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INDICE Prefazione, di Frank Rich Introduzione The Secret Way to War – Scorciatoia per la Guerra Perché il memorandum conta Il memorandum, la stampa e la guerra Postfazione Appendice Introduzione Il memorandum di Downing Street Sette documenti collegati PREFAZIONE E’ difficile non pensare a Quel che resta del Giorno, di Kazuo Ishiguro, quando si legge cosa ha scritto Danner sul memorandum di Downing Street. Ishiguro racconta di un maggiordomo durante la seconda guerra mondiale, che in Inghilterra, a margine degli eventi ufficiali, ricostruisce frammento dopo frammento la storia della collaborazione del suo Lord con i tedeschi. Danner allo stesso modo, partendo da una riunione segreta della classe dirigente britannica alla vigilia di un’altra guerra, ci stuzzica suggerendocene l’interpretazione, finché, come il maggiordomo, non arriviamo a mettere insieme la storia di un complotto orchestrato per lanciare America e Gran Bretagna in una guerra d’opportunità in Iraqe sulla base di false premesse. Le analogie con Ishiguro però finiscono qui, perché a differenza di quel narratore, tragicamente limitato nella sua visione, Danner comprende a fondo le implicazioni di ogni pezzo del puzzle e ce le racconta nelle pagine che seguono tracciando la storia di questa “scorciatoia per la guerra” con acume devastante. Il memorandum di Downing Street, pubblicato per la prima volta sul Sunday Times di Londra il 1° maggio 2005, consiste nella trascrizione dell’incontro tra il Primo Ministro Blair ed i massimi esponenti della sicurezza nazionale e degli affari esteri britannici, tenutasi nel luglio del 2002 e vi si racconta, ad esempio, come “C”, capo dei Servizi inglesi, faccia rapporto sulle sue recenti missioni a Washington e sulle riunione tenutevi con le controparti americane: nonostante le pubbliche dichiarazioni per cui si sarebbe andati in guerra contro l’Iraq “solo come ultima risorsa” , l’Amministrazione Bush aveva già deciso da mesi di prendere le armi ad ogni modo, racconta “C”. L’unica cosa che mancava era un pretesto, un modo per vendere la guerra, ed a questo proposito Washington era allora impegnata in una campagna mediatica per vedere se “fatti e prove” si potevano “sistemare in funzione della linea politica”. Quelle prove e quei fatti, neanche a dirlo, riguardavano tutti le armi di distruzione di massa di Saddam, cioè il miglior casus belli ostensibile, per quanto (ma lo sappiamo oggi) inconsistente. Da questo memorandum, e da quella frase in particolare ( che intelligence e fatti stavano venendo organizzati in funzione della linea politica), discende più o meno tutta la sordida storia di come si sia arrivati alla guerra:si capisce meglio perché agli ispettori fu impedito di terminare il loro lavoro in Iraq (come invece chiedevano Blix ed ogni alleato americano eccetto l’Inghilterra); perché il cosiddetto White House Iraqi Group si impegnò tanto a rendere pubbliche certe informazioni di intelligence scelte ad hoc (ed infondate) che non provenivano dai canali tradizionali (la cabala di Cheney e Runsfeld come la chiamò L.Wilkerson, ex chief of staff di Powell); ma ci appare più chiara anche l’egregia presentazione multimediale di quei fatti e di quelle prove, ormai “ organizzati in funzione della linea politica”, con cui proprio Powell portò all’attenzione del Consiglio di Sicurezza ONU e del mondo intero l’enorme minaccia delle armi irachene, ultima di una serie di rivelazioni “sempre più preoccupanti” le chiama Danner, fatte alla stampa dal governo Bush per descrivere all’approssimarsi della guerra uno scenario decisamente apocalittico; per non parlare del caso Valerie Plame Wilson, che dimostra quanto la Casa Bianca fosse pronta a punire chiunque avesse voluto rivelare fino a che punto quei fatti e quelle prove erano stati manipolati. Visto a posteriori in realtà, gran parte di questa strategia è sempre stata sotto gli occhi di tutti, e tuttavia la stampa americana, che fu in gran parte disposta a bersi qualsiasi “prova” sulle armi di Saddam, non fu proprio altrettanto pronta a correggersi, quando, dopo l’invasione, cominciarono ad emergere le prime verità: proprio come il pubblico la maggioranza dei media americani visse con travaglio l’immediato dopoguerra ed era soprattutto desiderosa di voltare pagina. Così quando il memorandum uscì in Inghilterra nessuna grande testata americana si precipitò a pubblicarne il testo completo o anche solo a commentarne il contenuto. L’onere toccò dunque al The New York Review of Books, che però registrò anche il punto di vista difensivo e distaccato della cosiddetta stampa liberale, rappresentata nell’ epistolare che troverete qui di seguito tra Danner e Micahel Kinsley, già primo editorialista del Los Angeles Times. Come prediceva Danner ad ogni modo, da quando il memorandum fu pubblicato negli Stati Uniti, il numero di americani convinti che il Presidente e l’Amministrazione abbiano deliberatamente “fuorviato il pubblico americano prima della guerra” è costantemente cresciuto settimana dopo settimana, ed alla fine anche la stampa, arrivata alla stessa conclusione del pubblico, sta cercando di ricostruire ogni capitolo di questa doppia storia, per quanto tardivamente. Comunque sia, come già per il caso delle torture ad Abu Ghraib, Danner è stato tra i primi a saper distinguere tra la realtà dei fatti e le fantasie da Alice nel Paese delle Meraviglie che il governo americano e la sua ben oliata macchina di propaganda vorrebbero farci credere; e nessuno, neanche lontanamente, l’ha fatto con la sua precisione e la sua arguzia. - FRANK RICH INTRODUZIONE RES IPSO LOQUITUR ho pensato la prima volta che mi caddero gli occhi sul cosiddetto Memorandum di Downing Street: le cose parlano da sole. Si tratta di due pagine e mezzo di resoconto di una riunione che ebbe luogo nel luglio del 2002 al 10 di Downing Street ed in cui il Primo Ministro Blair ed il suo “gabinetto di guerra” discussero dell’imminente attacco all’Iraq; la prima cosa che ti colpisce nel leggerlo però è la sua chiarezza, quasi scioccante, l’immagine cristallina che riflette delle più alte cariche americane ed inglesi e della loro condotta quasi otto mesi prima che le bombe cadessero su Bahghdad ed i carriarmato entrassero in Iraq: c’è ad esempio il capo dell’Intelligence britannica, appena sceso dall’aereo, che riporta di come a Washington la guerra sia considerata come inevitabile, di come sarà giustificata con la congiuntura del terrorismo e delle Armi di Distruzione di Massa ma soprattutto racconta di come intelligence e fatti stanno venendo organizzati in funzione della linea politica. Poi c’è il Ministro degli Esteri, che prima puntualizza la situazione, Il margine (per andare in guerra) ad ogni modo è stretto, Saddam non sta minacciando i suoi nemici e la sua disponibilità ADM1 è inferiore alla Libia, al Nord Corea od all’Iran, e poi suggerisce il modo di aggirare il piccolo inconveniente appena esposto, dovremmo lavorare ad un piano per imporre un ultimatum a Saddam sul rientro degli ispettori ONU. Aiuterà anche per una giustificazione legale dell’uso della forza. A questo punto il Primo Ministro coglie al volo l’idea del piano, e ne conviene: il rifiuto di Saddam ad ammettere gli ispettori ONU farebbe una grossa differenza, legalmente e politicamente. Il memorandum continua più o meno su questi toni ed in neanche due pagine e mezzo di impeccabile prosa da public school britannica è riassunta tutta la riunione e la storia di come Stati Uniti e Gran Bretagna arrivarono a far guerra all’Iraq. La prima volta che uscì, 1° maggio 2005, leggerlo fu sorprendente: dio benedica chi lo fece avere al Sunday Times: certo la gola profonda voleva senza alcun dubbio colpire Blair in vista delle elezioni, ma poco importa, il documento rimane assolutamente autorevole ed indipendentemente da come sia arrivato alla stampa, res ipso loquitur. Poveri noi però, viviamo in un epoca, quest’era post 11 settembre, la cui caratteristica principale è esattamente che le cose non parlano da sole: passavano i giorni ed il memorandum, che in Gran Bretagna aveva fatto venire i brividi a molti, negli States passò invece più o meno inosservato; la stampa americana quasi non coprì la notizia, e chi lo fece adottò un atteggiamento assolutamente difensivo. Nessun giornale addirittura ritenne di dover pubblicare il documento per intero, così qualche giorno dopo telefonai a Robert B. Silvers, co-editore del New York Review of Books e gli suggerii di mandare in stampa il memorandum. Questi accettò e mi chiese anche di scrivere un piccolo saggio che lo accompagnasse, a quel saggio poi fecero seguito alcune lettere di risposta ( da uno dei maggiori reporter di Washington ed anche da un saputello molto conosciuto che si crede esperto di politica) ed a queste le mie repliche, così alla fine il N.Y. Review si ritrovò a pubblicare tre saggi invece di uno ed in più questo piccolo libro, che raccoglie i tre saggi e tutti gli otto documenti ufficiali del governo britannico che ne sono l’argomento, compreso il memorandum di Downing Street vero e proprio. Considerato che più che sul memorandum in se i miei pezzi sono incentrati sulle reazioni che ha provocato, il volume che avete tra le mani può essere tranquillamente considerato un libro sullo scandalo con cui cominciò questa guerra e sulle dinamiche con cui è venuto a galla. Più precisamente ne vedrete lo sviluppo ed i movimenti principali d’affermazione e reazione, l’esempio perfetto d’uno dei tratti caratteristici della nostra epoca: il fatto che gli scandali sopravvivano alla loro scoperta. All’ombra dell’11 settembre e nel crepuscolo permanente che gli ha fatto seguito, ci troviamo a vivere nell’Era dello Sandalo Congelato, come mi piacce chiamarla. Dal Watergate in poi avevamo fatto l’abitudine ad un preciso ritmo di pubblica rivelazione ed indagine che sembra essere sparito: il ciclo rivelazione – inchiesta - espiazione con cui gli scoop giornalistici davano il via ad indagini parlamentari che diventavano processi in cui i responsabili venivano puniti, beh questo ciclo oggi, sotto la pressione della guerra e d’un governo a partito unico, ha fatto cortocircuito e ci siamo abituati ad un ciclo nuovo, in cui alla rivelazione del malaffare segue…un 1 Ndt: d’ora in poi nel testo sta per Armi di Distruzioni di Massa. bel niente, o piuttosto niente a parte il riconoscimento pubblico dello scandalo in questione. Le inchieste ufficiali, quando ci sono, tendono ad essere estremamente circoscritte, implicitamente (come nel caso delle torture perpetrate da soldati statunitensi, in cui le indagini sono state affidate ai militari ed hanno ampiamente escluso la questione delle responsabilità politiche) ma anche esplicitamente, come per l’appunto riguardo al caso delle intelligence sulle ADM irachene, per le quali il Senate Intelligence Commitee ha si aperto un fascicolo, ma nel frattempo ha ufficialmente escluso dalle proprie competenze il modo in cui queste informazioni furono usate dall’Amministrazione, rimandando a divinis questo filone d’indagine. Tuttavia noi siamo costretti a vivere con la consapevolezza che ci deriva da rivelazioni come il memorandum, ed intanto pare che l’espiazione politica di questo malaffare dovrà attendere ancora. L’argomento di questo libro dunque non è tanto il memorandum di Downing Street e quello che svela, quanto il modo in cui gli americani, il pubblico ma soprattutto la stampa, ci stanno facendo i conti; in questo senso più che un libro su cosa è accaduto lo definirei un libro su cosa sta accadendo. Affrontando l’argomento mi è stata di grande aiuto l’ottima tradizione di certamen del N.Y. Review, i cui editori incoraggiano fortemente ogni autore ad incrociare gli argomenti con i lettori ed i commentatori del loro lavoro. E’ grazie a questa tradizione che The Secret Way to War può forse dimostrare più che descrivere lo strano processo per cui un’informazione fondamentale per la vita pubblica del paese viene rivelata e negata al tempo stesso, portata alla luce e contemporaneamente ricacciata nell’ombra. In parte è per questa ragione che ho deciso di lasciare più o meno inalterati i miei pezzi e le risposte, per inserirli così come apparvero la prima volta. Mentre scrivo, quasi tre anni dopo l’inizio della guerra, gli americani ancora non hanno una risposta ufficiale ed autorevole sul perché il loro paese si sia lanciato in un conflitto del genere per distruggere armi che alla fine non sono mai esistite. Forse riuscirà ad ottenere un’indagine ufficiale il senatore Harry Reid, democratico del Nevada e capo dell’opposizione al senato, che il 1 novembre 2006 ha costretto l’assemblea a riunirsi a porte chiuse per protestare contro l’eccessivo temporeggiamento del Senate Intelligence Commitee nel cominciare la “fase II” delle indagini, promessa da così tanto 1. Come leggerete nella mia piccola postfazione, credo che riguardo questo argomento forse dovremmo attendere un ampio e profondo cambiamento nelle dinamiche politiche stesse del nostro paese prima di poter avere delle risposte. Staremo a vedere. Non mi rimane che ringraziare Michale Shae, che ha curato questo volume, Rea Hedermann che lo ha pubblicato, e gli editori e lo staff del N.Y. Review of Books, che mi hanno incoraggiato a scrivere i piccoli saggi che leggerete e li hanno seguiti durante tutto il processo di stampa. Ringrazio anche il mio impareggiabile assistente Joshua Jelly-Shapiro, per il suo aiuto fondamentale nelle ricerche necessarie a questo volume e per i molti commenti astuti che mi ha offerto alle prime versioni del testo. Un ringraziamento particolare va a Robert B. Silvers, il mio storico editore, che ha messo a disposizione il suo entusiasmo senza eguali, la sua determinazione e la sua cultura: questo lavoro non sarebbe stato possibile senza di lui . 1 Ndt: Mantenere il senato in assemblea chiusa, nel sistema americano, equivale a paralizzarne i lavori: è una modalità di riunione prevista per i rappresentanti ma né votazioni né provvedimenti ufficiali di alcun tipo possono avere luogo o essere promulgati finché l’aula è in sessione a porte chiuse. La “Fase II” fa riferimento al secondo troncone di indagine promesso in principio dalla Commissione per i Servizi, per intenderci quello che avrebbe dovuto individuare le responsabilità politiche per la manipolazione delle intelligence. Tra le molte cose che mi insegno mio padre, il dr. Robert Danner, c’è come si legge un giornale: con scetticismo, sempre con scetticismo. Con le sue parole e con il suo esempio ha sempre insistito nel dimostrarmi che l’essenza di un vero cittadino sta nel non smettere mai, per qualsiasi motivo, di fare domande ed esigere risposte. Con amore e gratitudine dedico a lui questo piccolo libro. -MDD gennaio 2006 THE SECRET WAY TO WAR -SCORCIATOIA PER LA GUERRAcosì come apparso sul New York Review of Books il 9 giugno 2005 Era il 16 ottobre 2002, il Congresso aveva appena autorizzato il Presidente a muovere guerra all’Iraq e G.W. Bush, presentandosi ai parlamentari ed ai membri dl suo gabinetto che erano per l’occasione riuniti nella East Room della Casa Bianca, aveva l’atteggiamento austero di un leader che espone francamente a dei liberi cittadini le gravissime scelte che il loro paese potrebbe trovarsi a fare. Il centosettesimo Congresso disse, era appena diventato “uno dei pochi chiamati dalla storia ad autorizzare un’azione militare che difenda il nostro paese e la causa della pace.” Tuttavia, si affrettò ad aggiungere, che nessuno si concludesse che la guerra era invitabile. Anche se “il Congresso ha autorizzato l’uso della forza” disse il Presidente con enfasi, “ io non ho ancora dato un ordine simile. E spero che non si renda necessario”. Il Presidente proseguì: “il nostro obiettivo è rimuovere completamente ed una volta per tutte una seria minaccia per la pace mondiale e per l’America. Fortunatamente questa è una cosa che può essere fatta anche senza un intervento militare. Tuttavia se l’Iraq vuole scongiurare questo pericolo , non può che accondiscendere a tutte le richieste che il mondo intero gli fa. Per l’Iraq, è una scelta obbligata.” Il Presidente disse che l’Iraq aveva ancora il potere di prevenire la guerra, “dichiarando ed eliminando tutte le sue armi di distruzione di massa” – in caso contrario, avverti, gli Stati Uniti “ come ultima risorsa, sarebbero scesi in battaglia”. Chiaramente quasi nessuno si stupì quando gli iracheni risposero all’ordine del Presidente ripetendo che in realtà non c’era alcuna arma di distruzione di massa. Oggi sappiamo che gli iracheni avevano veramente già distrutto quelle armi, probabilmente anni prima dell’ultimatum di Bush: per dirla insomma con le parole di David Kaye, ispettore capo USA agli armamenti, “gli iracheni stavano dicevano la verità”. Mentre gli americani vedono combattere i loro giovani, uomini e donne, nel terzo anno della sanguinosa guerriglia irachena (che fin’ora ha ucciso più di 1.6001 americani e decine di migliaia di iracheni) hanno tempo per riflettere su una domanda che fino ad ora non ha trovato risposta: che cosa sarebbe successo se agli ispettori ONU fosse stato permesso di completare il loro lavoro così come, Regno Unito a parte, auspicavano caldamente tutte le maggiori potenze? Che cosa sarebbe successo se agli ispettori fosse stato permesso di provare, prima che gli USA scendessero in battaglia, quello che in seguito documentarono Kaye ed i suoi colleghi? Una risposta parziale a questa domanda la troviamo in un memorandum2 teoricamente segreto ma apparso a Londra sul Sunday Times dell 1° maggio 2005 sgoccioli della campagna elettorale inglese. Il documento contiene il resoconto d’una riunione che l’inquilino di Downing Street tenne con i vertici della sua politica estera e della sicurezza nazionale, e dimostra come il Presidente Bush, nonostante nell’ottobre 2002 avesse raccontato agli americani che “sperava non fosse necessario l’uso della forza” aveva in realtà già fatto la sua scelta almeno tre mesi prima ed aveva scelto “l’ultima risorsa”: “scendere in battaglia”. Qualunque cosa gli iracheni avessero deciso di fare o non fare la decisone del Presidente era già stata presa da tempo. 1 A gennaio 2006 il numero degli americani morti in Iraq è passato a 2000. Il lettore troverà il testo integrale del memorandum infra, insieme ad alti sette documenti interni e riservati del governo britannica [nota in calce aggiunta] (ndt: la nota è dell’autore). 2 Nel luglio dl 2002, il 23, otto mesi prima dunque, che americani ed inglesi attaccassero, alcune altissime cariche del governo ebbero una riunione con Tony Blair per discutere il caso Iraq: l’evento fu molto simile ad un principals meeting1 americano e mise insieme Goeffrey Hoon, Ministro della Difesa, Jack Straw, Ministro degli Esteri, Lord Goldsmith, procuratore generale2, John Scarlett, capo del Joint Intelligence Commitee3 e che solitamente consiglia il Primo Ministro, Sir Richard Dearlove, noto anche come “C” e capo dell’MI6 (l’equivalente della CIA), David Manning, omologo dell’americano consigliere per la sicurezza nazionale, l’Ammiraglio Sir Michael Boyce, capo del Defence Staff 4(o CDS, organo equivalente all’americano Chairman of Joint Chiefs), Jonathan Powell, capo del personale di Blair, Alastair Campbell, director of strategy (il consigliere per politica e P.R.) e Sally Morgan, portavoce del governo. La riunione comincia con un breve riassunto di Scarlett sulle informazioni d’Intelligence dall’Iraq, in particolare viene descritto un regime brutale e fondato sulla più profonda paura, dunque l’unico modo per rovesciarlo sembra essere una massiccia operazione militare. “C” invece fece rapporto sulla sua visita a Washington e le riunioni che vi tenne con Gorge Tenet (suo omologo alla CIA) e con altri ufficiali. Vale citarne per intero il passaggio seguente: C : rapporto sulle sue recenti missioni a Washington. Registrato un sensibile cambiamento d’orientamento: l’intervento armato è ora considerato come inevitabile. Bush vuole rimuovere Saddam attraverso un’azione militare, giustificandola con la congiuntura del terrorismo e con le Armi di Distruzione di Massa. Ad ogni modo intelligence e fatti stanno venendo organizzati in funzione della linea politica. L’NSC5 ha poca pazienza per l’opzione ONU e nessun entusiasmo circa la pubblicazione di qualsiasi materiale che riguardi l’analisi del regime iracheno. A Washington non si è discusso granché dello scenario post-bellico. Letto col senno di poi, questo paragrafo traccia uno schema preciso per il futuro, stabilendo i punti seguenti: 1. già per la metà di luglio 2002, otto mesi prima che cominciasse la guerra dunque, il Presidente Bush aveva deciso di invadere ed occupare l’Iraq; 2. Bush aveva deciso di giustificare la guerra con la congiuntura del terrorismo e con le Armi di Distruzione di Massa; 3. ancora intelligence e fatti stanno venendo organizzati in funzione della linea politica; 4. molti, al vertice dell’amministrazione , non avevano intenzione di cercare l’approvazione dell’ONU; 5. a Washington pochi sembravano interessati a considerare il dopoguerra. Sappiamo da tempo, grazie a Bob Woodward ed altri, che la pianificazione bellica dell’affare Iraq cominciò il 21 novembre 2001, dopo che il Presidente ebbe ordinato al Segretario alla Difesa Rumsfeld di definire lo sforzo necessario per difendere l’America e per rimuovere, se inevitabile, Saddam Hussein. Lo stesso Rumsfeld ed il generale Tommy Franks, responsabile del Comando Centrale, cominciarono a delineare i particolari dell’operazione con alcuni alti ufficiali nella primavera-estate 2002. In verità gia pochi giorni dopo la riunione di Londra, sul New York Times e sul Washington Post apparvero alcune indiscrezioni circa specifici piani per un possibile attacco 1 Ndt: Riunioni dei presidenti di commissione, anche se non c’è equivalenza tra questi organi politici e le nostre commissioni parlamentari. 2 Ndt: l’Attourney General è, in UK, il consigliere reale e del governo per gli affari legali, la carica esiste dal sec XIII, 3 Ndt: Joint Intelligence Commitee, in UK, è la commissione di controllo sui servizi segreti interni e militari. 4 Ndt: Simile al Capo di Stato Maggiore italiano. 5 Ndt: National Security Council, Consiglio di Sicurezza Nazionale. all’Iraq. Quello che il memorandum di Downing Street conferma per la prima volta è che, non più tardi del luglio 2002 il Presidente Bush aveva già deciso di rimuovere Saddam, che la guerra era considerata come inevitabile e che rimanevano da stabilire solo le modalità e l’alibi politico, la giustificazione, vale a dire la sistemazione di intelligence e fatti in funzione della linea politica; il documento inoltre ha il merito di mostrarci chiaramente la gerarchia decisionale di entrambi i paesi coinvolti. Al più tardi nel luglio 2002 quindi la guerra era già stata avallata e la questione su cui discutere era piuttosto come giustificarla, come organizzare quello che Blair avrebbe descritto in seguito come “il contesto politico”. Nello specifico, come abbiamo visto, Bush, in luglio, ha già deciso l’intervento, ma non s’era ancora risoluto a servirsi delle ispezioni ONU, ed anzi, come “C” fa notare, il Consiglio di Sicurezza Nazionale, cioè i massimi funzionari governativi in materia di sicurezza, “ha poca pazienza per l’opzione ONU e nessun entusiasmo circa la pubblicazione di qualsiasi materiale che riguardi l’analisi del regime iracheno: un atteggiamento questo che sarebbe cambiato in seguito soprattutto a causa delle preoccupazioni di tutti i signori riuniti al 10 di Downing Street. Dopo un breve intervento dell’Ammiraglio Boyce sull’aspetto tattico dell’operazioni e sui piani che al momento erano in discussione; dopo qualche parola del Ministro della Difesa sulla probabile tabella di marcia – il periodo più adatto per le operazioni, secondo gli USA, sarebbe gennaio, cominciando 30 giorni prima delle elezioni per il Congresso - è il Ministro degli Esteri Straw a prendere la parola ed entrare subito nel vivo della discussione: non si tratta di decidere se attaccare o meno l’Iraq, ma come giustificare l’attacco: Ministro degli Esteri afferma che ne discuterà con Colin Powell questa settimana. Anche se la tabella di marcia non è ancora stata definita, appare chiaro che Bush si è deciso per l’azione militare. Il margine ad ogni modo è stretto. Saddam non sta minacciando i suoi nemici e la sua disponibilità ADM1 è inferiore alla Libia, al Nord Corea od all’Iran. Come giustificare un intervento militare allora, visti i punti appena esposti? Al Ministro Straw venne un’idea: Dovremmo lavorare ad un piano per imporre un ultimatum a Saddam sul rientro degli ispettori ONU. Aiuterà anche per una giustificazione legale dell’uso della forza. Gli inglesi compresero subito a quanto pare d’aver bisogno “d’aiuto” per giustificare un intervento simile, anche perché, come sottolineò piuttosto seccamente il Procuratore Generale, il desiderio di un cambio di regime non è una base legale per azioni militari, e cioè che non basta la volontà di abbattere la leadership d’un qualsivoglia stato sovrano per rendere legale un’invasione, al contrario. Inoltre, aggiunge il Procuratore, dei tre possibili scenari che permetterebbero un’azione militare, autodifesa, intervento umanitario, oppure autorizzazione dell’ CSNU2[Consiglio di Sicurezza dell’ONU ]. La prima e la seconda (opzione) non sono applicabili nella fattispecie. In altre parole l’Iraq non stava attaccando né gli USA né la GB e dunque i rispettivi governi non potevano dichiarare d’agire per autodifesa, né il regime stava al momento perpetrando alcun genocidio, cose che esclude anche l’opzione dell’intervento umanitario3. A conti fatti 1 Ndt: d’ora in poi per Armi di Distruzione di Massa. UNSC: United Nations Security Council. 