Nel file pdf allegato potrete leggere la storia del travaglio e l` epicrisi

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Nel file pdf allegato potrete leggere la storia del travaglio e l` epicrisi
In data 16.11.2009 la sig. V. R. veniva ricoverata presso struttura complessa di
Ginecologia ed Ostetricia con diagnosi di “prodromi di travaglio di parto in gravida
alla 41 + 2 sg. para 0020”. Dalla copia della cartella clinica pervenuta allo scrivente
risulta foglio RAD con indicazione di ricovero urgente, senza verbale di PS allegato e
con ora di ingresso 01:15, inoltre nelle diarie medica ed infermieristica non risultano
valutazioni antecedenti il parto della paziente tranne quanto presente del diario di
travaglio – parto – post partum a firma della dott.ssa Q. S. che appare una relazione di
quanto accaduta piuttosto che una rendicontazione effettuata al momento degli eventi
intercorsi. In tale relazione si legge: “La paziente si presenta in sala parto a mezzanotte
riferendo contrazioni uterine. Inizia monitoraggio CTG alle ore 00:04 comparsa di
due decelerazioni, rispettivamente alle
ore 00:19 e alle ore 00:25 circa, con
successiva ripresa della normale
frequenza cardiaca. La paziente fino a
quel momento eseguiva il monitoraggio
CTG in posizione seduta per riferita
difficoltà a restare distesa.”.
Nella copia della cartella clinica sono
presenti
i
suddetti
monitoraggio
cardiotocografici:
Il monitoraggio riportato evidenza una prima decelerazione variabile alle ore 00:09
con nadir tra 80 e 90 bpm seguita alle ore 00:17 da una prima decelerazione variabile
severissima, di durata di 3 minuti, con nadir inferiore a 50 bpm e lento ritorno alla linea
di base immediatamente seguita da un’analoga decelerazione alle ore 00:23 a lento
ritorno alla linea di base a cui seguiva alle ore 00:30 un’ulteriore decelerazione
variabile della durata di circa due minuti con nadir di 100 bpm, lento recupero e
variabilità ridotta a 5 bpm.
Per comprendere il significato di tali anomalie del BCF, ricordiamo che in accordo alla
forma e ad alla relazione con la contrazione”, le decelerazioni sono divise in quattro
tipi:
1. precoci
2. tardive
3. variabili
4. prolungate
1) le decelerazioni precoci, sono decelerazioni dalla forma uniforme con un inizio
graduale e un graduale ritorno alla linea di base. Esse iniziano precocemente nel ciclo
delle contrazioni uterine, hanno il loro nadir al picco della contrazione e ritornano
alla linea di base prima che la contrazione sia completata.
L’accelerazione della frequenza cardiaca generalmente non
precede o segue una decelerazione precoce. Un importante
caratteristica delle decelerazioni precoci è l’ampiezza minima. Il
grado di rallentamento della frequenza cardiaca fetale è
generalmente proporzionale alla forza delle contrazioni ma
raramente scende sotto 100-110 bpm, o 20 -30 bpm sotto la linea
basale. Si ritiene che le decelerazioni precoci siano provocate da
una compressione della testa fetale con un alterato flusso
cerebrale che abbassa la frequenza cardiaca attraverso un
riflesso vagale. Decelerazioni precoci si
osservano generalmente nella fase attiva del travaglio, tra 4-7
centimetri di dilatazione cervicale. Non sono associate a
tachicardia, perdita di variabilità od altri cambiamenti della
frequenza cardiaca. La decelerazione precoce è un aspetto della
frequenza cardiaca fetale rassicurante e non è associato con
acidosi o basso punteggio Apgar del feto.
