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Maria Felice <[email protected]>
Bollettino Radiogiornale
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5 settembre 2015 16:31
Sommario del 05/09/2015
Il Papa e la Santa Sede
Francesco: Chiesa accolga senza giudicare, c'è posto per tutti
Cellule parrocchiali: annunciare l'amore di Dio cambia la vita
Papa in videoconferenza: vengo negli Usa per stare vicino alla gente
Altre udienze e nomine
Beatificate tre suore martiri. Amato: silenzio su cristiani perseguitati
Il profilo Twitter del Papa oltre i 23 milioni di follower
Oggi in Primo Piano
Germania e Austria aprono frontiere a profughi. Cei: ora altri Paesi
Guatemala: elezioni nel caos dopo lo scandalo corruzione
Giubileo: a Castel Sant'Angelo il villaggio dei pellegrini
Festival. "Marguerite" o la dolce illusione della grandezza
Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
Nella Chiesa e nel mondo
Vescovi irlandesi: no a legge britannica su suicidio assistito
Gli aiuti della Caritas Ungheria per i migranti
Canada. I vescovi: Chiesa in prima linea per la giustizia sociale
Mauritius: pellegrinaggio a tomba di p. Laval dedicato a famiglia
Il Papa e la Santa Sede
Francesco: Chiesa accolga senza giudicare, c'è posto per tutti
◊ Accogliere tutti “senza giudicare nessuno”, perché la Chiesa è “casa paterna”, aperta a “buoni e cattivi” e
c’è posto per tutti. Così Papa Francesco ricevendo in Aula Paolo VI circa 5 mila membri delle Cellule
Parrocchiali di Evangelizzazione, organismo internazionale nato in Italia nella seconda metà degli anni ’80
grazie all’opera di don Piergiorgio ‘PiGi’ Perini, sacerdote milanese. Prima dell’incontro col Pontefice, sul
tema “La gioia del Vangelo è una gioia missionaria”, i ‘cellulini’ hanno partecipato alla Santa Messa
presieduta dall’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova
Evangelizzazione. Presenti i cardinali Stanislaw Rylko, Francesco Coccopalmerio e Paolo Romeo. Il servizio
di Giada Aquilino: Accogliere tutti senza giudicare nessuno
Essere una comunità eucaristica dove “spezzare il pane” equivale a riconoscere la “reale presenza di Gesù
Cristo in mezzo a noi”, testimoniando la “tenerezza” di Dio e la sua vicinanza ad ognuno, “soprattutto a chi è
più debole e solo”. È un invito ad “accogliere tutti senza giudicare nessuno” quello che Papa Francesco ha
lanciato alle Cellule Parrocchiali di Evangelizzazione, organismo riconosciuto dal Pontificio Consiglio per i
Laici nell’aprile scorso, nella solennità della Divina Misericordia, e guidato dallo “zelo sacerdotale” di don
‘PiGi’ Perini:
“Il nostro giudice è il Signore e se ti viene in bocca di dire una parola di giudizio su uno o sull’altro, chiudi la
bocca. Il Signore ci ha dato il consiglio: ‘Non giudicate e non sarete giudicati’. Convivere con la gente con
semplicità, accogliere tutti”.
Perché accoglienza, ha aggiunto, è “offrire l’esperienza della presenza di Dio e dell’amore dei fratelli”:
“L’evangelizzazione sente forte l’esigenza dell’accoglienza, della vicinanza, perché è uno dei primi segni
della comunione che siamo chiamati a testimoniare per avere incontrato Cristo nella nostra vita”.
Lo Spirito Santo spinge a percorrere sentieri poco conosciuti
In Aula Paolo VI, dei 4 mila ‘cellulini’ italiani e dei mille rappresentanti da tutto il mondo ­ tra cui alcuni
provenienti da Cina, Brasile, Nuova Caledonia, Burkina Faso ­ il Papa che da sempre chiede alla Chiesa di
essere aperta, ‘uscire’, farsi prossima a tutti ha ricordato la vocazione ad essere come “un seme mediante il
quale la comunità parrocchiale si interroga sul suo essere missionaria”, sentendo “irresistibile” la chiamata a
“incontrare tutti per annunciare la bellezza del Vangelo”.
“Questo desiderio missionario richiede, anzitutto, ascolto della voce dello Spirito Santo, che continua a
parlare alla sua Chiesa e la spinge a percorrere sentieri a volte ancora poco conosciuti, ma decisivi per la via
dell’evangelizzazione”.
Non avvenga che per custodire gli Statuti perdiate il carisma
Francesco ha quindi spiegato la “condizione” per essere fedeli alla Parola del Signore, cioè rimanere “sempre
aperti” a tale ascolto e avere cura che “non si esaurisca mai per la stanchezza o le difficoltà del momento”:
ciò, ha proseguito, è pure una spinta a superare i “vari ostacoli” che si incontrano nel cammino
dell’evangelizzazione. Ai ‘cellulini’ ha quindi ricordato il riconoscimento dei loro Statuti nella domenica della
Divina Misericordia:
“Gli Statuti aiutano a andare sulla strada, ma quello che fa l’opera è il carisma! Non avvenga che, per
custodire tanto gli Statuti, perdiate il carisma”.
Aiutare la comunità parrocchiale a diventare una famiglia
Come le altre realtà ecclesiali, anche le Cellule aiutano la comunità parrocchiale a “diventare una famiglia” in
cui si ritrova la “ricca e multiforme” realtà della Chiesa:
“Incontrarsi nelle case per condividere le gioie e le attese che sono presenti nel cuore di ogni persona, è
un’esperienza genuina di evangelizzazione che assomiglia molto a quanto avveniva nei primi tempi della
Chiesa”.
La Chiesa è casa paterna dove c'è posto per tutti
Uno stile di vita comunitaria, dunque, facendo dell’Eucaristia il “cuore” della missione di evangelizzazione, in
modo da trovare sempre la forza per proporre la “bellezza” della fede: d’altra parte nell’Eucaristia, ha
proseguito Francesco, facciamo esperienza “dell’amore che non conosce limiti” e diamo il “segno concreto
che la Chiesa è ‘la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa’”:
“La Chiesa è la casa paterna. C’è posto per tutti: per tutti. E Gesù dice, nel Vangelo: ‘Chiamate buoni e
cattivi, tutti, senza differenza’”.