3 Un movente umanitario ad esempio, avrebbe potuto essere addotto quale casus belli nel 1988, quando il regime iracheno portava avanti la sua campagna d’Anfal contro i kurdi. Al tempo però l’amministrazione Regan, al cui interno c’erano già molti degli uomini che avrebbero in seguito organizzato l’invasione, rimase piuttosto silenziosa soprattutto in virtù dell’appoggio che stava fornendo a Saddam nella sua guerra contro l’Iran. Il secondo bagno di sangue 2 l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza ONU risultava essere l’unica strada praticabile per rimanere nella legalità. Ma come ottenerla? Entra a questo punto in scena il Primo Ministro Blair, che rispondendo alla proposta del Minstro degli Esteri circa l’ultimatum ed il rientro degli ispettori, ammette che la mossa, politicamente, potrebbe fare la differenza, ma solo nel caso in cui il leader iracheno non rispettasse l’ultimatum: Primo Ministro afferma che il rifiuto di Saddam ad ammettere gli ispettori ONU farebbe una grossa differenza, legalmente e politicamente. Il collegamento tra ADM ed il regime è nel fatto che sia il regime a produrle […]Con l’appropriato contesto politico la gente supporterà il cambio di regime. I punti chiave sono il buon esito del piano militare ed una strategia politica che gli conceda lo spazio per funzionare. Vengono anche introdotti gli ispettori nel progetto, ma come un mezzo per ottenere il casus belli mancante: se si fosse riuscito a far approvare dal CSNU un ultimatum sulla riammissione degli ispettori che Saddam avesse rifiutato, americani ed inglesi avrebbero avuto la loro giustificazione per andare legalmente in guerra, come dalla terza opzione del Procratore Generale. L’idea di utilizzare gli ispettori, non fu dunque presa in considerazione per evitare la guerra, come invece ha più volte ripetuto il Presidente Bush agli americani, ma per renderla possibile. La guerra era già stata decisa, si trattava in quel momento di creare “l’appropriato contesto politico”, per dirla con Blair. La strategia politica, considerato che il collegamento tra ADM ed il regime è nel fatto che sia il regime a produrle, doveva essere abbastanza forte da consentire il buon esito del piano militare; e cioè: una volta vinta la guerra si sarebbe giustificata da sola. Esisteva però un problema: fece notare il Ministro degli Esteri che sul piano politico ad ogni modo potrebbero esserci divergenze GB/USA. Se per gli inglesi un fondamento legale per questa guerra era cosa indispensabile – in fondo, a differenza degli americani, sono membri della Corte Internazionale per i Crimini di Guerra – non era affatto lo stesso per gli americani. Mr. Straw suggerì che, date le resistenze americane dovremmo discutere l’ultimatum nei dettagli. Il Ministro della Difesa Hoon fu più diretto, ed aggiunse: Ministro della Difesa dice che se il Primo Ministro vuole la partecipazione militare del Regno Unito, bisogna deciderlo con debito anticipo. Fa notare che molti negli USA non considerano necessario il passaggio dell’utimatum e che sarebbe dunque importante per il Primo Ministro accordarsi con Bush sul contesto politico. Appare chiaro a questo punto che la chiave del negoziato, quello vero, non è la trattativa fra Saddam e l’ONU circa la riammissione degli ispettori, ed anzi si sperava che questa naufragasse, quanto quella tra gli americani, che avevano mostrato delle “riserve” tout-court sul coinvolgimento dell’ONU, e gli inglesi che i loro cari cugini si procurassero almeno una foglia di fico di legalità prima d’attaccare l’Iraq. Tre settimane dopo, il Ministro Straw arrivò nell’Hempton per “discutere nei particolari il punto dell’ultimatum” col Segretario di Stato Powell, forse l’unico tra le alte perpetrato dal regime ebbe luogo nel 1991, quando le truppe di Hussein intervennero contro gli sciiti che erano insorti nel sud del paese approfittando della sconfitta di Saddam nella Guerra del Golfo: la prima amministrazione Bush, nonostante il presidente Gorge H.W. incitasse gli iracheni a “sollevarsi contro il dittatore Saddam Hussein” anche in quell’occasione decise di non fare nulla, pur disponendo di migliaia di soldati americani già dislocati a poche miglia dal luogo dei massacri. Cfr. Ken Roth, War in Iraq: not a humanitarian intervention (Human Rights Watch,- Osservatorio dei Diritti Umani, gennaio 2004) . cariche americane a condividere alcune delle preoccupazioni inglesi. Come Straw disse al Segretario, dal resoconto che ne fa Woodward1: se veramente pensate di andare in guerra e volete che noi inglesi facciamo la nostra parte, si può fare solo se decidete di passare per l’ONU. La forte pressione britannica per “l’opzione ONU”, tanto malvista dalla maggior parte della gerarchia americana, fu un appoggio fondamentale per Powell nella sua battaglia burocratica per portare l’affare alla Nazioni Unite. Il 26 agosto il vicepresidente Cheney, durante un discorso ad una convention di veterani aveva pubblicamente denunciato l’opzione ONU, affermando che semplicemente non esiste dubbio alcuno che Saddam Hussein possegga Armi di Distruzione di Massa, così come non c’è dubbio che le stia ammassando per usarle contro i nostri amici,contro i nostri alleati e contro di noi. Cheney avanzò anche l’ipotesi che presentare il problema all’ONU fosse di per se pericoloso: L’eventuale ritorno degli ispettori non garantirebbe alcuna obbedienza alle risoluzioni ONU ed anzi potrebbe produrre l’impressione che Saddam abbia in qualche modo “abbassato la cresta2” Cheney, com’egli altri “falchi” dell’Amministrazione, temeva l’opzione ONU, ma non per paura che fallisse quanto invece che funzionasse, evitando così una guerra che invece si era deciso di dover combattere. Racconta Woodward che fu necessaria una visita personale di Blair alla Casa Bianca, il 7 settembre, per persuadere definitivamente il Presidente a non scavalcare le Nazioni Unite: Il dilemma immediato di Blair era: si passerà o meno per l’ONU ? Contemporaneamente il Primo Ministro era consapevole che la stessa domanda diventava in Inghilterra Blair crede o non crede nell’ONU? La questione era dunque prettamente interna, soprattutto per la necessità che aveva il capo del governo di convincere i Labour, partito sostanzialmente pacifista e contrario in linea di principio alla guerra, che lui si muoveva all’interno dell’ONU. Anche l’opinione pubblica britannica, in secondo luogo, avrebbe preferito affidare la risoluzione di un problema simile alle istituzioni internazionali prima di ricorrere alla forza. Passare per l’ONU era dunque una necessità largamente condivisa in GB, oltre che una mossa di propaganda.3 Il Presidente, dopo la riunione, disse a Blair che avrebbe interpellato l’ONU, ed il Primo Ministro, sempre secondo Woodward, ne fu sollevato. Bush inoltre avrebbe raccontato a Woodward che dopo il colloquio con Blair, entrando in un'altra sala dove aspettavano alcuni funzionari inglesi, si sarebbe rivolto loro esclamando “Your man has got cojones”( E di certo quegli inglesi non hanno idea di cosa siano i cojones, avrebbe detto Bush a Woodwar), di lì in poi, racconta Bush, quell’incontro con Blair sarebbe stato noto come The Cojones Meeting . E’ proprio in quel settembre che si fece serio il tentativo di vendere la guerra,visto che come raccontò Andrew Card4 al New York Times in un momento d’inusuale ingenuità, dal punto di vista commerciale, mai tentare di lanciare nuovi prodotti in agosto. 1 Plan of Attack, B. Woodward, Simon & Schuster, 2004, p. 162 Ndt: nel testo that Saddam was somehow “back in the box”. 3 Plan of Attack, B. Woodward, Simon & Schuster, 2004, p. 177-78 4 Card era all’epoca White House Chief of Staff. 2 E’ proprio al cuore di questa campagna pubblicitaria che troviamo l’ONU: grazie più che altro al prodigarsi di Blair, G.W. Bush si presentò davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 12 settembre, e dopo aver accusato il regime iracheno annunciò “lavoreremo insieme al Consiglio di Sicurezza per le risoluzioni necessarie”: era appena cominciata la prima fase della strategia che secondo Blair avrebbe dovuto dare a questa guerra, per vie diplomatiche l’appropriato contesto politico. Quello che va nuovamente sottolineato è che sebbene l’opzione ONU sia stata presentata al mondo come uno sforzo per evitare la guerra, era in realtà, ed il memorandum di D.S. lo conferma, uno strumento per renderla possibile e politicamente accettabile. Alla fine però, come tenevano Cheney ed altri, questa strada si rivelò tutt’altro che facile o diretta: nonostante la considerevole opera diplomatica di Powell per garantire un appoggio unanime alla ris. 1441 al CSNU ( riuscì a vincere anche l’appoggio della Siria per riportare gli ispettori in Iraq), gli alleati non erano d’accordo su un punto fondamentale: la risoluzione in se, qualora disattesa, equivaleva ad un’autorizzazione ad usare la forza contro Saddam, come sostenevano in America, od era invece necessaria una seconda risoluzione per le manovre militari, come invece richiedeva la maggior parte del CSNU, GB compresa? Sir Jeremy Greenstock, ambasciatore britannico all’ONU, spiegò chiaramente la posizione della Nazioni l’8 novembre, giorno d’approvazione della 1441: Chiaramente ed a gran voce, durante le negoziazioni, abbiamo sentito parlare di “automatismi” e “ autorizzazioni implicite ” – la preoccupazione principale è che nel prendere una decisione così importante non dovremmo buttarci a capofitto nelle grandi manovre[…]Permettetemi di essere altrettanto chiaro… questa Risoluzione non contiene alcun automatismo, e se ci saranno nuove mancanza da parte irachena circa gli obblighi di disarmo, la questione ritornerà al Consiglio per essere discussa. Come da prassi[…] Ci aspettiamo che allora il Consiglio di Sicurezza si assuma le sue responsabilità. Il vice Presidente Cheney non poteva aspettarsi di peggio: americani ed inglesi avevano scelto l’opzione ONU ed adesso si ritrovavano a dover aspettare una seconda risoluzione per essere autorizzati all’attacco, e visto che al peggio non c’è mai fine ci si metteva anche Saddam a frustrare le loro speranze: invece di offrire un immediato casus belli (come prospettato da Blair nella riunione del 23 luglio) rifiutando gli ispettori, Hussein li ammise in Iraq a centinaia. Questi cominciarono a cercare e trovarono…un bel niente. Gennaio, per il Ministro della Difesa Hoon il periodo più adatto per le operazioni, secondo gli USA, venne e passò mentre gli ispettori continuavano a cercare. Intanto al Consiglio di Sicurezza una maggioranza guidata da Francia Germania e Russia spingeva perché le ispezioni seguissero il loro corso. Chirac riassunse in seguito la situazione durante un’intervista alla CBS ed alla CNN, giusto prima che cominciassero i combattimenti: La Francia non è pacifista. E nemmeno siamo anti -americani, per cui non useremo il nostro veto per infastidire o punzecchiare gli Stati Uniti, tuttavia siamo convinti che esista un’altra strada, più normale e meno drammatica della guerra, che sia quello il cammino da percorrere e che dovremmo sforzarci di farlo almeno finché non ci troveremo ad un vicolo cieco. Cosa che ad ogni modo non si è ancora verificata.1 Quand’è però che ci si trova in un vicolo cieco, e soprattutto chi è che lo decide? I francesi o gli americani? Comincia a delinearsi la minaccia maggiore per la politica USA: se gli ispettori 1 Chirac makes his case on Iraq , intervista di Christiane Amanpour, CBS News, 16 Marzo 2003. avessero trovato le armi, o se Saddam le avesse consegnate, molti di quelli che avevano appoggiato la risoluzione avrebbero fatto notare come il sistema delle ispezioni stabilito dalla stessa avesse funzionato, e che pacificamente e con un’azione multilaterale, il mondo stava riuscendo a disarmare l’Iraq. Se invece gli ispettori avessero continuato a non trovare nulla, molti avrebbero ammesso che “bisognava dargli il tempo necessario per concludere il loro lavoro, almeno fin quando, con le parole di Chirac, non ci si fosse trovati ad un vicolo cieco. Senza soffermarsi sulla definizione d’una circostanza simile, è evidente che ben prima del suo verificarsi il mancato ritrovamento delle armi avrebbe minato il principale argomento in mano all’Amministrazione per muovere guerra: quella “congiuntura”, come la chiama “C” del terrorismo e delle Armi di Distruzione di Massa. Inoltre, ma questo lo sappiamo solo oggi, c’è da aggiungere che effettivamente gli ispettori non avrebbero mai potuto trovare delle armi. Il vice Presidente Cheney, comunque, aveva già anticipato il problema, come spiegò francamente ad Hans Blix, capo degli ispettori, durante una riunione tenutasi alla Casa Bianca il 30 ottobre. Secondo Blix Cheney Espresse la posizione secondo cui, se gli ispettori non trovavano nulla, non potevano certo andare avanti così per sempre, ed aggiunse che “gli USA erano pronti a screditare le ispezioni a favore del disarmo.” Un nodo abbastanza spicciolo per dire che se non fossimo riusciti alla svelta a trovare le ADM che gli USA davano per scontato in mano all’Iraq (anche se non sapevano dire dove si trovassero), non ci avrebbero messo molto a dichiararci inutili ed a procedere al disarmo con altri mezzi.1 Nei fatti accadde che all’impossibilità degli ispettori di trovare una prova qualsiasi dell’esistenza di queste armi, fece eco lo sforzo imponente dell’Amministrazione Bush per mostrare al mondo l’arsenale di Saddam: una campagna pubblicitaria in piena regola cominciata col discorso del Preseidente a Cincinnati, il 7 ottobre, e proseguita con una serie di dichiarazioni alla stampa sempre più preoccupanti, in un crescendo che ebbe il suo gran finale nella presentazione multimediale tenuta da Powell il 5 febbraio 2003 al Consiglio di Sicurezza. Per usare parole di Card, lungo tutto l’autunno e l’inverno l’Amminstrazione Bush fu impegnata a “ lanciare nuovi prodotti” sul mercato, e con grande abilità anche, servendosi di televisione, radio e tutta la carta stampata affinché tutti avessero chiaro in mente quanto fosse imminente la minaccia rappresentata dall’arsenale di Saddam( Pensate alla stampa, aveva detto una volta Joseph Goebbels, come ad una grande tastiera suonata dal governo). Mano a amano che aumentava il divario tra la retorica del governo americano sugli enormi arsenali iracheni (Sappiamo dove sono! Affermava Rumsfeld) e le mani sempre più vuote degli ispettori, cominciò a prodursi esattamente l’effetto predetto da Cheney: in molti ambienti la credibilità delle Nazioni Unite diminuiva e per assurdo, il fatto di non riuscire a trovare armi in Iraq diventò motivo di discredito per il valore delle ispezioni, piuttosto che fonte di dubbio circa le dichiarazioni USA sulle montagne di armi letali che Saddam avrebbe posseduto. Ancora più paradossalmente, a questo punto l’unica strategia utile per Saddam per evitare la guerra, sarebbe stata dichiarare e consegnare qualcuna di quelle armi, dimostrando così al mondo che le ispezioni erano cosa utile; oggi tuttavia sappiamo che anche volendo non possedeva armi da consegnare. Sempre Blix dice (7 marzo): alla fine capii che gli iracheni si sarebbero trovati in una situazione peggiore se veramente non possedevano armi da poter dichiarare. Il fatto che, sempre con le parole di Blix l’ONU ed il mondo fossero riusciti a disarmare l’Iraq senza accorgersene, e che ,alla luce dei fatti, l’operato dell’ONU fino a quel momento era stato dunque un successo, si tramutava invece in discredito per gli ispettori e nella possibilità per gli USA di muovere guerra. Bush come sappiamo si sarebbe mosso anche senza la seconda risoluzione tanto agognata dal suo amico ed alleato Blair, il quale vale la pena ricordarlo, quella mattina di luglio, durane quella 1 Hans Blix, Disarming Iraq, Pantheon, 2004 riunione a Downing Street, aveva predetto che i punti chiave erano il buon esito del piano militare ed una strategia politica che gli conceda lo spazio per funzionare. A quanto pare quella strategia politica funzionò solo a metà, se è vero che il Consiglio di Sicurezza si rifiutò di adottare una seconda risoluzione che approvasse l’uso della forza e che Blair fu costretto a seguire gli Stati Uniti anche senza la protezione d’un’autorizzazione internazionale. Quanto al piano militare, se questo avesse funzionato, e se cioè la guerra fosse stata breve e definitiva invece che lunga, sanguinosa ed inconcludente, può anche darsi che Blair avrebbe evitato il danno politico che ne ricevette. Una settimana dopo la pubblicazione del memorandum sul Sunday Times, Tony Blair fu rieletto Primo Ministro, ma la sua maggioranza in parlamento si ridusse da 161 a 67 seggi: la causa di questo risultato è ampiamente attribuita alla guerra d’Iraq ed al conseguente danno alla reputazione di uomo onesto del Primo Ministro. Negli Stati Uniti ad ogni modo, il memorandum attirò pochissima attenzione. Mentre scrivo nessun giornale americano lo ha ancora pubblicato e pochissimi si sono disturbati a commentarlo. La guerra continua e gli americani intanto ne hanno avuto veramente abbastanza: in pochi sembrano interessati a discutere, a questo punto, del perché il loro paese si sia imbarcato in un conflitto fatto in teoria per distruggere armi rivelatesi invece inesistenti. Per quelli che esigono risposte l’Amministrazione Bush ha seguito una politica e semplice e dagli ottimi risultati: dare la colpa ai Servizi. Considerando che intelligence e fatti stavano venendo organizzati in funzione della linea politica già dal luglio del 2002 (così come dal rapporto di “C” appena tornato da Washington), a noi sembra un atto di hubris non indifferente , anche per questa amministrazione, , che le gerarchie scarichino ogni responsabilità sugli “errori dei Servizi”, e cioè sulle informazioni di intelligence che loro stessi avevano messo in piedi. Senza dubbio anche il Congresso ha ampiamente cooperato all’insabbiamento: nonostante la Commissione per i Servizi del Senato abbia investigato sugli errori della CIA e delle altre organizzazioni, l’idea d’una seconda commissione che s’occupasse delle responsabilità politiche per l’uso di quelle informazioni (il cuore del problema dunque) fu cautamente rimandata a dopo le elezioni del 2004 e poi accantonata con nonchalance . Il memorandum di Downing Street dunque, insieme alla mancanza d’interesse per il suo contenuto dimostrata dagli americani, ci aiuta a comprendere una certa attitudine verso i fatti, o piuttosto il discrimine tra un fatto ed un’opinione politica: al riguardo mi viene in mente una dichiarazione fatta da un anonimo “alto consigliere 1” del Presidente Bush, e rilasciata al New York Times Mag. Durante lo scorso anno: Il consigliere disse che i tipi come me [cioè giornalisti e commentatori] vivono “in quella che noi chiamiamo - comunità fondata sul reale-” , che definì come “l’insieme di quelle persone”che “credono che le soluzioni emergano da un’analisi giudiziosa della realtà intelligibile”. Io annui e bofonchiai qualcosa sui principi della conoscenza e sull’empirismo, ma lui mi zittì: “il mondo non funziona più così. Ora siamo un impero, ed ogni volta che agiamo diamo forma alla nostra realtà. Mentre voi studierete giudiziosamente quella realtà, e lo farete, noi agiremo di nuovo, creando altre nuove realtà, e potrete studiare anche quelle certo, però è così che vanno le cose. Siamo noi a fare la storia…a voi, a tutti voi, non rimarrà che studiare quello che facciamo. 2 L’argomento è semplice, è il potere a creare la verità ed a plasmare la realtà, o almeno la realtà in cui credono la maggior parte delle persone. Ed il punto fondamentale è che sia lo stesso establishment a far notare come la cosa politicamente rilevante non sia l’opinione dei lettori del New York Times Mag. Ma quello che la maggior parte degli americani deciderà di credere. 1 2 Ndt.: senior advisor nel testo originale. Ron Suskind, Without a doubt, The New York Time Magazine, 17 ottobre 2004. L’autorità più all’avanguardia del secolo scorso in materia di potere e verità, il solito J. Goebbels, fece la stessa considerazione in termini ancora più espliciti: Non serve a nulla cercare di convertire gli intellettuali, tanto non si convertiranno mai, ma si sottometteranno sempre al più forte, che di contro sarà sempre un uomo della strada, un uomo qualunque. Che gli argomenti siano dunque crudi, chiari e seducenti, che facciano leva sugli istinti piuttosto che sull’intelletto. La verità non ha importanza e va completamente subordinata alla tattica ed alla psicologia.1 La prima volta che lessi il memorandum pensai a queste parole, ma mi erano tornate in mente anche diversi mesi prima, nel dicembre del 2004, dopo aver rivistole immagini di Bush appena rieletto che premiava con la Medaglia della Libertà (la maggior onorificenza civile statunitense) Gorge Tenet, ex direttore CIA, L. Paul Brenner, ex capo dell’Autorità Provvisoria della Coalizione in Iraq ed il generale (ormai in pensione) Tommy Franks, che aveva guidato la prima fase delle operazioni. Tenet rimarrà nella storia per non essere riuscito a prevenire l’attacco dell’11 settembre e per aver assicurato al Presidente Bush che Saddam possedeva al mille per cento quelle famose armi di distruzione di massa; Franks fu invece il responsabile del saccheggio di Baghdad ed in generale non fece un granché per pianificare la fase successiva all’invasione (come disse “C” A Washington non si è discusso granché dello scenario post-bellico); Brenner da parte sua si limitò a scogliere la polizia e l’esercito iracheno, fornendo qualcosa come 400.000 possibili reclute per la guerriglia.Senza dubbio si potrà anche discutere della loro effettiva responsabilità in merito a questi gravi errori, ma sembra comunque difficile che questi signori possano aver meritato il più alto riconoscimento del paese: certo, come insegnava il maestro di propaganda “la verità non ha importanza e va completamente subordinata alla tattica ed alla psicologia” e forse avrebbe colto al volo la tattica psicologica nascosta in quella cerimonia alla Casa Bianca, vale a dire rassicurare per l’ennesima volta gli americani che la guerra in Iraq era un successo e valeva la pena di combatterla. Ad ogni modo quell’americano scarso su quattro ancora disposto a credere a tutto questo, fa pensare che più il tempo passa, più si allarga l’incongruenza tra quello che gli americani vedono e quello che gli viene raccontato, e più “la comunità fondata sul reale” potrebbe allargarsi. Staremo a vedere. Per quelli che invece sono ancora interessati a sapere come i nostri leader hanno convinto il paese ad impelagarsi nella guerriglia irachena, il memorandum di Downing Street offre una conferma ulteriore della verità. Ovviamente per chi vuol sentire. 1 Questo passaggio, anche se diffusamente citato come testuali parole di Goebbels, è in realtà quasi completamente una parafrasi da attribuire al suo editore Hugh Trevot-Roper. Cfr. di Roper l’introduzione a “Gli ultimi giorni del 1945: i diari di Goebbels (Final Entries 1945,The Goebbels Diaries, Putnam, 1978, ) p.20. PERCHÉ IL MEMORANDUM CONTA Così come apparso sul New York Review of Books il 14 luglio 2005 Agli editori: L’articolo di Danner su come l’amministrazione Bush sia arrivata ad una Guerra era eccellente, mancavano però un paio di indizi importanti. L’11 ottobre 2001 il Knight Ridder raccontò che meno di un mese dopo l’attacco dell’11/9, le maggiori cariche del Pentagono, volendo espandere in Iraq la guerra al terrorismo, riuscirono a farsi autorizzare da James Woolsey, all’epoca capo della CIA, dei viaggi ufficiali in GB per quello stesso settembre, al fine di reperire prove che Hussein avesse avuto un ruolo nell’attacco alle torri. Poi, il 13 febbraio 2002, quindi quasi sei mesi prima che venisse redatto il memorandum di Downins Street, sempre il Ridder riportò che il Presidente Bush aveva deciso di togliere di mezzo Saddam, ed aveva dunque dato disposizioni alla CIA, al Pentagono ed ad altre agenzie di delineare una combinazione di interventi militari, diplomatici ed ufficiosi per raggiungere tale scopo. Cinque giorni più tardi Bob Graham, ex senatore della Florida, dichiarava in un suo libro l’enorme sorpresa che aveva provato quando, durante una visita al Comando Generale di Tampa, il generale Franks gli comunicò che l’Amministrazione stava spostando risorse dalle operazioni contro Al Qaeda in Afghanistan e Pakistan alla preparazione di una guerra in Iraq. John Walcott Direttore della redazione di Washington, Knight Ridder. Danner risponde: John Walcott è fiero del reportage concluso dalla sua redazione. E fa bene ad esserlo: come ha già scritto su queste pagine il mio collega Michael Massing infatti, durante il periodo appena precedente la guerra i reporter del Knight Ridder detenevano un invidiabile ed ineguagliato record di indipendenza e successo.1 Tuttavia l’affermazione di Mr. Walcott secondo cui nel mio articolo mancano un paio di indizi importanti pone inevitabilmente una domanda: indizi sulle tracce di cosa? Che cosa prova esattamente il memorandum di Downing Street (che è semplicemente il resoconto ufficiale di una riunione tra Blair ed il suo gabinetto di sicurezza) e gli altri documenti ad esso collegati che sono apparsi fin’ora? E perché la stampa americana ha fino ad oggi evitato di prendere in considerazione la storia che raccontano? Come scrivevo nel mio articolo: il documento inoltre ha il merito di mostrarci chiaramente la gerarchia decisionale di entrambi i paesi coinvolti. Al più tardi nel luglio 2002 quindi la guerra era già stata avallata e la questione su cui discutere era piuttosto come giustificarla, come organizzare quello che Blair avrebbe descritto in seguito come “il contesto politico”. Nello specifico, come abbiamo visto, Bush, in luglio, aveva già deciso l’intervento, ma non s’era ancora risoluto a servirsi delle ispezioni ONU, ed anzi, come fa notare “C”, il Consiglio di Sicurezza Nazionale, cioè i massimi funzionari governativi in materia di sicurezza, “ha poca pazienza per l’opzione ONU e nessun entusiasmo circa la pubblicazione di qualsiasi materiale che riguardi l’analisi del regime iracheno: un atteggiamento questo che sarebbe cambiato in seguito soprattutto a causa delle preoccupazioni di tutti i signori riuniti al 10 di Downing Street. Quelle “preoccupazioni” nascevano dal fatto che, parole del Ministro degli Esteri J. Straw il margine ad ogni modo era stretto, anche perché secondo l’opinione del Procuratore Generale il desiderio di un cambio di regime non è una base legale per azioni militari. Per assicurarsi tale base legale quindi, gli alleati devono fare in modo d’ottenere l’approvazione del CSNU, ed il ministro Straw ha un idea su come fare: dovremmo lavorare ad un piano per imporre un ultimatum a Saddam sul rientro degli ispettori ONU. In fine lo stesso Blair mette in chiaro l’opportunità dell’ultimatum: il rifiuto di Saddam ad ammettere gli ispettori ONU farebbe una grossa differenza, legalmente e politicamente. Il 13 febbraio 2002, cinque mesi dunque prima della riunione di Downing Street e tredici prima dell’inizio delle ostilità, apparve il secondo degli articoli cui fa riferimento Walcott, con occhiello e sommario suoi e di P. Strobel ed a titolo Bush ha deciso di spodestare Saddam. L’articolo si chiudeva così: E’ più che probabile […] che molte nazioni […] contesteranno un intervento unilaterale degli Stati Uniti volto a rimuovere il governo di un altro paese, per 1 Cfr. Michael Massing, Now they tell us (ndt. E ce lo dicono adesso), The New York Review , 26 febbraio 2004 quanto questo governo possa essere disgustoso. Un’alta carica del Dipartimento di Stato però, anche se incapace di spiegarci precisamente con quale autorità legale si possa compiere una mossa come questa, ci ha detto che che “non è difficile dimostrare quanto l’Iraq rappresenti una minaccia per la pace e la sicurezza internazionali… E’ altamente probabile che prima di qualsiasi offensiva militare si dia il via ad una vasta campagna diplomatica per raccogliere il necessario supporto internazionale al rovesciamento di Saddam […] e’ prevedibile che gli Stati Uniti, forse con l’appoggio dell’ONU, esigeranno la riammissione degli ispettori così da sradicare i programmi chimici, batteriologici, nucleari e missilistici dell’Iraq. Nel caso in Baghdad rifiutasse di riammetterli, o se Saddam gli impedisse di portare a termine il loro lavoro, Bush avrebbe un pretesto perfetto per attaccare. Ecco dunque che lo stratagemma che gli inglesi avrebbero imposto ai loro alleati americani solo l’estate successiva, era invece sotto esame al Dipartimento di Stato già cinque mesi prima della riunione del gabinetto Blair, e quasi un anno prima della guerra. Ancora una volta però, che cosa prova tutto questo? Dal punto di vista di “un’alta carica del Dipartimento di Stato” un’indiscrezione di questa portata passata al Knight Ridder è senza dubbio un modo per segnare pubblicamente un punto nella partita burocratica che all’epoca era in corso all’interno dell’Amministrazione, e che raggiunse l’apice proprio quell’agosto, quando il Presidente Bush, alla fine, accettò gli argomenti del suo Segretario di Stato e dei suoi alleati britannici e si decise per “l’opzione ONU”. Così come il memorandum, profetico ma passato sotto silenzio, nascondeva in un mare di chiacchiere una ricchezza di informazioni che col senno di poi appare abbagliante, così queste indiscrezioni fatte al Ridder sembrano un’altra rivelazione su quello che stava per accadere e che poi trovò conferma nei fatti di quel che successe davvero. Il memorandum però, ci spiega che all’epoca in cui quest’alta carica del Dipartimento faceva le sue rivelazioni al Ridder, la strategia non era ancora stata decisa. Il memorandum inoltre, non è un’informazione passata anonimamente a qualche reporter, ma la trascrizione ufficiale di ciò che veramente si dissero i più alti responsabili della sicurezza nazionale del governo Blair; e poi ci spiega molto del modo in cui vennero prese le decisioni ma soprattutto ci dimostra, come ho già scritto nel mio articolo, che l’idea di utilizzare gli ispettori, non fu dunque presa in considerazione per evitare la guerra, come invece ha più volte ripetuto il Presidente Bush agli americani, ma per renderla possibile. Se poi prendiamo meglio in esame i pezzi usciti sul Ridder, la questione che salta agli occhi è ancora più ampia: è decisamente ironico infatti che uno degli ostacoli incontrati dal memorandum per farsi spazio nella stampa americana è stata la più o meno tacita convinzione, tra i giornalisti come tra gli editori, che non contenesse “niente di nuovo”. Se parlo di ironia, è perché questo mi sembra un buon esempio di quella dinamica assurda quanto familiare nel nostro mondo che io chiamo frozen scandal1 ,uno pseudo-scandalo intorno a cui le rivelazioni si moltiplicano ma senza che si dia coso a vere indagini o si arrivi a punire i colpevoli: scandali con i quali siamo costretti a convivere. 