2) le decelerazioni tardive in forma ed uniformità sono simili alle decelerazioni precoci
ma con cadenza ritardata rispetto alla contrazione uterina. L’inizio della
decelerazione avviene spesso trenta secondi o più dopo l’inizio della contrazione. Il
nadir della decelerazione avviene dopo il picco della
contrazione e normalmente il ritorno alla linea basale
avviene dopo che la contrazione è finita. Nel
riconoscere una decelerazione tardiva ci sono, oltre la
cadenza, caratteristiche molto importanti. La discesa ed
il ritorno sono graduali e dolci. Non vi sono
normalmente accelerazioni che precedono o seguono la
decelerazione. La frequenza cardiaca fetale raramente
scende più di 30 o 40 battiti per minuto sotto la linea
basale e normalmente è non più di 10 o 20 battiti per
minuto. …[ omissis ]
3) Decelerazioni variabili l’aspetto più frequente della
decelerazione della frequenza cardiaca fetale in
travaglio è una decelerazione variabile. Questo aspetto
è chiamato in modo appropriato variabile in quanto lo
è in tutti i suoi aspetti: figura, forma, durata, intensità
e
cadenza,
relativamente alle contrazioni uterine. È usualmente il
risultato della compressione del cordone ombelicale
ma può derivare da ogni interruzione del flusso ematico ombelicale sia che sia acuto
che intermittente. Altre cause di interruzione del flusso cordonale includono cordone
stirato e freddo (es. rapide infusione di amnioinfusioni alla temperatura ambiente). In
aggiunta la compressione della testa può determinare o alterare la forma, la
profondità e la durata di una decelerazione variabile. Poiché la compressione del
funicolo durante il travaglio avviene più frequentemente durante le contrazioni
uterine, usualmente la decelerazione variabile coincide con la contrazione uterina.
Questa è tuttavia una coincidenza inconsistente e tali decelerazioni possono apparire
con una, ma non con la sua successiva contrazione. Caratteristicamente queste
decelerazioni sono repentine sia nell’inizio sia nel ritorno alla linea basale. Piccole
improvvise accelerazioni della frequenza cardiaca fetale usualmente precedono e o
seguono queste decelerazioni. Decelerazioni variabili sono osservate anche
occasionalmente durante un monitoraggio antepartum con i movimenti fetali. Sembra
esservi un’associazione tra la
presenza di decelerazioni variabili
in un monitoraggio anteparto ed
oligoidramnios e distress fetale in
travaglio.
Il
grado
di
oligoidramnios è correlato con la
frequenza
delle
decelerazioni
variabili severe in travaglio. La
stima del volume del liquido fetale
dovrebbe essere considerata in
pazienti
anteparto
con
decelerazione variabili durante un
test della frequenza cardiaca fetale
ed in pazienti con decelerazioni
variabili che avvengono in una fase
precoce del travaglio. È utile pensare a quattro potenziali gruppi di cause di
decelerazioni variabili80, perché questi gruppi aiutano a capire la patofisiologia
determinando i migliori metodi per la correzione e predicendo il più probabile
andamento. Decelerazioni variabili che iniziano precocemente nella fase attiva del
travaglio sono spesso associate con, e causate da, oligoidramnios [….omissis]…
quelle che si sviluppano durante o appena prima dell’inizio della seconda fase del
travaglio sono molto probabilmente dovute ad uno stiramento o compressione del
cordone ombelicale. Questo tempo del travaglio coincide con un’accelerazione della
discesa della parte presentata e queste decelerazioni sono molto comunemente
probabili in associazione con dei giri di funicolo attorno al collo fetale. È presumibile
che in tali circostanze le decelerazioni variabili siano dovuti allo stiramento del
cordone al momento che il feto scende. Questi eventi sono così comuni che infermiere
esperte nel travaglio e nel parto sanno che è giunto il momento di esaminare la
paziente perché la nuova comparsa di decelerazioni variabili spesso annuncia
all’inizio del secondo stadio. Raramente la comparsa di una decelerazione variabile
può annunciare la presenza del prolasso del cordone ombelicale e questa è un’altra
importante ragione per esaminare la paziente. L’ultima categoria di cause di
compressione del funicolo può essere considerata come un funicolo anomalo comprese
cose come funicolo corto, nodo vero, giri di funicolo avviluppati a piccole parti fetali,
prolasso occulto del funicolo, etc.”
In aggiunta occorre riportare quanto espresso dalle linee guida RCOG del 2001 sul
tracciato cardiotocografico in cui si identifica come patologico un tracciato che presenti
due o più evidenze non rassicuranti o almeno una evidenza anormale; nel caso concreto
assistiamo alle ore 00:17 ad una decelerazione variabile anormale della durata di tre
minuti, classificabile come reperto ANORMALE, seguita alle ore 00:23 da una analoga
decelerazione classificabile come ANORMALE, quindi caratterizzando il tracciato
come PATOLOGICO, tale da richiedere, come espresso nelle succitate linee guida,
l’espletamento del parto entro un tempo ragionevole di 30 minuti, fatto non avvenuto
con conseguente aggravamento delle condizioni fetali, come individuabile dalla
prosecuzione del monitoraggio cardiotocografico, dove si assiste ad una variabilità
minore di 5 bpm per più di 10 minuti a partire da un’ulteriore decelerazione variabile
delle ore 00:30, che appare ragionevole, alla luce delle decelerazioni precedenti,
ascrivere ad una situazione di ipossia fetale.