Cellule parrocchiali: annunciare l'amore di Dio cambia la vita ◊ Dei 5mila membri delle Cellule Parrocchiali di Evangelizzazione presenti in Aula Paolo VI, 4mila giungono
da tutta Italia e raccontano di un cammino fatto insieme da anni portando Cristo a chi è lontano.
Un’esperienza che assume diversi volti e abbraccia realtà sociali e familiari, sanando, spesso, anche ferite
che sembravano inguaribili. Sentiamo le voci dei partecipanti nel servizio di Gabriella Ceraso: “La cellula è un incontro”, questo ripetono le migliaia di persone che affollano l’Aula Paolo VI, e intendono un
appuntamento settimanale di preghiera e adorazione, ma soprattutto un avvicinarsi a Dio che è personale,
parrocchiale, comunitario :
R. ­ E’ un incontro di persone. Ci si riunisce e ci si prepara a vivere il mondo esterno, portando la Parola di
Dio ed evangelizzando.
R. ­ Si invoca lo Spirito Santo, che è l’agente principale dell’evangelizzazione; si loda il Signore e si ascolta
la Parola di Dio. Quindi si rinnova la fede, si rinnova la Spirito che è dentro di noi e, facendo poi parte di una
parrocchia, di conseguenza si rinnova anche la parrocchia.
In una parrocchia può accadere che nascano anche 30 cellule, come è successo nella provincia di Vicenza,
dove hanno portato una vera rinascita:
R. ­ Ognuno si è preso un compito attivo nell’edificazione della Chiesa del Signore, che è la parrocchia. Ed è
rinata! Chi nell’ambito della catechesi, chi nella Liturgia, chi magari nella Caritas e nel servizio missionario…
Cellule che cambiano l’esperienza di una vita e anche quella di un quartiere, come succede a Palermo:
R. ­ Noi cerchiamo innanzitutto di diffondere il desiderio di essere più vicini a Gesù Cristo e allo Spirito
Santo, cerchiamo di avvicinare i giovani e anche le donne, cerchiamo di fare qualcosa per i poveri, anche
soltanto la semplice assistenza domiciliare… La soddisfazione? Quando abbiamo cominciato a Messa si
trovavano 20­30 persone, oggi ce ne sono 250.
R. ­ Si ha proprio la consapevolezza che il Signore cammina con noi. Ci sono tante testimonianze di
persone: magari fra marito e moglie non andava bene la relazione, ma è entrato Gesù e quindi entra il
perdono, la riconciliazione, la pace…
Evangelizzare resta la parola chiave e il modello, che ha reso più bello anche l’incontro di oggi, è quello di
Papa Francesco:
R. ­ Significa far conoscere Gesù a chi non lo conosce, perché molto spesso le persone pensano che sia
qualcosa di lontano. Invece è vicinissimo!
R. ­ Questa nuova evangelizzazione parte anche da lui: lui è la testimonianza viva di questo.
R. ­ E’ una giornata meravigliosa, perché sapere che il Santo Padre acconsente a questo nostro tipo di
preghiera è per noi un dono meraviglioso. E’ come se fosse Gesù che ci dice: “Bravi! Andate avanti che così
va bene”.
Quest’anno c’è stato anche il riconoscimento delle cellule: cosa è cambiato?
R. ­ Il riconoscimento delle cellule è un valore aggiunto, diciamo uno stimolo molto importante: se qualcuno
prima aveva qualche dubbio, adesso – con il riconoscimento – è dissipato. Noi accogliamo tutti molto
volentieri”.
Papa in videoconferenza: vengo negli Usa per stare vicino alla gente ◊ Vengo negli Stati Uniti per stare “vicino alla gente” e aiutarla nel “cammino della vita”. Durante una
videoconferenza trasmessa ieri sera (in Italia era notte) dalla rete televisiva statunitense “Abc”, Papa
Francesco ha spiegato con quale animo si appresti al viaggio apostolico che dal 22 al 27 settembre prossimi
lo porterà in America, in particolare a Philadelphia per l’Incontro mondiale delle famiglie. A dialogare a
distanza con il Papa sono stati immigrati e persone vittime di varie forme di disagio sociale. Il servizio di
Alessandro De Carolis: Le voci arrivano ovattate dal canale, anche gli applausi e le esclamazioni di gioia. E anche la commozione
che a un tratto rompe più di un racconto. Papa Francesco sta per andare in visita nella superpotenza
americana, ma i visi che gli arrivano sullo schermo in diretta via via da Chicago, Los Angeles, Texas, non
sono circonfusi di un’aura di successo né le loro testimonianze paiono dei luccicanti spot del sogno
americano.
L’importanza della vicinanza
Papa Francesco si prepara al viaggio negli Stati Uniti ascoltando e benedicendo chi quel sogno non se lo può
permettere – gli ospiti di scuole per i poveri, di centri di accoglienza per senzatetto, immigrati che hanno
ricominciato da zero superando la frontiera col Messico. A loro Francesco spiega i suoi sentimenti della
vigilia, agli ultimi – come predilige – confida il perché del grande viaggio che lo porterà fino alla Casa Bianca
e all’Onu:
“Yo estoy al servicio de todas las Iglesias…
Io sono al servizio di tutte le Chiese e di tutti gli uomini e donne di buona volontà. Per me c’è una cosa molto
importante, che è la vicinanza. Per me è difficile non stare vicino alla gente. Invece, quando mi avvicino alla
gente, come farò con voi, mi è più facile comprendervi e aiutarvi nel cammino della vita. Perciò è così
importante questo viaggio, per avvicinarmi al vostro cammino e alla vostra storia”.
Mai da soli e con coraggio
Da una scuola per emarginati di Chicago gestita da Gesuiti, una giovane, Valery Herrera, rivela al Papa la
durezza di una vita trascorsa combattendo una malattia della pelle e il conforto offertole dalla musica e il
progetto di diventare farmacista. Poi, la domanda: “Cosa si aspetta lei da noi giovani?”. Due cose, le
risponde Francesco. Primo, che i giovani “non camminino mai soli nella vita”, ma che lo facciano “bene
accompagnati”, “nella mano con Gesù” e “nella mano con Maria”. E secondo, che camminino con coraggio:
“Ustedes saben lo triste que es ver…
Sapete quanto è triste vedere un giovane che non è coraggioso? È un giovane triste, un giovane con la
faccia afflitta, un giovane senza allegria. Il coraggio ti dà allegria e l’allegria ti dà la speranza, che è un dono
di Dio, ovviamente. È vero che nel cammino della vita ci sono difficoltà, tante. Non abbiate paura delle
difficoltà! Siate prudenti, siate attenti, ma non ne abbiate paura. Voi avete la forza per sconfiggerle. Non vi
spaventate, non vi fermate”.