2 Più o meno funziona così: viene alla luce una certa storia, ma in pochi ci fanno caso (come con gli articoli del Ridder) più che altro perché la storia che racconta il governo è più grande ed in n certo senso la risucchia, poi, quando emergono altri documenti, magari ufficiali (come il memorandum in questo caso) l’intera storia viene liquidata con un “niente di nuovo”. Una parte di questo atteggiamento discende direttamente dalla definizione che nell’attuale mondo politico e giornalistico viene data alla parola “fatto”. Nella pratica come si stabilisce la veridcità di una storia? Ad esempio del fatto piuttosto ovvio che, come titolava il Ridder Bush aveva deciso di 1 Ndt. Uno scandalo congelato. Cfr. il mio saggio What are you going to do with that? (Ndt. E con questo che ci facciamo?), The New York Reviw, 23 luglio 2005 2 spodestare Saddam molti mesi prima della guerra o anche solo dell’approvazione del Congresso ed infine nonostante il Presidente stesso andasse dicendo in giro che “non era stata presa alcuna decisione”? Come si fa a provare per vera una storia sul capo dell’intelligence britannica che torna da Washington ed otto mesi prima della guerra racconta al suo primo ministro ed ai suoi colleghi di gabinetto che intelligence e fatti stanno venendo organizzati in funzione della linea politica? Michael Kinsley, con un articolo recente in cui di fatto liquida il memorandum, fa il punto proprio su questa frase: Di certo se intelligence e fatti stavano venendo organizzati in funzione della linea politica, questa è un’ottima prova delle intenzioni di Bush, oltre che uno scandalo in piena regola. Ed oggi sappiamo anche che era tutto più che vero: arrangiare fatti e prove secondo i propri comodi è esattamente lo stile di governo di Bush II, soprattutto per quanto riguarda la guerra in Iraq. Quanto a “C” però, non ci fornisce alcun dettaglio, almeno non nel memorandum, né ci sono indizi nel documento che qualcuno nella posizione di prendere decisioni simili abbia raccontato a “C” che si stavano effettivamente manipolando le prove.1 Se leggete attentamente questo paragrafo, forse converrete con me nel considerarlo una piccola, perfetta poesia sullo stato attuale della politica e del giornalismo. Kinsley accetta come più che vero che intelligence e fatti stessero venendo organizzati in funzione della linea politica, dopotutto secondo lui è lo stile di governo di Bush II, però rifiuta che sia il memorandum a provarlo e questo, plausibilmente, perché il capo dei Servizi britannici non dichiara in esso che a raccontarglielo sia stato qualcuno nella posizione di prendere decisioni simili. Kinsley però non ci dice da chi, secondo lui, possa aver avuto queste informazioni il capo dell’intelligence britannica di ritorno da le sue recenti missioni a Washington se non da qualcuno nella posizione di prendere decisioni simili, tenuto anche conto che come riportava il Sunday Times, tra le persone che “C” incontrò c’era anche Gorge Tenet, all’epoca direttore della CIA. Quello che Kensley ci dice invece, è che se fosse possibile provare ciò che lui accetta già come vero, quasi liquidando sbrigativamente chi potesse dubitarne, questo sarebbe un’ottima prova delle intenzioni di Bush oltre che uno scandalo in piena regola. A questo punto bisognerebbe chiedersi cosa sia necessario per convincere questo reporter, e molti altri, della verità di ciò che loro, a quanto pare, già sanno ed accettano, ammettendo per giunta di saperlo ed accettarlo? Che cosa si può dire o fare per stabilire la verità? Per provarla?Beh forse una genuina inchiesta del Congresso sull’uso che fece l’Amministrazione, prima delle guerra, delle informazioni passatele dai Servizi potrebbe aiutare; un’inchiesta, ed ho già avuto modo di scriverlo, come quella che la Commissione per i Servizi del Senato prima promise, poi rimandò giudiziosamente a dopo le elezioni (benché potrebbe anche sorgere il dubbio che forse l’argomento aveva qualche rilevanza sulla scelta elettorale degli americani) ed infine abbandonò silenziosamente. Il Senato invece si limitò a concludere un rapporto che seppure con toni di aspra condanna, escludeva esplicitamente la questione fondamentale: il modo cioè in cui l’Amministrazione si servì delle informazioni di intelligence che le furono fornite. Del resto la colonna di Kinsley, e l’attitudine cinica ed impotente che rappresenta, ci suggerisce che forse neanche in presenza d’un’indagine accurata sarebbe stata sufficiente per rendere pubblicamente condivisibile ciò che tutti già sanno e riconoscono: la conferma è proprio nel titolo del suo pezzo Nessuna Pistola Fumante2 , come a dire che a meno di ritrovare una registrazione del Presidente Bush che ordina esplicitamente al direttore della CIA Tenet di arrangiare i fatti e le prove, non si potrà mai considerare provata questa eventualità. Le cosiddette “regole del 1 2 The Washington Post, 12 agosto 2005 Ndt: No smoking gun giornalismo oggettivo” insomma, si sommano al meccanismo bene oliato e disciplinato d’un governo a partito unico per mantenere volontariamente stupida ed opaca la disanima politica. Dunque: gli articoli del Ridder a firma di Walcott e colleghi, sono indizi sulla pista di cosa? I cittadini americani sono su un sentiero molto strano, ed a quanto pare inciampano ciecamente in un bosco scuro: già prima del conflitto avevamo prove evidenti che l’Amministrazione Bush aveva deciso per la guerra nonostante affermasse che stava cercando di evitarla, ed ora abbiamo anche una serie di “indiscrezioni” che ci provano come tutta la storia iniziale fosse vera. Oggi al Congresso, molti tra deputati e senatori (e tra questi parecchi democratici) si trovano in una situazione piuttosto scomoda: votarono per conferire al Presidente l’autorità di attaccare e temendo le conseguenze politiche d’una loro opposizione a Bush ma anche a quella che poteva rivelarsi una guerra popolare, accolsero volentieri i suoi argomenti suadenti sul fatto che il loro voto gli avrebbe permesso di evitare la guerra piuttosto che d’intraprenderla; bene, ora quegli stessi politici dichiarano di essere stati “fuorviati”, convinti com’erano che avrebbero aiutato il paese a non entrare in guerra (Il senatore Kerry ne fece addirittura il centro della sua campagna presidenziale). Perché affermazioni come queste possano essere plausibilmente ritenute vere però, gli argomenti iniziali dell’Amministrazione dovevano pur avere un certo grado di credibilità, mentre il memorandum ci dice che il margine era imbarazzantemente stretto, e dunque la giustificazione dei Democratici che votarono per i pieni poteri a Bush è moralmente incriminante quanto basta a confondere e corrompere ulteriormente un dibattito pubblico che diventerà sicuramente più difficile e doloroso. Quanto al memorandum e se possa essere considerato o meno una pistola fumante, è ormai chiaro che a) se si fosse concesso loro il tempo necessario, gli ispettori avrebbero potuto prevenire la guerra semplicemente rivelando quello che poi sarebbe comunque emerso, e cioè che Saddam non possedeva affatto alcuna minacciosa pila di armi di distruzione di massa; b) che l’Amministrazione si servì delle ispezioni come un pretesto: un mezzo per convincere il paese ad una guerra che mai avremmo dovuto combattere. Certo c’è anche da dire che fu un pretesto astutissimo, perché ogni provvedimento che ci avvicinava alla guerra poteva essere spacciato invece come un’azione per scongiurarla – necessario cioè a convincere Saddam che l’attacco era imminente: grazie a questo stratagemma, tutte le azioni cominciarono a sovrapporsi in un certo senso, sia che costituissero un passo verso la guerra od un passo indietro, diventando in pratica indistinguibili. In conclusione è questo il motivo per cui risulta così difficile trovare quella pistola fumante che Kinsley ed altri accetterebbero in prova, a meno ovviamente di entrare in possesso d’un video con tanto di data ed ora sovraimpresse in cui Bush dichiari: “Ho deciso di fare guerra a Saddam e che le ispezioni non servono a un’acca”. In mancanza del video però, credo che il modo migliore per distinguere le vere intenzioni di Bush e del suo staff sia semplicemente guardare a quello che hanno fatto, e quel che hanno fatto è stato impedire alle ispezioni di seguire il loro corso, nonostante le proteste dell’ONU e di buona parte del mondo. Non solo, perché le giustificazioni adottate dal Presidente e dall’Amministrazione a posteriori, una volata stabilita l’assenza di armi di distruzione di massa in Iraq, e cioè che Saddam avrebbe comunque potuto riprendere i suoi programmi, sembrano veramente prendersi gioco di un’altra affermazione del governo, secondo cui l’Amministrazione sarebbe stata dispostissima a lasciare Hussein al proprio posto, qualora gli ispettori avessero provato prima della guerra che l’Iraq non possedeva arsenali segreti. A questo punto potremo anche convincerci che quel che è fatto è fatto e che queste cose appartengono al passato. Purtroppo però, con gli americani che continuano a morire in Iraq ed i loro compatrioti che a casa hanno sempre meno pazienza per questa guerra, la storia di come è cominciata diventerà sempre più importante e non meno, offuscata com’è dalla propaganda e da mille controversie. Prendete in considerazione il fermo avvertimento contenuto in un documento inglese di recente pubblicazione e che porta una data di due giorni anteriore al memorandum di Downing Street ( e siamo quindi sempre ad otto mesi dalla guerra): un dopoguerra d’occupazione, in Iraq, potrebbe trasformarsi in un lungo e costoso esercizio di nation-building. E subito dopo: Come già chiarito, i piani USA sono in proposito praticamente muti.1 Muti in egual misura lo sono stati i politici americani, e noi, oggi, viviamo con le conseguenze di questo silenzio. 1 Cfr. IRAQ: CONDIZIONI PER L’ AZIONE MILITARE, paragrafo 19 (Benefici/Rischi), pag 73. IL MEMORANDUM, LA STAMPA E LA GUERRA In “Perché il memorandum conta”, Danner commentava una colonna di Kinsley apparsa sul Washington Post del 12 giugno 20051, a titolo No Smoking Gun. Il seguente botta e risposta invece fu pubblicato sul The New York Review of Books l’ 11 agosto 2005. 1 Ndt: la nota 1 a pag 15 riporta invece 12 Agosto, ed è una nota di Danner inserita come rimando allo stesso No smoking gun di Kinsley Agli editori: E’ facile apprezzare la frustrazione degli entusiasti sostenitori del Memorandum di Downing Street come Mark Danner: pensano tutti d’avere in mano le prove documentarie che il Presidente Bush avesse fermamente deciso di entrare in guerra già nel luglio 2002. Molti altri però dicono che il memorandum non sarebbe rilevante, alcuni perché l’accusa al Presidente sarebbe falsa, altri invece proprio per la sua ovvia verità. Sul tavolo c’è una pistola fumante, dunque Danner conclude che debba esserci un assassino, solo perché, per ragioni diverse, nessuno la prende in mano. Penso anche che Danner abbia ragione a risentirsi per tutta questa storia della pistola fumante (roba da Watergate), visto che sembra voler stabilire come standard probatorio una vecchia battuta di Chico Marx: a chi crederai allora, a me od ai tuoi occhi? Non è che tutti i cattivi registrino le loro malefatte e G. Bush in particolare, come insistevo su quella colonna a cui fa riferimento Danner, è particolarmente abile ad insistere affinché la realtà sia ciò che lui vuole che sia; in questo senso la necessità di una pistola fumante lo aiuta a riuscirci. Il Dowining Street Memo ad ogni modo è inutile se non consta della suddetta pistola, e non perché io abbia bisogno di essere convinto (un attitudine cinica ed impotente la chiama Danner) ma precisamente perché è la gente che non ha bisogno d’una pistola fumante ad essersi già convinta. E comunque il documento non è quel tipo di prova. Io dico semplicemente che l’idea che il Presidente avesse già deciso e la guerra fosse ormai certa era soltanto l’opinione generale che si poteva captare a Washington, ed a Danner che si chiede -che cosa si può dire o fare per stabilire la verità? Per provarla?- rispondevo già nel medesimo articolo che non sarebbe stato male se il memorandum avesse messo in chiaro che erano stati personaggi dell’Amministrazione con alto potere decisionale a riferire a “C” che intelligence e fatti venivano organizzati in funzione della linea politica . Danner, ancora, si chiede a chi altro potesse far riferimento il capo dei Servizi britannici facendo rapporto sulle voci e gli umori di “Washington”, se non a di personaggi con questo potere decisionale? Beh spero che stesse scherzando. In breve, il memorandum di Downing Street non convincerà nessuno che non sia già stato convinto. Questo non lo rende falso, ma ampiamente senza valore di certo. Michael Kinsley, Los Angeles Times Danner risponde: Da più di due anni ormai, gli Stati Uniti sono impegnati in una guerra lanciata con lo scopo di distruggere delle armi che si sono rivelate inesistenti. Sarebbe automatico pensare che un evento senza precedenti storici come questo (e che fin’ora è costato la vita di quasi 1800 giovani americani), debba destare l’attenzione d’una stampa libera. Infatti così è stato: in Inghilterra. Negli Stati Uniti invece, quando si discute di un argomento così centrale per la nostra storia politica, ci si trova generalmente di fronte allo spettacolo vagamente deprimente d’un gran numero di persone intelligenti che si danno un gran da fare per sembrare stupide. Più o meno è stato questo l’approccio generale della stampa americana al memorandum ed agli altri documenti collegati che molto ci dicono su come cominciò, questa guerra d’Iraq, e sono molto dispiaciuto che lo stimabilissimo Michael Kinsley, liquidando il memorandum come senza valore (anche se dopo lo promuove a “largamente senza valore) sia l’esempio perfetto di questo trend. Anche se i leader inglesi ed americani si sono impegnati molto per far apparire il memorandum come qualcosa di vago e marginale – la gente…estrapola passaggi da questo o quel memorandum, o da qualsiasi insinuazione su quello che qualcuno avrebbe detto all’epoca, per citare Blair del mese scorso, a Washington1- beh anche con tutto questo impegno il documento rimane quello che è: cioè nulla di più della trascrizione di una riunione tenutasi il 23 luglio 2002 tra il primo ministro ed il suo gabinetto. Soprattutto però, nessuno, compreso Blair, ha mai affermato che il memorandum non fosse autentico: questo perché è l’esatta trascrizione di quello che le più alte cariche britanniche si dissero, in privato, sull’imminente guerra d’Iraq otto mesi prima che cominciasse. La riunione, perle figure istituzionali che vi presero parte, può essere considerata equivalente ad una seduta del Consiglio di Sicurezza Nazionale americano, e proprio come molte di queste sedute cominciò con un riassunto delle ultime notizie di intelligence. Sir Richard Dearlove, capo dell’MI6 (la controparte inglese della CIA) era appena tornato dagli Stati Uniti dove si era recato per delle consultazioni ad alto livello. Cominciando i lavori di quella riunione dunque, Sir Richard fece rapporto sulle sue recenti missioni a Washington . Qui di seguito riporto, nuovamente per intero, il resoconto di Sir Richard ai suoi colleghi: Registrato un sensibile cambiamento d’orientamento: l’azione militare è ora considerata come inevitabile. Bush vuole rimuovere Saddam e con un’azione militare, giustificandola con la congiuntura del terrorismo e delle Armi di Distruzione di Massa. Ad ogni modo intelligence e fatti stanno venendo organizzati in funzione della linea politica. L’NSC 2 ha poca pazienza per l’opzione ONU e nessun entusiasmo circa la pubblicazione di qualsiasi materiale che riguardi l’analisi del regime iracheno. A Washington non si è discusso granché dello scenario post-bellico. 1 2 In un intervista con Gwen Ifill durante The NewsHour with Jim Lehrer, 7 giugno 2005. Ndt: National Security Council, Consiglio di Sicurezza Nazionale. Il sig. Kinsley contesta che secondo lui Sir Richard stia semplicemente riportando le voci e gli umori di ‘Washington’, chiaramente opponibili secondo lui a quelle di personaggi dell’Amministrazione con alto potere decisionale. Non mi è chiaro chi, secondo Kinsley, possa mai incontrare il capo dei Servizi Segreti britannici quando se ne va in missione a Washington per delle consultazioni col più importante alleato del suo paese su una guerra imminente; di certo sappiamo che si incontrò con G. Tenet, capo della CIA e dunque sue omologo nell’Amministrazione, il quale però, come membro del gabinetto fa anche rapporto al Presidente ogni mattina, personalmente: rimane da vedere se questo è sufficiente per farne un personaggio dell’Amministrazione con alto potere decisionale. Pe quanto riguarda invece gli altri incontri di “C”non abbiamo notizie incontrovertibili, ma presumibilmente furono dello stesso livello1. Nessuno dei colleghi di Sir Richard però, Primo Ministro compreso, pretende di conoscere le sue fonti, eppure procedono nella riunione prendendo addirittura i punti fondamentali del discorso di Dearlove (che la guerra era inevitabile; che intelligence e fatti stavano venendo organizzati in funzione della linea politica per creare un pretesto fondato su la congiuntura del terrorismo e delle Armi di Distruzione di Massa, e che gli Stati Uniti erano restii a passare per le Nazioni Unite) come base della loro discussione sulla necessità di convincere gli USA a scegliere “l’opzione ONU”, così da dare almeno una parvenza di legalità ad una guerra che invece, in quanto a legittimità, aveva un margine stretto. Come mai, ci si potrebbe chiedere, né il Primo Ministro né i più alti responsabili della sicurezza britannici non hanno bisogno di conoscere le fonti di Sir Richard ? Perché in altre parole, questi signori sono stati molto più creduli di Kinsey? Sarà mica perché sono tutti convinti che le informazioni che riporta da Washington provengano dai massimi livelli del governo statunitense e godono quindi della massima attendibilità? O magari perché eco di quelle informazioni erano già arrivate anche agli altri membri del gabinetto, a ciascuno dalla sua controparte americana? Per cui se come obietta Kinsley le informazioni di Dearlove riguardassero solo le voci egli umori di ‘Washington’ e non il punto di vista di personaggi dell’Amministrazione con alto potere decisionale, non sarebbe molto strano che tutto il gabinetto di sicurezza britannico, dunque gli alleati più stretti dell’america, si fidassero di tali resoconti per una decisione così importante per la loro sicurezza nazionale, forse addirittura la più critica nella carriera di ciascuno dei membri presenti? Non è forse molto più semplice assumere la posizione dello stesso leader britannico e dei suoi ministri, e cioè credere che le parole di Sir Richard siano assolutamente il punto di vista di personaggi dell’Amministrazione con alto potere decisionale e non speculazioni da giornalista o di qualche tassista? Mi permetto di citare Michael Smith, reporter del London Times e convinto sostenitore della guerra in Iraq, che per primo pubblicò il memorandum ed intervistato sull’attendibilità delle fonti di Sir Dearlove rispose: Era a capo dell’ MI6: quanta autorità pensate che competa ad una carica simile? In più era appena tornato da Washington dove aveva giusto incontrato Tenet. Ha detto che intelligence e fatti stanno venendo organizzati in funzione della linea politica e questo in parole povere significa che le prove venivano confezionate ad hoc per corrispondere a ciò che l’Amministrazione voleva provare, in modo d’avere un pretesto utile per attaccare l’ Iraq: organizzare significa la stessa cosa qui in Inghilterra che lì in America. 2 Per tornare a Kinsley: chi è che sta scherzando? Anche perché c’è un altro punto da considerare, e non è cosa da poco, cioè che più o meno tutto quello che disse Sir Richard si è rivelato vero: USA 1 Cfr. la Postfazione a pag 35 per altre informazioni sulla missione a Washington di Dearlove. Cfr. “The Downing Street Memo” e l’intervista a M. Smith sul Washington Post on-line: www.washingtonpost.com/wpdyn/content/discussion/2005/06/14/DI2005061401261_pf.html 2 e GB andarono in guerra per rimuovere Saddam, l’azione militare fu giustificata con la congiuntura di terrorismo ed ADM, gli USA non avevano idea di come gestire la situazione nell’immediato dopoguerra, e, soprattutto intelligence e fatti furono organizzati in funzione della linea politica. Senza dubbio stando alle regole con cui dicono di giocare Kinsley e buona parte della stampa americana tutto questo non ha valore: prima infatti bisognerebbe provare che il documento dica la verità. Un’esigenza come questa tuttavia è del tutto pro forma: sebbene non ci sia stata nessuna indagine istituzionale, né da parte del Congresso né di altri, che avesse il potere di investigare sull’uso deviato delle intelligence per arrivare ad una guerra, sono comunque venute alla luce una valanga di altre prove che l’Amministrazione avesse organizzato intelligence e fatti in funzione della linea politica, e questo nonostante l’unica inchiesta che in verità venne aperta sull’argomento avesse esplicitamente escluso dalla propria competenza l’ambito politico1. Oggi è palese quanto fossero scarse, e basate su rapporti superficiali, le informazioni sull’Iraq ed i suoi armamenti in mano alla CIA ed ad altre agenzie USA; allo stesso modo è chiaro che l’Amministrazione, invece di fare pressioni per ottenere il meglio dai Servizi ed intelligence il più possibile attendibili, pur d’arrivare alla guerra preferì esagerare con negligenza e senza rimorsi le esili notizie che possedeva. Anche se fino ad ora l’Amministrazione, spalleggiata da un Congresso a maggioranza repubblicana, è riuscita a bloccare ogni indagine seria sull’uso deviato delle intelligence, molti esempi di questa politica sono comunque sotto gli occhi del pubblico: potremmo citare le dichiarazioni del Presidente Bush, che insisteva nel dichiarare al mondo che “Saddam Hussein (ha) recentemente cercato di ottenere in Africa significative quantità di uranio”, (quando la CIA lo aveva ufficialmente avvisato che non era in grado di confermare quest’informazione); o ancora il tentativo di sofisticazione dell’Analisi Complessiva dei Servizi sull’ Iraq 2 (che arrivò al Congresso nel 2002 ma completamente censurata in tutti i suoi punti d’interesse e nonostante fosse stata de-classificata in quanto a livello di segretezza); o, per concludere, i ripetuti riferimenti di Cheney, della Rice o di altri funzionari alle “ricostituite armi nucleari” o ad una “pistola fumante che sta per trasformarsi in un fungo atomico” (tutte informazioni che non si basavano su prova alcuna di un qualsivoglia nuovo programma nucleare iracheno). E’ vero che per convincere il paese alla guerra, per “lanciare il nuovo prodotto” citando A. Card, era necessario ingigantire le informazioni allora disponibili, in seguito però, già caduta Baghdad e con le ADM che si rifiutavano di saltar fuori, il Presidente ed altri nell’Amministrazione incolparono la CIA, o le altre agenzie, per aver loro fornito informazioni “fuorvianti”: deviati i Servizi prima della guerra insomma, l’Amministrazione si è poi voltata indietro accusando gli stessi di averla messa fuori strada con le informazioni che proprio lei aveva manipolato. Che poi il Congresso, ed in particolare la Commissione per i Servizi del Senato, abbia fallito nel chiarire questa vicenda, non è cosa nuova: come ho già scritto la Commissione cominciò proprio col piede sbagliato , separando la questione dell’uso che fecero i politici di quelle informazioni da quella della qualità tout court dei Servizi d’Intelligence. Con queste premesse ovviamente, la Commissione mise in fallo anche il piede successivo, rinviando le indagini sulla prima delle due questioni -quella fondamentale- a dopo le elezioni, così che ora giace del tutto abbandonata . 