INVECE, decidendo per un comportamento di attesa, il parto avveniva solo alle ore
01:57 del 16.11.2009, tramite taglio cesareo a carattere di urgenza; l'esame del
tracciato cardiotocografico dimostra intorno alle ore 1.30 la gravissima sofferenza
fetale.
Il taglio cesareo veniva così descritto: inizio intervento in urgenza con l'ostetrica DS.
in attesa dell'arrivo del collega reperibile dott. L. e della strumentista reperibile IP S.
…. Si estrae un feto in presentazione cefalica, atonico, che viene affidato prontamente
al pediatra presente in sala. Liquido amniotico melmoso. Secondamento manuale
completo. A questo punto giunge in sala operatoria il dott. L. come secondo operatore
e la strumentista. Scovolamento di cavità uterina … .
Quanto evidente dal registro di sala operatoria, evidenzia un ulteriore profilo di
malpractice rappresentato dalla tardiva attivazione dell'équipe chirurgica il che,
pur non rappresentando una criticità verso l'alto come neonatale, rappresenta
una inescusabile sottostima di un travaglio sicuramente patologico già da almeno
uno ora.
Nonostante le cure prestate al neonato, il decesso avveniva inesorabile alle ore
03:00 circa.
Il riscontro anatomopatologico era il seguente: anectasia polmonare con inalazione
massiva di liquido amniotico e di sostanza mecomiale in feto a termine
normoconformato. Stato petecchiale, edema e congestione acuta pluriparenchimale.
Corionamniosite subacuta; trombosi murale dei vasi coriali e del cordone ombelicale.
Alla luce dell'esame morfologico del cadavere del feto, risulta quanto segue: assenza
di impregnazione meconiale … Versante fetale della placenta di colorito verdognolo
… Membrane presentano colorito diffusamente verdastro.
Quanto risulta così descritto porta alla conclusione che si trattava di una
sofferenza fetale acuta e collocabile nell'ora antecedente la tardiva scelta di
effettuare il taglio cesareo.
La sofferenza fetale acuta è la conseguenza di una carenza di ossigeno che avviene in
breve tempo e che costringe il feto a ricavare energia soltanto dalla glicolisi
anaerobia, con produzione di metaboliti acidi e consumo di basi tampone. Le cause di
sofferenza fetale acuta sono moltiplici:
- Carenza di ossigeno negli spazi intervillosi (indipendentemente dalla capacità
della placenta di trasferirlo al feto),
- Riduzione della circolazione negli spazi intervillosi (trombosi degli spazi
intervillosi, improvvisa ipotensione materna, eccessiva contrazione dell’utero
spesso da sovradosaggio di ossitocina),
- Insufficienza placentare acuta (distacco di placenta, placenta previa),
- Ostruzione dei vasi ombelicali.
La sofferenza fetale acuta inizia a manifestarsi con decelerazioni tardive, a cui poi si
associa una assenza di variabilità. Aggravandosi la carenza di ossigeno subentra una
grave e persistente bradicardia che prelude alla morte fetale. La conferma della
diagnosi di sofferenza fetale acuta si ottiene con un microprelievo di sangue fetale
dallo scalp e misura dell’equilibrio acido/base. La presenza di una acidosi (pH
inferiore a 7.20) indica che lo squilibrio metabolico è già in atto; l’eccesso di basi
indica la riserva metabolica prima di cadere nello scompenso. Un ostacolo
circolatorio a livello del funicolo si manifesta con decelerazioni variabili ad
andamento capriccioso; se esse si ripetono spesso ed hanno una evidente componente
tardiva, conducono più o meno rapidamente ad una compromissione metabolica fetale.
La sofferenza fetale acuta si risolve quando si riesce a rimuovere tempestivamente la
causa della ipossia. Se le contrazioni sono troppo intense e/o ravvicinate si possono
correggere diminuendo o sospendendo la somministrazione di ossitocina o ricorrendo
ad un tocolitico; se vi è una sindrome cavale un ostacolo funicolare si modifica il
decubito.
In caso di successo la frequenza cardiaca fetale ritorna alla norma, altrimenti si passa
al parto immediato, per via vaginale o laparotomia a seconda del caso. Le decisioni
devono essere adottate prima che la compromissione metabolica diventi irreversibile.