Cammina a fronte alta
Torna spesso, nelle considerazioni di Francesco, la parola “coraggio”. Non c’è vicenda ascoltata che non lo
richieda come dote indispensabile per sopravvivere. E allora tocca il cuore l’affetto e l’ammirazione che il
Papa dimostra verso una ragazza madre e una delle sue figlie, Alisa, di 11 anni:
“Sos una mujer valiente…
Sei una donna coraggiosa perché sei stata capace di portare queste due figlie al mondo. Avresti potuto
ucciderle nel tuo grembo, ma hai rispettato la vita, hai rispettato la vita che cresceva dentro di te e questo
Dio te lo premierà, e te lo premia. Non ti devi vergognare, cammina con la fronte alta: ‘Io non ho ucciso le
mie figlie, le ho portate al mondo’. Mi complimento con te. Mi complimento con te e che Dio ti benedica”.
Tutti siamo responsabili di tutti
Il collegamento si sposta verso sud, nel Texas, dove la polvere di una terra calda e arida è l’oasi bramata da
migliaia di migranti che arrivano al confine. Uno di loro, Ricardo, immigrato a 4 anni, spiega a Francesco
come sia dovuto diventare l’uomo di casa già a 16 anni per via di un incidente occorso al padre. “Con tutti i
problemi che ci sono nel mondo, come la povertà, il nostro sistema educativo, l’immigrazione, secondo lei –
chiede al Papa – qual è la soluzione a questi problemi?”. Quando guardo alle “molte ingiustizie della vita”,
risponde Francesco, penso all’“ingiustizia più grande della storia”, la Croce di Gesù – “nato in mezzo alla
strada”, “nato come un senzatetto” – e penso al suo “silenzio” sulla Croce. In quel silenzio il Papa dice di
comprendere ogni dramma del mondo, al quale ripete che “lo sfruttamento dell’uno sull’altro non è un
cammino”:
“Todos estamos creados para la amistad social…
Tutti siamo creati per l’‘amicizia sociale’. Tutti abbiamo la responsabilità di tutti. Nessuno può dire ‘la mia
responsabilità arriva fin qui’. Tutti siamo responsabili di tutti, aiutandoci nel modo che ciascuno può.
L’amicizia sociale è il motivo per cui Dio ci ha creati (...) Parlando in termini calcistici io potrei dire che la
partita si gioca tra ‘amicizia sociale’ e ‘inimicizia sociale’. E la scelta la deve fare ciascuno di noi nel suo
cuore e noi dobbiamo aiutare a fare questa scelta con il cuore”.
Fuga dalla morte
La conclusione della videoconferenza è un apprezzamento per il lavoro – “grandioso” lo definisce Francesco
– compiuto dalle religiose negli Stati Uniti ed è un grazie a un gruppo di studenti di Chicago che gli regalano
un Crocifisso. Ma è soprattutto l’ascolto intenso riservato a Wendy, bimba di 11 anni, giunta in Texas con
sua mamma dal Salvador per fuggire dalla violenza delle bande. Il pianto della bambina, che mostra una foto
al Papa, scandisce il racconto della sua odissea e alla fine Francesco la ringrazia. Anche in quei singhiozzi
che hanno dimenticato l’infanzia c’è l’eco del silenzio di Dio.
Altre udienze e nomine
◊ Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, i cardinali Marc Ouellet,
prefetto della Congregazione per i Vescovi, e Gerhard Ludwig Muller, prefetto della Congregazione per la
Dottrina della Fede. Quindi, ha ricevuto mons. Sérgio da Rocha, arcivescovo di Brasilia, presidente della dei
vescovi del Brasile, accompagnato dal vicepresidente, mons. Murilo Sebastião Ramos Krieger, arcivescovo
di São Salvador da Bahia, e dal segretario generale, mons. Leonardo Ulrich Steiner, ausiliare di Brasília.
Papa Francesco ha nominato nunzio apostolico in Svizzera e nel Principato di Liechtenstein l’arcivescovo
Thomas E. Gullickson, finora nunzio apostolico in Ucraina.
Il Sinodo dei Vescovi della Chiesa Patriarcale Armena riunito a Roma, avendo ricevuto il previo assenso
pontificio, ha canonicamente eletto l’arciprete Kévork (Georges) Assadourian vescovo ausiliare dell’Eparchia
Patriarcale di Beirut degli Armeni, in Libano. Gli è stata assegnata la sede Titolare di Amida degli Armeni. Il
neo presule è nato il 29 aprile 1961 a Kamichlie, in Siria, ha frequentato la scuola parrocchiale e quindi ha
proseguito gli studi nel Convento di Notre Dame de Bzommar in Libano, in vista del sacerdozio. Inviato a
Roma, presso il Pontificio Collegio Armeno, ha studiato filosofia e teologia alla Pontificia Università
Angelicum e Teologia Pastorale alla Pontificia Università Lateranense. Ordinato sacerdote il 3 ottobre 1986
nella sua città natale, ha poi ricoperto i seguenti incarichi in Libano: Vice­rettore del seminario di Bzommar,
Vicario e Parroco della parrocchia di S. Elia a Beirut, Economo del Convento di Bzommar, Parroco della
chiesa dell’Annunciazione nella Capitale libanese. È stato anche direttore della Caritas della parrocchia
dell’Annunciazione e ha lavorato presso la radio cattolica Sawt El Mahabba. Dall’agosto del 2007 esercita il
ministero pastorale di parroco a Parigi, nell’Eparchia armeno­cattolica di Francia. Mons. Assadourian
collabora con la sezione armena della Radio Vaticana con una rubrica settimanale di “meditazioni”.
Il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Taiohae, nelle Isole Marchesi,
presentata per raggiunti limiti di età da mons. Guy Chevalier, Congregazione dei Sacri Cuori. Al suo posto, il
Pontefice ha nominato mons. Pascal Chang­Soi, appartenente al medesimo Istituto religioso, coadiutore
della medesima Diocesi.
Papa Francesco ha nominato membri della Pontificia Commissione per l'America Latina i cardinali: Daniel
Fernando Sturla Berhouet, arcivescovo di Montevideo (Uruguay), José Luis Lacunza Maestrojuán, vescovo
di David (Panamá), nonché mons. Andrés Stanovnik, arcivescovo di Corrientes (Argentina).
