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INDICE
Prefazione, di Frank Rich
Introduzione
The Secret Way to War – Scorciatoia per la Guerra
Perché il memorandum conta
Il memorandum, la stampa e la guerra
Postfazione
Appendice
Introduzione
Il memorandum di Downing Street
Sette documenti collegati
PREFAZIONE
E’ difficile non pensare a Quel che resta del Giorno, di Kazuo Ishiguro, quando si legge
cosa ha scritto Danner sul memorandum di Downing Street. Ishiguro racconta di un maggiordomo
durante la seconda guerra mondiale, che in Inghilterra, a margine degli eventi ufficiali, ricostruisce
frammento dopo frammento la storia della collaborazione del suo Lord con i tedeschi. Danner allo
stesso modo, partendo da una riunione segreta della classe dirigente britannica alla vigilia di
un’altra guerra, ci stuzzica suggerendocene l’interpretazione, finché, come il maggiordomo, non
arriviamo a mettere insieme la storia di un complotto orchestrato per lanciare America e Gran
Bretagna in una guerra d’opportunità in Iraqe sulla base di false premesse. Le analogie con Ishiguro
però finiscono qui, perché a differenza di quel narratore, tragicamente limitato nella sua visione,
Danner comprende a fondo le implicazioni di ogni pezzo del puzzle e ce le racconta nelle pagine
che seguono tracciando la storia di questa “scorciatoia per la guerra” con acume devastante.
Il memorandum di Downing Street, pubblicato per la prima volta sul Sunday Times di Londra il 1°
maggio 2005, consiste nella trascrizione dell’incontro tra il Primo Ministro Blair ed i massimi
esponenti della sicurezza nazionale e degli affari esteri britannici, tenutasi nel luglio del 2002 e vi si
racconta, ad esempio, come “C”, capo dei Servizi inglesi, faccia rapporto sulle sue recenti missioni
a Washington e sulle riunione tenutevi con le controparti americane: nonostante le pubbliche
dichiarazioni per cui si sarebbe andati in guerra contro l’Iraq “solo come ultima risorsa” ,
l’Amministrazione Bush aveva già deciso da mesi di prendere le armi ad ogni modo, racconta “C”.
L’unica cosa che mancava era un pretesto, un modo per vendere la guerra, ed a questo proposito
Washington era allora impegnata in una campagna mediatica per vedere se “fatti e prove” si
potevano “sistemare in funzione della linea politica”. Quelle prove e quei fatti, neanche a dirlo,
riguardavano tutti le armi di distruzione di massa di Saddam, cioè il miglior casus belli ostensibile,
per quanto (ma lo sappiamo oggi) inconsistente.
Da questo memorandum, e da quella frase in particolare ( che intelligence e fatti stavano venendo
organizzati in funzione della linea politica), discende più o meno tutta la sordida storia di come si
sia arrivati alla guerra:si capisce meglio perché agli ispettori fu impedito di terminare il loro lavoro
in Iraq (come invece chiedevano Blix ed ogni alleato americano eccetto l’Inghilterra); perché il
cosiddetto White House Iraqi Group si impegnò tanto a rendere pubbliche certe informazioni di
intelligence scelte ad hoc (ed infondate) che non provenivano dai canali tradizionali (la cabala di
Cheney e Runsfeld come la chiamò L.Wilkerson, ex chief of staff di Powell); ma ci appare più
chiara anche l’egregia presentazione multimediale di quei fatti e di quelle prove, ormai “ organizzati
in funzione della linea politica”, con cui proprio Powell portò all’attenzione del Consiglio di
Sicurezza ONU e del mondo intero l’enorme minaccia delle armi irachene, ultima di una serie di
rivelazioni “sempre più preoccupanti” le chiama Danner, fatte alla stampa dal governo Bush per
descrivere all’approssimarsi della guerra uno scenario decisamente apocalittico; per non parlare del
caso Valerie Plame Wilson, che dimostra quanto la Casa Bianca fosse pronta a punire chiunque
avesse voluto rivelare fino a che punto quei fatti e quelle prove erano stati manipolati.
Visto a posteriori in realtà, gran parte di questa strategia è sempre stata sotto gli occhi di tutti, e
tuttavia la stampa americana, che fu in gran parte disposta a bersi qualsiasi “prova” sulle armi di
Saddam, non fu proprio altrettanto pronta a correggersi, quando, dopo l’invasione, cominciarono ad
emergere le prime verità: proprio come il pubblico la maggioranza dei media americani visse con
travaglio l’immediato dopoguerra ed era soprattutto desiderosa di voltare pagina.
Così quando il memorandum uscì in Inghilterra nessuna grande testata americana si precipitò a
pubblicarne il testo completo o anche solo a commentarne il contenuto. L’onere toccò dunque al
The New York Review of Books, che però registrò anche il punto di vista difensivo e distaccato della
cosiddetta stampa liberale, rappresentata nell’ epistolare che troverete qui di seguito tra Danner e
Micahel Kinsley, già primo editorialista del Los Angeles Times.
Come prediceva Danner ad ogni modo, da quando il memorandum fu pubblicato negli Stati Uniti, il
numero di americani convinti che il Presidente e l’Amministrazione abbiano deliberatamente
“fuorviato il pubblico americano prima della guerra” è costantemente cresciuto settimana dopo
settimana, ed alla fine anche la stampa, arrivata alla stessa conclusione del pubblico, sta cercando
di ricostruire ogni capitolo di questa doppia storia, per quanto tardivamente.
Comunque sia, come già per il caso delle torture ad Abu Ghraib, Danner è stato tra i primi a saper
distinguere tra la realtà dei fatti e le fantasie da Alice nel Paese delle Meraviglie che il governo
americano e la sua ben oliata macchina di propaganda vorrebbero farci credere; e nessuno, neanche
lontanamente, l’ha fatto con la sua precisione e la sua arguzia.
-
FRANK RICH
INTRODUZIONE
RES IPSO LOQUITUR ho pensato la prima volta che mi caddero gli occhi sul cosiddetto
Memorandum di Downing Street: le cose parlano da sole. Si tratta di due pagine e mezzo di
resoconto di una riunione che ebbe luogo nel luglio del 2002 al 10 di Downing Street ed in cui il
Primo Ministro Blair ed il suo “gabinetto di guerra” discussero dell’imminente attacco all’Iraq; la
prima cosa che ti colpisce nel leggerlo però è la sua chiarezza, quasi scioccante, l’immagine
cristallina che riflette delle più alte cariche americane ed inglesi e della loro condotta quasi otto
mesi prima che le bombe cadessero su Bahghdad ed i carriarmato entrassero in Iraq: c’è ad esempio
il capo dell’Intelligence britannica, appena sceso dall’aereo, che riporta di come a Washington la
guerra sia considerata come inevitabile, di come sarà giustificata con la congiuntura del terrorismo
e delle Armi di Distruzione di Massa ma soprattutto racconta di come intelligence e fatti stanno
venendo organizzati in funzione della linea politica. Poi c’è il Ministro degli Esteri, che prima
puntualizza la situazione, Il margine (per andare in guerra) ad ogni modo è stretto, Saddam non sta
minacciando i suoi nemici e la sua disponibilità ADM1 è inferiore alla Libia, al Nord Corea od
all’Iran, e poi suggerisce il modo di aggirare il piccolo inconveniente appena esposto, dovremmo
lavorare ad un piano per imporre un ultimatum a Saddam sul rientro degli ispettori ONU. Aiuterà
anche per una giustificazione legale dell’uso della forza. A questo punto il Primo Ministro coglie al
volo l’idea del piano, e ne conviene: il rifiuto di Saddam ad ammettere gli ispettori ONU farebbe
una grossa differenza, legalmente e politicamente. Il memorandum continua più o meno su questi
toni ed in neanche due pagine e mezzo di impeccabile prosa da public school britannica è riassunta
tutta la riunione e la storia di come Stati Uniti e Gran Bretagna arrivarono a far guerra all’Iraq. La
prima volta che uscì, 1° maggio 2005, leggerlo fu sorprendente: dio benedica chi lo fece avere al
Sunday Times: certo la gola profonda voleva senza alcun dubbio colpire Blair in vista delle
elezioni, ma poco importa, il documento rimane assolutamente autorevole ed indipendentemente da
come sia arrivato alla stampa, res ipso loquitur.
Poveri noi però, viviamo in un epoca, quest’era post 11 settembre, la cui caratteristica principale è
esattamente che le cose non parlano da sole: passavano i giorni ed il memorandum, che in Gran
Bretagna aveva fatto venire i brividi a molti, negli States passò invece più o meno inosservato; la
stampa americana quasi non coprì la notizia, e chi lo fece adottò un atteggiamento assolutamente
difensivo. Nessun giornale addirittura ritenne di dover pubblicare il documento per intero, così
qualche giorno dopo telefonai a Robert B. Silvers, co-editore del New York Review of Books e gli
suggerii di mandare in stampa il memorandum. Questi accettò e mi chiese anche di scrivere un
piccolo saggio che lo accompagnasse, a quel saggio poi fecero seguito alcune lettere di risposta ( da
uno dei maggiori reporter di Washington ed anche da un saputello molto conosciuto che si crede
esperto di politica) ed a queste le mie repliche, così alla fine il N.Y. Review si ritrovò a pubblicare
tre saggi invece di uno ed in più questo piccolo libro, che raccoglie i tre saggi e tutti gli otto
documenti ufficiali del governo britannico che ne sono l’argomento, compreso il memorandum di
Downing Street vero e proprio.
Considerato che più che sul memorandum in se i miei pezzi sono incentrati sulle reazioni che ha
provocato, il volume che avete tra le mani può essere tranquillamente considerato un libro sullo
scandalo con cui cominciò questa guerra e sulle dinamiche con cui è venuto a galla. Più
precisamente ne vedrete lo sviluppo ed i movimenti principali d’affermazione e reazione, l’esempio
perfetto d’uno dei tratti caratteristici della nostra epoca: il fatto che gli scandali sopravvivano alla
loro scoperta. All’ombra dell’11 settembre e nel crepuscolo permanente che gli ha fatto seguito, ci
troviamo a vivere nell’Era dello Sandalo Congelato, come mi piacce chiamarla. Dal Watergate in
poi avevamo fatto l’abitudine ad un preciso ritmo di pubblica rivelazione ed indagine che sembra
essere sparito: il ciclo rivelazione – inchiesta - espiazione con cui gli scoop giornalistici davano il
via ad indagini parlamentari che diventavano processi in cui i responsabili venivano puniti, beh
questo ciclo oggi, sotto la pressione della guerra e d’un governo a partito unico, ha fatto
cortocircuito e ci siamo abituati ad un ciclo nuovo, in cui alla rivelazione del malaffare segue…un
1
Ndt: d’ora in poi nel testo sta per Armi di Distruzioni di Massa.
bel niente, o piuttosto niente a parte il riconoscimento pubblico dello scandalo in questione. Le
inchieste ufficiali, quando ci sono, tendono ad essere estremamente circoscritte, implicitamente
(come nel caso delle torture perpetrate da soldati statunitensi, in cui le indagini sono state affidate ai
militari ed hanno ampiamente escluso la questione delle responsabilità politiche) ma anche
esplicitamente, come per l’appunto riguardo al caso delle intelligence sulle ADM irachene, per le
quali il Senate Intelligence Commitee ha si aperto un fascicolo, ma nel frattempo ha ufficialmente
escluso dalle proprie competenze il modo in cui queste informazioni furono usate
dall’Amministrazione, rimandando a divinis questo filone d’indagine.