1 La Commissione di Controllo su i Servizi e le ADM ( Commission of the Intelligence Capabilities of the United States Regarding Weapons of Mass Destraction), meglio nota come la Robb-Silbermann Commision, annotava che l’atto ufficiale della sua costituzione “non (ci) autorizzava ad indagare sull’uso che fecero i politici delle informazioni ricevute sui programmi militari iracheni” questo divieto era contenuto anche nel Rapporto sui Servizi del Senato (a maggioranza repubblicana), e come sottolineava il Times pubblicandolo, “proveniva da un mandato presidenziale di più di un anno fa, quando la Casa Bianca temeva che la questione avrebbe potuto influenzare le elezioni” (Cfr Shane e David Ranger, Bush Panel Finds Big Flaws Remain in US Spy Efforts, The N.Y. Times, 1 aprile 2005, 2 National Intelligence Esimate on Iraq E tuttavia il fatto che l’Amministrazione avesse organizzato intelligence e fatti in funzione della linea politica è ben documentato da altre fonti a disposizioni di tutti1 ed in verità né troviamo indizi anche in quei pochi rapporti, iper-circoscritti, autorizzati dallo stesso Congresso e dall’Amministrazione 2 , come a dire che se c’è ancora qualcuno da convincere, come diceva Kensley, spiegategli che arrangiare fatti e prove secondo i propri comodi è esattamente lo stile di governo di Bush II. Ma se Kensley è convinto che era tutto più che vero e che lo stile di governo di Bush… soprattutto per quanto riguarda la guerra in Iraq è di organizzare intelligence e fatti intorno alla linea politica, allora qual è esattamente la prova che lo ha convinto? Su questo punto, sembra essere muto. E’ probabile che si sia convinto leggendo alcuni resoconti di come si arrivò a decidere per la guerra (per inciso quelli di Wodward e Clarke) e confrontandone il contenuto con l’evolversi degli eventi negli ultimi anni, forse però il memorandum di Downing Street potrebbe incoraggiare conclusioni di questo tipo bypassando tutte le altre fonti proprio con le parole di personaggi dell’Amministrazione con alto potere decisionale. Kinsley invece, applicando al memorandum un metro di giudizio quasi giudiziale, lo scarta a priori come privo di valore, mentre costituisce una prova storiografica di livello superiore, inestimabile per tracciare la cronaca di una guerra in cui americani ed iracheni continuano a morire. Gradualmente le informazioni continuano ad arrivare, e mano a mano che le inseriamo nel contesto che se ne deduce acquistano sempre più senso: ecco perché il “test” di Kinsley sull’utilità del memorandum è così poco attendibile. Tutti quelli che leggeranno il memorandum armati d’onestà intellettuale (ed invito il lettore ad andarci direttamente, sono solo tre pagine ed il N.Y. Times l’ha pubblicato per intero3) scopriranno che racconta la cronologia precisa della corsa alla guerra, in più è scritto con chiarezza e, nonostante i commenti di Kinsley e di altri, non è per niente ambiguo. La cosa più triste ed avvilente della lettera di Kinsley e del suo articolo precedente è l’attitudine verso questa storia che esemplificano: assistiamo alla trasformazione ed all’impoverimento deliberato delle capacità di analisi ed in buona sostanza della curiosità, ad un ottuso gioco di assoluti, o bianco o nero, le cui regole non riescono a riflettere le opinioni di nessuno. Regole come queste tra l’altro, si sposano perfettamente con la grigia e severa campagna anti-informativa che infuria in tutta la repubblica a partire dal Congresso, che con la sua maggioranza repubblicana prima avalla una guerra per distruggere armi inesistenti e poi vieta ogni approfondita indagine su come possa essersi verificata una così strana serie di eventi. Kisley, come molti altri nel mondo della stampa, vuol giudicare il memorandum ed il suo “valore” dal fatto che contenga o meno le prove documentarie che il Presidente Bush avesse fermamente deciso di entrare in guerra già nel luglio 2002. Come ho già scritto, se per “prove documentarie” intendiamo la ferma ed incontrovertibile testimonianza di cosa passasse per la mente di Bush in quel periodo, beh allora è difficile che riusciremo a trovarne: il Presidente potrà sempre dichiarare, anche contro ogni ragionevole dubbio, che lui non aveva ancora preso una decisione, esattamente cioè quello che dichiara oggi. Tutto questo in realtà non è nemmeno il punto importante del memorandum né dei documenti annessi, perché quello che ci viene mostrato piuttosto, è come la decisione di non scavalcare 1 Cfr WDM in Iraq: Prove ed Implicazioni (Carnegie Endowment for International Peace, 2003), ed anche John Prados Hoodwinked: The Documents That Reveal How Bush Sold Us a War (New Press, 2004) 2 Anche il rapporto della Robb-Silbermann ad esempio, nelle parole di un anonimo ufficiale dell’Intellegince nazionale (o NIO), riporta quanto segue: “ uno ‘zeitgeist’ o un ‘clima generale’ sembrava far concentrare tutti i funzionari sulle ADM irachene e permeava l’atmosfera delle analisi” e , prosegue il NIO “ed in parte proveniva dalla convinzione sempre maggiore tra gli analisti che la guerra con l’Iraq era inevitabile…” I membri della commissione ammettono nello stesso documento che “è difficile negare che gli analisti dei Servizi lavoravano in un contesto che non incoraggiava forme di scetticismo verso l’opinione comune”. Cfr. il Rapporto della Commissione di Controllo su i Servizi e le ADM ( Commission of the Intelligence Capabilities of the United States Regarding Weapons of Mass Destraction), pagg. 190 e 11. 3 Per il testo del memorandum vedi infra, ad ogni modo è ampiamente reperibile on line, anche a www.downingstreetmemeo.com l’ONU sia stata in larga parte la risposta alle pressioni inglesi, i quali si preoccupavano di quel margine legale troppo stretto come disse Straw, e come dunque la ricerca di un mandato non fu altro che un escamotage per tentare di dare alla guerra una parvenza di legittimità. Credo sia il caso di citare ancora il passaggio, perché Straw spiega la situazione con concisione ammirabile: Anche se la tabella di marcia non è ancora stata definita, appare chiaro che Bush si è deciso per l’azione militare. Il margine ad ogni modo è stretto. Saddam non sta minacciando i suoi nemici e la sua disponibilità ADM è inferiore alla Libia, al Nord Corea od all’Iran. Dovremmo lavorare ad un piano per imporre un ultimatum a Saddam sul rientro degli ispettori ONU. Aiuterà anche per una giustificazione legale dell’uso della forza. L’idea iniziale della “opzione ONU” , così come esposta dal Ministro degli Esteri Straw e dal Primo Ministro, prevedeva l’imposizione di un ultimatum a Saddam perché facesse rientrare un nuovo team di ispettori e poi, al suo rifiuto, cogliere l’occasione per invadere il paese sotto l’egida dell’ONU. […]il rifiuto di Saddam ad ammettere gli ispettori ONU farebbe una grossa differenza, legalmente e politicamente, afferma subito sotto Blair, ed allora, auto-citandomi, mi permetto di sottolineare che quello che chiarisce il documento è come “l’idea di utilizzare gli ispettori, non fu presa in considerazione per evitare la guerra, come invece ha più volte ripetuto il Presidente Bush agli americani, ma per renderla possibile. Di tutti questi argomenti Kinsley non fa parola, né nel suo articolo sul Washington Post, né nella sua lettera, perché l’unica preoccupazione che ha è se il memorandum offra o meno prove documentarie che il Presidente Bush avesse fermamente deciso di entrare in guerra già nel luglio 2002, ma visto che secondo lui il documento non è in grado di superare questo test, lo bolla come “privo di valore” comportandosi esattamente come molti esponenti della stampa americana: ossessionato com’è di trovare la sua pistola fumante non riesce a far caso a quello che ha sotto gli occhi. Accadde poi nei fatti che Saddam Hussein non rispettò le previsioni, e che invece di rifiutare gli ispettori su due piedi li ammise senza problemi. Così il Primo Ministro Blair ed il Presidente Bush, per dare inizio alle operazioni, si trovarono costretti ad esigerne il ritiro, anche se contro la volontà del CSNU e prima che avessero concluso il loro lavoro. E così l’opzione ONU si rivelò più che complicata, visto che furono necessari anche un pubblico dibattito con Hans Blix ed altri funzionari delle Nazioni Unite, una battaglia persa per ottenere una seconda risoluzione che benedicesse l’invasione ed infine richiamare gli ispettori quando avevano controllato solo un centinaio dei circa seicento siti sospetti. Il resto delle ispezioni fu rimandato a dopo la caduta di Baghdad, quando il team di sorveglianza americano-iracheno arrivò alla stessa conclusione che sarebbe stata alla portata degli ispettori prima della guerra: Saddam le sue ADM e aveva già distrutte da molto tempo. Tutto ovviamente sarebbe andato più liscio se Saddam avesse subito rifiutato gli ispettori così come sperava Blair: anche il Presidente Bush condivideva quasi sicuramente le stesse speranze, ed in certi momenti in cui ha l’aria un po’ assente sembra quasi che continui a sperare. Diversi mesi dopo la caduta di Baghdad, seduto accanto al Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan, nell’ufficio ovale, il Presidente offrì della sua politica verso Saddam questa versione: Gli abbiamo dato la possibilità di far rientrare gli ispettori, ma lui non l’ha permesso. Per cui, dopo una richiesta più che ragionevole, abbiamo deciso di rimuoverlo dal potere.1 Eppure sembra strano che il Presidente possa non essersi accorto che Saddam, gli ispettori, li fece entrare eccome nel suo paese: probabilmente dunque, quello fu piuttosto una specie di lapsus , col Presidente che per sbaglio sostituisce alla realtà ciò che lui (e Blair) avevano sperato che accadesse. La storia in generale è piena di episodi come questi e capire “quello che accade realmente” è un impegno continuo che richiede la riformulazione costante di quello in cui crediamo sulla base di ciò che conosciamo. Riguardo al memorandum di Downing Street però, la cosa demoralizzante è proprio la generale determinazione dei giornalisti e dei commentatori di questo paese a spegnere volontariamente ed anche in modo complicato i loro cervelli ed a far sparire la loro curiosità. Una buona descrizione di quest’attitudine ce la da Michael Smith, del London Times: Il sentimento generale era più o meno “ noi l’avevamo già detto a suo tempo”. Poi ovviamente, col crescere della pressione esterna, quest’atteggiamento ha virato sul difensivo: “Noi ve l’avevamo detto… se poi voi lettori non siete stati attenti beh, che possiamo farci?” [tuttavia] una cosa è che il N.Y. Times od il Washington Post affermino che le prove sulle armi irachene venivano manipolate dalla CIA, dal Pentagono o dal NSC, e tutt’altra cosa è averne la prova ufficiale sotto forma di trascrizione d’una riunione del gabinetto Blair…che è la stessa cosa d’una seduta del NSC…in quella riunione si disse che le prove contro Saddan erano esili, che gli inglesi ritenevano illegale secondo il diritto internazionale il cambio di regime prospettato dagli americani e che quindi si sarebbe dovuto passare per un ultimatum dell’ONU, da non usare però come strumento per evitare la guerra, ma come scusa per legittimarla. E questo non sarebbe materiale per uno scoop? Ma non prendetemi in giro… Buona parte di questo “atteggiamento difensivo” per certo, e Smith lo dice implicitamente, deriva dalla mediocrità dei reportage statunitensi subito prima della guerra, dettato da una specie di senso di colpa per quando i giornali e le televisioni mostravano pochissimo scetticismo nei riguardi dell’Amministrazione e dei minacciosi ed ipotetici arsenali di Saddam2. Per quanto negli ultimi mesi il Washington Post ed il N.Y. Times, le testate più influenti del paese, con una mossa senza precedenti si siano scusate pubblicamente per il loro comportamento ante-bellum, sono pochi i singoli giornalisti che pensano d’aver sbagliato, e molti anzi si risentono quando introduco l’argomento. In questo senso il memorandum aggiunge alle sue qualità quella di essere un promemoria tutt’altro che implicito di come la maggior parte della stampa sia stata raggirata dal governo in modo premeditato, e direi anche con successo. E’ ovvio che a nessuno piaccia sentirselo ripetere, meno che mai ai reporter od alle aziende per cui lavorano: dichiarando che il memorandum non sia “roba da scoop” come dice Smith, evitano di confrontarsi con una pagina dolorosa del giornalismo americano, in più però aggiungono che “la storia era già stata coperta”, come dire che in realtà non se l’erano persa dall’inizio. Dobbiamo tutti essere grati al sistema americano, perché è più vasto e complesso della stampa nazionale. Secondo Kinsley il memorandum di Downing Street non convincerà nessuno che non sia già stato convinto. Questo non lo rende falso, ma ampiamente senza valore di certo, questa volta però si 1 President Reaffirms Strong Position in Liberia, 14 luglio 2003, consultabile sul sito della Casa Bianca: www.whitehouse.gov/news/releases/2003/07/200302714-3.html 2 Cfr. Michael Massing, Now they tell us (ndt. E ce lo dicono adesso), The New York Review , 26 febbraio 2004 sbaglia di grosso, e non è difficile dimostrarlo. Se il memorandum convincerà o meno qualcuno che non lo è già è una domanda prettamente empirica, e personalmente conosco diverse persone a cui ha fatto cambiare idea. Il fatto poi che più della metà degli americani, oggi, sia convinta che il Presidente e la sua Amministrazione “fuorviarono il pubblico americano” intenzionalmente prima della guerra, mi sembra un potente indizio che per quanto riguarda la persuasione e la politica, il memorandum di Downing Street sia tutt’altro che senza valore1. Il numero di americani che condividono questo punto di vista è destinato a salire: semplicemente la gente ha cominciato a far caso alle incongruenze tra quello che gli viene raccontato e quello che può vedere con i propri occhi e questa discrepanza, quando si arriva a prendere in considerazione la guerra d’Iraq, diventa sempre più difficile da ignorare. Io queste persone non le chiamerei entusiasti sostenitori del memorandum di Downing Street come dice Knsley, piuttosto mi piace usare una definizione usata una volta in modo denigratorio da un consigliere dell’amministrazione Bush e chiamarle comunità fondata sul reale: le loro fila si ingrossano continuamente e potrebbe anche darsi che qualcuno della stampa, tra non molto tempo, lascerà stare la fatica sempre più ardua di ignorare la storia recente e si unirà a loro. 1 La percentuale esatta è 52%, un aumento di nove punti in tre mesi. Cfr il sondaggio Washington Post / ABC e l’articolo di Richard Morin e Dan Baly, Survey Finds Most SupportStaying in Iraq, The Washington Post, 28 giugno 2005. POSTFAZIONE Il 1° novembre 2005, il senatore Harry Reid, democratico del Nevada e leader dell’opposizione, entrò in aula ed attaccò con una requisitoria di fuoco il leader repubblicani del senato. Come punto di partenza scelse l’atto d’accusa di I. Lewis Libby Jr., Chief of Staff del vicepresidente, che secondo Reid: “[…]fornisce una finestra su… come l’Amministrazione abbia costruito e manipolato le informazioni di Intelligence per vendere la sua guerra in Iraq, e su come abbia tentato di distruggere chi osò opporvisi .” In più di un secolo Libby è stato l’unico membro del personale della Casa Bianca ad essere inquisito ancora in carica: l’accusa che pende su di lui è d’aver dichiarato il falso ad un gran giurì ed agli investigatori federali circa il su coinvolgimento nel caso Wilson. Valerie Plame Wilson era un’agente della CIA, nonché moglie dell’ex ambasciatore Joseph C. Wilson IV, cui nel 2002 l’Agenzia commissionò di indagare sui resunti acquisti d’uranio africano da parte di Hussein. Wilson arrivò fino al Niger e riferì che quelle accuse erano infondate. Immaginiamo adesso la sua sorpresa quando nel gennaio del 2003, ascoltando il discorso sullo Stato dell’Unione, sentì dire a Bush quelle 21 parole infamanti: “Il governo britannico possiede informazioni che dimostrano come Saddam Hussein abbia recentemente cercato di ottenere in Africa significative quantità di uranio”. Passa qualche mese, siamo nel luglio del 2003, in Iraq le ADM rifiutano di farsi trovare e Wilson ha da poco raccontato al N.Y.Times quello che non aveva trovato in Africa per conto della CIA. Fu così che l’Amministrazione decise di vendicarsi facendo trapelare l’appartenenza della moglie di Wilson all’Agenzia. Il comportamento di Libby, disse Reid in Senato, era parte di un piano più ampio e l’esempio perfetto di come l’Amministrazione avesse “mentito e manipolato i fatti” pur d’arrivare alla guerra: “Il Presidente, il vicepresidente ed il Segretario di Stato, con questa storia degli arsenali nucleari di Saddam, hanno contato il tempo al popolo americano come si fa con un pugile al tappeto. Il vicepresidente affermò che addirittura l’Iraq aveva “ricostituito le sue armi nucleari” , ed invece, facendo leva sulle paure degli americani del dopo 11 settembre, questi ed altri membri del governo hanno evocato lo spettro di un attacco nucleare imminente da parte dell’Iraq su suolo americano, uno spettro che si poteva allontanare solo a patto di agire in fretta. Oggi sappiamo che simili attacchi nucleari erano assolutamente infondati, ma anche che diversi esperti dei Servizi avvertivano costantemente il governo che simili dichiarazioni sul regime di Saddam erano false.” Dopo aver discusso nel dettagli le manipolazioni governative delle intelligence, il leader dell’opposizione denunciò anche la passività del Governo: “A causa della condotta impropria che ha tenuto, nuvole nere si addensano su questa Amministrazione, così come su questo Congresso repubblicano, cui è mancata la volontà di imputare all’Amministrazione le sue mancanze […]Qual’e stata la reazione del Congresso alle manipolazioni del governo che ci condussero a questa guerra così lunga? Più o meno nessuna. Questo Congresso a maggioranza repubblicana ha forse espletato i suoi doveri costituzionali di controllo? No. E’ forse stato d’aiuto alle nostre truppe ed alle loro famiglie adoperandosi per fornire delle risposte a tante importantissime domande? No. Ha anche solo tentato di costringere quest’Amministrazione a rispondere alle domande più elementari sul suo comportamento? No.” Chiedendo poi ufficialmente che le commissioni sui Servizi “ e tutte le altre commissioni di quest’organo politico … conducano immediatamente un indagine approfondita e completa”, Reid ha scelto una strada drammatica ed inusuale, quella di far riunire il Senato a porte chiuse per discutere il rapporto promesso da tempo sulla manipolazione delle informazioni d’Intelligence. I Democratici hanno dunque scelto di paralizzare il Senato (nessuna votazione o altra funzione pubblica può essere espletata dal Senato finché rimane in sessione chiusa) per richiamare l’attenzione degli americani sulle domande preoccupanti e senza risposta che si addensano intorno all’inizio della guerra d’Iraq. Le accuse di Reid non erano certo nuove, ma non si può dire lo stesso della volontà democratica di intraprendere simili azioni aggressive: possiamo supporre che Reid non fu incoraggiato soltanto dall’incriminazione di Libby ma anche dall’indice di gradimento del Presidente, profondamente ridimensionato dal malcontento popolare per la guerra e dal diffuso sospetto della gente di essere stata raggirata sulle ragioni di essa. Nonostante tutto però, l’azione pur grave di Reid non ha dato adito ad alcun provvedimento ufficiale del Congresso, anzi, dopo quasi tre anni di guerra il presidente repubblicano della Commissione per i Servizi del Senato si è rifiutato di offrire una data precisa per il tanto sospirato rapporto sulle manipolazioni ante bellum delle Intelligence. Ad ogni modo Reid fece bene ad improntare il suo discorso sulle “sbandieriate capacità nucleari di Saddam”, perché proprio quello fu lo spauracchi agitato davanti al popolo americano, quella famosa pistola fumante che sta per trasformarsi in un fungo atomico che da sola dimostra come queste esagerazioni fossero parte di un calcolo premeditato. Non esisteva alcuna prova che Saddam avesse ricostituito le sue armi nucleari per citare Cheney, ed anzi autorevoli organi preposti, come ad esempio l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica dell’ONU, hanno anche messo in dubbio che Saddam abbia mai anche solo posseduto programmi nucleari. Per le armi chimiche e batteriologice la cosa è un po’ più complicata. Il memorandum ad esempio chiarisce come i vertici inglesi fossero convinti che Saddam ne possedesse ancora: quali le conseguenze se il primo giorno di operazioni Saddam decide di usare le ADM…? Chiede il Capo della Commissione Difesa verso la fine della riunione del 23 luglio a Downing Street, e subito dopo il Ministro della difesa avverte Saddam potrebbe usare le sue ADM anche contro il Kuwait, o contro Israele. Anche se questi ufficiali ammettevano che le informazioni sui programmi di riarmo iracheni erano scarse, sembra abbastanza chiaro che fossero convinti che l’Iraq continuasse a produrre ADM e che potesse disporne nel conflitto a venire. Dobbiamo concludere che anche i vertici americani avessero le stesse certezze: stando a quanto riportato da James Risen nel suo State of War (che usciva proprio mentre questo libro andava in stampa) il 20 luglio 2002, 3 giorni prima della riunione di Doping Street, Sir Dearlove ed altri ufficiali dell’ MI6 avevano preso parte ad un “summit MI6-CIA” che avrebbe avuto luogo al quartier generale della CIA e durante il quale le due parti si scambiarono apertamente le proprie informazioni sull’Iraq e quelle dei rispettivi reparti antiterrorismo. Secondo un “ex agente CIA” , scrive Risen, la riunione durò tutto il giorno ed era stata convocata su “urgente richiesta degli inglesi”: La CIA era convinta che il Primo Ministro Blair avesse spedito Dearlove a Washington per scoprire cosa pensasse davvero l’Amministrazione Bush sull’Iraq: sembra che volesse far sondare al suo capo dei Servizi il pensiero delle alte cariche della capitale, così da poter avere, mentre rimaneva in contatto costante con Bush, un riscontro effettivo delle informazioni che gli arrivavano dalla Casa Bianca. “Visto a posteriori è assolutamente evidente che Dearlove abbia insistito per quella riunione su preciso mandato di Blair, che evidentemente voleva sapere cosa stava accadendo” dice l’ex agente CIA […] Le due delegazioni finirono per passare insieme gran parte di quel sabato [2 luglio][…] Tenet aveva degli ottimi rapporti personali con Dearlove e di solito con lui era molto schietto. Durante quel sabato Tenet e Dearlove lasciarono la riunione e se ne andarono a discutere privatamente, per più o meno un’ora e mezza, questo secondo un ex agente CIA che partecipò al meeting1 . Ma allora quello che “C” afferma nel memorandum, ben lontano dal rappresentare le voci e gli umori di ‘Washington’ è invece la sintesi di quello che il capo dell’MI6 aveva scoperto in una conferenza segreta tra i più alti livelli della CIA e dell’Intelligence britannica, organizzata tra l’altro perché Blair potesse avere un riscontro effettivo su cosa stava accadendo. Il vero “scoop nascosto nel memorandum”, dice Risen, è che “fu la stessa CIA ad accontentarsi di informazioni insufficienti”: Mentre si avvicinava l’invasione dell’Iraq, prese piede ai vertici della CIA il sentimento che la guerra fosse inevitabile, e che di conseguenza la qualità delle informazioni sulle ADM da passare al governo non contasse più un granché: questo spinse i responsabili ad una certa inaccuratezza, magari ad accettare informazioni poco sicure. Così almeno si crede all’interno della stessa CIA: il nostro agente, che ha lasciato la CIA dopo la guerra, ci racconta che “uno dei ragazzi ai piani alti del NE Division [divisione per il medio oriente2] mi disse che se a Baghdad ci si andava comunque tutta quella roba non importava: lì di informazioni utili ne avremmo trovate a palate” Nelle ormai famose parole che “C” pronunciò appena tre giorni dopo questa riunione segreta (intelligence e fatti stanno venendo organizzati in funzione della linea "politica) siamo ora in grado di leggere chiaramente la conclusione a cui giunge Risen, e cioè che “il capo ed altri ufficiali della CIA non credevano all’importanza della questione ADM, perché tanto la guerra, in un modo o nell’altro ci darebbe stata comunque”. Quindi anche se in pochi all’Agenzia avranno dubitato della presenza di ADM in Iraq, si saranno detti che per quanto le informazioni in merito fossero scarse potevano anche fare a meno di continuare le indagini, soprattutto considerato quello che ormai sembrava ovvio: l’Amministrazione non stava soppesando le informazioni che riceveva per decidere se la minaccia irachena era tale da armare un esercito ed occupare l’Iraq, piuttosto le usava solo per orientare il consenso a favore di una guerra per il resto già tutta decisa. Quando poi con l’avvicinarsi della guerra sia arrivò davvero a prendere in considerazione l’argomento ADM, la domanda non era più se Saddam ne avesse (senza prove decisive della loro distruzione molte agenzie pensavano che così fosse – e come abbiamo visto si sbagliavano) ma se la presenza di queste armi, insieme ad altri fatti relativi al regime, fosse sufficiente per giustificare un attacco e correre il rischio di una lunga occupazione. 1 Cfr. : James Risen, State of War:The ecret history of the CIA and the Bush Administration, Free Press, 2006, pp 113-115. 