Beatificate tre suore martiri. Amato: silenzio su cristiani perseguitati
◊ La Chiesa ha tre nuove Beate: sono tre suore spagnole dell'Istituto di San Giuseppe di Gerona, uccise in
odio alla fede durante la guerra civile spagnola nel 1936. Il rito di beatificazione si è svolto a Gerona, nella
Catalogna: a rappresentare il Papa, c’era il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause
dei Santi. Il servizio di Sergio Centofanti: Suor Fidela Oller, suor Josefa Monrabal Mantaner e suor Facunda Margenat erano tre infermiere dell’Istituto
di San Giuseppe di Gerona, fondato nel 1870 dalla venerabile María Gay Tibau: avevano scelto di dedicare
tutta la loro vita all’assistenza dei malati. In loro vedevano il volto di Gesù in croce. Tre suore semplici,
“donne del popolo” con nessuna missione politica in mente – ha affermato il cardinale Amato – coinvolte nella
sanguinosa persecuzione anticristiana che colpì la Spagna nell’estate del 1936, durante la quale furono
uccisi più di diecimila cattolici, tra cui oltre seimila tra vescovi, sacerdoti e religiosi, assassinati solo perché
religiosi. Più del 70% delle Chiese spagnole vennero distrutte.
La loro vita si svolgeva nell’anonimato delle corsie degli ospedali e nelle case dove i malati chiedevano cure
e conforto: li portavano “con sacrificio e con gioia – ha detto il porporato ­ Non facevano il male, ma solo il
bene. Erano innocenti. Non erano una minaccia per nessuno”. La violenza e l’odio della persecuzione ha tolto
la loro vita dal silenzio. I miliziani repubblicani, d’ispirazione marxista, seviziano e uccidono le tre suore
nell’agosto del 1936: suor Fidela ha 67 anni, suor Facunda 60, suor Josefa 35. Tutte e tre muoiono
perdonando i loro assassini. Sono tra le prime martiri della guerra civile spagnola. Il cardinale Amato ricorda
così la loro morte:
R. ­ All'inizio della persecuzione del 1936 i miliziani entrarono nel convento, espulsero le religiose e
distrussero la casa, bruciando la cappella con tutto quello che vi si trovava, quadri, immagini, libri. Suor
Josefa si rifugiò presso i suoi familiari, facendo venire Madre Fidela, anch'essa in pericolo. La notte del 28
agosto del 1936 i miliziani prelevarono le due Suore portandole vicino al villaggio di Xeresa, dove le
seviziarono e uccisero.
D. – E suor Facunda?
R. ­ Suor Facunda rimase, invece, in casa di un ammalato grave, Joaquín Morales Martín, su richiesta della
famiglia di quest'ultimo. La portinaia dello stabile, però, denunciò la sua presenza ai miliziani, i quali, la sera
del 26 agosto del 1936, la prelevarono, la scaraventarono giù per le scale e la trascinarono ferita e
sanguinante fino al camion. Portata a un posto defilato, chiamato Ippodromo, la assassinarono. Sono queste
le storie di tre donne umiliate e offese dalla follia dei carnefici. L'essere umano, quando non è guidato dalla
luce della verità, perde la ragione e commette azioni ignobili.
D. – Cosa vuole celebrare la Chiesa con questa Beatificazione?
R. ­ La madre Chiesa celebra queste sue figlie eroiche non per rancore o per vendetta verso i loro carnefici,
ma per rendere grazie a Dio per il coraggio della loro testimonianza. Esse ebbero la sapienza di considerare
la vita terrena come il preludio alla vita eterna.
D. – Anche oggi i cristiani sono perseguitati…
R. ­ Ancora in questi nostri giorni i cristiani sono la minoranza più perseguitata del mondo, ma sono quelli di
cui i media parlano di meno. Alcune statistiche riportano che i cristiani uccisi a causa diretta o indiretta della
loro fede sono oltre centomila all'anno: uno ogni cinque minuti. Questo ci ricorda che i cristiani sono chiamati
in ogni epoca a dare una testimonianza di fedeltà e di coraggio. Non si tratta — almeno per quelli che vivono
in società libere e pacifiche — della testimonianza suprema, con il sacrificio cruento della propria vita. Si
tratta piuttosto della testimonianza quotidiana e feriale di fedeltà a Gesù, di comunione con lui, di ascolto
della sua parola di vita e di verità.
D. ­ Quale messaggio le tre martiri consegnano alle loro consorelle sparse nel mondo?
R. ­ Alle tante Suore di San Giuseppe di Gerona sparse nel mondo — in Spagna, Ruanda, Venezuela,
Messico, Colombia, Italia, Francia, Argentina, Guinea Equatoriale, Camerun, Repubblica Democratica del
Congo, Ecuador, Perù — le martiri ricordano di rimanere fedeli ai valori umani e cristiani del carisma di
fondazione dell'Istituto: rispetto della vita, attenzione integrale al malato, testimonianza evangelica integrale.
Sono valori forti che richiedono fatica quotidiana e sacrificio continuo. Sono valori, però, che costituiscono il
miglior antidoto contro il virus micidiale della pigrizia, dell'indifferenza, della disumanità.
Il profilo Twitter del Papa oltre i 23 milioni di follower
◊ Ha superato quota 23 milioni di follower l’account Twitter di Papa Francesco “@Pontifex”. In particolare,
9.700 mila follower sono iscritti al profilo papale di lingua spagnola, mentre quelli che lo seguono in lingua
inglese sono poco meno di 7 milioni. Circa 3 milioni seguono il profilo Twitter del Papa in lingua italiana.
Oggi in Primo Piano
Germania e Austria aprono frontiere a profughi. Cei: ora altri Paesi
◊ Vienna e Berlino hanno aperto le frontiere ai profughi che in migliaia stanno lasciando l’Ungheria a piedi o a
bordo di pullman per giungere in Germania e Austria. Le autorità tedesche stimano di accogliere oggi fino a
10mila migranti, in gran parte siriani. Non si placa, intanto, lo scontro politico, con Budapest che accusa
l'Unione Europea e la Germania per il caos che si sta verificando in Ungheria. La polizia austriaca riferisce
che al confine gli autobus vengono fermati da parte ungherese e i profughi devono attraversare la frontiera a
piedi, nonostante la disponibilità austriaca a farli arrivare direttamente ai treni o ai campi di accoglienza.