Tuttavia noi siamo costretti a vivere con la consapevolezza che ci deriva da rivelazioni come il
memorandum, ed intanto pare che l’espiazione politica di questo malaffare dovrà attendere ancora.
L’argomento di questo libro dunque non è tanto il memorandum di Downing Street e quello che
svela, quanto il modo in cui gli americani, il pubblico ma soprattutto la stampa, ci stanno facendo i
conti; in questo senso più che un libro su cosa è accaduto lo definirei un libro su cosa sta accadendo.
Affrontando l’argomento mi è stata di grande aiuto l’ottima tradizione di certamen del N.Y.
Review, i cui editori incoraggiano fortemente ogni autore ad incrociare gli argomenti con i lettori ed
i commentatori del loro lavoro. E’ grazie a questa tradizione che The Secret Way to War può forse
dimostrare più che descrivere lo strano processo per cui un’informazione fondamentale per la vita
pubblica del paese viene rivelata e negata al tempo stesso, portata alla luce e contemporaneamente
ricacciata nell’ombra. In parte è per questa ragione che ho deciso di lasciare più o meno inalterati i
miei pezzi e le risposte, per inserirli così come apparvero la prima volta.
Mentre scrivo, quasi tre anni dopo l’inizio della guerra, gli americani ancora non hanno una risposta
ufficiale ed autorevole sul perché il loro paese si sia lanciato in un conflitto del genere per
distruggere armi che alla fine non sono mai esistite. Forse riuscirà ad ottenere un’indagine ufficiale
il senatore Harry Reid, democratico del Nevada e capo dell’opposizione al senato, che il 1
novembre 2006 ha costretto l’assemblea a riunirsi a porte chiuse per protestare contro l’eccessivo
temporeggiamento del Senate Intelligence Commitee nel cominciare la “fase II” delle indagini,
promessa da così tanto 1. Come leggerete nella mia piccola postfazione, credo che riguardo questo
argomento forse dovremmo attendere un ampio e profondo cambiamento nelle dinamiche politiche
stesse del nostro paese prima di poter avere delle risposte. Staremo a vedere.
Non mi rimane che ringraziare Michale Shae, che ha curato questo volume, Rea Hedermann che lo
ha pubblicato, e gli editori e lo staff del N.Y. Review of Books, che mi hanno incoraggiato a
scrivere i piccoli saggi che leggerete e li hanno seguiti durante tutto il processo di stampa. Ringrazio
anche il mio impareggiabile assistente Joshua Jelly-Shapiro, per il suo aiuto fondamentale nelle
ricerche necessarie a questo volume e per i molti commenti astuti che mi ha offerto alle prime
versioni del testo. Un ringraziamento particolare va a Robert B. Silvers, il mio storico editore, che
ha messo a disposizione il suo entusiasmo senza eguali, la sua determinazione e la sua cultura:
questo lavoro non sarebbe stato possibile senza di lui .
1
Ndt: Mantenere il senato in assemblea chiusa, nel sistema americano, equivale a paralizzarne i lavori: è una modalità
di riunione prevista per i rappresentanti ma né votazioni né provvedimenti ufficiali di alcun tipo possono avere luogo o
essere promulgati finché l’aula è in sessione a porte chiuse. La “Fase II” fa riferimento al secondo troncone di indagine
promesso in principio dalla Commissione per i Servizi, per intenderci quello che avrebbe dovuto individuare le
responsabilità politiche per la manipolazione delle intelligence.
Tra le molte cose che mi insegno mio padre, il dr. Robert Danner, c’è come si legge un giornale:
con scetticismo, sempre con scetticismo. Con le sue parole e con il suo esempio ha sempre insistito
nel dimostrarmi che l’essenza di un vero cittadino sta nel non smettere mai, per qualsiasi motivo, di
fare domande ed esigere risposte. Con amore e gratitudine dedico a lui questo piccolo libro.
-MDD
gennaio 2006
THE SECRET WAY TO WAR
-SCORCIATOIA PER LA GUERRAcosì come apparso sul New York Review of Books
il 9 giugno 2005
Era il 16 ottobre 2002, il Congresso aveva appena autorizzato il Presidente a muovere
guerra all’Iraq e G.W. Bush, presentandosi ai parlamentari ed ai membri dl suo gabinetto che erano
per l’occasione riuniti nella East Room della Casa Bianca, aveva l’atteggiamento austero di un
leader che espone francamente a dei liberi cittadini le gravissime scelte che il loro paese potrebbe
trovarsi a fare. Il centosettesimo Congresso disse, era appena diventato “uno dei pochi chiamati
dalla storia ad autorizzare un’azione militare che difenda il nostro paese e la causa della pace.”
Tuttavia, si affrettò ad aggiungere, che nessuno si concludesse che la guerra era invitabile. Anche
se “il Congresso ha autorizzato l’uso della forza” disse il Presidente con enfasi,
“ io non ho
ancora dato un ordine simile. E spero che non si renda necessario”. Il Presidente proseguì:
“il nostro obiettivo è rimuovere completamente ed una volta per tutte una
seria minaccia per la pace mondiale e per l’America. Fortunatamente questa
è una cosa che può essere fatta anche senza un intervento militare. Tuttavia se
l’Iraq vuole scongiurare questo pericolo , non può che accondiscendere a
tutte le richieste che il mondo intero gli fa. Per l’Iraq, è una scelta
obbligata.”
Il Presidente disse che l’Iraq aveva ancora il potere di prevenire la guerra, “dichiarando ed
eliminando tutte le sue armi di distruzione di massa” – in caso contrario, avverti, gli Stati Uniti “
come ultima risorsa, sarebbero scesi in battaglia”.
Chiaramente quasi nessuno si stupì quando gli iracheni risposero all’ordine del Presidente ripetendo
che in realtà non c’era alcuna arma di distruzione di massa. Oggi sappiamo che gli iracheni avevano
veramente già distrutto quelle armi, probabilmente anni prima dell’ultimatum di Bush: per dirla
insomma con le parole di David Kaye, ispettore capo USA agli armamenti, “gli iracheni stavano
dicevano la verità”.
Mentre gli americani vedono combattere i loro giovani, uomini e donne, nel terzo anno della
sanguinosa guerriglia irachena (che fin’ora ha ucciso più di 1.6001 americani e decine di migliaia di
iracheni) hanno tempo per riflettere su una domanda che fino ad ora non ha trovato risposta: che
cosa sarebbe successo se agli ispettori ONU fosse stato permesso di completare il loro lavoro così
come, Regno Unito a parte, auspicavano caldamente tutte le maggiori potenze? Che cosa sarebbe
successo se agli ispettori fosse stato permesso di provare, prima che gli USA scendessero in
battaglia, quello che in seguito documentarono Kaye ed i suoi colleghi?
Una risposta parziale a questa domanda la troviamo in un memorandum2 teoricamente segreto ma
apparso a Londra sul Sunday Times dell 1° maggio 2005 sgoccioli della campagna elettorale inglese.
Il documento contiene il resoconto d’una riunione che l’inquilino di Downing Street tenne con i
vertici della sua politica estera e della sicurezza nazionale, e dimostra come il Presidente Bush,
nonostante nell’ottobre 2002 avesse raccontato agli americani che “sperava non fosse necessario
l’uso della forza” aveva in realtà già fatto la sua scelta almeno tre mesi prima ed aveva scelto
“l’ultima risorsa”: “scendere in battaglia”. Qualunque cosa gli iracheni avessero deciso di fare o
non fare la decisone del Presidente era già stata presa da tempo.
1
A gennaio 2006 il numero degli americani morti in Iraq è passato a 2000.
Il lettore troverà il testo integrale del memorandum infra, insieme ad alti sette documenti interni e riservati del governo
britannica [nota in calce aggiunta] (ndt: la nota è dell’autore).
2
Nel luglio dl 2002, il 23, otto mesi prima dunque, che americani ed inglesi attaccassero,
alcune altissime cariche del governo ebbero una riunione con Tony Blair per discutere il caso Iraq:
l’evento fu molto simile ad un principals meeting1 americano e mise insieme Goeffrey Hoon,
Ministro della Difesa, Jack Straw, Ministro degli Esteri, Lord Goldsmith, procuratore generale2,
John Scarlett, capo del Joint Intelligence Commitee3 e che solitamente consiglia il Primo Ministro,
Sir Richard Dearlove, noto anche come “C” e capo dell’MI6 (l’equivalente della CIA), David
Manning, omologo dell’americano consigliere per la sicurezza nazionale, l’Ammiraglio Sir
Michael Boyce, capo del Defence Staff 4(o CDS, organo equivalente all’americano Chairman of
Joint Chiefs), Jonathan Powell, capo del personale di Blair, Alastair Campbell, director of strategy
(il consigliere per politica e P.R.) e Sally Morgan, portavoce del governo.
La riunione comincia con un breve riassunto di Scarlett sulle informazioni d’Intelligence dall’Iraq,
in particolare viene descritto un regime brutale e fondato sulla più profonda paura, dunque l’unico
modo per rovesciarlo sembra essere una massiccia operazione militare.
“C” invece fece rapporto sulla sua visita a Washington e le riunioni che vi tenne con Gorge Tenet
(suo omologo alla CIA) e con altri ufficiali. Vale citarne per intero il passaggio seguente:
C :
rapporto sulle sue recenti missioni a Washington. Registrato un sensibile
cambiamento d’orientamento: l’intervento armato è ora considerato come inevitabile.
Bush vuole rimuovere Saddam attraverso un’azione militare, giustificandola con la
congiuntura del terrorismo e con le Armi di Distruzione di Massa.
Ad ogni modo intelligence e fatti stanno venendo organizzati in funzione della linea
politica. L’NSC5 ha poca pazienza per l’opzione ONU e nessun entusiasmo circa la
pubblicazione di qualsiasi materiale che riguardi l’analisi del regime iracheno. A
Washington non si è discusso granché dello scenario post-bellico.
Letto col senno di poi, questo paragrafo traccia uno schema preciso per il futuro, stabilendo i punti
seguenti:
1. già per la metà di luglio 2002, otto mesi prima che cominciasse la guerra dunque, il
Presidente Bush aveva deciso di invadere ed occupare l’Iraq;
2. Bush aveva deciso di giustificare la guerra con la congiuntura del terrorismo e
con le Armi di Distruzione di Massa;
3. ancora intelligence e fatti stanno venendo organizzati in funzione della linea politica;
4. molti, al vertice dell’amministrazione , non avevano intenzione di cercare
l’approvazione dell’ONU;
5. a Washington pochi sembravano interessati a considerare il dopoguerra.
Sappiamo da tempo, grazie a Bob Woodward ed altri, che la pianificazione bellica dell’affare Iraq
cominciò il 21 novembre 2001, dopo che il Presidente ebbe ordinato al Segretario alla Difesa
Rumsfeld di definire lo sforzo necessario per difendere l’America e per rimuovere, se inevitabile,
Saddam Hussein. Lo stesso Rumsfeld ed il generale Tommy Franks, responsabile del Comando
Centrale, cominciarono a delineare i particolari dell’operazione con alcuni alti ufficiali nella
primavera-estate 2002. In verità gia pochi giorni dopo la riunione di Londra, sul New York Times
e sul Washington Post apparvero alcune indiscrezioni circa specifici piani per un possibile attacco
1
Ndt: Riunioni dei presidenti di commissione, anche se non c’è equivalenza tra questi organi politici e le nostre
commissioni parlamentari.