La sofferenza fetale cronica si verifica quando il feto durante la gravidanza, da
qualche settimana o da qualche mese, riceve poco nutrimento e poco ossigeno. In tale
situazione il feto ha tutto il tempo di adottare, ben inteso entro certi limiti, meccanismi
di compenso che ne permettono almeno la vita, se non una regolare crescita (difetto di
crescita intrauterino). Una causa può risiedere nella ipertensione arteriosa materna
indotta dalla gravidanza o preesistente ad essa, che comporta un scarsa crescita della
placenta e un ridotto flusso ematico negli spazi intervillosi.
Un feto al limite della sopravvivenza presenta una ipossia ed una acidosi metabolica
cronica.
Il tracciato cardiotocografico presenta una variabilità progressivamente sempre più
ridotta; in queste condizioni un taglio cesareo elettivo permette di ottenere un feto che
presenta una acidosi moderata e reversibile, spesso senza danni neurologici. Se la
situazione è più grave, la variabilità è assente ed inoltre possono comparire
decelerazioni spontanee, anche al di fuori della contrazione uterina. La morte fetale è
imminente, il compenso metabolico è assai precario, brevi episodi di ipossia
conseguenti a lievi contrazioni uterine possono far precipitare improvvisamente la
situazione. Una immediata estrazione mediante taglio cesareo permette di ottenere un
feto vivo, ma fortemente acidotico, il cui recupero è variabile.
Bisogna sottolineare che non esiste una stretta relazione fra i tracciati
cardiotocografici, la misura dell’equilibrio acido/base nel sangue dell’arteria
ombelicale alla nascita e l’indice di Apgar, che misura il grado di depressione
neonatale.
La causa delle discrepanze dipende dalle diversità e numerosità dei fattori che
intervengono in ciascuna di queste tre tecniche. Il tipo di sofferenza fetale, la velocità
con cui insorge, l’età gestazionale e quindi la maturità fetale, il tipo di parto, il tipo
di analgesia o anestesia modificano in modo diverso i parametri clinici e strumentali.
Una concordanza si verifica solo nei casi di sofferenza fetale molto grave: ad
esempio un tracciato cardiotocografico con assenza di variabilità concorda con un
basso indice di Apgar alla nascita. La diagnosi di sofferenza fetale non deve essere
basata soltanto su un tratto di tracciato cardiotocografico, ma deve invece derivare
dalle conclusioni di un esame completo di tutti i dati clinici e strumentali disponibili.
Raramente avviene che il feto nasce con un basso score di Apgar ed una acidosi,
mentre il tracciato cardiotocografico durante il travaglio di parto era normale. Una
simile circostanza può dipendera da varie cause:
-
Periodo espulsivo molto stressante per i feto,
Feto affetto da malattie genetiche,
Infezioni fetali,
Prematurità estrema,
Aspirazione di meconio,
Effetto di farmaci (anche anestetici),
Sofferenza fetale acuta sopravvenuta nella fase finale del periodo espulsivo
(quando spesso la registrazione cardiotocografica viene sospesa).
Bisogna anche tenere in debita considerazione che la cardiotocografia presenta
un’alta sensibilità nell’individuare un feto sano, ma non è altrettanto in grado di
predire se un feto è sofferente. In alcusi casi il tracciato non è interpretabile per
impossibilità di ottenere un segnale soddisfacente a causa della posizione del feto,
della elevate obesità materna o dall’inadeguatezza dell’apparecchiatura. Non è
interpretabile un tracciato privo della registrazione dell’attività uterina, anche se sono
presenti accelerazioni e variabilità normale, perché possono sfuggire lievi
decelerazioni che sono erroneamente scambiate per trascurabili variazioni della
frequenza di base.”
Riguardo la presenza di liquido intensamente tinto di meconio, fatto che
presumibilmente, in assenza di valutazioni cardiotocografiche e flussimetriche fetali,
possono aver indotto i sanitari ad evidenziare una situazione di grave sofferenza fetale,
si cita: Sindrome d’aspirazione meconiale: “ La sindrome da aspirazione meconiale
(SAM) è un’affezione respiratoria acuta legata al passaggio di meconio nelle vie aree
del neonato prima, durante e/o subito dopo il parto.