Da parte sua, la cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha detto che “il diritto fondamentale all'asilo politico non
prevede una limitazione del numero di richiedenti asilo": come "Paese forte ed economicamente in salute
abbiamo la forza di fare ciò che è necessario". Tuttavia ha precisato che i migranti che non hanno una
concreta possibilità di ricevere il permesso per rimanere – non essendo riconosciuti come profughi ­ dovranno
tornare nei loro Paesi. Nel frattempo, anche il Regno Unito assicura accoglienza per 4mila rifugiati siriani.
Sull’importante decisione di Austria e Germania di aprire le frontiere, ascoltiamo il commento di mons. Gian
Carlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes della Cei, al microfono di Fausta Speranza: R. ­ È certamente un segnale molto importante che va verso la direzione del superamento degli accordi di
Dublino e nella direzione ­ soprattutto ­ della libera circolazione nel contesto europeo dei richiedenti asilo e
rifugiati, quindi un segnale molto positivo di un’Europa che non ha perso la solidarietà. Certo è un segnale
che dovrebbe essere rafforzato da parte di tutti i Paesi europei e soprattutto da parte dei Paesi dell’Est
Europa che in questo momento sembrano essere quelli più restii ad un discorso di apertura e di attenzione a
un riconoscimento del diritto d’asilo in maniera più allargata. Speriamo che nei prossimi giorni, soprattutto
nell’incontro del 14 settembre prossimo in Europa, anche sulla base di quella proposta del presidente del
Consiglio d’Europa Juncker, di allargare a 160mila almeno l’accoglienza in Europa delle richieste d’asilo e
suddividerle nei diversi Paesi, si dia ancora una volta un segnale di un’Europa che non ha dimenticato la
solidarietà.
D. ­ Solidarietà …può esserci un contagio?
R. ­ Può e deve essere un contagio, anche perché soltanto la solidarietà salva l’Europa, nata abbattendo i
muri, favorendo la libera circolazione di merci e di persone. Non si vorrebbe che questa si fermasse in questa
costruzione di se stessa, proprio in un momento in cui questa libera circolazione e questa apertura interessa
soprattutto chi è in fuga dalla guerra, dai disastri ambientali e da persecuzioni politiche e religiose.
D. ­ Però finché si tratta di solidarietà espressa singolarmente dai vari Paesi ancora non si costruisce una
risposta vera europea. E così le istituzioni sono chiamate a programmare interventi per esempio di
ricollocamento o comunque interventi su scala sovranazionale… è vero?
R. – Certamente un impegno nazionale ci deve essere; ci deve essere un‘organizzazione da parte di tutti gli
Stati europei di un piano nazionale asilo di prima accoglienza e di seconda accoglienza ma questo
programma nazionale deve certamente entrare in un’unica programmazione di un asilo europeo che non può
fermarsi agli accordi di Dublino 3.
Guatemala: elezioni nel caos dopo lo scandalo corruzione
◊ Urne aperte questa domenica in Guatemala, dopo le dimissioni dell’ex presidente Otto Pérez Molina, ora in
carcere, travolto da uno scandalo di corruzione che ha coinvolto anche l’ex vicepresidente. Circa sette milioni
e mezzo i guatemaltechi chiamati ad eleggere il nuovo capo di Stato. Cresce, intanto, nel Paese,
l’indignazione per la diffusione della corruzione nei settori chiave della classe dirigente, mentre gli indigeni
protestano per il mancato rinvio delle elezioni: un voto che li trova impreparati, data la situazione di
emergenza, e che li lascerà ancora ai margini della vita politica. Alessandro Filippelli ha intervistato Mario
Mancini, presidente del Movimento laici America Latina (Mlal): R. – A partire dallo scandalo di maggio di corruzione di un governo già accusato sin dall’inizio del mandato di
violazione dei diritti umani, che pesavano sul passato di Otto Pérez Molina. Ricordiamo che lui era generale
durante la guerra del conflitto armato in un Paese con gravissimi problemi di insicurezza e tra i più corrotti del
continente. L’evolversi di queste vicende ha portato a delle dimissioni inevitabili in una scena politica del
tutto frammentata, e priva di una istituzionalità che possa condurre a delle elezioni utili a ristabilire la
democrazia. In pochissimi giorni sono venuti fuori quindici candidati, tutti di piccoli partiti o aggregazioni che
rappresentano interessi molto particolari.
D. – Con queste elezioni quale svolta è possibile per il sistema democratico del Guatemala?
R. – La fretta di convocare queste elezioni porterà ad un caos ulteriore. Per cui la mancanza di una struttura,
di partiti politici stabili e strutturati e le motivazioni di questa crisi politica non faranno altro, secondo me, che
generare ulteriore caos e instabilità di fronte a una popolazione che si troverà sicuramente davanti a delle
scelte obbligate ma anche poco chiare.
D. – L’ex presidente, Pérez Molina, aveva fatto della lotta corruzione il proprio cavallo di battaglia in
occasione della sua elezione del 2011. Promesse che non sono state mantenute. Al contempo sono venute
fuori accuse molto pesanti…
R. – Ricordiamo che Pérez Molina si è candidato con un partito patriota per rispondere alle fortissime
esigenze nell’opinione pubblica guatemalteca di sicurezza. Ripeto: il Guatemala è uno dei Paesi più violenti
del continente e tra i più violenti al mondo. Per cui faceva presa quel messaggio di un ex militare che tra
l’altro è accusato di crimini di guerra anche dalla Cia, dal governo degli Stati Uniti, ed era nella lista delle
persone accusate all’epoca del crimine di genocidio guatemalteco.
D. – Oltre al problema della corruzione, bisogna ricordare la condizione di estrema povertà che vive una parte
del Paese. Secondo lei, le elezioni sono anche un’occasione per dare voce ai loro disagi?
R. – Secondo me, no. Infatti negli ultimi vent’anni dopo la guerra è stato il sintomo di una rottura strutturale,
che esiste in questo Paese del Centro America dilaniato da profonde disuguaglianze. Un incontro mai
avvenuto tra una popolazione indigena, che rimane ai margini ed esclusa, e di una élite di potere. Le elezioni
non sono state la soluzione – non dico che non debbano esserlo, anzi il contrario. Ma in questo modo, con
poca strutturazione di un sistema politico, che dia voce reale alle popolazioni escluse. Anche in questo caso,
ritengo che gli indigeni non siano rappresentati e non abbiano potere per far riconoscere la propria voce.