2
Ndt: l’Attourney General è, in UK, il consigliere reale e del governo per gli affari legali, la carica esiste dal sec XIII,
3
Ndt: Joint Intelligence Commitee, in UK, è la commissione di controllo sui servizi segreti interni e militari.
4
Ndt: Simile al Capo di Stato Maggiore italiano.
5
Ndt: National Security Council, Consiglio di Sicurezza Nazionale.
all’Iraq. Quello che il memorandum di Downing Street conferma per la prima volta è che, non più
tardi del luglio 2002 il Presidente Bush aveva già deciso di rimuovere Saddam, che la guerra era
considerata come inevitabile e che rimanevano da stabilire solo le modalità e l’alibi politico, la
giustificazione, vale a dire la sistemazione di intelligence e fatti in funzione della linea politica; il
documento inoltre ha il merito di mostrarci chiaramente la gerarchia decisionale di entrambi i paesi
coinvolti.
Al più tardi nel luglio 2002 quindi la guerra era già stata avallata e la questione su cui discutere era
piuttosto come giustificarla, come organizzare quello che Blair avrebbe descritto in seguito come
“il contesto politico”. Nello specifico, come abbiamo visto, Bush, in luglio, ha già deciso
l’intervento, ma non s’era ancora risoluto a servirsi delle ispezioni ONU, ed anzi, come “C” fa
notare, il Consiglio di Sicurezza Nazionale, cioè i massimi funzionari governativi in materia di
sicurezza, “ha poca pazienza per l’opzione ONU e nessun entusiasmo circa la pubblicazione di
qualsiasi materiale che riguardi l’analisi del regime iracheno: un atteggiamento questo che sarebbe
cambiato in seguito soprattutto a causa delle preoccupazioni di tutti i signori riuniti al 10 di
Downing Street.
Dopo un breve intervento dell’Ammiraglio Boyce sull’aspetto tattico dell’operazioni e sui piani
che al momento erano in discussione; dopo qualche parola del Ministro della Difesa sulla
probabile tabella di marcia – il periodo più adatto per le operazioni, secondo gli USA, sarebbe gennaio,
cominciando 30 giorni prima delle elezioni per il Congresso - è il Ministro degli Esteri Straw a
prendere la parola ed entrare subito nel vivo della discussione: non si tratta di decidere se attaccare
o meno l’Iraq, ma come giustificare l’attacco:
Ministro degli Esteri afferma che ne discuterà con Colin Powell questa
settimana. Anche se la tabella di marcia non è ancora stata definita, appare
chiaro che Bush si è deciso per l’azione militare. Il margine ad ogni modo è
stretto. Saddam non sta minacciando i suoi nemici e la sua disponibilità ADM1 è
inferiore alla Libia, al Nord Corea od all’Iran.
Come giustificare un intervento militare allora, visti i punti appena esposti? Al Ministro Straw
venne un’idea:
Dovremmo lavorare ad un piano per imporre un ultimatum a Saddam sul rientro
degli ispettori ONU. Aiuterà anche per una giustificazione legale dell’uso della
forza.
Gli inglesi compresero subito a quanto pare d’aver bisogno “d’aiuto” per giustificare un intervento
simile, anche perché, come sottolineò piuttosto seccamente il Procuratore Generale, il desiderio di
un cambio di regime non è una base legale per azioni militari, e cioè che non basta la volontà di
abbattere la leadership d’un qualsivoglia stato sovrano per rendere legale un’invasione, al
contrario. Inoltre, aggiunge il Procuratore, dei tre possibili scenari che permetterebbero un’azione
militare, autodifesa, intervento umanitario, oppure autorizzazione dell’ CSNU2[Consiglio di
Sicurezza dell’ONU ]. La prima e la seconda (opzione) non sono applicabili nella fattispecie.
In altre parole l’Iraq non stava attaccando né gli USA né la GB e dunque i rispettivi governi non
potevano dichiarare d’agire per autodifesa, né il regime stava al momento perpetrando alcun
genocidio, cose che esclude anche l’opzione dell’intervento umanitario3. A conti fatti
1
Ndt: d’ora in poi per Armi di Distruzione di Massa.
UNSC: United Nations Security Council.
3
Un movente umanitario ad esempio, avrebbe potuto essere addotto quale casus belli nel 1988, quando il regime
iracheno portava avanti la sua campagna d’Anfal contro i kurdi. Al tempo però l’amministrazione Regan, al cui interno
c’erano già molti degli uomini che avrebbero in seguito organizzato l’invasione, rimase piuttosto silenziosa soprattutto
in virtù dell’appoggio che stava fornendo a Saddam nella sua guerra contro l’Iran. Il secondo bagno di sangue
2
l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza ONU risultava essere l’unica strada praticabile per
rimanere nella legalità. Ma come ottenerla?
Entra a questo punto in scena il Primo Ministro Blair, che rispondendo alla proposta del Minstro
degli Esteri circa l’ultimatum ed il rientro degli ispettori, ammette che la mossa, politicamente,
potrebbe fare la differenza, ma solo nel caso in cui il leader iracheno non rispettasse l’ultimatum:
Primo Ministro afferma che il rifiuto di Saddam ad ammettere gli ispettori
ONU farebbe una grossa differenza, legalmente e politicamente. Il collegamento
tra ADM ed il regime è nel fatto che sia il regime a produrle […]Con
l’appropriato contesto politico la gente supporterà il cambio di regime. I punti
chiave sono il buon esito del piano militare ed una strategia politica che gli
conceda lo spazio per funzionare.
Vengono anche introdotti gli ispettori nel progetto, ma come un mezzo per ottenere il casus belli
mancante: se si fosse riuscito a far approvare dal CSNU un ultimatum sulla riammissione degli
ispettori che Saddam avesse rifiutato, americani ed inglesi avrebbero avuto la loro giustificazione
per andare legalmente in guerra, come dalla terza opzione del Procratore Generale.
L’idea di utilizzare gli ispettori, non fu dunque presa in considerazione per evitare la guerra, come
invece ha più volte ripetuto il Presidente Bush agli americani, ma per renderla possibile. La guerra
era già stata decisa, si trattava in quel momento di creare “l’appropriato contesto politico”, per
dirla con Blair.
La strategia politica, considerato che il collegamento tra ADM ed il regime è nel fatto che sia il
regime a produrle, doveva essere abbastanza forte da consentire il buon esito del piano militare; e
cioè: una volta vinta la guerra si sarebbe giustificata da sola.
Esisteva però un problema: fece notare il Ministro degli Esteri che sul piano politico ad ogni modo
potrebbero esserci divergenze GB/USA. Se per gli inglesi un fondamento legale per questa guerra
era cosa indispensabile – in fondo, a differenza degli americani, sono membri della Corte
Internazionale per i Crimini di Guerra – non era affatto lo stesso per gli americani. Mr. Straw
suggerì che, date le resistenze americane dovremmo discutere l’ultimatum nei dettagli. Il Ministro
della Difesa Hoon fu più diretto, ed aggiunse:
Ministro della Difesa dice che se il Primo Ministro vuole la partecipazione
militare del Regno Unito, bisogna deciderlo con debito anticipo. Fa notare che
molti negli USA non considerano necessario il passaggio dell’utimatum e che
sarebbe dunque importante per il Primo Ministro accordarsi con Bush sul contesto
politico.
Appare chiaro a questo punto che la chiave del negoziato, quello vero, non è la trattativa fra
Saddam e l’ONU circa la riammissione degli ispettori, ed anzi si sperava che questa naufragasse,
quanto quella tra gli americani, che avevano mostrato delle “riserve” tout-court sul coinvolgimento
dell’ONU, e gli inglesi che i loro cari cugini si procurassero almeno una foglia di fico di legalità
prima d’attaccare l’Iraq. Tre settimane dopo, il Ministro Straw arrivò nell’Hempton per “discutere
nei particolari il punto dell’ultimatum” col Segretario di Stato Powell, forse l’unico tra le alte
perpetrato dal regime ebbe luogo nel 1991, quando le truppe di Hussein intervennero contro gli sciiti che erano insorti
nel sud del paese approfittando della sconfitta di Saddam nella Guerra del Golfo: la prima amministrazione Bush,
nonostante il presidente Gorge H.W. incitasse gli iracheni a “sollevarsi contro il dittatore Saddam Hussein” anche in
quell’occasione decise di non fare nulla, pur disponendo di migliaia di soldati americani già dislocati a poche miglia dal
luogo dei massacri. Cfr. Ken Roth, War in Iraq: not a humanitarian intervention (Human Rights Watch,- Osservatorio
dei Diritti Umani, gennaio 2004) .
cariche americane a condividere alcune delle preoccupazioni inglesi. Come Straw disse al
Segretario, dal resoconto che ne fa Woodward1: se veramente pensate di andare in guerra e volete
che noi inglesi facciamo la nostra parte, si può fare solo se decidete di passare per l’ONU.
La forte pressione britannica per “l’opzione ONU”, tanto malvista dalla maggior parte
della gerarchia americana, fu un appoggio fondamentale per Powell nella sua battaglia burocratica
per portare l’affare alla Nazioni Unite. Il 26 agosto il vicepresidente Cheney, durante un discorso
ad una convention di veterani aveva pubblicamente denunciato l’opzione ONU, affermando che
semplicemente non esiste dubbio alcuno che Saddam Hussein possegga Armi di Distruzione di
Massa, così come non c’è dubbio che le stia ammassando per usarle contro i nostri amici,contro i
nostri alleati e contro di noi. Cheney avanzò anche l’ipotesi che presentare il problema all’ONU
fosse di per se pericoloso:
L’eventuale ritorno degli ispettori non garantirebbe alcuna obbedienza alle
risoluzioni ONU ed anzi potrebbe produrre l’impressione che Saddam abbia in
qualche modo “abbassato la cresta2”
Cheney, com’egli altri “falchi” dell’Amministrazione, temeva l’opzione ONU, ma non per paura
che fallisse quanto invece che funzionasse, evitando così una guerra che invece si era deciso di
dover combattere. Racconta Woodward che fu necessaria una visita personale di Blair alla Casa
Bianca, il 7 settembre, per persuadere definitivamente il Presidente a non scavalcare le Nazioni
Unite:
Il dilemma immediato di Blair era: si passerà o meno per l’ONU ?
Contemporaneamente il Primo Ministro era consapevole che la stessa domanda
diventava in Inghilterra Blair crede o non crede nell’ONU? La questione era
dunque prettamente interna, soprattutto per la necessità che aveva il capo del
governo di convincere i Labour, partito sostanzialmente pacifista e contrario in
linea di principio alla guerra, che lui si muoveva all’interno dell’ONU. Anche
l’opinione pubblica britannica, in secondo luogo, avrebbe preferito affidare la
risoluzione di un problema simile alle istituzioni internazionali prima di ricorrere
alla forza. Passare per l’ONU era dunque una necessità largamente condivisa in
GB, oltre che una mossa di propaganda.3
Il Presidente, dopo la riunione, disse a Blair che avrebbe interpellato l’ONU, ed il Primo Ministro,
sempre secondo Woodward, ne fu sollevato. Bush inoltre avrebbe raccontato a Woodward che
dopo il colloquio con Blair, entrando in un'altra sala dove aspettavano alcuni funzionari inglesi, si
sarebbe rivolto loro esclamando “Your man has got cojones”( E di certo quegli inglesi non hanno
idea di cosa siano i cojones, avrebbe detto Bush a Woodwar), di lì in poi, racconta Bush,
quell’incontro con Blair sarebbe stato noto come The Cojones Meeting .