Il liquido amniotico tinto di meconio (LAT) si trova nel 15% di tutte le gravidanze: in
circa la metà dei casi il meconio si rinviene in trachea dopo la nascita ma solo il 10%
dei neonati con LAT presenta la sindrome di aspirazione meconiale. La frequenza di
LAT aumenta con l’età gestazionale; così come la prevalenza della SAM che peraltro
è maggiore nei neonati SGA. […] Inoltre, altri disturbi respiratori (tachipnea
transitoria, ipertensione polmonare persistente, polmonite, ecc.) si osservano nel 510% dei neonati con LAT.
Eziopatogenesi. Il meconio è un materiale denso, appiccicoso, di colore tra il nero ed
il verde scuro, che comincia a comparire nell’intestino fetale nel terzo mese di
gestazione. Deriva dall’accumulo di cellule di desquamazione intestinale e cutanea,
mucina, lanugo, vernice caseosa, liquido amniotico e secrezioni intestinali. Si è sempre
ritenuto che il passaggio fisiologico di meconio nel liquido amniotico, che inizia
precocemente nel corso della gestazione, cessasse verso la 20° settimana in
concomitanza con l’innervazione dello sfintere anale. Nel 2003, però, Ramon y Cajal
ha documentato con gli US in 240 feti tra 15 e 41 settimane di gestazione il passaggio
fisiologico di meconio attraverso l’ano, che tende a ridursi con l’approssimarsi del
termine. L’emissione di meconio in utero può rappresentare un evento fisiologico
legato alla maturazione dell’intestino e di peptidi bioattivi (come la motilina)
responsabili della motilità intestinale. Tant’è vero che la presenza di LAT nel
pretermine deve sempre far sospettare una polmonite (per esempio Listeria)
responsabile di liquefazione del meconio. Più spesso, però, rappresenta l’effetto di una
noxa patogena, in genere un insulto anossico: da tempo è noto che condizioni di
ipoafflusso ematico all’utero (obesità, anemia, gestosi, gravidanza protratta,
infezione) si associano spesso a LAT. L’anossia in utero, per effetto della
centralizzazione del circolo (diving reflex), determina una riduzione del flusso ematico
agli organi che tollerano meglio l’ipossia (intestino, reni, polmoni, muscoli) a
vantaggio del cuore e del cervello. D’altra parte, l’ischemia intestinale provoca molto
rapidamente iperperistalsi e rilasciamento dello sfintere anale, con inevitabile
emissione di meconio. Il semplice passaggio di meconio in utero, quindi, si può
considerare uno stadio di sofferenza fetale compensata, in quanto gli organi vitali
sono ancora ben ossigenati: in questa fase, infatti, il pH e la FCF sono normali e il
punteggio di Apgar a 1’ è alto. Se però perdura la noxa asfittica i meccanismo di
compenso vengono meno, come documentato dal calo di pH e dalle alterazioni della
FCF. Si creano così i presupposti per l’inalazione del meconio e l’asfissia alla
nascita,che, anche in questa fase, gioca un ruolo determinante. Senza asfissia alla
nascita, infatti, l’inalazione non si verfica in quanto i fisiologici movimenti respiratori
in utero sono superficiali e la glottide è quasi sempre chiusa; inoltre, nel travaglio, a
preparare i polmoni alla loro funzione, s’instaura un flusso continuo di liquido
polmonare verso l’esterno, che contrasta l’inalazione di liquido amniotico e di
meconio. In presenza, invece, di asfissia, i movimenti respiratori fetali diventano più
profondi con le caratteristiche del gasp e la glottide rimane beante;
contemporaneamente si blocca il meccanismo di clearence del liquido polmonare.
Sono tutti fattori che predispongono all’inalazione già in utero. Probabilmente però,
almeno nella maggioranza dei casi, il meconio al momento del parto si trova in trachea
o, al massimo, nei bronchi principali; solo con i primi atti respiratori, spontaneo o
provocati, tende a scendere nelle vie aree più basse. Nel caso, infine, in cui la noxa
asfissiante sia stata particolarmente grave e prolungata, già in utero si può verificare
un’inalazione diffusa fino alle vie aeree più profonde; sono forme molto rare che si
manifestano subito con un quadro di di grave insufficienza respiratoria e spesso si
concludono rapidamente con il decesso. Il più delle volte, sono i casi in cui l’ipossia
cronica ha provocato un’eccessiva muscolarizzazione dei vasi polmonari, premessa
per una ipertensione polmonare persistente particolarmente grave e tenace. Talora,
nelle forme più gravi, si associa un’infezione intrauterina. Il meconio nei polmoni
altera la funzione respiratoria attraverso diverse modalità:
- Ostruzione delle vie aeree più o meno diffusa e completa a seconda della
quantità inalata. Molto raramente l’aspirazione massiva nelle vie aeree
principali provoca un quadro di asfissia acuta e di cuore polmonare
rapidamente mortale. Quasi sempre la quantità di meconio inalato è modesta e
l’occlusione si verifica a carico delle vie aeree profonde; se questa è completa
provoca atelettasia, quando invece è parziale si stabilisce un meccanismo a
valvola responsabile, almeno in un primo momento, di enfisema.
