meccanica, la durata dell’ossigenoterapia e dell’ospedalizzazione, la mortalità. - Aspirazione della trachea, previa intubazione, da riservare ai neonati depressi. Si raccomanda di utilizzare un tubo oro-tracheale di diametro adeguato (almeno 3,5 mm.) che va collegato direttamente all’aspiratore. Comunque, in assenza di respirazione spontanea, l’aspirazione tracheale va interrotta al massimo dopo due minuti dalla nascita, per consentire le manovre di rianimazione (ventilazione artificiale ed eventuale massaggio cardiaco); solo dopo che queste hanno avuto successo (colorito roseo e FC > 100 bpm) l’aspirazione può essere completa. Terapia. Ha l’obiettivo di combattere l’insufficienza respiratoria e prevenire l’instaurarsi dell’IPP, minimizzando il rischio di rottura alveolare; inoltre, mira a correggere i danni della sindrome post-asfittica negli apparati più sensibili. “ NOSTRE CONSIDERAZIONI Per quanto suriportato si possono stilare le seguenti considerazioni: - A fronte di una evidentissima sofferenza fetale come da riscontro cardiotocografico, l'équipe ostetrica non considerava tale evidentissimo dato quale previsione di outcome fetale sfavorevole, tanto da non ritenere di dover attivare i sanitari reperibili e quindi ricorrendo tardivamente all’esecuzione del taglio cesareo, quando ormai le condizioni ossigenative del feto erano inesorabilmente compromesse. Il feto nasceva senza segni vitali e se ne poteva constatare il decesso ad un'ora dalla nascita. Pertanto una gestione del travaglio imperita ed imprudente, poiché carente nella valutazione dei segni di sofferenza fetale. Conclusioni Sulla scorta di quanto esposto, discusso e dimostrato, la condotta sanitaria di chi ebbe a prendere in carico il caso trattato, risulta censurabile per l’imperita e negligente omissione dell’approfondimento diagnostico richiesto per il caso specifico. Nel caso di specie, appare evidente l’esistenza di un nesso di causalità materiale tra la condotta del Sanitario e gli esiti ad essa collegati, non evidenziandosi circostanze e cause diverse esimenti la responsabilità del Sanitario in questione. Nel caso discusso non ricorrono le “speciali difficoltà“, bensì profili di imperizia e negligenza. Tale malpractice ha causato la morte della piccola A. e ha gettato nello sconforto i genitori i quali, ancora oggi, non hanno metabolizzato il lutto: la sofferenza è attuale e viva, la loro qualità di vita ancora oggi non è quella dei “tempi passati”.