E’ proprio in quel settembre che si fece serio il tentativo di vendere la guerra,visto che come
raccontò Andrew Card4 al New York Times in un momento d’inusuale ingenuità, dal punto di
vista commerciale, mai tentare di lanciare nuovi prodotti in agosto.
1
Plan of Attack, B. Woodward, Simon & Schuster, 2004, p. 162
Ndt: nel testo that Saddam was somehow “back in the box”.
3
Plan of Attack, B. Woodward, Simon & Schuster, 2004, p. 177-78
4
Card era all’epoca White House Chief of Staff.
2
E’ proprio al cuore di questa campagna pubblicitaria che troviamo l’ONU: grazie più che altro al
prodigarsi di Blair, G.W. Bush si presentò davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il
12 settembre, e dopo aver accusato il regime iracheno annunciò “lavoreremo insieme al Consiglio
di Sicurezza per le risoluzioni necessarie”: era appena cominciata la prima fase della strategia che
secondo Blair avrebbe dovuto dare a questa guerra, per vie diplomatiche l’appropriato contesto
politico. Quello che va nuovamente sottolineato è che sebbene l’opzione ONU sia stata presentata
al mondo come uno sforzo per evitare la guerra, era in realtà, ed il memorandum di D.S. lo
conferma, uno strumento per renderla possibile e politicamente accettabile.
Alla fine però, come tenevano Cheney ed altri, questa strada si rivelò tutt’altro che facile o diretta:
nonostante la considerevole opera diplomatica di Powell per garantire un appoggio unanime alla
ris. 1441 al CSNU ( riuscì a vincere anche l’appoggio della Siria per riportare gli ispettori in Iraq),
gli alleati non erano d’accordo su un punto fondamentale: la risoluzione in se, qualora disattesa,
equivaleva ad un’autorizzazione ad usare la forza contro Saddam, come sostenevano in America,
od era invece necessaria una seconda risoluzione per le manovre militari, come invece richiedeva
la maggior parte del CSNU, GB compresa? Sir Jeremy Greenstock, ambasciatore britannico
all’ONU, spiegò chiaramente la posizione della Nazioni l’8 novembre, giorno d’approvazione
della 1441:
Chiaramente ed a gran voce, durante le negoziazioni, abbiamo sentito parlare
di “automatismi” e “ autorizzazioni implicite ” – la preoccupazione principale
è che nel prendere una decisione così importante non dovremmo buttarci a
capofitto nelle grandi manovre[…]Permettetemi di essere altrettanto chiaro…
questa Risoluzione non contiene alcun automatismo, e se ci saranno nuove
mancanza da parte irachena circa gli obblighi di disarmo, la questione
ritornerà al Consiglio per essere discussa. Come da prassi[…] Ci aspettiamo
che allora il Consiglio di Sicurezza si assuma le sue responsabilità.
Il vice Presidente Cheney non poteva aspettarsi di peggio: americani ed inglesi avevano scelto
l’opzione ONU ed adesso si ritrovavano a dover aspettare una seconda risoluzione per essere
autorizzati all’attacco, e visto che al peggio non c’è mai fine ci si metteva anche Saddam a
frustrare le loro speranze: invece di offrire un immediato casus belli (come prospettato da Blair
nella riunione del 23 luglio) rifiutando gli ispettori, Hussein li ammise in Iraq a centinaia. Questi
cominciarono a cercare e trovarono…un bel niente. Gennaio, per il Ministro della Difesa Hoon il
periodo più adatto per le operazioni, secondo gli USA, venne e passò mentre gli ispettori
continuavano a cercare. Intanto al Consiglio di Sicurezza una maggioranza guidata da Francia
Germania e Russia spingeva perché le ispezioni seguissero il loro corso. Chirac riassunse in
seguito la situazione durante un’intervista alla CBS ed alla CNN, giusto prima che cominciassero i
combattimenti:
La Francia non è pacifista. E nemmeno siamo anti -americani, per cui non
useremo il nostro veto per infastidire o punzecchiare gli Stati Uniti, tuttavia
siamo convinti che esista un’altra strada, più normale e meno drammatica
della guerra, che sia quello il cammino da percorrere e che dovremmo
sforzarci di farlo almeno finché non ci troveremo ad un vicolo cieco. Cosa che
ad ogni modo non si è ancora verificata.1
Quand’è però che ci si trova in un vicolo cieco, e soprattutto chi è che lo decide? I francesi o gli
americani? Comincia a delinearsi la minaccia maggiore per la politica USA: se gli ispettori
1
Chirac makes his case on Iraq , intervista di Christiane Amanpour, CBS News, 16 Marzo 2003.
avessero trovato le armi, o se Saddam le avesse consegnate, molti di quelli che avevano
appoggiato la risoluzione avrebbero fatto notare come il sistema delle ispezioni stabilito dalla
stessa avesse funzionato, e che pacificamente e con un’azione multilaterale, il mondo stava
riuscendo a disarmare l’Iraq. Se invece gli ispettori avessero continuato a non trovare nulla, molti
avrebbero ammesso che “bisognava dargli il tempo necessario per concludere il loro lavoro,
almeno fin quando, con le parole di Chirac, non ci si fosse trovati ad un vicolo cieco.
Senza soffermarsi sulla definizione d’una circostanza simile, è evidente che ben prima del suo
verificarsi il mancato ritrovamento delle armi avrebbe minato il principale argomento in mano
all’Amministrazione per muovere guerra: quella “congiuntura”, come la chiama “C” del terrorismo
e delle Armi di Distruzione di Massa. Inoltre, ma questo lo sappiamo solo oggi, c’è da aggiungere che
effettivamente gli ispettori non avrebbero mai potuto trovare delle armi.
Il vice Presidente Cheney, comunque, aveva già anticipato il problema, come spiegò francamente
ad Hans Blix, capo degli ispettori, durante una riunione tenutasi alla Casa Bianca il 30 ottobre.
Secondo Blix Cheney
Espresse la posizione secondo cui, se gli ispettori non trovavano nulla, non
potevano certo andare avanti così per sempre, ed aggiunse che “gli USA
erano pronti a screditare le ispezioni a favore del disarmo.” Un nodo
abbastanza spicciolo per dire che se non fossimo riusciti alla svelta a trovare
le ADM che gli USA davano per scontato in mano all’Iraq (anche se non
sapevano dire dove si trovassero), non ci avrebbero messo molto a
dichiararci inutili ed a procedere al disarmo con altri mezzi.1
Nei fatti accadde che all’impossibilità degli ispettori di trovare una prova qualsiasi dell’esistenza di
queste armi, fece eco lo sforzo imponente dell’Amministrazione Bush per mostrare al mondo
l’arsenale di Saddam: una campagna pubblicitaria in piena regola cominciata col discorso del
Preseidente a Cincinnati, il 7 ottobre, e proseguita con una serie di dichiarazioni alla stampa
sempre più preoccupanti, in un crescendo che ebbe il suo gran finale nella presentazione
multimediale tenuta da Powell il 5 febbraio 2003 al Consiglio di Sicurezza. Per usare parole di
Card, lungo tutto l’autunno e l’inverno l’Amminstrazione Bush fu impegnata a “ lanciare nuovi
prodotti” sul mercato, e con grande abilità anche, servendosi di televisione, radio e tutta la carta
stampata affinché tutti avessero chiaro in mente quanto fosse imminente la minaccia rappresentata
dall’arsenale di Saddam( Pensate alla stampa, aveva detto una volta Joseph Goebbels, come ad
una grande tastiera suonata dal governo).
Mano a amano che aumentava il divario tra la retorica del governo americano sugli enormi arsenali
iracheni (Sappiamo dove sono! Affermava Rumsfeld) e le mani sempre più vuote degli ispettori,
cominciò a prodursi esattamente l’effetto predetto da Cheney: in molti ambienti la credibilità delle
Nazioni Unite diminuiva e per assurdo, il fatto di non riuscire a trovare armi in Iraq diventò motivo
di discredito per il valore delle ispezioni, piuttosto che fonte di dubbio circa le dichiarazioni USA
sulle montagne di armi letali che Saddam avrebbe posseduto. Ancora più paradossalmente, a
questo punto l’unica strategia utile per Saddam per evitare la guerra, sarebbe stata dichiarare e
consegnare qualcuna di quelle armi, dimostrando così al mondo che le ispezioni erano cosa utile;
oggi tuttavia sappiamo che anche volendo non possedeva armi da consegnare. Sempre Blix dice (7
marzo): alla fine capii che gli iracheni si sarebbero trovati in una situazione peggiore se
veramente non possedevano armi da poter dichiarare. Il fatto che, sempre con le parole di Blix
l’ONU ed il mondo fossero riusciti a disarmare l’Iraq senza accorgersene, e che ,alla luce dei
fatti, l’operato dell’ONU fino a quel momento era stato dunque un successo, si tramutava invece in
discredito per gli ispettori e nella possibilità per gli USA di muovere guerra.
Bush come sappiamo si sarebbe mosso anche senza la seconda risoluzione tanto agognata dal suo
amico ed alleato Blair, il quale vale la pena ricordarlo, quella mattina di luglio, durane quella
1
Hans Blix, Disarming Iraq, Pantheon, 2004
riunione a Downing Street, aveva predetto che i punti chiave erano il buon esito del piano militare
ed una strategia politica che gli conceda lo spazio per funzionare. A quanto pare quella strategia
politica funzionò solo a metà, se è vero che il Consiglio di Sicurezza si rifiutò di adottare una
seconda risoluzione che approvasse l’uso della forza e che Blair fu costretto a seguire gli Stati
Uniti anche senza la protezione d’un’autorizzazione internazionale.
Quanto al piano militare, se questo avesse funzionato, e se cioè la guerra fosse stata breve e
definitiva invece che lunga, sanguinosa ed inconcludente, può anche darsi che Blair avrebbe
evitato il danno politico che ne ricevette. Una settimana dopo la pubblicazione del memorandum
sul Sunday Times, Tony Blair fu rieletto Primo Ministro, ma la sua maggioranza in parlamento si
ridusse da 161 a 67 seggi: la causa di questo risultato è ampiamente attribuita alla guerra d’Iraq ed
al conseguente danno alla reputazione di uomo onesto del Primo Ministro.
Negli Stati Uniti ad ogni modo, il memorandum attirò pochissima attenzione. Mentre scrivo nessun
giornale americano lo ha ancora pubblicato e pochissimi si sono disturbati a commentarlo. La
guerra continua e gli americani intanto ne hanno avuto veramente abbastanza: in pochi sembrano
interessati a discutere, a questo punto, del perché il loro paese si sia imbarcato in un conflitto fatto
in teoria per distruggere armi rivelatesi invece inesistenti. Per quelli che esigono risposte
l’Amministrazione Bush ha seguito una politica e semplice e dagli ottimi risultati: dare la colpa ai
Servizi. Considerando che intelligence e fatti stavano venendo organizzati in funzione della linea
politica già dal luglio del 2002 (così come dal rapporto di “C” appena tornato da Washington), a
noi sembra un atto di hubris non indifferente , anche per questa amministrazione, , che le gerarchie
scarichino ogni responsabilità sugli “errori dei Servizi”, e cioè sulle informazioni di intelligence
che loro stessi avevano messo in piedi.