- Irritazione, già dopo 24-48 ore, a opera soprattutto dei Sali biliari, della parete
bronco alveolare fino a una vera e propria polmonite chimica con infiltrazione
di polimorfo nucleati e macrofagi, edema, distruzione dell’epitelio, essudazione
protinacea e necrosi cellulare. Sembra che il LAT, non il meconio in sé, abbia
una attività chemio tattica verso i polimorfo nucleati mediati dall’IL-8.
- Infezione. Il meconio è sterile, ma rappresenta con la sua componente
mucopolisaccaridica un eccellente pabulum per i batteri. Inoltre, inibisce la
fagocitosi e il burst ossidativo dei polimorfo nucleati. Pertanto il LAT
rappresenta un importante fattore di rischio per l’infezione in utero.
- Broncospasmo a seguito dell’irritazione delle vie aeree.
- Vasocostrizione polmonare e, quindi, ipertensione polmonare persistente,
secondarie all’ipossia e all’acidosi.
- Inibizione e/o spostamento del surfattante dalla superficie alveolare da parte
degli acidi grassi del meconio con conseguente tendenza all’atelettasia e alla
formazione di materiale ialino. Dargaville nel 2001 ha documentato nel liquido
di lavaggio polmonare dei neonati con SAM una maggiore concentrazione,
rispetto ai controlli, degli inibitori del surfattante, a fronte di livelli normalli di
fosfolipidi tensioattivi e SP-A.
Fisiopatologia. L’alternarsi di aree di enfisema e di atelettasia è responsabile di
numerose alterazioni funzionali, tra cui soprattutto l’alterazione del V/Q che, se
prevalgono le atelettasie, assume le caratteristiche dello shunt dx-sn intrapolmonare,
come nella HMD. Ne derivano ipossia e acidosi mista, con ipercapnia e accumulo di
acidi fissi, secondario all’ipossia. Tali alterazioni contribuiscono a mantenere elevate
le resistenze vascolari polmonari e, quindi, a porre le basi per l’ipertensione
polmonare persistente, con shunt dx-sn extrapolmonare. Probabilmente, a tutto ciò
partecipa anche l’enfisema diffuso sia mediante l’aumento della capacità funzionale
residua sia tramite la riduzione del ritorno venoso e, quindi, della gittata cardiaca. La
riduzione della compliance specifica si spiega con la già citata azione del meconio sul
surfattante; alla riduzione della compliance dinamica contribuirebbero sia la ridotta
elasticità polmonare sia l’aumento delle resistenze delle vie aeree, fenomeni legati
entrambi all’azione irritante del meconio. Il volume corrente è ridotto, anche per il
difetto di diffusione secondario alla polmonite chimica, mentre il volume/minuto è
aumentato grazie alla tachipnea.
Anatomia patologica. Nel coniglio l’inalazione sperimentale di meconio provoca in
un primo momento (a 6h), oltre a sporadiche aree di atelettasia, soprattutto
iperespansione; inoltre, il danno iniziale della parete è rappresentato dall’infiltrazione
di polimorfonucleati nei setti alveolari e da perdita delle ciglia nell’epitelio delle vie
aeree. Successivamente (a 24 h) si osserva una diffusione sia delle zone atelettasiche
sia di quelle iperespanse; il danno della parete progredisce con aumento
dell’infiltrazione di polimorfonucleati e presenza di materiale ialino negli alveoli. Alla
fine (48 h) domina il quadro dell’atelettasia diffusa e solo alcuni segmenti polmonari
sono enfisematosi. L’epitelio bronco alveolare appare necrotico, con aumento
dell’infiltrazione di polimorfonucleati. Analogamente, nell’uomo, nelle forme più gravi
arrivate al decesso, le lesioni appaiono come il risultato di un danno meccanico
seguito da una polmonite chimica ingravescente: oltre all’atelettasia si osserva
danneggiamento della parete bronco-alveolare, con essudazione ed emorragia.