2 Near East Division of Directorate of Operations. In ogni caso una risposta seria a questa domanda avrebbe richiesto un’analisi attenta delle informazioni d’intelligence (a cominciare dall’ammetterne la debolezza) per poi accertarsi dello stato dei programmi militari iracheni e della loro effettiva pericolosità, al fine di valutare la forza e le intenzioni del regime iracheno. Da quello che ne sappiamo invece, ossessionata com’era di “lanciare il nuovo prodotto” e vendere la guerra agli americani ed al resto del mondo, l’Amministrazione non si interessò granché alle intelligence, se non per esagerare le informazioni in mano ai servizi e facendo inoltre dichiarazioni totalmente infondate sulle “capacità nucleari di Saddam”. L’Amministrazione sapeva bene che “una pistola fumante che diventa un fungo atomico” era la migliore immagine da incubo disponibile, per convincere gli americani ad appoggiare la guerra ma anche per scoraggiare qualsiasi politico che fosse incline ad esprimere i suoi dubbi verso una decisione così saggia. Questa strategia però era fondata sulla certezza che una volta giunti a Baghdad le truppe USA avrebbero trovato qualcosa da mettere sotto le telecamere: che so almeno qualche mucchio di involucri per l’artiglieria chimica o un paio di laboratori per le armi batteriologiche. Anche perché se i signori dell’Amministrazione non avessero avuto una tale sincera convinzione della reale presenza di ADM, sarebbe stato quantomeno imprudente da parte loro basare su questo punto l’intera propaganda, anche fossero stati convintissimi di una guerra lampo e di essere osannati dagli iracheni come liberatori. Chiaramente c’è una bella differenza tra un pretesto ed una ragione, ed è ormai chiaro che all’interno dell’Amministrazione in molti volevano in ogni caso attaccare ed occupare l’Iraq, per una vasta gamma di ragioni alcune delle quali preesistevano anche al 9/11: ad esempio rimuovere la minaccia che un dittatore ostile ed imprevedibile avrebbe potuto rappresentare per il Golfo e l’industria del petrolio; prevenir qualsiasi ipotesi di collaborazione tra Saddam ed Al-Qaeda (che avrebbe potuto contemplare il trasferimento di ADM); liberarsi di un regime ostile ad Israele; innescare un processo di limitata democratizzazione dei paesi del Medio Oriente. Come se non bastasse poi queste ragioni si sovrappongono e si intersecano, ed ogni funzionario ne sottolineerebbe una piuttosto che un’altra, aggiungeteci poi l’inezia dell’11 settembre e servite il tutto come un catalizzatore che trasforma semplici idee nelle teste delle persone in apparenti necessità. Gli attacchi dopotutto crearono davvero una “finestra” durante la quale lo spaventato e rabbioso popolo americano poteva facilmente essere convinto ad una “guerra d’opportunità”, che agli occhi di molti nel governo Bus non avrebbe soltanto riaffermato la forza e l’estensione del potere americano, ma anche eliminato una minaccia diventata ormai intollerabile. “La verità”, faceva notare un funzionario del Ministero degli Esteri inglese in uno dei documenti allegati al memorandum, “è che il programmi ADM di Hussein non hanno accelerato il passo, è piuttosto la nostra tolleranza in merito ad essere cambiata con l’ 11/9”.Ne conveniva anche Straw, che scrisse al suo Primo Ministro1 : Se non ci fosse stato l’11/9 difficilmente gli USA non starebbero considerando l’idea d’un intervento armato in Iraq. Inoltre non c’è alcuna prova evidente che colleghi l’Iraq a UBL ed Al Qaida e la minaccia posta dal regime di Hussein, oggettivamente, non è aumentata a causa dell’11 settembre: piuttosto è cambiato il livello di tolleranza della comunità internazionale (specialmente quella USA): il 9/11 tutto il mondo ha visto cosa possono riuscire a fare oggigiorno delle persone malvagie. 1 Cfr. infra: IL MINISTRO DEGLI ESTERI STRAW : RIUNIONE A CRAWFORD SULL’IRAQ”. Ndt: Straw usa la stessa espressione del suo funzionario, tale Peter Rickets, perché il documento in cui questi la impiega per la prima volta era indirizzato direttamente a Straw, per prepararlo appunto alla riunione in cui fu redatto il memorandum, cfr infra IRAQ : SUGGERIMENTI PER IL PRIMO MINISTRO Tra le cause da tenere in conto per la guerra d’Iraq c’è dunque anche l’11 settembre, anzi per la verità potremmo dire che fu questo a renderla inevitabile, come disse Dearlove. Q questo punto la questione fondamentale è diventata: come si potevano convincere gli americani – e le varie fazioni interne al governo- che si doveva combattere una guerra d’opportunità in Iraq? E, questione minore ma comunque importante, come convincere il popolo ed il governo britannici, vale a dire i principali alleati? Per quanto riguarda il presunto collegamento tra Saddam ed Al-Qaeda, molti all’interno del Dipartimento della Difesa ne fecero un auto da fé, ma venne negato da molte potenti figure di entrambi i governi, compresi i direttori delle maggiori agenzie di intelligence. Quanto “all’intervento umanitario” per rimuovere Saddam e sostituirgli un governo democratico, anche se sostenuta da diversi funzionari, incluso il vice Ministro della Difesa Paul Wolfowitz, l’opzione non era certo un buon motivo per “mettere a rischio le vite dei nostri figli” , come ammise lo stesso Wolfowitz dopo la guerra. Le ipotetiche ADM di Saddam invece, visto che erano già state sanzionate da una risoluzione ONU, rimanevano la scelta migliore per porre un casus belli che portasse anche le Nozioni Unite dalla parte degli alleati; in più però potevano essere facilmente strumentalizzate, così da creare l’immagine sordida ed altamente commercializzabile della terribile minaccia che Saddam avrebbe incarnato: esattamente il tipo di apocalisse stile 11 settembre che George Bush voleva affermare di poter prevenire. Anche agli esponenti dell’Amministrazione quella delle armi sembrava la ragione più valida per lanciare la guerra, la migliore da rendere ufficiale almeno, e questo per i motivi sopra esposti ma anche, secondo le parole di Wolfowitz “per motivi che hanno molto a che fare con la burocrazia del governo americano”. Va da se che se davvero le ADM fossero state l’unica o anche solo la maggiore delle minacce che Saddam rappresentava per l’Amministrazione, “l’opzione ONU” promossa dagli inglesi sarebbe stata più ce sufficiente per venirne a capo, a patto che agli ispettori fosse stato concesso di visitare tutti i “siti sospetti”: in quel caso, forse per l’estate del 2003, avremmo saputo la verità senza dover aspettare la fine della guerra: non c’erano armi. Allo stesso modo, dovrebbe essere ormai chiaro che probabilmente l’Amministrazione Bush non sarebbe stata mai soddisfatta da alcuna ispezione, se non altro perché l’opzione ONU a Washington non era considerata un modo per disarmare Saddam ed evitare la guerra, ma per riuscire a farla ed a rimuoverlo. Ancora una volta è il memorandum che ci chiarisce questo aspetto in maniera indiscutibile: secondo il Primo Ministro Blair i punti chiave del progetto erano il buon esito del piano militare ed una strategia politica che gli conceda lo spazio per funzionare, e questo già otto mesi prima della guerra quando si riunì a Downing Street con il suo gabinetto. Se guardiamo a i fatti, purtroppo, nessuno dei due funzionò: con la storia delle ADM e della relativa minaccia planetaria, l’Amministrazione riuscì a mungere abbastanza consenso tra il pubblico americano ma non nel resto del mondo, dove invece da ogni parte si chiedeva che fosse permesso agli ispettori di concludere il loro lavoro. Anche questo problema però avrebbe potuto essere ridimensionato, sempre che la strategia militare di Rumsfeld avesse funzionato, conducendo gli americani ed i loro leali alleati britannici alla promessa vittoria schiacciante invece che ad una guerriglia apparentemente senza fine. La scelta di concentrarsi sulle ADM, e l’impossibilità di trovarle, significa che oggi per molti americani – tre anni e 2.200 morti statunitensi dopo – l’inizio della guerra d’Iraq è qualcosa di fumoso ed indeterminato esattamente come la sua fine. Viviamo legati a doppio filo alle esagerazioni ed alle bugie di una scorciatoia per la guerra : i risultati sono la distorsione del dibattito politico, la corruzione dei nostri politici ed il collasso dell’unico elemento fondamentale per poter combattere un conflitto lungo ed inconcludente – la fiducia ed il supporto del popolo. -MDD 20 gennaio 2006 APPENDICE: I DOCUMENTI DI DOWNING STREET INTRODUZIONE Il 23 luglio 2002 le cariche più alte del governo Blair si riunirono al 10 di Downing Street ed all’ordine del giorno c’era la questione Iraq. Per Memorandum di Downing Street si intende innanzitutto la trascrizione di quell’incontro, redatta da Mattehew Rycroft (un segretario di David Manning, consigliere per gli esteri di Blair) in un documento di due pagine e mezzo, classificato segreto e strettamente personale e distribuito in copia a ciascuno dei partecipanti. Il 1 maggio 2005 il giornalista inglese Michael Smith rese pubblico il memorandum sul London Times. Riportiamo qui il testo per intero, assieme ai testi degli altri sette memorandum che lo stesso Smith pubblicò il 5 maggio: di questi, sei sono note preparate nel marzo 2002 per il Primo Ministro Blair, in previsione della visita che il mese successivo avrebbe fatto al Presidente Bush nel suo ranch texano di Crawford. In quell’occasione i due leader discussero di Iraq e Blair confermò l’appoggio britannico ad un’azione militare diretta alla rimozione di Saddam. Questi documenti contengono traccia delle dinamiche interne al governo inglese per convincere gi americani a costruire un contesto politico che rendesse la guerra più digeribile al partito laburista ed alla comunità internazionale, al tempo stesso però (attraverso i rapporti di incontri e pranzi con funzionari statunitensi) ci offrono degli indizi anche su come evolveva la situazione all’interno dell’Amministrazione. “L’entusiasmo di Condi per questo cambio di regime è indefesso” riporta Manning, consigliere per gli esteri, dopo aver pranzato in marzo col consigliere americano per la sicurezza nazionale; “rispetto al nostro ultimo incontro tuttavia, ho riscontrato alcuni segni che mi fanno supporre una maggiore consapevolezza delle difficoltà pratiche e dei rischi politici”. L’ambasciatore britannico invece, dopo aver invitato a pranzo il vice ministro della difesa americano Wolfowitz, riporta che per quanto riguarda l’evoluzione dei dissidi interni all’Amministrazione, vale a dire dello scontro tra i pro ed i contro INC (Iraqi National Congrass), lo stesso Wolfowitz sembri “di gran lunga più pro INC che contro”. Nello stesso incontro, a proposito di Ahmed Chalabi, leader dell’INC, emerge che avrebbe avuto “grossi successi nel fare espatriare dissidenti di altissimo livello”, ma che comunque “la CIA si rifiuta categoricamente di riconoscerglielo”. I memorandum di Marzo includono: “Iraq: nota sulle opzioni” (8 marzo 2002). Contiene le opzioni militari per la rimozione di Saddam; “Iraq: background legale” (8 marzo 2002), che contiene diverse note per Blair sulla legittimità di usare la forza contro Saddam; “Il suo viaggio negli USA” (14 marzo 2002): il rapporto del consigliere per gli esteri sui suoi incontri con la Rice; “Dall’ambascaitore” (18 marzo 2002), in cui il diplomatico britannico fa rapporto sul su pranzo domenicale col vice Ministro della Difesa Wolfowitz; “Iraq: suggerimenti per il Primo Ministro” (22 marzo 2002), redatto da Peter Ricketts, direttore politico del Foreign and Commonwealth Office, si occupa del contesto politico in previsione di un attacco contro l’Iraq. “Crawford/Iraq” (25 marzo 2002) in cui il Ministro degli Esteri britannico descrive come promuovere la guerra in Iraq ai laburisti ed alla comunità internazionale. Per finire, accludiamo anche “Iraq: condizioni per l’azione militare” (21 luglio 2002), realizzato dal Cabinet Office e contenente le “condizioni politiche” necessarie per rendere possibile un attacco in Iraq. L’enfasi cade, come nella riunione di due giorni prima, sul bisogno di imporre all’Iraq un ultimatum che Saddam rifiuterebbe , ma che sarebbe invece percepito come più che ragionevole dalla comunità internazionale. L’autore del documento conclude che in mancanza di un ultimatum sì confezionato, o a meno di un attacco da parte irachena, è improbabile che si riesca ad ottenere l’adeguato fondamento legale alle operazioni per gennaio 2003. Ad ognuno di questi documenti ho aggiunto una breve nota introduttiva, ma rispetto agli articoli queste sono state lievemente rivedute, per eliminare dei refusi ma anche per spiegare alcuni acronimi che potrebbero risultare poco familiari ai lettori. -MDD IL MEMORANDUM DI DOWNING STREET. Il 23 luglio 2002 il primo ministro Tony Blair riunì al dieci di Downing Street tutti i massimi ufficiali inglesi per discutere una linea politica circa la questione irachena. I partecipanti risultano essere: Jack Straw, ministro degli esteri, Geoffrey Hoon, ministro della difesa, Lord Goldsmith, Attorney General, John Scarlett, presidente della Commissione Congiunta per l’Intelligence1, Sir Richard Dearlove, ovvero “C”, capo dell’MI6 (più o meno l’equivalente della CIA), Sir David Manning, consigliere per la politica estera (equivalente all’americano consigliere per la sicurezza nazionale), l’ammiraglio Sir Michael Boyce, capo della Commissione Difesa2, Johnatan Powell, Chief of Staff di Blair, Alastair Campbell, responsabile delle comunicazioni e della strategia (il consigliere politico di Blair) e Sally Morgan, portavoce del governo. Questi ufficiali trattarono dei temi che, come dimostra il memorandum stesso, il governo britannico stava affrontando da almeno quattro mesi. Gli appunti che leggerete furono presi da Mattehew Rycroft, un analista per la politica estera di Manning, che per primo ha messo insieme il memorandum. SEGRETO E STRETTAMENTE CONFIDENZIALE – SOLO PER OCCHI INGLESI DAVID MANNING Da: Matthew Rycroft Data: 23 luglio 2002 S 195/02 P.C. : Ministro della Difesa, Ministro Degli Esteri, Procuratore Generale, Sir Richard Wilson, John Scarlett, Francis Richard, CDS, C, Jonathan Powell, Sally Morgan, Alaistair Campbell IRAQ: RIUNIONIONE DEL PRIMO MINISTRO, 23 LUGLIO Il 23 luglio, insieme ai destinatari della presente, avete3 partecipato ad una riunione col primo ministro per discutere d’Iraq. Questo rapporto è estremamente sensibile. Se ne evitino copie ulteriori o diffusione alcuna fuori dai casi strettamente indispensabili. John Scarlett fa rapporto sulle informazioni d’intelligence e sugli ultimi briefing del JIC. Il regime di Saddam è brutale e fondato sulla più profonda paura. L’unico modo per rovesciarlo sembra essere una massiccia operazione militare. Saddam è preoccupato e si attende un attacco, probabilmente sia da terra che da mare, ma non crede che possa essere immediato o devastante. Il suo regime ha messo in conto che i paesi vicini si allineeranno agli USA. Saddam sa inoltre che il morale medio delle truppe è basso. Anche il supporto popolare è probabilmente poco esteso. C rapporto sulle sue recenti missioni a Washington. Registrato un sensibile cambiamento d’orientamento: l’azione militare è ora considerata come inevitabile. Bush vuole rimuovere Saddam e con un’azione militare, 1 Ndt: Joint Intelligence Commitee o JIC Ndt: Defence Staff o CDS 3 Il memorandum è stato compilato da Rycroft ad uso dei partecipanti alla riunione del 23/7, ai quali ne spedisce copia. 2 giustificandola con la congiuntura del terrorismo e delle Armi di Distruzione di Massa1. Ad ogni modo intelligence e fatti stanno venendo organizzati in funzione della linea politica. L’NSC 2 ha poca pazienza per l’opzione ONU e nessun entusiasmo circa la pubblicazione di qualsiasi materiale che riguardi l’analisi del regime iracheno. A Washington non si è discusso granché dello scenario post-bellico. CDS afferma che gli strateghi incontreranno la CENTCOM l’1-2 agosto, Rumsfeld il 3 e Bush il 4. Le due principali opzioni statunitensi sono: (a) Partenza Graduale. Lenta preparazione di un esercito di 250.000 unità, breve campagna aerea (72 ore), poi dritti a Baghdad entrando dal sud. Tempo stimato per l’operatività 90 giorni (30 di preparazione più 90 per il dispiegamento in Kuwait). (b) Partenza Immediata. Forze USA direttamente nel teatro (3x 6000), campagna aerea continua. Necessario casus belli iracheno. Tempo totale per l’operatività 60 giorni, facendo iniziare le incursioni aree anche prima. Un’opzione azzardata. Gli USA considerano la Gran Bretagna ( ed il Kuwait) essenziali per entrambe le opzioni, in virtù delle basi di Diego Garcia e Cipro. Danno importanza anche alla Turchia ed agli altri stati del Golfo, ma meno fondamentale. Le tre opzioni principali circa ruolo della Gran Bretagna sono : (i) Concessione delle basi di Diego Garcia e Cipro più tre battaglioni SF. (ii) Come sopra più supporto navale ed aereo. (iii) Come sopra più un contributo militare di massimo 40.000 effettivi terrestri, con forse un ruolo importante nel nord Iraq. Ingresso Britannico via Turchia neutralizzando due divisioni Irachene. Ministro della Difesa gli americani hanno già cominciato “attività di disturbo” che mettano pressione al regime. Ancora non è stata presa una decisione, ma il periodo più adatto per le operazioni, secondo gli USA, sarebbe gennaio, cominciando 30 giorni prima delle elezioni per il Congresso. Ministro degli Esteri afferma che ne discuterà con Colin Powell questa settimana. Anche se la tabella di marcia non è ancora stata definita, appare chiaro che Bush si è deciso per l’azione militare. Il margine ad ogni modo è stretto. Saddam non sta minacciando i suoi nemici e la sua disponibilità ADM è inferiore alla Libia, al Nord Corea od all’Iran. Dovremmo lavorare ad un piano per imporre un ultimatum a Saddam sul rientro degli ispettori ONU. Aiuterà anche per una giustificazione legale dell’uso della forza. Procuratore Generale fa presente che il desiderio di un cambio di regime non è una base legale per azioni militari. Le opzioni ammissibili sono tre: autodifesa, intervento umanitario, oppure autorizzazione dell’ CSNU3 [Consiglio di Sicurezza dell’ONU ]. La prima e la seconda non sono applicabili nella fattispecie. Sembra difficile allo stato attuale potersi appellare alla risoluzione 1205 di tre anni fa. La situazione ovviamente, è sensibile di cambiamenti. Primo Ministro afferma che il rifiuto di Saddam ad ammettere gli ispettori ONU farebbe una grossa differenza, legalmente e politicamente. Il collegamento tra ADM ed il regime è nel fatto che sia il regime a produrle. Per la Libia e l’Iran esistono strategie diverse. Con l’appropriato contesto politico la gente supporterà il cambio di regime. I punti chiave sono il buon esito del piano militare ed una strategia politica che gli conceda lo spazio per funzionare. 1 Ndt: d’ora in poi ADM Ndt: National Security Council, Consiglio di Sicurezza Nazionale. 3 UNSC: United Nations Security Council. 2 All’inizio CDS sottolinea che non sappiamo ancora nulla circa la validità del piano militare statunitense. I militari continuano a fare molte domande, ad esempio: quali le conseguenze se il primo giorno di operazioni Saddam decide di usare le ADM o se Baghdad non cade subito e si trasforma invece in scenario di guerriglia urbana? Lei (ricordate che è Rycroft che scrive per David Manning, ndt.) ha risposto che Saddam potrebbe usare le sue ADM anche contro il Kuwait, o contro Israele, ha aggiunto il Ministro della Difesa. Ministro degli Esteri pensa che gli americani non metteranno in essere nessun piano militare senza essere convinti che sia vincente. Su questo gli interessi Britannici ed USA convergono. Sul piano politico ad ogni modo potrebbero esserci divergenze GB/USA. Nonostante le resistenze americane dovremmo discutere l’ultimatum nei dettagli. Saddam continuerà à giocare al tiro alla fune con l’ONU. John Scarlett crede che Saddam ammetterà gli ispettori solo se convinto d’una seria minaccia militare. Ministro della Difesa dice che se il Primo Ministro vuole la partecipazione militare del Regno Unito, bisogna deciderlo con debito anticipo. Fa notare che molti negli USA non considerano necessario il passaggio dell’utimatum e che sarebbe dunque importante per il Primo Ministro accordarsi con Bush sul contesto politico. Conclusioni (a)Dovremmo lavorare tenendo conto che il Regno Unito prenderà comunque parte alle operazioni militari. In ogni caso abbiamo bisogno d’un quadro più completo dei piani USA prima di prendere qualsiasi decisione definitiva. CDS dovrebbe riferire ai militari USA che stiamo considerando un ventaglio d’opzioni. (b)Il Primo Ministro dovrebbe analizzare se esistono fondi da spendere per preparare questa operazione. (c) Per la fine della settimana CDS informerà il Primo Ministro circa tutti i dettagli della campagna militare proposta dagli USA e di tutte le possibili forme di partecipazione del Regno Unito. (d)Il Ministro degli Esteri invierà al Primo Ministro ogni informazione sugli ispettori ONU, e metterà appunto nei dettagli l’ultimatum per Saddam. Invierà anche dei rapporti sulle possibili posizioni dei paesi nella regione: Turchia in particolare più gli altri principali paesi EU. (e)John Scarlett invierà al Primo Ministro un rapporto d’intelligence aggiornato e completo sulla questione. (f)Non dobbiamo ignorare l’aspetto legale: il Procuratore Generale discuterà i dettagli con dei consiglieri FCO/MOD1. (Di ciò che segue ho inviato copia separata alla commissione) -Matthew Rycroft 1 FCO: Foreign and Commnwealth Office: Ministero degli Esteri (e del Commonwealth); MOD: Ministry of Defence: Ministero della Difesa. IRAQ: NOTA SULLE OPZIONI. Questo documento, preparato da ufficiali dell’ Overseas Defence Secretariat1 Cabinet Office e trasmesso l’8 marzo 2002, descrive la politica britannica in Iraq fino a quel momento: vengono delineati gli obiettivi principali e la strategia di contenimento, ma anche considerati i cambiamenti possibili, compreso un “inasprimento” di questa politica di contenimento od un ipotetico cambio di regime. Discutendo quest’ultimo punto l’autore mette sul tavolo e confronta tre possibili strade per rovesciare Saddam: supportare di nascosto i gruppi d’opposizione interna; lanciare un offensiva area e supportare apertamente gli stessi gruppi; oppure dare il via ad una campagna terrestre per invadere ed occupare l’Iraq. Questa nota era tra quelle messe insieme per preparare il Primo Ministro Blair al suo incontro con Bush, che ebbe luogo nell’aprile del 2002 nel suo ranch di Crowford, Texas. SEGRETO- SOLO PER OCCHI INGLESI IRAQ: NOTA SULLE OPZIONI NOTA STORICA Dal 1991 il nostro obiettivo è stato la ristabilire in Iraq la pratica della legalità, evitare che possedesse ADM e che minacciasse i suoi vicini, allo scopo di reintegrare il paese nella comunità internazionale. Implicitamente però, tutto questo non è possibile con Saddam Hussein al potere. La nostra misura più pesante fin’ora, comunque minima, è stata una politica di contenimento rivelatasi parzialmente vincente. Tuttavia: Nonostante le sanzioni l’Iraq continua a produrre ADM, anche se le nostre fonti d’intelligence non ci dicono molto di più. Saddam si è servito di ADM in passato e potrebbe farlo ancora qualora vedesse minacciato il suo regime, anche se il pericolo non è maggiore oggi di quanto non lo sia stato nel passato recente Il regime brutale di Saddam ha ancora il potere e destabilizza il mondo arabo e quello islamico. Abbiamo due opzioni. Possiamo inasprire la politica di contenimento esistente, cosa che aumenterà la pressione su Saddam ma non riporterà l’Iraq in seno alla comunità internazionale. 1 Segretariato per gli Esteri e la Difesa, in realtà Overseas (lett. Oltremare) indica tutti gli stati che non sono nel territorio delle isole d’Inghilterra -come gli stessi stati europei- e l’uso del termine nella definizione degli organi burocratici britannici fa riferimento al passato imperiale della nazione. L’amministrazione americana ha perso ogni fiducia nelle strategie di contenimento e sta attualmente considerando un cambio di regime. Il risultato potrebbe essere sia un uomo forte sunnita sia un governo rappresentativo. Le tre opzioni principali per ottenere un cambio di regime: Supportare in segreto l’opposizione interna per provocare una rivolta o un colpo di stato. Supporto aereo agli stessi gruppi interni e per lo stesso scopo. Una campagna terrestre in piena regola. Nessun di queste esclude l’altra. Le Opzioni 1 e/o 2 sarebbero le premesse naturali per l’opzione 3. Maggiori saranno gli investimenti occidentali, maggiore sarà il nostro controllo sul futuro dell’Iraq, ma contemporaneamente aumenteranno i costi ed il tempo per cui dovremo rimanere sul campo. L’unico modo certo per rimuovere Saddam e la sua élite è invadere il paese ed imporre un nuovo governo. Questo tuttavia potrebbe richiedere un’attività di nation building e diversi anni. Anche un governo rappresentativo poi, potrebbe decidere di realizzare le proprie ADM e riorganizzare le proprie forze convenzionali, almeno finché Iran ed Israele manterranno i loro arsenali e finché non ci sarà una soluzione accettabile per la questione palestinese. Sarà necessaria una giustificazione legale per l’invasione. Il problema, sottoposto all’attenzione dei Law Officers, è ancora senza soluzione. Dovremmo quindi considerare un approccio graduale, garantendo supporto internazionale all’operazione, aumentando la pressione su Saddam e sviluppando intanto i piani militari. Abbiamo un tempo limite di circa sei mesi per un’offensiva terrestre. OBBIETTIVI CORRENTI E LINEA POLITICA BRITANNICA 1. All’interno dei nostri obiettivi di salvaguardia della pace, della stabilità del Golfo e di approvvigionamento energetico, i nostri attuali obiettivi in Iraq sono i seguenti: la reintegrazione del paese nella comunità internazionale quale soggetto operante in completa legalità, privo di ADM e quindi incapace di costituire minaccia per i paesi dell’area. E’ implicito che ciò non possa avvenire con Saddam al potere. visto il punto precedente abbiamo messo in essere, quale misura minima, una politica di contenimento con l’intento di impedire il riarmo di Saddam, per quel che riguarda le ADM e la conseguente possibile minaccia verso i paesi confinanti. 2. Consideriamo obiettivi accessori: preservare l’integrità territoriale dell’Iraq; migliorare le condizioni umanitarie del popolo iracheno; proteggere i Kurdi nel nord del paese; sostenere una co-operazione GB/GB, moderando la politica USA se necessario. salvaguardare la credibilità e l’autorità del Consiglio di Sicurezza. IL CONTEMINIMENTO HA FUNZIONATO? 3. Dal 1991 la nostra politica di contenimento ha parzialmente funzionato: le sanzioni imposte hanno effettivamente congelato il programma nucleare iracheno; è stato impedito all’Iraq di riportare il suo arsenale convenzionale ai livelli precedenti la Guerra del Golfo; i programmi missilistici sono stati profondamente ridimensionati i programmi per le armi batteriologiche (BW) e chimiche (CW)1 sono stati fortemente rallentati; le zone interdette al volo (NFZs)2 create nel nord e nel sud del paese hanno effettivamente garantito una certa protezione a Sciiti e Kurdi e questi ultimi, sebbene sottoposti ad una continuata pressione politica, sono rimasti sostanzialmente autonomi; Saddam non è riuscito a minacciare seriamente i suoi vicini. 4. Tuttavia: l’Iraq continua a sviluppare le ADM, per quanto scarse siano le nostre informazioni d’Intelligence. Si stima che il regime possieda ancora fino a 60 missili con gittata pari a 650 km, rimastigli dalla Guerra del Golfo, e capaci di colpire Israele e gli stati del Golfo. Continua inoltre lo sviluppo di ulteriori missili balistici conformi al limite di gittata di 150 km imposto dall’ONU. L’Iraq continua anche i suoi programmi CW e BW e se non l’ha ancora fatto, stimiamo che volendo potrebbe produrre quantità significative di agenti biologici nell’arco di pochi giorni, e di agenti chimici in poche settimane. Crediamo che sia capace di colpire con gli agenti in questione in una varietà di modi, inclusi i suddetti vettori balistici. Esistono anche indiscrezioni su un presunto programma nucleare che sarebbe ancora in corso. Saddam ha fatto uso in passato di ADM e potrebbe farlo di nuovo se venisse minacciato il suo regime. Saddam governa brutalmente e vessa il suo popolo. Finché sarà al potere rappresenterà un polo d’attrazione per l’anti-occidentalismo del mondo arabo ed islamico: è cioè un fattore di instabilità. nonostante il controllo sui profitti petroliferi esercitato dall’ONU tramite Oil for Food, abbiamo rilevato una quantità di petrolio considerevole, di cui una parte viene contrabbandata. 