Senza dubbio anche il Congresso ha ampiamente cooperato all’insabbiamento: nonostante la
Commissione per i Servizi del Senato abbia investigato sugli errori della CIA e delle altre
organizzazioni, l’idea d’una seconda commissione che s’occupasse delle responsabilità politiche
per l’uso di quelle informazioni (il cuore del problema dunque) fu cautamente rimandata a dopo le
elezioni del 2004 e poi accantonata con nonchalance . Il memorandum di Downing Street dunque,
insieme alla mancanza d’interesse per il suo contenuto dimostrata dagli americani, ci aiuta a
comprendere una certa attitudine verso i fatti, o piuttosto il discrimine tra un fatto ed un’opinione
politica: al riguardo mi viene in mente una dichiarazione fatta da un anonimo “alto consigliere 1”
del Presidente Bush, e rilasciata al New York Times Mag. Durante lo scorso anno:
Il consigliere disse che i tipi come me [cioè giornalisti e commentatori] vivono
“in quella che noi chiamiamo - comunità fondata sul reale-” , che definì come
“l’insieme di quelle persone”che “credono che le soluzioni emergano da
un’analisi giudiziosa della realtà intelligibile”. Io annui e bofonchiai qualcosa
sui principi della conoscenza e sull’empirismo, ma lui mi zittì: “il mondo non
funziona più così. Ora siamo un impero, ed ogni volta che agiamo diamo forma
alla nostra realtà. Mentre voi studierete giudiziosamente quella realtà, e lo
farete, noi agiremo di nuovo, creando altre nuove realtà, e potrete studiare
anche quelle certo, però è così che vanno le cose. Siamo noi a fare la storia…a
voi, a tutti voi, non rimarrà che studiare quello che facciamo. 2
L’argomento è semplice, è il potere a creare la verità ed a plasmare la realtà, o almeno la realtà in
cui credono la maggior parte delle persone. Ed il punto fondamentale è che sia lo stesso
establishment a far notare come la cosa politicamente rilevante non sia l’opinione dei lettori del
New York Times Mag. Ma quello che la maggior parte degli americani deciderà di credere.
1
2
Ndt.: senior advisor nel testo originale.
Ron Suskind, Without a doubt, The New York Time Magazine, 17 ottobre 2004.
L’autorità più all’avanguardia del secolo scorso in materia di potere e verità, il solito J. Goebbels,
fece la stessa considerazione in termini ancora più espliciti:
Non serve a nulla cercare di convertire gli intellettuali, tanto non si
convertiranno mai, ma si sottometteranno sempre al più forte, che di contro
sarà sempre un uomo della strada, un uomo qualunque. Che gli argomenti
siano dunque crudi, chiari e seducenti, che facciano leva sugli istinti piuttosto
che sull’intelletto. La verità non ha importanza e va completamente subordinata
alla tattica ed alla psicologia.1
La prima volta che lessi il memorandum pensai a queste parole, ma mi erano tornate in mente
anche diversi mesi prima, nel dicembre del 2004, dopo aver rivistole immagini di Bush appena
rieletto che premiava con la Medaglia della Libertà (la maggior onorificenza civile statunitense)
Gorge Tenet, ex direttore CIA, L. Paul Brenner, ex capo dell’Autorità Provvisoria della Coalizione
in Iraq ed il generale (ormai in pensione) Tommy Franks, che aveva guidato la prima fase delle
operazioni.
Tenet rimarrà nella storia per non essere riuscito a prevenire l’attacco dell’11 settembre e per aver
assicurato al Presidente Bush che Saddam possedeva al mille per cento quelle famose armi di
distruzione di massa; Franks fu invece il responsabile del saccheggio di Baghdad ed in generale
non fece un granché per pianificare la fase successiva all’invasione (come disse “C” A Washington
non si è discusso granché dello scenario post-bellico); Brenner da parte sua si limitò a scogliere la
polizia e l’esercito iracheno, fornendo qualcosa come 400.000 possibili reclute per la
guerriglia.Senza dubbio si potrà anche discutere della loro effettiva responsabilità in merito a
questi gravi errori, ma sembra comunque difficile che questi signori possano aver meritato il più
alto riconoscimento del paese: certo, come insegnava il maestro di propaganda “la verità non ha
importanza e va completamente subordinata alla tattica ed alla psicologia” e forse avrebbe colto
al volo la tattica psicologica nascosta in quella cerimonia alla Casa Bianca, vale a dire rassicurare
per l’ennesima volta gli americani che la guerra in Iraq era un successo e valeva la pena di
combatterla. Ad ogni modo quell’americano scarso su quattro ancora disposto a credere a tutto
questo, fa pensare che più il tempo passa, più si allarga l’incongruenza tra quello che gli americani
vedono e quello che gli viene raccontato, e più “la comunità fondata sul reale” potrebbe allargarsi.
Staremo a vedere. Per quelli che invece sono ancora interessati a sapere come i nostri leader
hanno convinto il paese ad impelagarsi nella guerriglia irachena, il memorandum di Downing
Street offre una conferma ulteriore della verità. Ovviamente per chi vuol sentire.
1
Questo passaggio, anche se diffusamente citato come testuali parole di Goebbels, è in realtà quasi completamente una
parafrasi da attribuire al suo editore Hugh Trevot-Roper. Cfr. di Roper l’introduzione a “Gli ultimi giorni del 1945: i
diari di Goebbels (Final Entries 1945,The Goebbels Diaries, Putnam, 1978, ) p.20.
PERCHÉ IL MEMORANDUM CONTA
Così come apparso sul New York Review of Books
il 14 luglio 2005
Agli editori:
L’articolo di Danner su come l’amministrazione Bush sia arrivata ad una Guerra era eccellente,
mancavano però un paio di indizi importanti.
L’11 ottobre 2001 il Knight Ridder raccontò che meno di un mese dopo l’attacco dell’11/9, le
maggiori cariche del Pentagono, volendo espandere in Iraq la guerra al terrorismo, riuscirono a
farsi autorizzare da James Woolsey, all’epoca capo della CIA, dei viaggi ufficiali in GB per quello
stesso settembre, al fine di reperire prove che Hussein avesse avuto un ruolo nell’attacco alle torri.
Poi, il 13 febbraio 2002, quindi quasi sei mesi prima che venisse redatto il memorandum di
Downins Street, sempre il Ridder riportò che il Presidente Bush aveva deciso di togliere di mezzo
Saddam, ed aveva dunque dato disposizioni alla CIA, al Pentagono ed ad altre agenzie di delineare
una combinazione di interventi militari, diplomatici ed ufficiosi per raggiungere tale scopo.
Cinque giorni più tardi Bob Graham, ex senatore della Florida, dichiarava in un suo libro l’enorme
sorpresa che aveva provato quando, durante una visita al Comando Generale di Tampa, il generale
Franks gli comunicò che l’Amministrazione stava spostando risorse dalle operazioni contro Al
Qaeda in Afghanistan e Pakistan alla preparazione di una guerra in Iraq.
John Walcott
Direttore della redazione di Washington,
Knight Ridder.
Danner risponde:
John Walcott è fiero del reportage concluso dalla sua redazione. E fa bene ad esserlo: come ha già
scritto su queste pagine il mio collega Michael Massing infatti, durante il periodo appena
precedente la guerra i reporter del Knight Ridder detenevano un invidiabile ed ineguagliato record
di indipendenza e successo.1
Tuttavia l’affermazione di Mr. Walcott secondo cui nel mio articolo mancano un paio di indizi
importanti pone inevitabilmente una domanda: indizi sulle tracce di cosa? Che cosa prova
esattamente il memorandum di Downing Street (che è semplicemente il resoconto ufficiale di una
riunione tra Blair ed il suo gabinetto di sicurezza) e gli altri documenti ad esso collegati che sono
apparsi fin’ora? E perché la stampa americana ha fino ad oggi evitato di prendere in
considerazione la storia che raccontano?
Come scrivevo nel mio articolo:
il documento inoltre ha il merito di mostrarci chiaramente la gerarchia
decisionale di entrambi i paesi coinvolti.
Al più tardi nel luglio 2002 quindi la guerra era già stata avallata e la
questione su cui discutere era piuttosto come giustificarla, come organizzare
quello che Blair avrebbe descritto in seguito come “il contesto politico”.
Nello specifico, come abbiamo visto, Bush, in luglio, aveva già deciso
l’intervento, ma non s’era ancora risoluto a servirsi delle ispezioni ONU, ed
anzi, come fa notare “C”, il Consiglio di Sicurezza Nazionale, cioè i massimi
funzionari governativi in materia di sicurezza, “ha poca pazienza per
l’opzione ONU e nessun entusiasmo circa la pubblicazione di qualsiasi
materiale che riguardi l’analisi del regime iracheno: un atteggiamento questo
che sarebbe cambiato in seguito soprattutto a causa delle preoccupazioni di
tutti i signori riuniti al 10 di Downing Street.
Quelle “preoccupazioni” nascevano dal fatto che, parole del Ministro degli Esteri J. Straw il
margine ad ogni modo era stretto, anche perché secondo l’opinione del Procuratore Generale il
desiderio di un cambio di regime non è una base legale per azioni militari. Per assicurarsi tale
base legale quindi, gli alleati devono fare in modo d’ottenere l’approvazione del CSNU, ed il
ministro Straw ha un idea su come fare: dovremmo lavorare ad un piano per imporre un
ultimatum a Saddam sul rientro degli ispettori ONU. In fine lo stesso Blair mette in chiaro
l’opportunità dell’ultimatum: il rifiuto di Saddam ad ammettere gli ispettori ONU farebbe una
grossa differenza, legalmente e politicamente.
Il 13 febbraio 2002, cinque mesi dunque prima della riunione di Downing Street e tredici prima
dell’inizio delle ostilità, apparve il secondo degli articoli cui fa riferimento Walcott, con occhiello
e sommario suoi e di P. Strobel ed a titolo Bush ha deciso di spodestare Saddam. L’articolo si
chiudeva così:
E’ più che probabile […] che molte nazioni […] contesteranno un intervento
unilaterale degli Stati Uniti volto a rimuovere il governo di un altro paese, per
1
Cfr. Michael Massing, Now they tell us (ndt. E ce lo dicono adesso), The New York Review , 26 febbraio 2004
quanto questo governo possa essere disgustoso. Un’alta carica del Dipartimento
di Stato però, anche se incapace di spiegarci precisamente con quale autorità
legale si possa compiere una mossa come questa, ci ha detto che che “non è
difficile dimostrare quanto l’Iraq rappresenti una minaccia per la pace e la
sicurezza internazionali… E’ altamente probabile che prima di qualsiasi
offensiva militare si dia il via ad una vasta campagna diplomatica per raccogliere
il necessario supporto internazionale al rovesciamento di Saddam […] e’
prevedibile che gli Stati Uniti, forse con l’appoggio dell’ONU, esigeranno la
riammissione degli ispettori così da sradicare i programmi chimici,
batteriologici, nucleari e missilistici dell’Iraq. Nel caso in Baghdad rifiutasse di
riammetterli, o se Saddam gli impedisse di portare a termine il loro lavoro, Bush
avrebbe un pretesto perfetto per attaccare.
Ecco dunque che lo stratagemma che gli inglesi avrebbero imposto ai loro alleati americani solo
l’estate successiva, era invece sotto esame al Dipartimento di Stato già cinque mesi prima della
riunione del gabinetto Blair, e quasi un anno prima della guerra.
Ancora una volta però, che cosa prova tutto questo? Dal punto di vista di “un’alta carica del
Dipartimento di Stato” un’indiscrezione di questa portata passata al Knight Ridder è senza dubbio
un modo per segnare pubblicamente un punto nella partita burocratica che all’epoca era in corso
all’interno dell’Amministrazione, e che raggiunse l’apice proprio quell’agosto, quando il
Presidente Bush, alla fine, accettò gli argomenti del suo Segretario di Stato e dei suoi alleati
britannici e si decise per “l’opzione ONU”.