Quadro clinico. Varia moltissimo in rapporto alla quantità di meconio inalato e alle
conseguenze dell’eventuale asfissia perinatale concomitante sui vari apparati (SNC,
cuore, reni, ecc.): da forme asintomatiche a quadri, ormai rari, d’inalazione massiva
rapidamente mortali. Nella maggioranza dei casi si tratta di neonati a termine o
postmaturi, spesso con anamnesi di asfissia perinatale, con vernice caseosa, unghie
e cordone ombelicale di colore giallo verdastro per l’impregnazione meconiale.
Questo dipende essenzialmente dalla durata dell’esposizione in utero al meconio:
sono sufficienti 6 ore per le unghie e 12-14 ore per la vernice caseosa. Una sindrome
respiratoria analoga a quella della HMD compare subito dopo la nascita nelle forme
più gravi, più tardivamente nelle altre: dopo 6-12 h quando il meconio si sposta nelle
vie aeree più profonde. E’ caratterizzata da cianosi, tachipnea, segni di dispnea e
rientramenti inspiratori, che sono però meno marcati rispetto alla HMD, data la
maggiore stabilità della gabbia toracica del neonato a termine. Inoltre, il torace
appare iperespanso (a botte), mentre nella HMD è ipoespanso. Non sono rari i segni
dell’asfissia perinatale a carico di diversi apparati, soprattutto del SNC. Nelle forme
più gravi l’asfissia acuta perinatale si aggiunge a quella cronica in utero: sono quelle
in cui si instaura più spesso un’ipertensione polmonare persistente particolarmente
grave e tenace, con tutte le sue conseguenze. Per quanto riguarda le principali
alterazioni emogasanalitiche, l’ipossia è di solito di grado lieve e si corregge con FiO2
medio-basse, se è secondaria soprattutto a ipoventilazione e/o alterazione del V/Q; è
invece grave se coesiste IPP e non si corregge neppure con l’ossigeno ad alte
concentrazioni. Dell’acidosi prevale di solito la componente metabolica; l’ipercapnia,
in genere modesta se è conseguenza dell’alterazione del V/Q, è più grave quando entra
in gioco anche l’ipoventilazione per depressione del SNC. Le complicanze sono
rappresentate principalmente dal pneumotorace e dall’ipertensione polmonare
persistente: il primo presente nel 20% dei pazienti non ventilati meccanicamente,
arriva anche al 40% in quelli in ventilazione meccanica; la seconda è frequente
soprattutto nelle forme più gravi.
Diagnosi. Si basa, oltre che sul rilievo del LAT e del meconio sulla cute del neonato,
sul quadro radiografico del torace, che nella forma tipica mostra iperespansione
polmonare con zone di addensamento grossolane e diffuse. Talora questo aspetto è
limitato al polmone destro o al suo lobo superiore. L’eventuale polmonite batterica si
manifesta con una maggiore estensione delle opacità fino all’opacamento completo di
un intero lobo. Quest’ultimo si verifica, a carico di entrambi i polmoni, associato a
congestione del disegno vasale e cardiomegalia, nelle rare forme di aspirazione
massiva. Sono frequenti raccolte aeree iperdiafane, pseudo cistiche, che possono
rompersi nella cavità pleurica, provocando pneumomediastino e/o pneumotorace. La
normalizzazione del quadro radiografico avviene in genere in 48 ore; raramente è più
lenta, arrivando anche a 10 giorni.
Prognosi. La presenza di LAT si associa, non solo a depressione alla nascita (20-30%
dei casi) ma anche a una maggiore mortalità perinatale (1,5 per mille contro lo 0,3
per mille dei casi senza LAT), legata soprattutto alla SAM. La mortalità per SAM,
appannaggio quasi esclusivo dei casi con grave asfissia perinatale e/o IPP, si aggirava
fino a qualche anno fa intorno al 4%. Wiswell nel 2000 ha documentato con uno studio
controllato che l’aspirazione tracheale accurata subito dopo la nascita nei neonati con
LAT fa crollare la mortalità per SAM allo 0,5%. Tuttora controverso è il valore
prognostico dell’aspetto del meconio, denso (thick) o fluido (thin). Classicamente il
meconio fluido, verde chiaro o giallo, s’interpreta come espressione di un passaggio
fisiologico moderato nel corso della gravidanza. Il meconio denso, verde scuro,
sarebbe invece la conseguenza di un insulto anossico recente durante il travaglio o
poco prima. Probabilmente l’aspetto del meconio è legato soprattutto alla quantità
che ne è passata in utero: tanto questa è maggiore tanto più grave e prolungata è stata
la noxa asfissiante e tanto più gravi saranno le conseguenze a seguito dell’inalazione.