5. In questo contesto, e contro il nostro stesso desiderio ed impegno pregresso di reintegrare un Iraq legale nella comunità internazionale, prendiamo in esame le due opzioni politiche che seguono: un inasprimento della strategia di contenimento già in atto, misura facilitata dall’ 11/9, e un cambio di regime con misure militari: vale a dire un nuovo inizio che richiederà la costruzione d’una coalizione ed una giustificazione legale. INASPRIRE IL CONTENIMENTO 6. 1 2 Si tratterebbe delle seguenti misure: completa implementazione di tutte le risoluzioni del CSNU, in particolare della 687 (1991) e della 1284 (1999). Dovremmo assicurarci che la Good Review List (GRL) venga effettivamente adottata in maggio, e pertanto che la Russia mantenga la sua parola e non la blocchi: ci sono segni positivi ma è necessaria una pressione continua (la GRL concentra le sanzioni esclusivamente sulla prevenzione di ogni compravendita che riguardi ADM o altri armamenti, ma permette senza controllo qualsiasi altro tipo di commercio, pertanto potrebbe facilitare largamente qualsiasi scambio commerciale Iracheno all’interno di Oil for Food); una volta garantita l’approvazione Russa alla GRL, incoraggiare gli USA a non bloccare le trattative che dovranno chiarire le modalità di applicazione della risoluzione 1284. Per quel che riguarda la chiarezza dovremmo scegliere la linea dura in ognuna di queste aree, non certo con lo scopo di abbassare la guardia alle richieste irachene; piuttosto perché : Ndt: Biological Weapons (BW) e Chemical Weapons (CW) Ndt: No Fly Zones (NFZs) I P5 (Permanent Five Member)1 ed il Consiglio di Sicurezza, uniti, faciliteranno la formulazione d’una specifica richiesta di riammissione degli ispettori in Iraq. Il nostro scopo è riuscire a mettere Saddam nella condizione di dover scegliere tra gli ispettori ed il rischio d’un intervento armato; Di nuovo unitariamente, dovremmo spingere per una presa di posizione più forte (specialmente da parte USA) contro quelle sanzioni che rischiano di mettere in ginocchio gli stati cui vengono imposte, e questo andrebbe fatto senza alcuna discriminazione tra alleati (Turchia), amici (UAE)2 ed altri (Siria in particolare). L’obbiettivo è pressare ancora di più Saddam e costringerlo ad acconsentire ad ispezioni ragionevoli od a porre un casus belli; mantenere le nostre attuali posizioni militari, comprese le NFZs, ed essere pronti a rispondere in modo robusto ad ogni bizza irachena; continuare a mettere in chiaro (senza porre apertamente l’ipotesi d’un rovesciamento del regime) il nostro punto di vista: l’Iraq starebbe molto meglio senza Saddam. Potremmo anche prospettare al paese quale roseo futuro ha davanti senza di lui, magari buttando giù un “Contratto col Popolo Iracheno”, anche se per renderlo un’iniziativa credibile bisognerebbe lavorarci nel dettaglio. 7. Cosa possiamo ottenere: ci sarà una pressione crescente su Saddam. La GRL renderà le sanzioni molto più appetibili per almeno una parte degli attuali detrattori. L’implementazione delle sanzioni ridurrà gli introiti illeciti del regime e il ritorno degli ispettori ONU permetterà un analisi più approfondita dei programmi e più in generale delle forze irachene. Se trovando prove significative di ADM venissero espulsi, oppure, faccia ad un ultimatum, semplicemente non riammessi, potremmo avere la giustificazione legale per un operazione militare su larga scala (vedi sotto). 8. Però: alcune delle difficoltà legate all’attuale linea politica persistono; gli stati già colpiti da sanzioni, e che tuttavia ne infrangono attualmente le direttive, vorranno sicuramente qualche forma di compensazione in cambio d’un inversione di rotta; è probabile che Saddam permetterà il rientro degli ispettori solo se crederà imminente la minaccia d’un massiccio intervento militare USA, e solo se sarà convinto che simili concessioni eviteranno effettivamente azioni così decise. È anche probabile che per prendere tempo, a quel punto, adotterà una rinnovata strategia di non co-operazione; anche se una politica di contenimento ha retto per tutta la decade passata, l’Iraq ha progressivamente aumentatato le sue relazioni internazionali, e seppure la GRL rendesse le sanzioni più a portata di mano, nel lungo periodo la strumento stesso delle sanzioni potrebbe perdere ogni funzionalità. 9. L’inasprimento della strategia adottata fin’ora non reintegrerà comunque l’Iraq nella comunità internazionale, perché offre ben poche prospettive di rimuovere Saddam, che da parte sua continuerà i suoi programmi ADM, la destabilizzazione del mondo arabo ed Islamico l’impoverimento del suo popolo. Ad ogni modo la minaccia che decida di usare ADM non è più grande oggi che negli ultimi anni, continuare l’attuale politica di contenimento rimane dunque una valida opzione. 1 2 Ndt: il consiglio di sicurezza ONU ha cinque membri permanenti,mentre gli altri cambiano a rotazione. Ndt: United Arab Emirates, Emirati Arabi Uniti. IL PUNTO DI VISTA AMERICANO 10. Gli USA hanno perso fiducia nel contenimento ed alcuni esponenti del governo sono decisi a rimuovere Saddam: a questo proposito hanno la loro importanza fattori come il successo di Enduring Freedom, la sfiducia verso il sistema delle sanzioni e delle ispezioni ONU e l’impressione d’aver lasciato un lavoro a metà nel 1991. A Washington sono convinti che le basi legali per un attacco esistano già e che non sia affatto necessario fare riferimento a più ampi fattori politici. Gli Stati Uniti potrebbero essere pronti ad attaccare con una coalizione molto meno folta di quella che noi riteniamo necessaria. CAMBIO DI REGIME 11. Nel prendere in considerazione le opzioni per rovesciare il regime, dobbiamo prima aver chiaro che tipo di Iraq vogliamo. Le possibilità sono due: Un uomo forte sunnita, un militare, qualcuno capace di difendere l’integrità territoriale irachena. Assistenza per la ricostruzione e riabilitazione politica potrebbero in questo caso essere scambiate con l’abbandono d’ogni programma ADM ed il rispetto dei diritti umani, in particolare delle minoranze etniche. USA ed altre forze militari riuscirebbero a lasciare velocemente il teatro ma ci sarebbe un forte rischio d’involuzione del sistema politico, con un conseguente ritorno al punto di partenza. Potrebbe verificarsi una serie indefinita di colpi di stato fino all’avvento d’un autocratico dittatore sunnita emerso per difendere gli interessi della sua etnia., e col tempo potrebbe ottenere ADM; oppure un governo rappresentativo a regime più o meno democratico. In questo caso il governo sarebbe sempre guidato dai sunniti ma in un contesto federale in cui verrebbero riconosciuti l’autonomia per Kurdi ed il libero accesso al potere per gli sciiti. Questo tipo di stato avrebbe meno possibilità di sviluppare programmi ADM e minacciare i suoi vicini. Tuttavia si renderebbe necessario per gli USA e gli altri dedicarsi per diversi anni ad un esercizio di nation building, da cui discenderebbe giocoforza il bisogno imprescindibile d’una forza di sicurezza internazionale oltre che aiuto nella ricostruzione. DA TENERE IN CONSIDERAZIONE: FATTORI INTERNI 12. Saddam ha una presa forte sul potere che mantiene attraverso la paura ed il clientelismo. Le forze di sicurezza e d’intelligence, comprese la Guardia Repubblicana e la Guardia Scelta Repubblicana (che in effetti riescono a difendere il regime) sono composte quasi esclusivamente di arabi sunniti (minoranza nel paese, intorno al 20-25% della popolazione), e molti di questi vengono da Tikrit come Saddam. Temono molto qualsiasi governo non sunnita e la conseguente perdita dei loro privilegi e le eventuali ritorsioni. Il successo del regime nel reprimere le insurrezioni del 1991 fu in buona parte dovuto agli ufficiali sunniti che di fronte all’abisso d’un governo sciita salvaguardarono i loro interessi supportando Saddam. Nelle attuali circostanze, sia una rivolta popolare che un colpo di stato sono da considerarsi possibilità remote. 13. Senza aiuto l’opposizione Irachena è incapace di rovesciare il regime. L’opposizione esterna è debole, divisa e manca di supporto popolare. Il gruppo predominante è l’INC (Iraqi National Congress) un organizzazione di copertura guidata da un certo Ahmad Chalabi, uno sciita incarcerato per frode popolare a Capitol Hill. L’altro gruppo maggiore, l’INA (Iraqi National Accord) promuove un socialismo arabo moderato ed è guidato da un altro sciita Ayad Allawi. Nessuno di questi gruppi può mettere in campo forze militari ed entrambi sono pesantemente infiltrati dall’intelligence di regime. Quando nel 1996 la CIA tentò di far fondere i partiti d’opposizione l’unico risultato furono numerose esecuzioni sommarie. Molti iracheni inoltre vedono nell’INC e nell’INA delle teste di ponte occidentali. 14. Quanto all’opposizione interna, questa risulta estremamente divisa, su basi etniche ma anche settarie. Un’effettiva opposizione araba sunnita non esiste. Ci sono però 3/4 milioni kurdi nel nord del paese, in prevalenza stanziati nella Zona Autonoma Kurda creata nel 1991, che dispongono di almeno 40,000 miliziani con armamento leggero; tuttavia sono anch’essi divisi in due partiti maggiori: il PUK (Patriotic Union of Kurdistan) ed il KDP (Kurdistan Democratic Party). Entrambi i gruppi hanno interesse a mantenere lo status quo e sono più interessati ciascuno a guadagnare potere sull’altro piuttosto che ad allearsi contro Saddam. Divide et impera non dovrebbe essere un problema: nel 1996 il KDP aiutò l’esercito Iracheno nell’espulsione del PUK e contemporaneamente i gruppi d’opposizione di Irbil. 15. I Kurdi non collaborano con gli arabi sciiti che sono il 60 % della popolazione. Il maggior gruppo d’opposizione sciita è il Consiglio Supremo per la Rivoluzione Islamica in Iraq (SCIRI), forte di 3,000-5,000 combattenti ma soprattutto del supporto Iraniano. La maggior parte degli sciit vorrebbero avere più voce nel governo iracheno, ma non necessariamente il controllo: non vogliono né la secessione, né un’autonomia islamica, né una sudditanza verso l’Iran. FATTORI REGIONALI: 16. I paesi confinanti sono direttamente interessati dalla questione irachena: l’Iran e la Turchia in particolar modo, sono preoccupati dall’influenza americana ed osteggiano alcuni gruppi d’opposizione interni. La Turchia, consapevole dell’inquieta minoranza kurda, farà di tutto per impedire la nascita d’uno stato kurdo indipendente nel nord dell’Iraq, compreso un intervento militare; lo stesso dicasi per l’Iran, che in più è propenso a proteggere i diritti dei loro correligionari dell’Iraq meridionale (cfr. il documento del FCO1 sul P5: Pareri europei e regionali su una possibile azione militare contro l’Iraq, in allegato). 17. Abbiamo individuato tre opzioni per ottenere un cambio di regime (l’assassinio di Saddam Hussein è stata eliminata perché sarebbe illegale) OPZIONE 1: SUPPORTARE SEGRETAMENTE I GRUPPI D’OPPOSIZIONE 18. L’obiettivo è abbattere il regime attraverso una rivolta interna, contando sulla defezione od almeno sulla neutralità di vaste aree dell’esercito. Un gruppo di generali sunniti, probabilmente dall’interno della stessa Guardia Repubblicana, potrebbe anche arrivare a deporre Saddam, se si convincessero che l’alternativa è la sconfitta. Per poter mettere in pratica questa opzione bisognerà fornire la copertura d’Intelligence necessaria ai partiti d’opposizione, oltre a finanziamenti su larga scala ed al supporto di forze speciali. I curdi possono essere convinti ad unirsi per sferrare un’offensiva nel nord dell’Iraq, impegnando così parte delle forze irachene, contemporaneamente però bisognerebbe provocare un’insurrezione sciita nelle città meridionali ed a Baghdad. 1 Foreign Office: ministero degli esteri. 19. L’opzione tuttavia ha ben poche prospettive di successo. L’opposizione esterna al regime non è abbastanza forte per rovesciare Saddam e molti iracheni la percepirebbero come un semplice ricambio al vertice, che potrebbero rifiutare. Al nord, i curdi possono sferrare solo un attacco molto limitato ed insurrezioni di massa al sud sono piuttosto improbabili: è ancora vivo il ricordo del mancato supporto statunitense alla rivolta del 1991. La Guardia Repubblicana inoltre è pronta a reprimere qualsiasi sommossa, sia popolare sia all’interno dell’esercito stesso. Inoltre sarebbe alto il rischio di cattura per le forze USA/alleate sul campo, con conseguente eliminazione di ogni opposizione residua e rafforzamento della figura di Hussein come eroe popolare arabo. D’altro canto la cosa non è stata mai tentata prima, non sulla base d’un piano organico almeno, o con un’unica mente dietro: l’opzione quindi non dovrebbe essere scartata, e potrebbe anzi essere na premessa alle opzioni 2 e 3. OPZIONE 2: CAMPAGNA AEREA PER FORNIRE APERTAMENTE SUPPORTO AI GRUPPI D’OPPOSIZIONE, AL FINE D’UN COLPO DI STATO O D’UNA INSURREZIONE 20. L’obiettivo è assistere la rivolta interna fornendo supporto aereo, tattico e strategico, per spingere i gruppi d’opposizione ad attaccare il regime. Un aiuto di questo genere smantellerebbe ogni apparato di sicurezza, o militare, del regime; verrebbero colpiti anche presunti bersagli ADM. Si renderebbe necessario costruire nel teatro stesso una quantità sostanziosa di munizioni ed aerei ed ogni tipo di campagna impegnerebbe almeno diverse settimane, probabilmente mesi. La pressione sul regime potrebbe essere ad ogni modo aumentata concentrando forze navali e terrestri e minacciando l’invasione. 21. Quest’opzione non offre garanzie di successo. Esercitare una pressione simile potrebbe convincere altri sunniti a rovesciare Saddam e la sua famiglia, ma nessuno può dirci se un altro dittatore sunnita sarebbe meglio. Ogni parallelo con l’Afghanistan è fuorviante: l’apparato di sicurezza e militare di Hussein è considerevolmente più potente e coeso e non abbiamo nessun Karzai capace d’ispirare rispetto, dentro e fuori dall’Iraq. Gli stati arabi acconsentiranno solo nel caso d’una rimozione di Saddam e sarebbe necessaria almeno la collaborazione del Kuwait per tute le necessarie operazioni militari di assemblaggio in loco. La visibilità d’una sollevazione popolare tuttavia, potrebbe tenere a bada l’opinione pubblica araba. OPZIONE 3: CAMPAGNA TERRESTRE 22. L’obiettivo è di lanciare un offensiva su larga scala per distruggere la macchina militare di Saddam e rimuoverlo dal potere. Si insedierebbe in questo caso un regime filo-occidentale che distruggerebbe ogni disponibilità ADM, siglerebbe accordi di pace con tutti i paesi confinanti e garantirebbe eguali diritti a tutti gli iracheni, incluse le minoranze etniche. Come nella Guerra del Golfo, necessaria offensiva aerea intensiva per ammorbidire le difese. 23. I relativi piani USA anteriori all’11/9 stimavano per una simile campagna l’impiego di 200,000-400,000 uomini, più o meno la metà di quelli usati nel 1991, considerato anche che le forze irachene sono ora considerevolmente più deboli. Qualsiasi piano d’invasione dovrà prevedere una seria minaccia per Baghdad, al fine di convincere i membri dell’elite militare sunnita che la loro sopravvivenza è molto più probabile disertando e passando con la coalizione che rimanendo leali a Saddam. Considerando che almeno tre mesi sono necessari per i preparativi aerei ed almeno 4/5 per quelli terrestri, sul piano logistico nessuna campagna di questo tipo è fattibile prima dell’autunno 2002. Il periodo ottimale per cominciare le operazioni sarebbe all’inizio della primavera. 24. In chiave strettamente strategica sarebbe molto difficile lanciare un’invasione partendo dal solo Kuwait ed i vettori su portaerei non sarebbero sufficienti, causa la necessità di basi a terra che garantiscano il rifornimento in volo aereo-aereo. Per avere serie possibilità di successo saranno necessarie basi in Giordania od in Arabia Saudita. Ad ogni modo una solida ed ampia coalizione internazionale sarebbe vantaggiosa sia sul piano militare che politico. Per garantirci il supporto degli arabi moderati sarà molto utile la promettere una guerra lampo ed un intervento incisivo degli USA nel processo di pace mediorientale. 25. I fattori di rischio includono gli USA e le altre variabili militari: quale che sarà la coalizione, bisognerebbe restringere al massimo i difficili mesi di preparazione e puntare all’invasione. Temendo un ulteriore accerchiamento da parte USA e d’essere il prossimo sulla lista, l’Iran non la prenderà certo bene, ma probabilmente rimarrà neutrale. Vedendo il suo regime in pericolo, Saddam potrebbe usare le ADM, sia prima che durante l’invasione, e forse potrebbe anche prendere di mira Israele come già fatto nella Guerra del Golfo: in questo caso trattenere Israele sarebbe molto difficile, questo potrebbe anzi decidere di giocare d’anticipo e sferrare per primo un attacco ADM. In ogni caso, ha messo in chiaro che renderà certamente al mittente ogni offesa ricevuta. Un diretto coinvolgimento militare da parte israeliana comunque, complicherebbe di molto gestire la coalizione e rischierebbe d’allargare il conflitto. 26. Nessuna delle summenzionate opzioni esclude l’altra. La 1 e la 2 anzi potrebbero essere le premesse naturali per la 3. Tutte però hanno delle scadenze, e se ad esempio si vuole attaccare in autunno, è necessario prendere una decisione sei mesi prima. Maggiore sarà l’investimento occidentale, maggiore sarà il nostro controllo sul futuro dell’Iraq, e maggiore sarà anche la spesa ed il tempo per cui dovremo restare. L’opzione 3 è quella che ha più possibilità di garantire un cambio di regime, allo stato attuale tuttavia bisogna aspettare e vedere quale opzione o combinazione di opzioni potrebbe essere gradita al governo USA. 27. E’ opportuno segnalare però che anche un governo rappresentativo potrebbe voler dotarsi di ADM o voler costruire il suo arsenale convenzionale, almeno finché Iran ed Israele manterranno i propri. CONSIDERAZIONI LEGALI 28. Volendo sviluppare più nel dettaglio le opzioni summenzionate, sarebbe auspicabile chiedere un consulto approfondito ai Law Officers, per sommi capi comunque: il CONTENIMENTO prevede l’implementazione delle risoluzioni del CSNU e si fonda su solide basi legali. Di per se, un cambio di regime non ha invece alcun fondamento nel diritto internazionale: in allegato c’è una nota a cura dei consulenti legali FCO1 in cui si delinea il background legale e ed i vincoli delle risoluzioni ONU più importanti. 29. Secondo il JIC non esiste prova che attesti una recente complicità dell’ Iraq con il terrorismo internazionale: non c’è dunque giustificazione alcuna per attaccare l’Iraq appellandosi all’autodifesa (Articolo 51) contro imminenti minacce terroristiche come in Afghanistan. Lo stesso articolo 51 ad ogni modo tornerebbe utile qualora l’Iraq attaccasse un paese vicino. 30. Allo stato attuale è possibile agire militarmente contro l’Iraq in modo legale solo nel caso infrangesse la ris. 687 che sanciva il cessate il fuoco della Guerra del Golfo. La 687 imponeva all’Iraq di distruggere ogni AMD e di accettare un monitoraggio sull’effettiva osservanza di questo 1 FCO: Foreign and Commnwealth Office: Ministero degli Esteri (e del Commonwealth) obbligo, tuttavia la 687 non revocava il mandato d’autorità per l’uso della forza della risoluzione 678 (1990): una violazione della 687 quindi potrebbe riabilitare l’autorizzazione della 678. 31. Considerato che il cessate il fuoco fu proclamato dal Consiglio di Sicurezza, è il Consiglio che dovrà stabilire qualsiasi eventuale contravvenzione agli obblighi che impone la 687. Esiste però un precedente: la ris. 1205 (1998), approvata dopo l’espulsione degli ispettori ONU, stabilisce che quell’atto pone l’Iraq è in flagrante violazione delle clausole della 687. Crediamo che questo sia sufficiente per riabilitare il mandato della 678 e riprendere l’operazione Desert Fox. Gli USA, in contrasto con l’opinione generale sulla fattispecie, affermano il diritto per ciascuno stato membro di decidere se l’Iraq abbia o meno infranto la 687, anche se il Consiglio non avesse raggiunto la medesima conclusione. 32. Affinché i P5 e la maggioranza del Consiglio convengano sull’infrazione irachena alla 687: dovranno essere convinti che l’infrazione riguarda ADM e vettori balistici: le prove a questo riguardo dovranno essere incontrovertibili e mostrare un’attività su larga scala. Le informazioni di intelligence attualmente in nostro possesso non sono sufficientemente robuste secondo il criterio appena esposto. Anche avendo prove incontestabili, Cina, Francia e Russia, in particolare, considereranno probabilmente lobbistico approvare o consentire una nuova risoluzione che autorizzi l’uso della forza in Iraq. Potrebbero rendersi necessarie concessioni in altre aree politiche. Molti stati occidentali comunque non vorranno opporsi agli USA su un punto di così grande importanza; oppure bisognerà, ottenuta l’unità dei P5, che l’Iraq rifiuti di riammettere gli ispettori dopo un preciso ultimatum del Consiglio di Sicurezza; oppure che gli ispettori vengano riammessi e trovino prove sufficienti di attività riconducibili ad ADM o che vengano ri-espulsi cercando di farlo. CONCLUSIONI 33. In breve, nonostante le difficoltà considerevoli, l’uso d’una forza soverchiante ed una campagna terrestre sembra essere l’unica opzione capace di rimuovere Saddam e riportare l’Iraq nella comunità internazionale. 34. Per mettere in pratica questa campagna è richiesto un approccio graduale: Far crescere la pressione: aumentare la pressione su Saddam attraverso un contenimento più severo. L’inasprimento delle sanzioni e qualche manovra militare spaventeranno il suo regime. Il rifiuto ad ammettere gli ispettori, o il loro ingresso e prevedibile frustrazione, se utilizzati a dovere in seno al Consiglio, possono fornire il casus belli alle operazioni militari. Saddam potrebbe tentare di prevenire tutto questo benché fin’ora non abbia tenuto conto. Pianificare con attentamente: elaborare piani dettagliati sulle varie opzioni d’invasione, d’appoggio logistico e sui periodi migliori di spiegamento. Costruire una coalizione: mettere in atto l’azione diplomatica necessaria a formare una coalizione internazionale che fornisca il più vasto appoggio militare e politico alla campagna militare. Concentrare l’attenzione diplomatica su Francia, Cina ed in particolare Russia, con diritto di veto al Consiglio di Sicurezza, oltre che su gli altri paesi UE. Bisognerà impiegare speciale cautela con i paesi arabi moderati e l’Iran. Incentivi: si renderanno necessarie delle garanzie sull’integrità territoriale irachena e bisognerà pianificare in anticipo tutti benefici che la comunità internazionale potrà fornire al popolo iracheno in uno scenario post- Saddam: per quanto riguarda questi incentivi andrebbero anche diffusi a mezzo stampa. Includere altre questioni regionali: impegnarsi per coinvolgere gli USA in un serio sforzo di rinvigorire il Piano di Pace per il Medio Oriente. Sensibilizzare il pubblico: lanciare una campagna mediatica che metta in guardia contro il pericolo che Saddam costituisce, allo scopo di preparare l’opinione pubblica britannica ed estera. 35. Gli USA dovrebbero essere incoraggiati ad ampie consultazioni riguardo i loro piani. OVERSEAS AND DEFENCE SECRETARIAT CABINET OFFICE 8 MARZO 2002 IRAQ: BACKGROUND LEGALE. Il documento che segue è datato 8 marzo 2002 e fu redatto da ufficiali del ministero degli esteri britannico per suggerire una giustificazione legale ad un attacco contro l’Iraq. GB ed alleati potrebbero proclamare di agire per autodifesa, cioè perché sono stati attaccati, o per “prevenire una disastrosa catastrofe umanitaria”, oppure in forza delle risoluzioni ONU. Per ipotizzare l’autodifesa, conclude l’autore ci vuole più di “una minaccia” d’attacco da parte irachena: l’attacco dovrebbe essere “incombente od in corso”. Quanto all’ipotesi dell’intervento umanitario: “la catastrofe deve essere evidente, ben documentata e (che) per prevenirla non devono esserci altre vie disponibili fuori della guerra.” L’autore opta per le Nazioni Unite, asserendo che le risoluzioni approvate nel 1998, con cui si condannava la decisione irachena di interrompere ogni cooperazione con gli ispettori, “autorizzano all’uso della forza, in accordo con la precedente ris. 678” –che undici anni prima aveva approvato “l’impiego d’ogni mezzo necessario” per espellere le truppe irachene dal Kuwait. CONFIDENZIALE IRAQ: BACKGROUND LEGALE (i) (ii) (iii) (iv) Uso della Forza: (a) Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza (b) Autodifesa (c) Intervento Umanitario No Fly Zones Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza relative alle sanzioni verso il regime Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza relative all’UNMOVIC (United Nations Monitoring,Verification and Inspection Commission1) (i) Uso della Forza: (a) Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza relative all’Uso della Forza 1. A seguito della sua invasione del Kuwait, il Consiglio di Sicurezza autorizzò l’uso della forza contro l’Iraq con la ris. 657 (1990)2, che permetteva alle ai paesi della coalizione l’uso di qualsiasi mezzo al fine di costringere l’Iraq a ritirarsi e di ripristinare la pace e la sicurezza dell’area. Questa ris. fornì le basi legali per l’operazione Desert Storm, a sua volta interrotta dal cessate il fuoco imposto con la ris. 687 (1991). Le condizioni necessarie per la sospensione delle ostilità (in quella e nelle risoluzioni successive) comprendevano l’obbligo d’eliminazione di ogni ADM ed il relativo monitoraggio. La ris. 687 (1991) interruppe l’impiego della forza ma di fatto non revocò l’autorità all’uso medesimo sancita con la ris. 678 (1990) 2. La nostra posizione è che una violazione irachena di uno qualsiasi dei suoi obblighi, minando le basi del cessate il fuoco imposto con la 687 (1991), potrebbe, ipso facto e stante la 678 (1990), autorizzare l’impiego della forza. Spetterebbe comunque al Consiglio di Sicurezza certificare ogni contravvenzione agli obblighi, considerato che fu lo stesso Consiglio ad imporre il cessate il fuoco con la 687 (1991). Gli americani hanno invece un punto di vista piuttosto diverso: l’eventuale 1 2 Commissione ONU per il monitoraggio, la verifica e le ispezioni Ndt: forse refuso? Sarà mica 678? disattenzione degli obblighi sarebbe certificabile anche da un singolo stato membro. Non siano a conoscenza di alcun altro paese che appoggi questa tesi. 3. In questo senso, l’autorizzazione all’uso della forza della 678 (1990) è già tornata in discussione alcune volte. Ad esempio, quando nel 97/98 l’Iraq si rifiutò di cooperare con la Commissione Speciale ONU (UNSCOM1), una serie di risoluzioni condannarono la decisione come inaccettabile. La ris. 1205 (1998) indicò la decisione irachena di interrompere qualsiasi rapporto con l’UNSCOM come una violazione in flagrante degli obblighi della 687 (1991) e riaffermò che per l’effettiva applicazione della risoluzione era essenziale un’effettiva operatività dell’UNSCOM. Crediamo di poter ritenere che queste risoluzioni autorizzano all’uso della forza, in accordo con la precedente ris. 678 (19912), che rese anche possibile Desert Fox: in merito, con una lettera al presidente della Consiglio di Sicurezza, la GB affermò nel 1998 che il fine dell’operazione era ottenere la collaborazione irachena nei rispetti degli obblighi stabiliti dal Consiglio, che veniva intrapresa solo per manifesta impossibilità di ottenere in altro modo la suddetta collaborazione, e che sarebbe stata limitata alle azioni necessarie per raggiungere tale obiettivo. 