Così come il memorandum, profetico ma passato sotto silenzio, nascondeva in un mare di
chiacchiere una ricchezza di informazioni che col senno di poi appare abbagliante, così queste
indiscrezioni fatte al Ridder sembrano un’altra rivelazione su quello che stava per accadere e che
poi trovò conferma nei fatti di quel che successe davvero. Il memorandum però, ci spiega che
all’epoca in cui quest’alta carica del Dipartimento faceva le sue rivelazioni al Ridder, la strategia
non era ancora stata decisa. Il memorandum inoltre, non è un’informazione passata anonimamente
a qualche reporter, ma la trascrizione ufficiale di ciò che veramente si dissero i più alti responsabili
della sicurezza nazionale del governo Blair; e poi ci spiega molto del modo in cui vennero prese le
decisioni ma soprattutto ci dimostra, come ho già scritto nel mio articolo, che l’idea di utilizzare
gli ispettori, non fu dunque presa in considerazione per evitare la guerra, come invece ha più volte
ripetuto il Presidente Bush agli americani, ma per renderla possibile.
Se poi prendiamo meglio in esame i pezzi usciti sul Ridder, la questione che salta agli occhi è
ancora più ampia: è decisamente ironico infatti che uno degli ostacoli incontrati dal memorandum
per farsi spazio nella stampa americana è stata la più o meno tacita convinzione, tra i giornalisti
come tra gli editori, che non contenesse “niente di nuovo”. Se parlo di ironia, è perché questo mi
sembra un buon esempio di quella dinamica assurda quanto familiare nel nostro mondo che io
chiamo frozen scandal1 ,uno pseudo-scandalo intorno a cui le rivelazioni si moltiplicano ma senza
che si dia coso a vere indagini o si arrivi a punire i colpevoli: scandali con i quali siamo costretti a
convivere. 2 Più o meno funziona così: viene alla luce una certa storia, ma in pochi ci fanno caso
(come con gli articoli del Ridder) più che altro perché la storia che racconta il governo è più
grande ed in n certo senso la risucchia, poi, quando emergono altri documenti, magari ufficiali
(come il memorandum in questo caso) l’intera storia viene liquidata con un “niente di nuovo”. Una
parte di questo atteggiamento discende direttamente dalla definizione che nell’attuale mondo
politico e giornalistico viene data alla parola “fatto”. Nella pratica come si stabilisce la veridcità di
una storia? Ad esempio del fatto piuttosto ovvio che, come titolava il Ridder Bush aveva deciso di
1
Ndt. Uno scandalo congelato.
Cfr. il mio saggio What are you going to do with that? (Ndt. E con questo che ci facciamo?), The New York Reviw,
23 luglio 2005
2
spodestare Saddam molti mesi prima della guerra o anche solo dell’approvazione del Congresso ed
infine nonostante il Presidente stesso andasse dicendo in giro che “non era stata presa alcuna
decisione”?
Come si fa a provare per vera una storia sul capo dell’intelligence britannica che torna da
Washington ed otto mesi prima della guerra racconta al suo primo ministro ed ai suoi colleghi di
gabinetto che intelligence e fatti stanno venendo organizzati in funzione della linea politica?
Michael Kinsley, con un articolo recente in cui di fatto liquida il memorandum, fa il punto proprio
su questa frase:
Di certo se intelligence e fatti stavano venendo organizzati in funzione della
linea politica, questa è un’ottima prova delle intenzioni di Bush, oltre che uno
scandalo in piena regola. Ed oggi sappiamo anche che era tutto più che vero:
arrangiare fatti e prove secondo i propri comodi è esattamente lo stile di
governo di Bush II, soprattutto per quanto riguarda la guerra in Iraq. Quanto a
“C” però, non ci fornisce alcun dettaglio, almeno non nel memorandum, né ci
sono indizi nel documento che qualcuno nella posizione di prendere decisioni
simili abbia raccontato a “C” che si stavano effettivamente manipolando le
prove.1
Se leggete attentamente questo paragrafo, forse converrete con me nel considerarlo una piccola,
perfetta poesia sullo stato attuale della politica e del giornalismo. Kinsley accetta come più che
vero che intelligence e fatti stessero venendo organizzati in funzione della linea politica, dopotutto
secondo lui è lo stile di governo di Bush II, però rifiuta che sia il memorandum a provarlo e questo,
plausibilmente, perché il capo dei Servizi britannici non dichiara in esso che a raccontarglielo sia
stato qualcuno nella posizione di prendere decisioni simili. Kinsley però non ci dice da chi,
secondo lui, possa aver avuto queste informazioni il capo dell’intelligence britannica di ritorno da
le sue recenti missioni a Washington se non da qualcuno nella posizione di prendere decisioni simili,
tenuto anche conto che come riportava il Sunday Times, tra le persone che “C” incontrò c’era
anche Gorge Tenet, all’epoca direttore della CIA. Quello che Kensley ci dice invece, è che se fosse
possibile provare ciò che lui accetta già come vero, quasi liquidando sbrigativamente chi potesse
dubitarne, questo sarebbe un’ottima prova delle intenzioni di Bush oltre che uno scandalo in piena
regola.
A questo punto bisognerebbe chiedersi cosa sia necessario per convincere questo reporter, e molti
altri, della verità di ciò che loro, a quanto pare, già sanno ed accettano, ammettendo per giunta di
saperlo ed accettarlo? Che cosa si può dire o fare per stabilire la verità? Per provarla?Beh forse una
genuina inchiesta del Congresso sull’uso che fece l’Amministrazione, prima delle guerra, delle
informazioni passatele dai Servizi potrebbe aiutare; un’inchiesta, ed ho già avuto modo di
scriverlo, come quella che la Commissione per i Servizi del Senato prima promise, poi rimandò
giudiziosamente a dopo le elezioni (benché potrebbe anche sorgere il dubbio che forse l’argomento
aveva qualche rilevanza sulla scelta elettorale degli americani) ed infine abbandonò
silenziosamente. Il Senato invece si limitò a concludere un rapporto che seppure con toni di aspra
condanna, escludeva esplicitamente la questione fondamentale: il modo cioè in cui
l’Amministrazione si servì delle informazioni di intelligence che le furono fornite.
Del resto la colonna di Kinsley, e l’attitudine cinica ed impotente che rappresenta, ci suggerisce
che forse neanche in presenza d’un’indagine accurata sarebbe stata sufficiente per rendere
pubblicamente condivisibile ciò che tutti già sanno e riconoscono: la conferma è proprio nel titolo
del suo pezzo Nessuna Pistola Fumante2 , come a dire che a meno di ritrovare una registrazione
del Presidente Bush che ordina esplicitamente al direttore della CIA Tenet di arrangiare i fatti e le
prove, non si potrà mai considerare provata questa eventualità. Le cosiddette “regole del
1
2
The Washington Post, 12 agosto 2005
Ndt: No smoking gun
giornalismo oggettivo” insomma, si sommano al meccanismo bene oliato e disciplinato d’un
governo a partito unico per mantenere volontariamente stupida ed opaca la disanima politica.
Dunque: gli articoli del Ridder a firma di Walcott e colleghi, sono indizi sulla pista di cosa? I
cittadini americani sono su un sentiero molto strano, ed a quanto pare inciampano ciecamente in un
bosco scuro: già prima del conflitto avevamo prove evidenti che l’Amministrazione Bush aveva
deciso per la guerra nonostante affermasse che stava cercando di evitarla, ed ora abbiamo anche
una serie di “indiscrezioni” che ci provano come tutta la storia iniziale fosse vera.
Oggi al Congresso, molti tra deputati e senatori (e tra questi parecchi democratici) si trovano in
una situazione piuttosto scomoda: votarono per conferire al Presidente l’autorità di attaccare e
temendo le conseguenze politiche d’una loro opposizione a Bush ma anche a quella che poteva
rivelarsi una guerra popolare, accolsero volentieri i suoi argomenti suadenti sul fatto che il loro
voto gli avrebbe permesso di evitare la guerra piuttosto che d’intraprenderla; bene, ora quegli stessi
politici dichiarano di essere stati “fuorviati”, convinti com’erano che avrebbero aiutato il paese a
non entrare in guerra (Il senatore Kerry ne fece addirittura il centro della sua campagna
presidenziale).
Perché affermazioni come queste possano essere plausibilmente ritenute vere però, gli argomenti
iniziali dell’Amministrazione dovevano pur avere un certo grado di credibilità, mentre il
memorandum ci dice che il margine era imbarazzantemente stretto, e dunque la giustificazione dei
Democratici che votarono per i pieni poteri a Bush è moralmente incriminante quanto basta a
confondere e corrompere ulteriormente un dibattito pubblico che diventerà sicuramente più
difficile e doloroso.
Quanto al memorandum e se possa essere considerato o meno una pistola fumante, è ormai chiaro
che a) se si fosse concesso loro il tempo necessario, gli ispettori avrebbero potuto prevenire la
guerra semplicemente rivelando quello che poi sarebbe comunque emerso, e cioè che Saddam non
possedeva affatto alcuna minacciosa pila di armi di distruzione di massa; b) che l’Amministrazione
si servì delle ispezioni come un pretesto: un mezzo per convincere il paese ad una guerra che mai
avremmo dovuto combattere. Certo c’è anche da dire che fu un pretesto astutissimo, perché ogni
provvedimento che ci avvicinava alla guerra poteva essere spacciato invece come un’azione per
scongiurarla – necessario cioè a convincere Saddam che l’attacco era imminente: grazie a questo
stratagemma, tutte le azioni cominciarono a sovrapporsi in un certo senso, sia che costituissero un
passo verso la guerra od un passo indietro, diventando in pratica indistinguibili. In conclusione è
questo il motivo per cui risulta così difficile trovare quella pistola fumante che Kinsley ed altri
accetterebbero in prova, a meno ovviamente di entrare in possesso d’un video con tanto di data ed
ora sovraimpresse in cui Bush dichiari: “Ho deciso di fare guerra a Saddam e che le ispezioni non
servono a un’acca”.
In mancanza del video però, credo che il modo migliore per distinguere le vere intenzioni di Bush
e del suo staff sia semplicemente guardare a quello che hanno fatto, e quel che hanno fatto è stato
impedire alle ispezioni di seguire il loro corso, nonostante le proteste dell’ONU e di buona parte
del mondo.
Non solo, perché le giustificazioni adottate dal Presidente e dall’Amministrazione a posteriori, una
volata stabilita l’assenza di armi di distruzione di massa in Iraq, e cioè che Saddam avrebbe
comunque potuto riprendere i suoi programmi, sembrano veramente prendersi gioco di un’altra
affermazione del governo, secondo cui l’Amministrazione sarebbe stata dispostissima a lasciare
Hussein al proprio posto, qualora gli ispettori avessero provato prima della guerra che l’Iraq non
possedeva arsenali segreti.
A questo punto potremo anche convincerci che quel che è fatto è fatto e che queste cose
appartengono al passato. Purtroppo però, con gli americani che continuano a morire in Iraq ed i
loro compatrioti che a casa hanno sempre meno pazienza per questa guerra, la storia di come è
cominciata diventerà sempre più importante e non meno, offuscata com’è dalla propaganda e da
mille controversie.