Ricordiamo il fatto che Pérez Molina, già quattro anni fa, era un generale accusato di genocidio: per cui molta
popolazione indigena si sente lontana da questi processi che non li rappresentano.
Giubileo: a Castel Sant'Angelo il villaggio dei pellegrini
◊ Un villaggio per i pellegrini a Castel Sant'Angelo, la riscoperta della Via Francigena e il potenziamento delle
strutture sanitarie della città di Roma. Queste alcune delle decisioni prese nella riunione di preparazione per il
Giubileo straordinario della Misericordia, che si è svolta al Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione
presieduto da mons. Rino Fisichella. Il servizio di Michele Raviart: Accoglienza, sanità, mobilità. Queste, spiega mons. Rino Fisichella, le priorità organizzative per l’imminente
Anno Santo. Dopo l’incontro tra istituzioni vaticane, prefettura ed enti locali, il presule si è detto fiducioso che
“che per l’8 settembre Roma e l’Italia saranno certamente pronti per questo grande evento mondiale”. Un
villaggio per l’accoglienza dei pellegrini sarà costruito con delle tecnostrutture nei viali sopra i giardini di
Castel S. Angelo, che saranno riqualificati. L’area è stata concessa all’Opera Romana Pellegrinaggi che
allestirà anche dei punti di informazione sui percorsi giubilari e punti di distribuzione di cibo e acqua. I
pellegrini potranno arrivare a Roma riscoprendo la storica Via Francigena, nella quale confluiranno anche la
Via Francescana e il Cammino di San Benedetto, come spiega Nicola Zingaretti, presidente della Regione
Lazio:
“Uno degli auspici del Santo Padre è quello di avere un Giubileo fatto appunto di 'cammino del pellegrino', che
passa anche per la riscoperta dei tanti percorsi religiosi che ospita la nostra regione e la nostra città, tra cui
la riscoperta straordinaria della Via Francigena, che è proprio il sentiero del pellegrino per eccellenza”.
I luoghi principali di arrivo saranno le stazioni della Metro Cipro, Ottaviano e Lepanto, che insieme alla
stazione ferroviaria di San Pietro, saranno collegate alla Basilica Vaticana attraverso percorsi pedonali
diversificati. Il sindaco di Roma Marino sottolinea l’esigenza di rafforzare tutte le misure di sicurezza, in
particolare nella Stazione Termini, e il controllo dello spazio aereo, con la collaborazione del Governo e del
Viminale. Procedono poi secondo i piani i cantieri per adeguare 12 ospedali romani e l’acquisto di nuove
ambulanze. Sui finanziamenti, si sta valutando come ottenere nuove risorse dopo i primi 50 milioni di euro
già sbloccati.
Festival. "Marguerite" o la dolce illusione della grandezza
◊ Xavier Giannoli porta in concorso a Venezia "Marguerite": il ritratto di una donna fragile, soprano dalle mille
stonature e moglie innamorata, che si difende dal male del mondo barricandosi in una magnifica illusione. Da
Venezia, Luca Pellegrini: L'impervia coloratura della prima aria della Regina della Notte del "Flauto magico" mozartiano per lei,
Marguerite, ai suoi orecchi, è una meravigliosa, superba sfida vocale, che sente di aver vinto per l'applauso
degli amici. Ma per chi l'ascolta, invece, quella è soltanto una raffica impietosa di note stonate, ululati che
mortificano il genio di Salisburgo e le ragioni dell'arte musicale. In questo contrasto insanabile risiede tutta la
forza drammatica del film di Xavier Giannoli, uno dei più belli sino ad oggi presentati alla Mostra veneziana.
Assai liberamente ispirandosi alla cantante americana Florence Foster Jenkins, vissuta nella prima metà del
secolo scorso, il regista francese non ne ricostruisce la biografia, ma coglie di quel personaggio i risvolti
umani per riflettere su molti temi attinenti all'amore, all'innocenza, al rapporto con l'opera d'arte, all'anelito
verso un mondo migliore. Immersa nella cultura dadaista francese degli anni '20 – tra nobili compiacenti e
anarchici sovversivi, servi adulatori e cantanti falliti – Marguerite, ricchissima, interpretata da una splendida
Catherine Frot, attira a se brame e invidie, ma il suo candore estremo e la sua illusione caparbia la
preservano, in fondo, dal male degli uomini, che possono essere ipocriti, rapaci e bugiardi. Abbiamo chiesto
a Giannoli chi è per lui davvero Marguerite:
R. – Ce qui est très touchant et très…
Quello che è molto commovente, e molto umano nel destino di questa donna, è il suo amore per la grande
musica, per il genio dei grandi musicisti e come, allo stesso tempo, essa sia limitata per l’assenza totale di
talento nel canto. Credo che il suo anelito alla bellezza, all’amore, al sublime, e insieme la sua difficoltà a
riconoscere che non è quello che crede di essere, i propri limiti, è qualcosa della vita dell’uomo che mi
commuove e che mi interessa.
D. – Ma è anche una grande storia d’amore…
R. – C’est aussi une grande histoire d’amour!…
E’ anche una grande storia d’amore! Infatti, ascoltando la voce di questa donna all’inizio viene voglia di
ridere: la sua voce si spezza, è un caos vocale – è stato terribile durante le riprese, mi faceva tanto ridere
quando cantava… Allo stesso tempo, quello che il film vuole esprimere è che le incrinature nella sua voce
sono il segno delle incrinature del suo corpo, del suo cuore, e che al di là dell’ilarità che provoca essa
esprime una profonda umanità, una grande solitudine e un grande bisogno d’amore.
D. – Qualche volta nella vita non ci accorgiamo delle nostre stonature: ecco, Marguerite ci insegna che è
meglio vivere credendoci intonati?
R. – C’est le sujet du film: on a tous besoin d’illusions pour vivre…
E’ proprio questo l’argomento del film: abbiamo tutti bisogno di illusioni, per vivere… Poi, questo mi pone una
domanda molto importante, avendo ricevuto un’educazione cristiana – il prossimo film che farò parlerà
proprio di questo – ed è: a cosa possiamo credere ancora? Che sia credere che cantiamo bene o credere che
ci sia qualcosa dopo la morte o credere che l’amore sulla Terra sia possibile… Questi sono i temi ricorrenti in
tutti i miei film.
D. – Secondo lei, perché Marguerite alla fine ascoltandosi muore, proprio nell’ascoltare la sua voce?
R. – Pour moi, elle ne meurt pas. Pour moi…
Per me, lei non muore. Per me, una volta di più – forse è il cristiano che è in me che parla – diventa eterna,
perché muore come i grandi personaggi dell’Opera che lei ha sempre sognato di essere e questo la rende
eterna.
Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
◊ Nella 23.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il Vangelo in cui Gesù guarisce un
sordomuto. La gente, piena di stupore, dice:
“Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti”.
Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti: Gesù viene dalla regione di Tiro, dove ha guarito la figlia della donna siro­fenicia, in pieno territorio della
Decàpoli pagana dove i demoni hanno libertà di torturare gli uomini e di sfigurarli, ed è in cammino verso la
Galilea. Gli presentano un sordomuto “e lo pregano di imporgli la mano”. Sembra che non vogliano altro dal
Signore, solo un gesto di compassione, una benedizione… Gesù invece prende Lui l’iniziativa per ridare a
quest’uomo tutta la sua dignità. Lo prende in disparte, lontano dalla folla, a tu per tu, “gli pose le dita negli
orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse:
‘Effatà’, cioè: ‘Apriti’”. Un insieme di gesti che ritroviamo nella prassi battesimale: è ciò che il battesimo
realizza nella vita dell’uomo. Il sordomuto – che senza parola e senza ascolto rimane escluso dalla
comunità, povero e solo, – rende bene la condizione dell’uomo senza Dio. Per quante cose uno possa avere,
per quanto successo, per quante persone possa avere attorno…, tutto rimane attorno…, al di fuori di lui.
Questo “Io” ha bisogno di un “Tu”, di una comunione sponsale. L’uomo, chiuso in se stesso per la sua
profonda paura della morte, nella sua solitudine esistenziale, ha bisogno della parola di Cristo: “Apriti”, “Vieni
alla luce”. Il battesimo è il dono di sé che Dio fa all’uomo, perché l’uomo esca dalla sua solitudine e dalla sua
paura e diventi dono a Dio ed ai fratelli. L’Eucaristia viene a compiere questa parola: Dio si incontra con noi e
noi troviamo i fratelli, la comunità cristiana, l’umanità intera.
Nella Chiesa e nel mondo
Vescovi irlandesi: no a legge britannica su suicidio assistito
◊ Anche i vescovi irlandesi scendono in campo contro il progetto di legge sul suicidio assistito che la
Camera dei Comuni del Regno Unito si appresta a votare il prossimo 11 settembre. Presentata da Rob
Marris, la proposta normativa mira a rendere possibile, per i malati terminali adulti, la scelta di porre fine alla
propria vita con una specifica assistenza medica. E quindi ciò implica la possibilità, per i medici, di iniettare
farmaci letali ai pazienti malati terminali per portarli al suicidio.
Progetto di legge distruttivo e pessimistico, contrario a cultura della vita
In una nota indirizzata ai fedeli dell’Irlanda del Nord, che appartiene al Regno Unito, l’arcivescovo Eamon
Martin, Primate irlandese, informa di aver inviato una lettera di membri nord­irlandesi del Parlamento,
chiedendo loro di “opporsi all’approccio alla vita così distruttivo e pessimistico presentato nel progetto di
legge” in questione. Di qui, l’appello del presule a “tutti i cattolici dell’Irlanda del Nord affinché si impegnino
attivamente, sia in quanto battezzati che come cittadini, nella promozione della cultura dell’amore, della cura,
del rispetto e della tutela di ogni vita umana”. Non solo: mons. Martin esorta espressamente i fedeli ad
“incoraggiare i parlamentari ad opporsi alla proposta normativa”.
Vita umana è sempre preziosa. Affermare il contrario è grande menzogna “La vita di ogni persona umana – ribadisce il Primate irlandese – è ugualmente preziosa, in qualunque
condizione si trovi”, perché ogni esistenza umana è “degna di essere vissuta, degna della nostra massima
cura e protezione fino alla morte naturale”. Richiamando, poi, quanto detto da Papa Francesco nel Messaggio
per la 23.ma Giornata mondiale del malato, l’arcivescovo di Armagh afferma: “Quale grande menzogna
indurre le persone a credere che le vite gravemente affette da malattia non sarebbero degne di essere
vissute!”
Medicina sia a servizio della dignità umana, non una minaccia all’esistenza
“Nell’esortare i cattolici e gli altri di opporsi a questo progetto di legge – continua mons. Martin – chiedo loro
di affermare, con fiducia e gioia, che il futuro dell’umanità non è nella cultura della morte e della distruzione
deliberata del’altro, ma nella cultura della vita e della cura di ciascuno, in cui la medicina e la scienza siano
al servizio della dignità umana e non una minaccia per la nostra stessa esistenza”. Per questo, il presule
mette in guardia dalla “implicazioni umane, morali, sociali e mediche” del progetto normativo, che risultano
essere “di vasta e profonda portata”.
I parlamentari si oppongano al progetto di legge
La nota si conclude con un ulteriore richiamo “ai cattolici ed a tutti coloro che credono nella dignità e nel
valore propri di ogni vita umana, a tutti i livelli”, affinché “si informino sull’importanza dei valori in gioco in
questo dibattito, preghino per il progresso di una cultura della vita e della cura reciproca nella nostra società e
contattino i propri parlamentari per chiedere loro di opporsi all’approvazione del progetto di legge, in favore di
futuro più umano ed etico” per tutta l’umanità. (I.P.)
Gli aiuti della Caritas Ungheria per i migranti
◊ Oltre mille bottiglie d’acqua e più di 4mila kg di kit igienici e di vestiario: sono le cifre degli aiuti portati dalla
Caritas Ungheria ai migranti che in questi giorni cercano rifugio nel Paese. Oltre 3mila quelli che hanno
raggiunto l’Ungheria negli ultimi giorni. “La Caritas ungherese – si legge in una nota – ha siglato nel 2013 un
accordo di cooperazione con l’Ufficio Immigrazioni nazionale” e quindi “visita regolarmente tutti i campi per i
rifugiati, portando loro aiuto”.
Attenzione speciale per i migranti minorenni
“Cerchiamo di dare un’attenzione speciale agli immigrati minorenni – continua la nota – offrendo loro
assistenza in un Istituto per l’infanzia situato a Fót, con il quale la Caritas ha siglato un accordo nel mese di
luglio. Ai migranti minorenni offriamo kit igienici, abiti, cibo”. Inoltre, i centri diocesani Caritas del Paese
collaborano tra loro per facilitare l’arrivo di aiuti umanitari ai rifugiati: ad esempio, la diocesi di Vác ha
contribuito con una casa prefabbricata in legno, da mettere a disposizione dei migranti arrivati a Fót, mentre
la diocesi di Veszprém ha trasportato, nei campi profughi, oltre un milione di tonnellate di cibo per bambini.