Tra le sequele, è stata osservata un’incidenza di asma bronchiale, o più genericamente
di broncospasmo, maggiore rispetto a quella della popolazione generale.
Profilassi. Prima del parto. Nelle ultime fasi della gravidanza e durante il travaglio il
rilievo di LAT rappresenta un segnale che impone l’assiduo monitoraggio della FCF
e, possibilmente, del pH. In presenza di segni di sofferenza fetale e di meconio denso,
potrebbe essere utile l’amnioinfusione, che consiste nell’introduzione in utero per via
trans cervicale di 1 litro di soluzione fisiologica ogni 6 ore fino all’espletamento del
parto, al fine di diluire il meconio e di correggere il frequente oligoidramnios; in tal
modo si mira anche a prevenire la compressione del cordone e, quindi, la stimolazione
vagale, possibile causa di emissione del meconio e di gasping fetale.
In sala parto. Si basa su:
- aspirazione accurata dell’orofaringe e delle fosse nasali, che in presenza di LAT
va attuata al perineo materno prima del disimpegno delle spalle o, in caso di
taglio cesareo, al tavolo operatorio prima del primo vagito; nella maggioranza
dei casi, infatti, la quantità più rilevante di meconio viene inalata nelle vie aeree
profonde con i primi atti respiratori validi. Anche se uno studio controllato di
Vain, concluso nel 2004, ha dimostrato che tale politica non modifica
sostanzialmente la prevalenza della MAS, la necessità e la durata della
ventilazione meccanica, la durata dell’ossigenoterapia e dell’ospedalizzazione,
la mortalità.
- Aspirazione della trachea, previa intubazione, da riservare ai neonati depressi.
Si raccomanda di utilizzare un tubo oro-tracheale di diametro adeguato (almeno
3,5 mm.) che va collegato direttamente all’aspiratore. Comunque, in assenza di
respirazione spontanea, l’aspirazione tracheale va interrotta al massimo dopo
due minuti dalla nascita, per consentire le manovre di rianimazione
(ventilazione artificiale ed eventuale massaggio cardiaco); solo dopo che queste
hanno avuto successo (colorito roseo e FC > 100 bpm) l’aspirazione può essere
completa.
Terapia. Ha l’obiettivo di combattere l’insufficienza respiratoria e prevenire
l’instaurarsi dell’IPP, minimizzando il rischio di rottura alveolare; inoltre, mira a
correggere i danni della sindrome post-asfittica negli apparati più sensibili. “
NOSTRE CONSIDERAZIONI
Per quanto suriportato si possono stilare le seguenti considerazioni:
- A fronte di una evidentissima sofferenza fetale come da riscontro
cardiotocografico, l'équipe ostetrica non considerava tale evidentissimo dato
quale previsione di outcome fetale sfavorevole, tanto da non ritenere di dover
attivare i sanitari reperibili e quindi ricorrendo tardivamente all’esecuzione del
taglio cesareo, quando ormai le condizioni ossigenative del feto erano
inesorabilmente compromesse. Il feto nasceva senza segni vitali e se ne poteva
constatare il decesso ad un'ora dalla nascita. Pertanto una gestione del
travaglio imperita ed imprudente, poiché carente nella valutazione dei segni di
sofferenza fetale.
Conclusioni
Sulla scorta di quanto esposto, discusso e dimostrato, la condotta sanitaria di chi ebbe
a prendere in carico il caso trattato, risulta censurabile per l’imperita e negligente
omissione dell’approfondimento diagnostico richiesto per il caso specifico.
Nel caso di specie, appare evidente l’esistenza di un nesso di causalità materiale tra la
condotta del Sanitario e gli esiti ad essa collegati, non evidenziandosi circostanze e
cause diverse esimenti la responsabilità del Sanitario in questione.
Nel caso discusso non ricorrono le “speciali difficoltà“, bensì profili di imperizia e
negligenza.
Tale malpractice ha causato la morte della piccola A. e ha gettato nello sconforto i
genitori i quali, ancora oggi, non hanno metabolizzato il lutto: la sofferenza è attuale e
viva, la loro qualità di vita ancora oggi non è quella dei “tempi passati”.