Prendete in considerazione il fermo avvertimento contenuto in un documento inglese di recente
pubblicazione e che porta una data di due giorni anteriore al memorandum di Downing Street ( e
siamo quindi sempre ad otto mesi dalla guerra): un dopoguerra d’occupazione, in Iraq, potrebbe
trasformarsi in un lungo e costoso esercizio di nation-building. E subito dopo: Come già chiarito, i
piani USA sono in proposito praticamente muti.1
Muti in egual misura lo sono stati i politici americani, e noi, oggi, viviamo con le conseguenze di
questo silenzio.
1
Cfr. IRAQ: CONDIZIONI PER L’ AZIONE MILITARE, paragrafo 19 (Benefici/Rischi), pag 73.
IL MEMORANDUM, LA STAMPA E LA GUERRA
In “Perché il memorandum conta”, Danner commentava una colonna di Kinsley
apparsa sul Washington Post del 12 giugno 20051, a titolo No Smoking Gun. Il
seguente botta e risposta invece fu pubblicato sul The New York Review of Books l’
11 agosto 2005.
1
Ndt: la nota 1 a pag 15 riporta invece 12 Agosto, ed è una nota di Danner inserita come rimando allo stesso No
smoking gun di Kinsley
Agli editori:
E’ facile apprezzare la frustrazione degli entusiasti sostenitori del Memorandum di Downing Street
come Mark Danner: pensano tutti d’avere in mano le prove documentarie che il Presidente Bush
avesse fermamente deciso di entrare in guerra già nel luglio 2002. Molti altri però dicono che il
memorandum non sarebbe rilevante, alcuni perché l’accusa al Presidente sarebbe falsa, altri invece
proprio per la sua ovvia verità. Sul tavolo c’è una pistola fumante, dunque Danner conclude che
debba esserci un assassino, solo perché, per ragioni diverse, nessuno la prende in mano.
Penso anche che Danner abbia ragione a risentirsi per tutta questa storia della pistola fumante (roba
da Watergate), visto che sembra voler stabilire come standard probatorio una vecchia battuta di
Chico Marx: a chi crederai allora, a me od ai tuoi occhi? Non è che tutti i cattivi registrino le loro
malefatte e G. Bush in particolare, come insistevo su quella colonna a cui fa riferimento Danner, è
particolarmente abile ad insistere affinché la realtà sia ciò che lui vuole che sia; in questo senso la
necessità di una pistola fumante lo aiuta a riuscirci. Il Dowining Street Memo ad ogni modo è
inutile se non consta della suddetta pistola, e non perché io abbia bisogno di essere convinto (un
attitudine cinica ed impotente la chiama Danner) ma precisamente perché è la gente che non ha
bisogno d’una pistola fumante ad essersi già convinta. E comunque il documento non è quel tipo di
prova.
Io dico semplicemente che l’idea che il Presidente avesse già deciso e la guerra fosse ormai certa
era soltanto l’opinione generale che si poteva captare a Washington, ed a Danner che si chiede -che
cosa si può dire o fare per stabilire la verità? Per provarla?- rispondevo già nel medesimo articolo
che non sarebbe stato male se il memorandum avesse messo in chiaro che erano stati personaggi
dell’Amministrazione con alto potere decisionale a riferire a “C” che intelligence e fatti venivano
organizzati in funzione della linea politica .
Danner, ancora, si chiede a chi altro potesse far riferimento il capo dei Servizi britannici facendo
rapporto sulle voci e gli umori di “Washington”, se non a di personaggi con questo potere
decisionale? Beh spero che stesse scherzando.
In breve, il memorandum di Downing Street non convincerà nessuno che non sia già stato convinto.
Questo non lo rende falso, ma ampiamente senza valore di certo.
Michael Kinsley,
Los Angeles Times
Danner risponde:
Da più di due anni ormai, gli Stati Uniti sono impegnati in una guerra lanciata con lo scopo di
distruggere delle armi che si sono rivelate inesistenti. Sarebbe automatico pensare che un evento
senza precedenti storici come questo (e che fin’ora è costato la vita di quasi 1800 giovani
americani), debba destare l’attenzione d’una stampa libera. Infatti così è stato: in Inghilterra. Negli
Stati Uniti invece, quando si discute di un argomento così centrale per la nostra storia politica, ci si
trova generalmente di fronte allo spettacolo vagamente deprimente d’un gran numero di persone
intelligenti che si danno un gran da fare per sembrare stupide.
Più o meno è stato questo l’approccio generale della stampa americana al memorandum ed agli altri
documenti collegati che molto ci dicono su come cominciò, questa guerra d’Iraq, e sono molto
dispiaciuto che lo stimabilissimo Michael Kinsley, liquidando il memorandum come senza valore
(anche se dopo lo promuove a “largamente senza valore) sia l’esempio perfetto di questo trend.
Anche se i leader inglesi ed americani si sono impegnati molto per far apparire il memorandum
come qualcosa di vago e marginale – la gente…estrapola passaggi da questo o quel memorandum,
o da qualsiasi insinuazione su quello che qualcuno avrebbe detto all’epoca, per citare Blair del
mese scorso, a Washington1- beh anche con tutto questo impegno il documento rimane quello che è:
cioè nulla di più della trascrizione di una riunione tenutasi il 23 luglio 2002 tra il primo ministro ed
il suo gabinetto. Soprattutto però, nessuno, compreso Blair, ha mai affermato che il memorandum
non fosse autentico: questo perché è l’esatta trascrizione di quello che le più alte cariche britanniche
si dissero, in privato, sull’imminente guerra d’Iraq otto mesi prima che cominciasse.
La riunione, perle figure istituzionali che vi presero parte, può essere considerata equivalente ad una
seduta del Consiglio di Sicurezza Nazionale americano, e proprio come molte di queste sedute
cominciò con un riassunto delle ultime notizie di intelligence. Sir Richard Dearlove, capo dell’MI6
(la controparte inglese della CIA) era appena tornato dagli Stati Uniti dove si era recato per delle
consultazioni ad alto livello. Cominciando i lavori di quella riunione dunque, Sir Richard fece
rapporto sulle sue recenti missioni a Washington . Qui di seguito riporto, nuovamente per intero, il
resoconto di Sir Richard ai suoi colleghi:
Registrato un sensibile cambiamento d’orientamento: l’azione militare è ora
considerata come inevitabile. Bush vuole rimuovere Saddam e con un’azione
militare, giustificandola con la congiuntura del terrorismo e delle Armi di
Distruzione di Massa. Ad ogni modo intelligence e fatti stanno venendo
organizzati in funzione della linea politica. L’NSC 2 ha poca pazienza per
l’opzione ONU e nessun entusiasmo circa la pubblicazione di qualsiasi
materiale che riguardi l’analisi del regime iracheno. A Washington non si è
discusso granché dello scenario post-bellico.
1
2
In un intervista con Gwen Ifill durante The NewsHour with Jim Lehrer, 7 giugno 2005.
Ndt: National Security Council, Consiglio di Sicurezza Nazionale.
Il sig. Kinsley contesta che secondo lui Sir Richard stia semplicemente riportando le voci e gli
umori di ‘Washington’, chiaramente opponibili secondo lui a quelle di personaggi
dell’Amministrazione con alto potere decisionale. Non mi è chiaro chi, secondo Kinsley, possa
mai incontrare il capo dei Servizi Segreti britannici quando se ne va in missione a Washington per
delle consultazioni col più importante alleato del suo paese su una guerra imminente; di certo
sappiamo che si incontrò con G. Tenet, capo della CIA e dunque sue omologo
nell’Amministrazione, il quale però, come membro del gabinetto fa anche rapporto al Presidente
ogni mattina, personalmente: rimane da vedere se questo è sufficiente per farne un personaggio
dell’Amministrazione con alto potere decisionale. Pe quanto riguarda invece gli altri incontri di
“C”non abbiamo notizie incontrovertibili, ma presumibilmente furono dello stesso livello1.
Nessuno dei colleghi di Sir Richard però, Primo Ministro compreso, pretende di conoscere le sue
fonti, eppure procedono nella riunione prendendo addirittura i punti fondamentali del discorso di
Dearlove (che la guerra era inevitabile; che intelligence e fatti stavano venendo organizzati in
funzione della linea politica per creare un pretesto fondato su la congiuntura del terrorismo e delle
Armi di Distruzione di Massa, e che gli Stati Uniti erano restii a passare per le Nazioni Unite)
come base della loro discussione sulla necessità di convincere gli USA a scegliere “l’opzione
ONU”, così da dare almeno una parvenza di legalità ad una guerra che invece, in quanto a
legittimità, aveva un margine stretto.
Come mai, ci si potrebbe chiedere, né il Primo Ministro né i più alti responsabili della sicurezza
britannici non hanno bisogno di conoscere le fonti di Sir Richard ? Perché in altre parole, questi
signori sono stati molto più creduli di Kinsey?
Sarà mica perché sono tutti convinti che le informazioni che riporta da Washington provengano dai
massimi livelli del governo statunitense e godono quindi della massima attendibilità? O magari
perché eco di quelle informazioni erano già arrivate anche agli altri membri del gabinetto, a
ciascuno dalla sua controparte americana?
Per cui se come obietta Kinsley le informazioni di Dearlove riguardassero solo le voci egli umori
di ‘Washington’ e non il punto di vista di personaggi dell’Amministrazione con alto potere
decisionale, non sarebbe molto strano che tutto il gabinetto di sicurezza britannico, dunque gli
alleati più stretti dell’america, si fidassero di tali resoconti per una decisione così importante per la
loro sicurezza nazionale, forse addirittura la più critica nella carriera di ciascuno dei membri
presenti?
Non è forse molto più semplice assumere la posizione dello stesso leader britannico e dei suoi
ministri, e cioè credere che le parole di Sir Richard siano assolutamente il punto di vista di
personaggi dell’Amministrazione con alto potere decisionale e non speculazioni da giornalista o
di qualche tassista? Mi permetto di citare Michael Smith, reporter del London Times e convinto
sostenitore della guerra in Iraq, che per primo pubblicò il memorandum ed intervistato
sull’attendibilità delle fonti di Sir Dearlove rispose:
Era a capo dell’ MI6: quanta autorità pensate che competa ad una carica simile?
In più era appena tornato da Washington dove aveva giusto incontrato Tenet. Ha
detto che intelligence e fatti stanno venendo organizzati in funzione della linea
politica e questo in parole povere significa che le prove venivano confezionate ad
hoc per corrispondere a ciò che l’Amministrazione voleva provare, in modo
d’avere un pretesto utile per attaccare l’ Iraq: organizzare significa la stessa cosa
qui in Inghilterra che lì in America. 2
Per tornare a Kinsley: chi è che sta scherzando? Anche perché c’è un altro punto da considerare, e
non è cosa da poco, cioè che più o meno tutto quello che disse Sir Richard si è rivelato vero: USA
1
Cfr. la Postfazione a pag 35 per altre informazioni sulla missione a Washington di Dearlove.
Cfr. “The Downing Street Memo” e l’intervista a M. Smith sul Washington Post on-line:
www.washingtonpost.com/wpdyn/content/discussion/2005/06/14/DI2005061401261_pf.html
2
e GB andarono in guerra per rimuovere Saddam, l’azione militare fu giustificata con la
congiuntura di terrorismo ed ADM, gli USA non avevano idea di come gestire la situazione
nell’immediato dopoguerra, e, soprattutto intelligence e fatti furono organizzati in funzione della
linea politica.