Aiuti anche ai migranti nella stazione di Budapest
Naturalmente, conclude il comunicato, dati i recenti avvenimenti di cronaca che vedono molti migranti salire
sui treni a Budapest per tentare di raggiungere la Germania ed il Nord Europa, “la Caritas Ungheria sta
portando aiuto anche nelle zone di transito e quindi anche nei pressi della stazione ferroviaria della capitale”.
(I.P.)
Canada. I vescovi: Chiesa in prima linea per la giustizia sociale
◊ “Una Chiesa in cerca di giustizia: Papa Francesco interpella la Chiesa in Canada”: si intitola così il
documento pubblicato dalla Commissione episcopale per la Giustizia e la pace canadese, nel quale si ricorda
che “sin dal momento della sua elezione a Vescovo di Roma, il Santo Padre ha conferito all’insegnamento
sociale cattolico una precisione ed un’urgenza che l’anno reso uno dei punti­chiave del suo pontificato”.
Calare il magistero del Papa nella realtà quotidiana
Il documento episcopale affronta, quindi, temi come forti come “la dignità umana, le leggi sul lavoro, la guerra
e la pace, l’esclusione e l’isolamento” sociale, il tutto per “evidenziare l’interesse ed il richiamo di Papa
Francesco a lottare per la giustizia”. Non solo: offrendo anche “delle riflessioni specifiche per il contesto
canadese”, i presuli mirando a creare dei collegamenti tra “il magistero di Papa Francesco ed alcuni problemi
di giustizia sociale presenti nel Paese”, tra i quali: le comunità autoctone, l’eutanasia, l’accoglienza di
rifugiati, i lavoratori stranieri temporanei, la disoccupazione giovanile, la vendita di armi e le missioni di pace,
le industrie minerarie canadesi all’estero, gli aiuti internazionali, la povertà, la tutela dell’ambiente e la
nozione di bene comune.
Dottrina sociale della Chiesa deriva dal Vangelo
Al contempo, i presuli canadesi invitano i fedeli ad “ascoltare la voce di Papa Francesco ed a mettere in
correlazione i suoi insegnamenti con il mondo in cui vivono, ovvero sul lavoro, in parrocchia, in comunità,
pensando soprattutto alle persone che si trovano maggiormente in difficoltà”. Per il Pontefice, infatti, “la
dottrina sociale della Chiesa, che si occupa dei poveri e di tutti coloro che soffrono, così come dell’ingiustizia
economica, della guerra e della pace, deriva direttamente dal Vangelo proclamato da Cristo” e quindi “ritorna
costantemente e con forza sulla giustizia e la misericordia, nell’ambito della fedeltà a Cristo”.
Contrastare la globalizzazione dell’indifferenza
Infine, la Chiesa di Ottawa sottolinea come il Papa sappia donare un volto ai poveri, grazie ai suoi gesti ed
alle sue visite pastorali: “Indicando persone reali e situazioni precise – concludono i vescovi canadesi – il
Santo Padre sottolinea l’urgenza del momento attuale e chiede una risposta energica ed appassionata per
contrastare la globalizzazione dell’indifferenza”. (I.P.)
Mauritius: pellegrinaggio a tomba di p. Laval dedicato a famiglia
◊ “Padre Laval benedici la nostra famiglia”: con questa preghiera, nel cuore e sulle labbra, i fedeli delle
Mauritius compiranno, martedì 8 settembre, il loro pellegrinaggio annuale alla tomba del Beato padre
Giacomo Laval, evangelizzatore del Paese. Vissuto alla metà dell’800, padre Laval fu soprannominato
“l’Apostolo dei neri” perché si dedicò alla cura ed alla predicazione della Parola di Dio tra la popolazione
indigena delle Mauritius, che era stata appena liberata dalla schiavitù, ma abbandonata a se stessa. Oggi, le
spoglie del Beato – il primo beatificato da Giovanni Paolo II nel 1979 ­ riposano a Saint­Croix, poco distante
dalla capitale, Port­Louis.
La costruzione della società parte dalla valorizzazione della famiglia
Quest’anno, dunque, il pellegrinaggio è dedicato al tema della famiglia, perché – si legge sul sito della diocesi
di Port­Louis – “si vuole dare voce ai cattolici che hanno ribadito il ruolo centrale della famiglia nella
trasmissione della vita e, di conseguenza, della fede e degli altri valori umani”. Padre Laval, vedendo la
società mauriziana marchiata dalla schiavitù, “incoraggiò molti schiavi affrancati, che vivevano da concubini,
a regolarizzare la loro situazione matrimoniale”, consapevole del fatto che “la ricostruzione di una società
basata sul disprezzo e sulla violenza, passava necessariamente dalla valorizzazione e dal consolidamento di
relazioni umane rispettose e sane, nella vita familiare”.
Tutte le famiglie, anche quelle ferite, sono degne di essere benedette
L’invito della Chiesa delle Mauritius è, quindi, rivolto a tutte le famiglie affinché partecipino al pellegrinaggio
anche in preparazione al 14.mo Sinodo generale ordinario sul tema “La vocazione e la missione della famiglia
nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”, in programma in Vaticano dal 4 al 25 ottobre prossimi. “Tutte le
famiglie mauriziane – si legge ancora sul sito – siano esse coppie appena sposate o di lunga data, fragili o
ferite, separate o divorziate, o anche famiglie monoparentali, tutte sono degne di essere benedette”.
Appello per un pellegrinaggio “ecologico”
Al contempo, la diocesi di Port­Louis esorta i fedeli a compiere “un pellegrinaggio ecologico”, tutelando
l’ambiente, in un’ottica di “solidarietà e rispetto reciproco”. Di qui, l’invito, ad esempio, a non gettare a terra
bottiglie o buste di plastica e a non portare con sé oggetti che danneggino il Creato, “nostra casa comune”.
Ad inaugurare il pellegrinaggio sarà, alle ore 18.00 dell’8 settembre, una Santa Messa nella Cattedrale di
Port­Louis. Subito dopo, partirà la processione verso la tomba del Beato Laval. Alle 20.30, è prevista la
Messa solenne conclusiva presieduta da mons. Maurice Piat, vescovo della città. (I.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 248
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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di
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