4. Il punto più delicato è riuscire a connettere alla stessa piattaforma legale un nuovo impiego della forza a più di tre anni dall’adozione della ris. 1205 (1998). Ogni azione militare, nel 1998 come in precedenza, è sempre stata immediatamente preceduta da una delibera del Consiglio in tale direzione: mentre è ormai dal 1998 che il Consiglio non si pronuncia sull’Iraq. Inoltre la nostra interpretazione della 1205 era già controversa allora e molti dei nostri alleati non la consideravano una base legale sufficiente per l’impiego della forza, in virtù del fatto che tale autorizzazione non era esplicita. Ogni tentativo di partire dalla 1205 dunque, difficilmente raccoglierà consenso. USO DELLA FORZA: (B) AUTODIFESA 5. Le condizioni per poter esercitare il diritto all’autodifesa sono note: i) l’attacco allo stato deve essere incombente od in corso. ii) l’uso della forza deve essere una misura necessaria, non deve cioè sussistere altro modo per evitare/fermare l’attacco. iii)ogni azione d’autodifesa deve essere proporzionale all’offesa e strettamente diretta a fermare l’offensiva. Il diritto all’autodifesa inoltre, può essere esercitato solo fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie ad assicurare la pace e la sicurezza internazionali. Ogni azione compiuta nell’esercizio di questo diritto poi, deve essere immediatamente riferita al Consiglio. 6. Per esercitare il diritto all’autodifesa non è sufficiente una “minaccia”. Deve essere in corso un attacco, o lo stesso deve essere imminente. Nemmeno lo sviluppo od il possesso di armi nucleari equivale di per se ad un attacco: piuttosto sarebbe necessaria la prova provata d’un attacco imminente. Durante la Guerra Fredda si era evidentemente in presenza di una minaccia, nel senso che diversi stati possedevano arsenali nucleari ed avrebbero potuto riversarli quasi all’improvviso ciascuno sul territorio dell’altro: tuttavia né il possesso di queste armi, nonostante il clima di alta tensione, né il tentativo di procurarsele furono mai sufficienti a scatenare un’azione preventiva. Per giunta quando il 7 giugno 1981 Israele attaccò un reattore nucleare iracheno, nei pressi di Baghdad, il fatto fu “fortemente condannato” dal Consiglio di Sicurezza (con mozione unanime) che lo definì 1 2 Ndt: United Nation Special Commision. Ndt: Altro refuso?? Ma la 678 non era del ’90? “un attacco militare…vïola chiaramente lo Statuto delle Nazioni Unite e le norme di condotta internazionale” USO DELLA FORZA: (C) INTERVENTO UMANITARIO 7. La GB prevede la giustificazione d’un’azione militare se questa è in grado di prevenire una disastrosa catastrofe umanitaria. I limiti di questa dottrina, piuttosto controversa, non sono comunque definiti chiaramente, è però placido che la catastrofe deve essere evidente, ben documentata e che per prevenirla non devono esserci altre vie disponibili fuori della guerra. Le misure prese devono inoltre essere proporzionali alle necessità. Per questa stessa dottrina, in parte, l’azione dei vettori alleati che pattugliavano le No Fly Zones (istituite nei primi anni novanta a protezione delle componenti kurda e sciita) fu piuttosto limitata riducendosi alla necessaria ed occasionale autodifesa. Ad ogni momento l’applicazione di questa dottrina dipende sempre dalle circostanze, ma vi si ricorre, per ovvi motivi, solo eccezionalmente. (II) NO FLY ZONES (NFZs) 8. Le NFZs nel nod e nel sud dell’Iraq non sono state istituite da alcuna risoluzione dl Consiglio di Sicurezza ONU, ma risalgono al 1991 ed al 1992 come provvedimenti necessari e sufficienti a prevenire una crisi umanitaria. Prima che venisse istituita la NFZ settentrionale, il Consiglio aveva adottato la ris. 688 (1991), per esattezza il 5 aprile 1991, con la quale esprimeva la sua profonda preoccupazione per la repressione che era in atto in diverse parti dell’Iraq (comprese le più recenti operazioni in area kurda) e che diede il via ad un massiccio flusso migratorio; nello stesso documento il Consiglio si dichiarava disturbato dalla quantità di sofferenze che tutto questo generava. La risoluzione condannava la repressione contro i civili, esigendone l’immediata conclusione. Benché non istituite tramite una risoluzione, intendiamo le NFZs con lo scopo di monitorare l’osservanza irachena alle disposizioni della 688; l’aviazione americana e britannica che ha la responsabilità di sorvegliarle è attualmente autorizzata ad usare la forza, dove necessario e proporzionatamente all’offesa, in caso di attacco in corso od imminente da parte della contraerea irachena. 9. Gli USA hanno dichiarato invece in alcune occasioni che lo scopo delle NFZs sarebbe imporre all’Iraq il rispetto degli obblighi delle risoluzioni 688 e 687. Il punto di vista è a nostro avviso inconsistente: per quanto riguarda la 687 questa non aveva nulla a che vedere con la salvaguardia o la repressione della popolazione civile, la 688 invece non fu adottata nel Capitolo VII dello Statuto ONU e dunque non contiene disposizione alcuna circa l’imposizione degli obblighi delle risoluzioni. (III) RISOUZIONI DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA RILEVANTI AL FINE DELLE SANZIONI 10. Le sanzioni ONU furono imposte al regime iracheno con la ris. 661 (1990) dell’8 agosto 1990, con cui si decise, a seguito dell’invasione del Kuwait, che ogni stato membro avrebbe impedito nel suo territorio l’importazione di qualsiasi bene prodotto in Iraq e parimenti l’esportazione verso l’Iraq di qualsiasi bene all’infuori dei rifornimenti medici, e, in caso d’emergenza umanitaria, delle derrate alimentari. Inoltre con lo stesso provvedimento venivano congelati tutti i fondi e le risorse finanziarie del paese. La risoluzione 661 è ancora in vigore, eccezion fatta per il programma Oil for Food, istituito con la ris. 986 (1995), che permette all’Iraq di esportare greggio (senza limiti di quantità in accordo alla ris. 1284 (1999)) a condizione che tutto il ricavato confluisca in un fondo bloccato del Segretariato Generale dell’ONU i cui fondi vengono destinati ai bisogni primari del popolo iracheno e dunque all’acquisto di medicinali, dispositivi medici, cibo e quant’altro. Lo stesso fondo finanzia anche la Commissione ONU per la Compensazione e copre parte dei costi di gestione dell’ONU, compresi quelli del UNMOVIC. 11. Oil for Food viene prorogato dal Consiglio di Sicurezza ad intervalli più o meno semestrali: l’ultima proroga era contenuta nella ris. 1382 (211) del 29 novembre 2001, con la quale il Consiglio ha stabilito anche l’adozione, entro il 13 maggio 2002, delle procedure necessarie ad ampliare la quantità di prodotti destinabili all’Iraq, con l’ovvia eccezione di armi e di altra merce sulla Good Review List che potrebbe essere soggetta a sofisticazione bellica. Gli USA sono attualmente in trattativa con i Russi per gli ultimi dettagli della lista. 12.Con la ris.687 (1991) il Consiglio ha deciso che ogni interdizione sull’importazione dei prodotti iracheni sarebbe decaduta non appena l’Iraq avesse adempiuto agli obblighi di disarmo illustrati nei paragrafi 8-13 della stessa. Sempre nella 687, il paragrafo 21 stabiliva la revisione dell’interdizione all’esportazione verso l’Iraq a scadenze di 60 giorni, in modo da poter valutare i provvedimenti del governo iracheno in materia di disarmo e rispetto delle risoluzioni ed eventualmente alleggerire o eliminare il provvedimento d’embargo. Queste revisioni sono attualmente sospese causa l’inadempienza da parte irachena alle richieste del Consiglio. 13. L’intenzione del Consiglio di agire in direzione dell’annullamento di quest’embargo è stata più volte riaffermata, anche nella risoluzione 1284 (1999), che contiene ad esempio una formula abbastanza complessa pensata per sospendere le sanzioni economiche: se l’UNMOVIC e l’IAEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica1) certificassero che, dopo il rafforzamento e la piena entrata a regime del sistema di controllo, il regime avesse offerto piena collaborazione nei programmi di queste due agenzie per un periodo di almeno 120 giorni, le sanzioni imposte all’Iraq sarebbero allora sospese per un periodo rinnovabile di altri 120 giorni. L’Iraq non ha mai accettato tali condizioni. (iv) RISOLUZIONI DEL CONSIGLIO RELATIVE ALL’ UNMOVIC L’UNMOVIC fu istituita con la ris. 687 (1991), quella del cessate il fuoco, con le mansioni dell’ex Commissione Speciale, vale a dire occuparsi della distruzione delle CBW2 e dei missili balistici iracheni con gittata maggiore di 150 km, nonché del monitoraggio successivo. Esattamente come la Commissione Speciale all’UNMOVIC doveva essere garantito accesso incondizionato a tutte le strutture, gli equipaggiamenti e gli archivi iracheni, come pure agli stessi ufficiali. Il paragrafo 7 della risoluzione 1284 assegnava invece all’IAEA ed all’UNMOVIC la responsabilità di studiare un programma che includesse la realizzazione d’un rinnovato sistema di controllo, l’OMV3, oltre ad alcune azioni chiave di disarmo residuo che l’Iraq avrebbe dovuto realizzare per rientrare negli standard assegnatigli. A tutt’oggi non c’è personale UNMOVIC sul suolo iracheno, e non è stato mai possibile completare l’OMV causa il rifiuto del regime a cooperare. 1 Ndr: Internetional Agency for Atomic Energy. Ndr: Chenical Biological Weapons: armi chimiche e batteriologiche 3 Ndr: Ongoing Monitoring and Verification : monitoraggio e verifica continui. 2 “ HO CENATO CON CONDI”. Un memorandum datato 14 marzo 2002 contiene il rapporto fatto al suo capo da Sir David Manning, consigliere agli affari esteri di Blair, circa l’incontro che aveva avuto a Washington col suo omologo americano: il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Condoleeza Rice. Manning racconta di aver riferito alla Rice che, testualmente, Blair “non avrebbe fatto marcia indietro” per quanto riguarda il supporto britannico ad un cambio di regime in Iraq, ma che “la cosa va fatta attentamente e dove produrre i risultati previsti: il fallimento non è un’opzione contemplabile”. In un passaggio illuminante sulla loro “relazione particolare”1, Manning assicura Blair che il suo “incontro con Condi mi ha convinto che Bush vuole sentire la Vostra2 opinione riguardo l’Iraq prima di prendere decisioni irrevocabili….Questo Vi conferisce una grande influenza.” Quale che avesse potuto essere l’influenza di Blair sugli americani comunque, i limiti erano evidenti, come suggerisce lo stesso Manning con questa cupa osservazione a proposito della guerra che gli alleati avrebbero inaugurato giusto un anno dopo: “Credo esista un rischio reale che l’Amministrazione sottovaluti le difficoltà. Possono anche convenire che il fallimento non sia un’opzione contemplabile, questo però non assicura che la eviteranno. SEGRETO- STRETTAMENTE PERSONALE DA: DAVID MANNING DATA: 14 MAGGIO 2002 P.C. JONATHAN POWELL AL PRIMO MINSTRO IL VIAGGIO NEGLI USA Ho cenato con Condi martedì, mercoledì invece riunioni e pranzo sempre con lei ed il team NSC3 (al quale ha preso parte anche Cristopher Meyer). L’atmosfera era molto cordiale, anche particolarmente franca quando ci siamo trovati faccia a faccia a cena. Allego un rapporto dettagliato nel caso voleste dare un’occhiata. IRAQ Buona parte della cena l’abbiamo passata parlando d’Iraq. Io ho messo in chiaro che Voi non avreste fatto marcia indietro per quanto riguarda rovesciare il regime iracheno, ma anche che dovete vedervela con una stampa, un Parlamento ed un’opinione pubblica che negli States nemmeno si immaginano e che quindi non avreste neanche smesso d’insistere su questo punto: se un cambio di regime deve esserci, la cosa va fatta attentamente e dove produrre i risultati previsti, il fallimento non è un’opzione contemplabile. 1 Ndt: dell’America con l’Inghilterra e di Bush con Blair, notare l’ironia. Ndt: vostra di Blair 3 Ndt: National Security Council: consiglio di sicurezza nazionale. 2 L’entusiasmo di Condi per questo cambio di regime è indefesso. Rispetto al nostro ultimo incontro tuttavia, ho riscontrato alcuni segni che mi fanno supporre una maggiore consapevolezza delle difficoltà pratiche e dei rischi politici. (si veda l’allegato di Seymur Hersh, che secondo Meyer da una buona impressione di quanto il dibattito sia ancora incerto a Washington). Dalle sue parole, Bush non ha ancora le risposte per le domande più impegnative: Come persuadere l’opinione pubblica che un’azione militare in Iraq è necessaria e lecita Che importanza dare all’opposizione irachena in esilio Come coordinare una campagna militare US/alleati prevedendo qualche forma di opposizione interna Che succede a guerra finita? Bush vuole sapere quello che avete per la testa. E vuole anche sapere se può aspettarsi l’appoggio d’una coalizione. Ho detto ha Condi che siamo ben coscienti di come l’Amministrazione possa procedere unilateralmente volendo, ma anche che se vogliono sostegno è necessario prendere in considerazione anche le preoccupazioni degli altri membri della coalizione. In particolare: Il contesto ONU. La faccenda degli ispettori deve essere gestita in modo tale che gli europei e l’opinione pubblica in generale si convincano che gli USA sono coscienti del contesto internazionale, dell’insistenza di diversi paesi e del bisogno d’una base legale. Un nuovo rifiuto di Saddam a subire ispezioni illimitate sarebbe inoltre un ottimo argomento per il loro scopo . L’importanza enorme di mettere mano alla questione palestinese, col rischi che se non lo facessimo potremmo ritrovarci a bombardare l’Iraq e perdere il Golfo. LA VISITA AL RANCH Senza dubbio abbiamo bisogno di continuare a vedere le cose con un certo distacco, tuttavia l’incontro con Condi mi ha convinto che Bush vuole sentire la Vostra opinione riguardo l’Iraq prima di prendere decisioni definitive. E vuole anche il Vostro appoggio: sta ancora finendo di incassare i commenti degli altri leader europei sulla sua politica irachena. Questo Vi conferisce grande influenza: sulla strategia delle pubbliche relazioni, sulla questione ONU e le ispezioni agli armamenti, e sulla pianificazione USA della campagna militare. Questo potrebbe essere un punto d’importanza cruciale: credo esista un rischio reale che l’Amministrazione sottovaluti le difficoltà. Possono anche convenire che il fallimento non sia un’opzione contemplabile, questo però non assicura che la eviteranno. La maggioranza sunnita si unirà veramente ad una rivolta guidata da kurdi e sciiti? Gli americani metteranno davvero in campo una quantità di truppe sufficiente a finire il lavoro, qualora non funzionasse lo stratagemma dei kurdo-sciita? Ammesso che le truppe siano abbastanza, sono pronti ad accettare le eventuali sconfitte che la Guardia Repubblicana potrebbe infliggergli, nel caso in cui l’esercito non si sfasci (come predicono fiduciosamente Richard Perle ed altri) e si finisca invece alla guerriglia urbana? L’incontro al ranch Vi darà anche la possibilità di spingere Bush sulla questione mediorientale: questa storia dell’Iraq potrebbe essere un’occasione irripetibile per spingere quest’Amministrazione ad una maggiore ed attiva attenzione alla questione Palistinese1 1 Ndt: MEPP nel testo: Middle East Peace Process. DALL’AMBASCAITORE : “WOLFOWIZ È VENUTO DOMENICA A PRANZO”. Il 18 maggio 2002, Sir Cristopher Meyer, l’ambasciatore britannico a Washington, scrisse a Sir David Manning il resoconto del suo pranzo domenicale col Deputy Secretary of Defense Paul Wolfoxiz. Sir Cristopher è decisamente sfacciato circa la strategia che si stava evolvendo per giustificare la guerra: “d’accordo il cambio di regime, ma il piano deve essere migliorato…poi ho introdotto la necessità di depistare Saddam sugli ispettori ONU [risoluzioni del Consiglio di Sicurezza]…” Questo documento è interessante anche per ciò che ci mostra del conflitto interno all’amministrazione sulla politica del dopo Saddam, nello specifico tra i sostenitori e gli oppositori di Ahmed Chalabi, leader del Congresso Nazionale Iracheno. Per poter rimpiazzare Saddam con “qualcosa che funzioni più o meno come una democrazia”, dice Wolfowitz, è necessaria “una coalizione che rappresenti tutte le parti: un’idea che a quanto pare fu scartata appena dopo l’invasione dell’anno successivo. CONFIDENZIALE E PERSONALE Ambasciata Britannica di Washington Da: l’Ambasciatore Cristopher Meyer KGMG 18 marzo 2002 A Sir David Manning KGMG Downing Street 10 IRAQ ED AFGHANISTAN: INCONTRO CON WOLFOWITZ 1. Paul Wolfowitz, Deputu Secretary of Defense, è venuto a pranzo da me domenica 17 marzo. 2. Sull’Iraq ho cominciato attenendomi strettamente al documento che avete usato la settimana scorsa per l’incontro con Condi Rice: d’accordo il cambio di regime, ma il piano deve essere migliorato ed il fallimento non è contemplabile. Sarebbe un bel problema interno per noi e forse anche peggiore per il resto d’Europa. Se proprio ci tengono gli americani possono anche far da soli; se vogliono dei partner invece, è necessaria una strategia che costruisca il supporto sufficiente per l’operazione militare. Poi ho introdotto la necessità di depistare Saddam sugli ispettori e le risoluzioni ONU, ed anche il concetto che la questione Palestinese1 debba essere parte integrante di una strategia anti-Saddam. Ho aggiunto la nostra piena fiducia sul fatto che molti paesi si unirebbero al progetto qualora i punti di cui sopra venissero coscienziosamente messi in pratica. 1 Ndt: MEPP nel testo. 3. Ho dichiarato che la GB sta seriamente considerando l’idea di pubblicare dei documenti che possano montare il caso Saddam: per unirci agli USA in qualsiasi operazione contro Hussein avremo bisogno di avere dalla nostra parte una ampia maggioranza parlamentare ed una larga fetta dell’opinione pubblica. E’ incredibile quanto la gente possa aver dimenticato la sua efferatezza, ho aggiunto. 4. Wolfowitz ha detto di essere completamente d’accordo ed in generale ha assunto una posizione leggermente diversa dal resto dell’Amministrazione, che invece è totalmente concentrata sulle capacità di Saddam di sviluppare armi di distruzione di massa. Ovviamente è convinto che il pericolo ADM sia d’importanza cruciale, specialmente per i possibili collegamenti col terrorismo e specialmente per vendere al pubblico il caso Saddam. Wolfowitz è anche convinto dell’ importanza di descrivere nei dettagli all’opinione pubblica la barbarie di cui è capace Saddam: tutte cose ampiamente documentate, ne abbaimo dell’occupazione del Kuwait, dell’aggressione ai Kurdi, agli arabi del Marsh ed anche circa le violenze compiute sul suo stesso popolo. Buona parte di questo lavoro ad ogni modo fu portato a termine verso la fine della prima amministrazione Bush. Wolfowitz pensa che ci vorrà del tempo per distruggere ogni nozione d’equivalenza morale tra l’Iraq ed Israele; io ho risposto raccontando di quanto rimasi mio malgrado stupito durante una sere di conferenze universitarie negli States: gli studenti sembravano prontissimi a sorvolare su i crimini di Saddam ed altrettanto pronti ad accusare USA e GB per le sofferenze del popolo iracheno. 5. Wolfowitz ha definito assurdo negare l’esistenza d’un legame tra Saddam ed il terrorismo. Potrebbero tuttavia sussistere dei dubbi sul presunto incontro che avrebbe avuto luogo a Praga tra Mohammed Atta, il capo degli attentatori dell’11/9, ed esponenti dei Servizi iracheni (abbiamo qualche altra informazione su questa storia? Gli ho chiesto) . in ogni caso esistono altri episodi meglio documentati sull’ospitalità offerta da Saddam a diversi terroristi, inclusi alcuni di quelli coinvolti nel primo attentato al World Trade Center (l’ultimo New Yorker tra l’altro contiene un articolo su certi collegamenti che Saddam avrebbe direttamente con Al Qeada in Kurdistan. 6.Ho anche chiesto a Wolfowitz di parlarmi dei dissidi interni all’Amministrazione, vale a dire dello scontro tra i pro ed i contro INC (Iraqi National Congrass) ben documentato in un recente articolo di Sy Hersh, sempre sul New Yorker, che allego. Mi ha spiegato di trovarsi tra i due fuochi (anche se alla fine della conversazione mi è apparso evidente che sia di gran lunga più pro INC che contro) e di essere fortemente contrario ad alcune proposte, tra cui quella di creare in Iraq un governo d’unità nazionale che contenga tutti i partiti fuoriusciti tranne l’INC ( e cioè INA, KDP, PUK, SCRI). Non funzionerebbe. L’ostilità verso l’INC è in realtà avversione nei confronti di Chalabi. Senza dubbio Chalabi non è una persona con cui sia facile collaborare, ma ha avuto grossi successi nel fare espatriare dissidenti di altissimo livello. E la CIA si rifiuta categoricamente di riconoscerglielo. Conseguentemente denigrerebbero l’INC a causa di questa fissazione con Chalabi. Quando gli ho fatto notare che l’INC è infiltrato dai Servizi iracheni, mi ha risposto che probabilmente si potrebbe dire lo stesso di tutti gli altri gruppi d’opposizione: è un dato di fatto di cui dovremmo prendere atto, secondo lui. Per quanto riguarda i kurdi ha aggiunto, è vero che ora non se la passano male (altro punto da sottolineare in un futuro pubblico dossier su Saddam) e che hanno paura di provocare il regime e scatenare incursioni da Baghdad. Ci sarebbero però buoni elementi tra i kurdi, compreso un certo Salih (?) del PUK. Al mio appunto circa la totale assenza di sunniti nel INC, Wolfowitz ha tagliato corto sostenendo che c’è una gran differenza tra gli sciiti iracheni e quelli iraniani: i primi non vedono l’ora di liberarsi di Saddam. 7. Wolfowitz è stato sbrigativo anche nel giudicare l’opzione d’un colpo di stato militare, magari con gli ex generali fuoriusciti dei partiti in esilio: prospettive poco desiderabili, hanno le mani sporche di sangue. Il suo approccio sarebbe rimpiazzare Saddam con qualcosa che funzioni più o meno come una democrazia. Anche se imperfetto, dice, il modello kurdo non sarebbe male. Gli chiedo come ci si possa arrivare e mi risponde: soltanto per mezzo d’una coalizione di tutte le parti politiche irachene (non abbiamo affrontato la strategia militare). IRAQ: SUGGERIMENTI PER IL PRIMO MINISTRO. Il 22 marzo 2002 Sir Peter Ricketts, responsabile politico del ministero degl’esteri britannico, manda al suo capo Jack Straw alcune note di suggerimento, per il rapporto che lo stesso Straw dovrà fare a Blair in vista dell’incontro di Crawford tra il primo ministro e Bush. Come Manning anche Ricketts rassicura Blair sulla sua influenza: “Condividendo alcuni degli obiettivi principali di Bush, il Primo Ministro[…] potrà mettere all’attenzione del Presidente alcune realtà che a Washigton sono senza dubbio meno evidenti.” Tra queste c’è anche una visione più chiara della minaccia irachena: “La verità è che il programmi ADM di Hussein non hanno accelerato il passo, è piuttosto la nostra tolleranza in merito ad essere cambiata con l’ 11/9.” E poi “ tutta la fatica degli USA per stabilire un legame Iraq–Al Qaida ha prodotto risultati francamente poco convincenti.” Bush dovrebbe essere convinto a “concentrarsi sull’eliminazione delle ADM ed a prendere seriamente la questione degli ispettori…” Una politica di questo tipo porterebbe comunque ad una vittoria: “o Saddam contro ogni previsione lascia lavorare gli ispettori liberamente, nel qual caso possiamo continuare a tollerare i suoi programmi, oppure gli ispettori verranno bloccati/ostacolati ed allora avremo argomenti più forti per passare ad altri metodi.” La terza alternativa, ossia la possibilità che Saddam ammettesse gli ispettori e questi trovassero trovato nulla, non viene menzionata. CONFIDENZIALE E PERSONALE N° pr. 121 Da: P F Ricketts Responsabile Politico Data: 22 marzo 2002 P.C. PUS SEGRETARIO DI STATO IRAQ: SUGGERIMENTI PER IL PRIMO MINISTRO 1. In risposta alla vostra richiesta di suggerimenti per le note da consegnare al Primo Ministro per la sintesi d’un opinione ufficiale (abbiamo riunito tutte le informazioni a parte in un altro documento), ecco i miei: 2. Condividendo l’obiettivo principale di Bush il Primo Ministro può influire sulla definizione del progetto e sulla strategia per renderlo operativo. Nel processo potrà inoltre mettere all’attenzione del Presidente alcune realtà che a Washigton sono senza dubbio meno evidenti ed aiutarlo a prendere delle buone decisioni sottoponendogli i problemi che probabilmente non vengono contemplati dalla macchina della sua aminitrazione. 3. Un ampio supporto all’operazione comunque prevede la discussione di due serie questioni. 4. Primo, la MINACCIA. La verità è che il programmi ADM di Hussein non hanno accelerato il passo, è piuttosto la nostra tolleranza in merito ad essere cambiata con l’ 11/9: non è certo una cosa da nascondere, ma cercare di sostenere il contrario in pubblico aumenterà soltanto lo scetticismo verso la nostra posizione. Mi solleva sapere che avete deciso di posporre la pubblicazione dei dossier protetti. Il mio incontro di ieri ha messo in evidenza che c’è ancora del lavoro da fare per assicurarsi che le informazioni in nostro possesso appaiano accurate e compatibili con quelle USA; anche la migliore delle analisi comunque, non mostrerebbe un avanzamento particolare, rispetto agli ultimi anni, dei programmi nucleari, missilistici o CW/BW: sono dei programmi estremamente preoccupanti ma per quello che ne sappiamo non sono ancora stati avviati. 5. Tutta la fatica degli USA per stabilire un legame Iraq–Al Qaida ha prodotto risultati francamente poco convincenti. Per ottenere il necessario supporto pubblico e parlamentare alle operazioni militari, abbiamo bisogno di essere convincenti sui punti seguenti: La minaccia è abbastanza seria/imminente da giustificare l’invio di truppe che metteranno a repentaglio la loro vita; La minaccia è qualitativamente differente da quella rappresentata da altri paesi, con programmi simili e ben è più vicini ad ottenere della tecnologia nucleare (Iran incluso). Sulla differenza qualitativa abbiamo anche gli argomenti per sostenere la nostra tesi (solo l’Iraq ha attaccato in passato i suoi vicini, usato CW e lanciato missili contro Israele), ma la strategia generale dovrebbe includere uno sforzo rinnovato per affrontare comunque la questione, con altri mezzi, con gli alti paesi prolificatori (in questo senso sarebbe utile la proposta GB/Francia per un incremento delle attività AIEA). E ad ogni modo rimarrebbe il problema di come far accettare all’opinione pubblica l’imminenza della minaccia irachena. Questo è un punto che il Primo Ministro ed il Presidente dovrebbero discutere il più francamente possibile. 6. il secondo problema essenziale è la FASE FINALE. Le operazioni militari hanno bisogno di obbiettivi militari, chiari e vincolanti. In Kosovo, erano fuori i Serbi, far arretrare i Kosovari e dentro le forze d’interposizione; in Afghanistan, distruzione dei Talebani e delle basi d’appoggio di Al Qaida. Per quanto riguarda l’Iraq invece, abbiamo un “cambio di regime”che non sta in piedi: sembra tanto una cosa personale tra Bush ed Hussein. Molto meglio sarebbe, come avete suggerito, porsi l’obiettivo di eliminare la minaccia che le ADM irachene rappresentano peri la comunità internazionale, prima che Saddam decida di usarle o venderle ai terroristi: sarebbe una cosa più semplice da giustificare sul piano del diritto internazionale, per quanto più impegnativa. Un cambio al vertice che insediasse un altro generale sunnita sarebbe una brutta situazione: i programmi ADM rimarrebbero probabilmente attivi ma sarebbe contemporaneamente quasi impossibile mantenere le sanzioni ONU sull’Iraq in presenza d’un leader che promettesse tutto il bene del mondo. Come è stato fatto contro UBL1, Bush farebbe bene a de-personalizzare l’obiettivo principale, concentrarsi sull’eliminazione delle ADM prendendo seriamente la questione degli ispettori,cominciando a considerarla la prima scelta per raggiungere lo scopo (sarebbe comunque un successo: “o Saddam contro ogni previsione lascia lavorare gli ispettori liberamente, nel qual caso possiamo continuare a tollerare i suoi programmi, oppure gli ispettori verranno bloccati/ostacolati ed allora avremo argomenti più forti per passare ad altri metodi). 1 Ndt: Usama bin Laden 7. Programmare la fase finale in questi termini, passando cioè per l’ONU, aiuterà anche a mantenere un certo supporto dagli altri paesi europei, ma di certo sarà anche utile per far passare un messaggio fondamentale di cui il Primo Ministro sottolineerà senza dubbio l’importanza: porre la questione irachena come un problema della comunità internazionale e non come un affare privato degli USA. PETER RICKETS CONFIDENZIALE E PERSONALE IL MINISTRO DEGLI ESTERI STRAW : RIUNIONE A CRAWFORD SULL’IRAQ”. Il 25 marzo 2002, Jack Straw scrive a Blair circa l’imminente visita da fare a Bush. Il tono del ministro è sobrio: “Sono poche le cose che potete ottenere con questo viaggio a Crawford, alti invece i rischi politici, sia per Voi che per il governo.” Ad esser cambiata è ancora una volta non l’entità della minaccia irachena quanto “il livello di tolleranza della comunità internazionale (specialmente quella USA): il 9/11 tutto il mondo ha visto cosa possono portare a termine oggigiorno delle persone malvagie.” Straw spinge Blair a concentrarsi sulla “flagrante contravvenzione” dell’Iraq “agli obblighi internazionali”, consiglia di considerare questo “il nucleo della strategia” che dovrebbe avere al cuore “l’incondizionata riammissione degli ispettori”. Poi, come i suoi colleghi, Straw si lascia andare a premonizioni d’un futuro cupo: “Dobbiamo ancora rispondere alla domanda principale – con questa operazione cosa otterremo? Sembra che su questa questione ci sia una lacuna molto più grande che su qualsiasi altro punto” Anche se dall’America arrivano “ferme convinzioni (sul) cambio di regime…, nessuno ha ancora fornito una risposta soddisfacente sul come perseguire questo scopo, e soprattutto su come assicurarsi che il nuovo governo sia migliore dell’attuale”. SEGRETO E PERSONALE PM/02/019 PRIMO MINISTRO CRAWFORD/IRAQ 1. Sono poche le cose che potete ottenere con questo viaggio a Crawford, alti invece i rischi politici, sia per Voi che per il governo. Sono convinto che al momento attuale non ci sia, all’interno del PLP1, la maggioranza per qualsivoglia azione militare in Iraq, e anzi nello stesso PLP affiorano senza difficoltà diverse preoccupazioni. I nostri colleghi sanno che Saddam ed il regime iracheno sono cattivi, ma ce ne vorrà per convincerli, nell’ordine: (a) delle proporzioni della minaccia rappresentata da Saddam, e del perchè questa minaccia sia cresciuta; (b) delle differenze tra la minaccia irachena e quella iraniana ad esempio ( o nordcoreana), che giustificherebbero un’azione militare; (c) delle giustificazioni legali che intendiamo usare, in termini di diritto internazionale; (d) del fatto che a quest’azione militare farà davvero seguito un nuovo governo-rimpiazzo accondiscendente e ligio 1 Parliamentary Labour Party: gruppo parlamentare dei Labour 2. Ad ogni modo tutto questo complesso esercizio sarà infinitamente più difficile da gestire fino a ch il conflitto israelo-palestinese resterà nella presente fase acuta. LE PROPORZIONI DELLA MINACCIA 3. Il regime iracheno costituisce chiaramente una seria minaccia per i paesi vicini, solo in secondo luogo per la comunità internazionale. Tuttavia attraverso i documenti racimolati fin’ora è stato difficile stabilire se la minaccia irachena sia così diversa da quella iraniana o nordcoreana da giustificare un intervento (vedasi infra). COS’E’ CHE E’ PEGGIORATO ? 4. Se non ci fosse stato l’11/9 difficilmente gli USA non starebbero considerando l’idea d’un intervento armato in Iraq. Inoltre non c’è alcuna prova evidente che colleghi l’Iraq a UBL ed Al Qaida e la minaccia posta dal regime di Hussein, oggettivamente, non è aumentata a causa dell’11 settembre: piuttosto è cambiata il livello di tolleranza della comunità internazionale (specialmente quella USA): il 9/11 tutto il mondo ha visto cosa possono portare a termine oggigiorno delle persone malvagie. LA DIFFERENZA TRA IRAQ, IRAN E COREA DEL NORD. 5. Applicando la famosa etichetta di “asse del male” a questi tre paesi, il Presidente Bush li ha messi sullo stesso piano non solo per quanto riguarda il tipo di minaccia che rappresenterebbero, ma anche per le misure necessarie ad affrontare tale minaccia: ora ci vorrà molto lavoro per far dimenticare tutto questo e dimostrare che un intervento militare sia più utile o giustificabile in Iraq che in Iran od in Corea del Nord. Gli argomenti utilizzabili per questa tesi – che l’Iraq cioè porrebbe un pericolo immediato e specifico, sono i seguenti: l’Iraq ha invaso un paese confinante; l’Iraq ha fatto uso di ADM e potrebbe farlo nuovamente; l’Iraq continua ad infrangere ben nove risoluzioni ONU. IL CONTESTO LEGALE INTERNAZIONALE 6. La flagrante contravvenzione irachena agli obblighi legali imposti dal Consiglio di Sicurezza rappresenta di per se il nucleo di una strategia fondata sul diritto internazionale, ed a voler essere sinceri tutta la campagna contro l’Iraq e quella (se necessaria) a favore di un’azione militare, andrebbero poste strettamente sotto l’autorità delle legislazioni sovranazionali. 7. Per questa iniziativa dovremmo anche definire con più precisione le fasi del nostro procedere e le spiegazioni che intendiamo addurre per ciascuna delle nostre iniziative. In particolare, all’inizio dovremmo concentrarci su: rendere operative le sanzioni prospettate al regime dalla ris. 1382; esigere la riammissione degli ispettori, e che stavolta possano lavorare liberatamene ed incondizionatamente (una formula simile, se ben mi ricordo, a quella che usò Cheney alla vostra conferenza stampa congiunta) . 8. Sono cosciente dell’opinione di molti, per i quali un attacco all’Iraq sarebbe giustificato in ogni caso, che gli ispettori vengano riammessi o meno, tuttavia sono anche convinto che esigere il loro rientro incondizionato sia una mossa essenziale, in termini di rapporti con le opinioni pubbliche ma anche in termini di sanzioni legali per ogni azione militare successiva. 9. Dal punto di vista legale abbiamo due ostacoli principali: (i) la volontà di rovesciare un regime non è di per se una giustificazione sufficiente all’intervento armato, può senza dubbio far parte del metodo di ogni strategia, ma non può rappresentarne il fine. Ovviamente ci troveremo nella posizione di affermare che un cambio di regime essenziale per il nostro scopo – l’eliminazione delle ADM irachene : è quest’ultimo però che deve essere lo scopo della nostra strategia. (ii) bisogna decidere se un intervento militare avrebbe o meno bisogno d’un nuovo mandato del CSNU: per Desert Fox non fu necessario. E’ probabile che gli USA si opporranno idea di nuove autorizzazioni; d’altronde, secondo i nostri consiglieri legali, sarebbe invece necessario. Senza ombra di dubbio poi una nuova risoluzione farebbe la differenza almeno nel PLP. Se un nuovo mandato, data la posizione USA, risulta improbabile, è altresì vero che un pronunciamento del Consiglio contro l’azione miliare, anche con tredici voti a favore (o astenuti) e due veti1, sarebbe un bel problema. LE CONSEGUENZE DI UN INTERVENTO MILITARE 10. Innanzitutto:una giustificazione legale è necessaria, ma non costituisce affatto condizione sufficiente per alcun intervento armato; in secondo luogo dobbiamo ancora rispondere alla domanda principale: con questa operazione cosa otterremo? Sembra che su questa questione ci sia una lacuna molto più grande che su qualsiasi altro punto. Molti in america hanno la ferma convinzione che cambiare regime equivalga a sbarazzarsi della minaccia ADM irachena, nessuno però ha ancora fornito una risposta soddisfacente sul come perseguire questo scopo, e soprattutto su come assicurarsi che il nuovo governo sia meglio dell’attuale. 11. L’Iraq NON ha mai conosciuto la democrazia, dunque nessun iracheno ne possiede abitudine o esperienza. (JACK STRAW) Foreign and Commonwealth Office 25 marzo 2002 SEGRETO E PERSONALE 1 Ndr. Cina e Russia ? IRAQ: CONDIZIONI PER L’ AZIONE MILITARE Il 21 luglio 2005 alcuni ufficiali del Cabinet Office realizzarono un documento che fotografava l’evoluzione del caso Iraq. Anche se sono ormai passati tre mesi dalla famosa visita a Crawford di Blair, non sembra essere in realtà cambiato molto, almeno per quello che si percepisce dalle parole del dossier. I ministri vengono nuovamente invitati a prendere atto che negli USA “non si è pensato granché a come creare le condizioni politiche per l’azione militare, né tanto meno si è pensato al dopoguerra e come affrontarlo.” Per l’ennesima volta viene rinnovata la proposta di ottenere dal CSNU “un ultimatum che Saddam rifiuterebbe… e che sarebbe invece percepito come più che ragionevole dalla comunità internazionale”. In fine l’autore avverte che “un dopoguerra d’occupazione, in Iraq, potrebbe trasformarsi in un lungo e costoso esercizio di nation-building. Come già chiarito, i piani USA sono in proposito praticamente muti.” Gli inglesi concludono per la necessità di “Sarà necessario definire più precisamente le modalità di raggiungimento del nostro scopo finale.” A Washington invece, rimasero ancora “praticamente muti” [Nota: il documento che giunse nelle mani dei giornalisti mancava dell’ultima pagina .] PERSONALE E SEGRETO – SOLO PER OCCHI INGLESI IRAQ: CONDIZIONI PER L’AZIONE MILITARE (Nota degli ufficiali) SOMMARIO Si invitano i ministri: (1) a prendere visione della strategia militare USA e delle possibili tabelle di marcia per l’intervento; (2) a riconoscere che l’obiettivo di qualsiasi azione militare dovrebbe essere un Iraq dal governo stabile, con un chiaro stato di legalità, compreso nei suoi confini attuali, cooperante con la comunità internazionale e soprattutto un Iraq che non rappresenti più una minaccia né per i suoi vicini né per la sicurezza internazionale e che adempia ai suoi obblighi sulle ADM; (3) ad impegnarsi nel convincere gli USA che qualsiasi piano militare vada necessariamente inserito in una realistica strategia politica, il che significa avere un’idea chiara circa la successione di Saddam e creare le condizioni necessarie per giustificare un’azione militare ufficiale: quest’ultimo punto potrebbe richiedere un ultimatum per il rientro degli ispettori ONU in Iraq ed anche che il Primo Ministro contatti il Presidente Bush prima del 4 agosto, giorno dell’ultima riunione preparatoria USA sui piani militari; (4) a prendere atto dei tempi necessari alla GB per equipaggiare un esercito che possa combattere nel teatro iracheno, tempi che potrebbero rivelarsi lunghi; ed a riconoscere che il MOD dovrebbe avanzare le proposte necessarie per la fornitura di un Urgent Optional Requirements, soprattutto sulla base di quanto imparato in Afghanistan e nelle conseguenze della SR2002 . (5 ) A stabilire la creazione di un gruppo ad hoc che, sotto l’egida del Cabinet Office Chairmanship si occupi dello sviluppo di una campagna mediatica da concordare con gli USA. INTRODUZIONE 1. Il governo statunitense procede velocemente con la stesura dei piani militari per l’azione in Iraq, ma questi, come già detto, non prevedono la creazione di alcun contesto politico. In particolare non si è pensato granché a come creare le condizioni politiche per l’azione militare, né tanto meno si è pensato al dopoguerra e come affrontarlo. 2. Quando a Crawford, lo scorso aprile, il Primo Ministro discusse dell’Iraq col Presidente Bush, disse che la GB avrebbe fornito il suo contributo militare al cambio di regime, ma a patto che fossero rispettate alcune condizioni: che ci si impegnasse a costruire una coalizione/ad orientare il consenso dell’opinione pubblica; che la situazione israelo-palestinese fosse in quiete e che ogni strada per eliminare le ADM irachene passando per l’ONU fosse stata tentata. 3. Ora è necessario insistere su questo messaggio ed incoraggiare il governo statunitense a progettare la sua strategia militare all’interno del contesto politico, anche per prevenire il rischio che le operazioni precipitino in modo inaspettato, ad esempio per qualche incidente nelle NFZs. Questo punto è di estrema importanza per la GB: è necessario creare le condizioni per rendere legale il nostro supporto all’intervento armato. C’è altrimenti il pericolo che gli USA intraprendano una serie di azioni che ci sarebbe molto difficile supportare. 4. Per realizzare le condizioni poste dal Primo Ministro ci sono diverse cose da preparare ed altri punti da prendere in considerazione, questo documento li affronta tutti in una forma che, con qualche adattamento, può essere usata anche per i nostri rapporti con gli USA. Secondo le intenzioni USA, potrebbe rendersi presto necessaria una decisione di massima, ammesso che la GB partecipi alle operazioni, sulle modalità della nostra partecipazione all’intervento armato. LO SCOPO 5. Il nostro obiettivo dovrebbe essere un Iraq dal governo stabile, con un chiaro stato di legalità, compreso nei suoi confini attuali, cooperante con la comunità internazionale e soprattutto un Iraq che non rappresenti più una minaccia né per i suoi vicini né per la sicurezza internazionale e che adempia ai suoi obblighi sulle ADM. Appare improbabile che queste condizioni possano verificarsi finché il regime attuale sarà ancora al potere. I piani militari USA individuano senza alcun dubbio il loro obiettivo nella rimozione del regime di Hussein, e successivamente nella distruzione delle ADM irachene. Dal punto di vista britannico tuttavia, l’ordine degli obiettivi dovrebbe essere invertito: il cambio di regime sarà anche una misura necessaria per controllare le ADM, ma non è certamente sufficiente. I PIANI MILITARI USA 6. Anche se non è stata ancora presa alcuna decisione politica, gli strateghi statunitensi hanno già sottoposto al governo diverse opzioni per l’invasione dell’Iraq. Un piano Partenza Immediata potrebbe essere operativo già a Novembre di quest’anno senza manovre particolarmente visibili: attacchi aerei e supporto ai gruppi d’opposizione interna dovrebbero dare luogo inizialmente ad operazioni terrestri su piccola scala, cui farebbe seguito un ulteriore e graduale spiegamento di forze fino alla completa sconfitta delle forze irachene ed al collasso del regime. Una Partenza Graduale prevedrebbe invece manovre più lunghe prima di ogni ingaggio, ed il piano non sarebbe comunque operativo prima di gennaio 2003. I piani militari non contemplano alcun contesto strategico, né prima né dopo la campagna. Al momento l’Amministrazione sembra propendere per Partenza Immediata, CDS si riserva di fornire informazioni più dettagliate al Primo Ministro non appena possibile. 7. I piani USA danno per scontate almeno le nostre basi di Cipro e Diego Garcia, e questo significa che qualsiasi decisione prenda il Primo Ministro, la questione d’un fondamento legale alle operazioni potrebbe presentarsi comunque. FATTIBILITA’ DEI PIANI 8. I Chiefs of Staff hanno discusso la fattibilità dei piani militari USA: il primo responso è stato che ci sono diversi punti da chiarire prima di poterne decidere la validità. In particolare si fa riferimento al realismo di Partenza Immediata, al dubbio su quanto questi piani siano a prova di contrattacchi chimici o batteriologici ed alla certezza USA sui bersagli logistici e sulla presunta (non) volontà a combattere dell’esercito iracheno. IL CONTRIBUTO MILITARE DELLA GB 9. Le capacità contributive della GB in termini di truppe dipendono dai dettagli dei piani USA e dal tempo disponibile per prepararle e dispiegarle. Il MOD sta esaminando la questione nei dettagli nell’ipotesi d’un’operazione guidata dagli USA. Le opzioni vanno dallo spiegamento di una divisione (vale a dire lo stesso impegno della Guerra del Golfo più forze navali ed aeree) alla semplice concessione delle basi. E’ apparso comunque evidente da subito che la GB non sarà in grado di produrre un’intera divisione in tempo per gennaio 2003, a meno di decisioni pubbliche, ufficiali e prese velocemente. Nel calcolare ogni scadenza va tenuto conto anche del tempo necessario alla liquidazione degli Urgent Operational Requirements1, per i quali al momento non c’è alcuna copertura finanziaria. CONDIZIONI NECESSARIE PER L’INTERVENTO MILITARE 10. A parte la validità dei piani strategici, consideriamo essenziali per la possibilità d’un intervento armato e per la partecipazione della GB i punti seguenti: una giustificazione / fondamento legale; una coalizione internazionale; una contingente situazione di calma tra Israele e Palestina; un rapporto positivo quanto a rischi/benefici e la preparazione dell’opinione pubblica interna. GIUSTIFICAZIONE LEGALE 1 Ndt: Necessità Operativi Urgenti. 11. L’interpretazione americana del diritto internazionale è molto diversa da quella britannica e del resto della comunità internazionale; un cambio di regime è tuttavia possibile come risultato di un’azione del tutto legale. Consideriamo legale l’uso della forza contro l’Iraq, o contro qualsiasi altro paese, se esercitato in nome del diritto all’autodifesa, individuale o collettiva se esercitato per scongiurare una disastrosa catastrofe umanitaria o se autorizzato dal Consiglio di Sicurezza ONU. Un’ analisi dettagliata degli aspetti legali, preparata nel corso di quest’anno, è all’allegato A. La posizione legale dipenderebbe ad ogni modo dalle circostanze del momento. In linea di principio le basi legali per un intervento potrebbero essere individuate anche nei primi due punti, ma sarebbero difficili da sostenere, ad esempio, per quanto concerne l’immediatezza e la proporzionalità. Su questo punto sono necessarie ulteriori consulenze legali. 12. Il punto precedente lascia aperta la strada delle risoluzione degli ispettori. Kofi Annan ha condotto tre cicli d’incontri con i rappresentanti iracheni nel tentativo di persuaderli a riammettere gli ispettori. Non c’è stato dunque alcun sostanziale progresso: gli iracheni sono deliberatamente evasivi. Annan ha cercato di abbassare il tono degli incontri ma si prospettano nuove infruttuose riunioni: dobbiamo convincere l’ONU e la comunità internazionale che non possiamo tollerare all’infinito questa situazione. Dobbiamo decidere una scadenza, arrivare ad un ultimatum e la cosa migliore sarebbe ottenere il supporto di una risoluzione del Consiglio: a questo scopo sarebbe auspicabile esplorare in anticipo con Annan, ed in particolare con i Russi, il modo migliore per ottenerla. 13. Sotto la pressione d’un azione militare, probabilmente Saddam ammetterà gli ispettori con la speranza di scongiurarla, una volta dentro però non gli permetterà di operare liberamente. L’UNMOVIC (ex UNSCOM) avrà bisogno di sei mesi, dal suo ingresso nel paese, per portare a regime il sistema di monitoraggio e verifica che secondo la ris. 1284 dovrà stabilire se l’Iraq sta rispettando o meno i suoi obblighi. Quindi ammesso che gli ispettori siano riammessi oggi, per gennaio 2003 avrebbero appena finito di organizzasi, senza contare che nel frattempo il regime potrebbe decidere di intralciare il loro lavoro, anche se è più probabile che iniziative di questo genere si verifichino quando le ispezioni saranno pienamente operative. 14. E’ anche possibile che si riesca a confezionare un ultimatum che Saddam rifiuterebbe (causa l’indisponibilità a garantire accesso incondizionato agli ispettori) e che sarebbe invece percepito come più che ragionevole dalla comunità internazionale. Tolta questa ipotesi comunque (o un attacco iracheno) è improbabile che si riesca ad ottenere l’adeguato fondamento legale alle operazioni per gennaio 2003. UNA COALIZIONE INTERNAZIONALE 15. Una coalizione internazionale è necessaria dal punto di vista militare ed auspicabile da quello politico. 16. I piani militari USA danno per certa la disponibilità delle basi nel Kuwait (per forze aeree e terrestri), in Giordania, nel Golfo (forze navali ed aeree) e di quelle in territorio britannico (Diego Garcia e le nostre basi a Cipro). E’ anche previsto che l’Arabia Saudita garantisca una certa cooperazione, eccezion fatta per la concessione dello spazio aereo a voli militari. Nella convinzione che l’intervento prevedrà operazioni nell’area kurda settentrionale, sembra necessario anche l’utilizzo della basi turche. 17. In assenza d’un autorizzazione ONU ci saranno problemi ad assicurarsi il supporto degli altri partner NATO ed UE. L’Australia sembra disposta a partecipare sulle stesse basi britanniche, la Francia potrebbe essere disposta a fare la sua parte qualora un’azione militare si dimostrasse inevitabile, Russia e Cina, desiderose di migliorare i loro rapporti con gli USA, potrebbero mettere da parte ogni ritrosia in cambio della sufficiente attenzione alle loro preoccupazioni legali ed economiche. E’ probabile che la cosa migliore che dobbiamo aspettarci dall’area sia la neutralità. Gli USA inoltre sono propensi a trattenere Israele dal prendere parte al conflitto. In pratica la gran parte della comunità internazionale troverà difficile intralciare il cammino alla più che determinata egemonia statunitense: più grande sarà il supporto internazionale, maggiori le probabilità di successo. LA QUESTIONE PALESTINESE 18. La re-occupazione israeliana del West Bank ha tamponato la violenza palestinese per il momento, ma è una situazione insostenibile sul lungo periodo e produrrà nel futuro ulteriori problemi. Quantomeno il discorso di Bush rappresenta un mezzo passo avanti. In questo momento stiamo cercando di usare il programma di riforme palestinese per fare progressi e speriamo di riesumare anche i negoziati politici. Gli americani parlano di una conferenza ministeriale sull’argomento, non prima di novembre però. Avanzare verso la definizione di un’accettabile stato palestinese è il modo migliore per tagliare fuori gli estremisti e ridurre l’avversione araba verso un’azione militare contro Saddam Hussein. Tuttavia rimane altamente probabile una recrudescenza del conflitto tra Israele e palestinesi, ed una ripresa delle ostilità in concomitanza dei preparativi per la campagna militare non può essere esclusa a priori e sottovalutata: Saddam si servirebbe della violenza nei Territori Occupati per incitare i popoli arabi a supportare il suo regime. BENEFICI / RISCHI 19. Anche in presenza d’una solida base legale e di piani militari efficienti dovremmo ancora assicurarci che i benefici d’una simile iniziativa superino i rischi del caso. In particolare dobbiamo essere sicuri che le spese dell’operazione ci consentiranno di raggiungere gli obiettivi di cui al precedente paragrafo 5. Un dopoguerra d’occupazione, in Iraq, potrebbe trasformarsi in un lungo e costoso esercizio di nation-building. Come già chiarito, i piani USA sono in proposito praticamente muti, e potrebbe anche darsi che Washington guardi a noi per dividere, e sproporzionatamente, il peso di questo fardello. Sarà necessario definire più precisamente le modalità di raggiungimento del nostro scopo finale ed in particolare quale forma di governo dovrà sostituire il regime di Saddam, nonché avere una chiare idea dei tempi entro i quali individuare un successore. Inoltre non possiamo non analizzare in maggior dettaglio l’impatto delle operazioni militari sul resto degli interessi britannici nell’regione. OPINIONE PUBBLICA INTERNA 20. Avremo bisogno di tempo per preparare l’opinione pubblica in GB all’idea che sia necessario prendere le armi contro Saddam Hussein, e sarà necessario anche un grande sforzo per assicurarsi l’appoggio del Parlamento. Inoltre è fondamentale che la campagna mediatica sia concertata con quella, più ampia, pensata ad hoc per influenzare Saddam, il mondo islamico e l’opinione pubblica internazionale1 : servirà a dare credibilità alla minaccia posta da Hussein, comprese le sue ADM, ed aiuterà per ottenere un fondamento legale. TABELLE DI MARCIA 21. Per quanto gli USA possano essere pronti all’attacco già da novembre, pensiamo di poter ritenere improbabile che la campagna venga iniziata prima di gennaio 2005, anche solo per il tempo che ci vorrà a guadagnare il consenso necessario nella stessa Washington. Ciò detto, ripetiamo che, anche per ragioni climatiche, l’azione militare dovrebbe prendere il via nel gennaio del 2003, sempre che non si rimandi all’autunno successivo. 22. Inoltre, come il presente documento fa esplicito, anche siffatte tabelle di marcia presentano dei problemi, ciò significa: (a) che dobbiamo cercare di influenzare le strategie militari statunitensi prima che il Presidente Bush abbia il suo ultimo briefing del 4 agosto, e per farlo saranno necessari contatti tra il Primo Ministro ed il Presidente, oltre che a tutti gli altri livelli. [il documento arrivato ai giornali si interrompe qui] 1 Ndt: nel testo si parla di overseas information campaign, cfr. nota 1 pag 4