Senza dubbio stando alle regole con cui dicono di giocare Kinsley e buona parte della stampa
americana tutto questo non ha valore: prima infatti bisognerebbe provare che il documento dica la
verità. Un’esigenza come questa tuttavia è del tutto pro forma: sebbene non ci sia stata nessuna
indagine istituzionale, né da parte del Congresso né di altri, che avesse il potere di investigare
sull’uso deviato delle intelligence per arrivare ad una guerra, sono comunque venute alla luce una
valanga di altre prove che l’Amministrazione avesse organizzato intelligence e fatti in funzione
della linea politica, e questo nonostante l’unica inchiesta che in verità venne aperta sull’argomento
avesse esplicitamente escluso dalla propria competenza l’ambito politico1.
Oggi è palese quanto fossero scarse, e basate su rapporti superficiali, le informazioni sull’Iraq ed i
suoi armamenti in mano alla CIA ed ad altre agenzie USA; allo stesso modo è chiaro che
l’Amministrazione, invece di fare pressioni per ottenere il meglio dai Servizi ed intelligence il più
possibile attendibili, pur d’arrivare alla guerra preferì esagerare con negligenza e senza rimorsi le
esili notizie che possedeva.
Anche se fino ad ora l’Amministrazione, spalleggiata da un Congresso a maggioranza
repubblicana, è riuscita a bloccare ogni indagine seria sull’uso deviato delle intelligence, molti
esempi di questa politica sono comunque sotto gli occhi del pubblico: potremmo citare le
dichiarazioni del Presidente Bush, che insisteva nel dichiarare al mondo che “Saddam Hussein (ha)
recentemente cercato di ottenere in Africa significative quantità di uranio”, (quando la CIA lo
aveva ufficialmente avvisato che non era in grado di confermare quest’informazione); o ancora il
tentativo di sofisticazione dell’Analisi Complessiva dei Servizi sull’ Iraq 2 (che arrivò al
Congresso nel 2002 ma completamente censurata in tutti i suoi punti d’interesse e nonostante
fosse stata de-classificata in quanto a livello di segretezza); o, per concludere, i ripetuti riferimenti
di Cheney, della Rice o di altri funzionari alle “ricostituite armi nucleari” o ad una “pistola
fumante che sta per trasformarsi in un fungo atomico” (tutte informazioni che non si basavano su
prova alcuna di un qualsivoglia nuovo programma nucleare iracheno).
E’ vero che per convincere il paese alla guerra, per “lanciare il nuovo prodotto” citando A. Card,
era necessario ingigantire le informazioni allora disponibili, in seguito però, già caduta Baghdad e
con le ADM che si rifiutavano di saltar fuori, il Presidente ed altri nell’Amministrazione
incolparono la CIA, o le altre agenzie, per aver loro fornito informazioni “fuorvianti”: deviati i
Servizi prima della guerra insomma, l’Amministrazione si è poi voltata indietro accusando gli
stessi di averla messa fuori strada con le informazioni che proprio lei aveva manipolato.
Che poi il Congresso, ed in particolare la Commissione per i Servizi del Senato, abbia fallito nel
chiarire questa vicenda, non è cosa nuova: come ho già scritto la Commissione cominciò proprio
col piede sbagliato , separando la questione dell’uso che fecero i politici di quelle informazioni da
quella della qualità tout court dei Servizi d’Intelligence. Con queste premesse ovviamente, la
Commissione mise in fallo anche il piede successivo, rinviando le indagini sulla prima delle due
questioni -quella fondamentale- a dopo le elezioni, così che ora giace del tutto abbandonata .
1
La Commissione di Controllo su i Servizi e le ADM ( Commission of the Intelligence Capabilities of the United
States Regarding Weapons of Mass Destraction), meglio nota come la Robb-Silbermann Commision, annotava che
l’atto ufficiale della sua costituzione “non (ci) autorizzava ad indagare sull’uso che fecero i politici delle informazioni
ricevute sui programmi militari iracheni” questo divieto era contenuto anche nel Rapporto sui Servizi del Senato (a
maggioranza repubblicana), e come sottolineava il Times pubblicandolo, “proveniva da un mandato presidenziale di
più di un anno fa, quando la Casa Bianca temeva che la questione avrebbe potuto influenzare le elezioni” (Cfr Shane e
David Ranger, Bush Panel Finds Big Flaws Remain in US Spy Efforts, The N.Y. Times, 1 aprile 2005,
2
National Intelligence Esimate on Iraq
E tuttavia il fatto che l’Amministrazione avesse organizzato intelligence e fatti in funzione della
linea politica è ben documentato da altre fonti a disposizioni di tutti1 ed in verità né troviamo
indizi anche in quei pochi rapporti, iper-circoscritti, autorizzati dallo stesso Congresso e
dall’Amministrazione 2 , come a dire che se c’è ancora qualcuno da convincere, come diceva
Kensley, spiegategli che arrangiare fatti e prove secondo i propri comodi è esattamente lo stile di
governo di Bush II. Ma se Kensley è convinto che era tutto più che vero e che lo stile di governo
di Bush… soprattutto per quanto riguarda la guerra in Iraq è di organizzare intelligence e fatti
intorno alla linea politica, allora qual è esattamente la prova che lo ha convinto? Su questo punto,
sembra essere muto.
E’ probabile che si sia convinto leggendo alcuni resoconti di come si arrivò a decidere per la
guerra (per inciso quelli di Wodward e Clarke) e confrontandone il contenuto con l’evolversi degli
eventi negli ultimi anni, forse però il memorandum di Downing Street potrebbe incoraggiare
conclusioni di questo tipo bypassando tutte le altre fonti proprio con le parole di personaggi
dell’Amministrazione con alto potere decisionale. Kinsley invece, applicando al memorandum un
metro di giudizio quasi giudiziale, lo scarta a priori come privo di valore, mentre costituisce una
prova storiografica di livello superiore, inestimabile per tracciare la cronaca di una guerra in cui
americani ed iracheni continuano a morire.
Gradualmente le informazioni continuano ad arrivare, e mano a mano che le inseriamo nel contesto
che se ne deduce acquistano sempre più senso: ecco perché il “test” di Kinsley sull’utilità del
memorandum è così poco attendibile. Tutti quelli che leggeranno il memorandum armati d’onestà
intellettuale (ed invito il lettore ad andarci direttamente, sono solo tre pagine ed il N.Y. Times l’ha
pubblicato per intero3) scopriranno che racconta la cronologia precisa della corsa alla guerra, in più
è scritto con chiarezza e, nonostante i commenti di Kinsley e di altri, non è per niente ambiguo.
La cosa più triste ed avvilente della lettera di Kinsley e del suo articolo precedente è l’attitudine
verso questa storia che esemplificano: assistiamo alla trasformazione ed all’impoverimento
deliberato delle capacità di analisi ed in buona sostanza della curiosità, ad un ottuso gioco di
assoluti, o bianco o nero, le cui regole non riescono a riflettere le opinioni di nessuno. Regole
come queste tra l’altro, si sposano perfettamente con la grigia e severa campagna anti-informativa
che infuria in tutta la repubblica a partire dal Congresso, che con la sua maggioranza repubblicana
prima avalla una guerra per distruggere armi inesistenti e poi vieta ogni approfondita indagine su
come possa essersi verificata una così strana serie di eventi. Kisley, come molti altri nel mondo
della stampa, vuol giudicare il memorandum ed il suo “valore” dal fatto che contenga o meno le
prove documentarie che il Presidente Bush avesse fermamente deciso di entrare in guerra già nel
luglio 2002.
Come ho già scritto, se per “prove documentarie” intendiamo la ferma ed incontrovertibile
testimonianza di cosa passasse per la mente di Bush in quel periodo, beh allora è difficile che
riusciremo a trovarne: il Presidente potrà sempre dichiarare, anche contro ogni ragionevole dubbio,
che lui non aveva ancora preso una decisione, esattamente cioè quello che dichiara oggi.
Tutto questo in realtà non è nemmeno il punto importante del memorandum né dei documenti
annessi, perché quello che ci viene mostrato piuttosto, è come la decisione di non scavalcare
1
Cfr WDM in Iraq: Prove ed Implicazioni (Carnegie Endowment for International Peace, 2003), ed anche John Prados
Hoodwinked: The Documents That Reveal How Bush Sold Us a War (New Press, 2004)
2
Anche il rapporto della Robb-Silbermann ad esempio, nelle parole di un anonimo ufficiale dell’Intellegince nazionale
(o NIO), riporta quanto segue: “ uno ‘zeitgeist’ o un ‘clima generale’ sembrava far concentrare tutti i funzionari sulle
ADM irachene e permeava l’atmosfera delle analisi” e , prosegue il NIO “ed in parte proveniva dalla convinzione
sempre maggiore tra gli analisti che la guerra con l’Iraq era inevitabile…” I membri della commissione ammettono
nello stesso documento che “è difficile negare che gli analisti dei Servizi lavoravano in un contesto che non
incoraggiava forme di scetticismo verso l’opinione comune”. Cfr. il Rapporto della Commissione di Controllo su i
Servizi e le ADM ( Commission of the Intelligence Capabilities of the United States Regarding Weapons of Mass
Destraction), pagg. 190 e 11.
3
Per il testo del memorandum vedi infra, ad ogni modo è ampiamente reperibile on line, anche a
www.downingstreetmemeo.com
l’ONU sia stata in larga parte la risposta alle pressioni inglesi, i quali si preoccupavano di quel
margine legale troppo stretto come disse Straw, e come dunque la ricerca di un mandato non fu
altro che un escamotage per tentare di dare alla guerra una parvenza di legittimità. Credo sia il caso
di citare ancora il passaggio, perché Straw spiega la situazione con concisione ammirabile:
Anche se la tabella di marcia non è ancora stata definita, appare chiaro che Bush si
è deciso per l’azione militare. Il margine ad ogni modo è stretto. Saddam non sta
minacciando i suoi nemici e la sua disponibilità ADM è inferiore alla Libia, al Nord
Corea od all’Iran. Dovremmo lavorare ad un piano per imporre un ultimatum a
Saddam sul rientro degli ispettori ONU. Aiuterà anche per una giustificazione
legale dell’uso della forza.
L’idea iniziale della “opzione ONU” , così come esposta dal Ministro degli Esteri Straw e dal
Primo Ministro, prevedeva l’imposizione di un ultimatum a Saddam perché facesse rientrare un
nuovo team di ispettori e poi, al suo rifiuto, cogliere l’occasione per invadere il paese sotto l’egida
dell’ONU. […]il rifiuto di Saddam ad ammettere gli ispettori ONU farebbe una grossa differenza,
legalmente e politicamente, afferma subito sotto Blair, ed allora, auto-citandomi, mi permetto di
sottolineare che quello che chiarisce il documento è come “l’idea di utilizzare gli ispettori, non fu
presa in considerazione per evitare la guerra, come invece ha più volte ripetuto il Presidente Bush
agli americani, ma per renderla possibile.
Di tutti questi argomenti Kinsley non fa parola, né nel suo articolo sul Washington Post, né nella
sua lettera, perché l’unica preoccupazione che ha è se il memorandum offra o meno prove
documentarie che il Presidente Bush avesse fermamente deciso di entrare in guerra già nel luglio
2002, ma visto che secondo lui il documento non è in grado di superare questo test, lo bolla come
“privo di valore” comportandosi esattamente come molti esponenti della stampa americana:
ossessionato com’è di trovare la sua pistola fumante non riesce a far caso a quello che ha sotto gli
occhi.
Accadde poi nei fatti che Saddam Hussein non rispettò le previsioni, e che invece di rifiutare gli
ispettori su due piedi li ammise senza problemi. Così il Primo Ministro Blair ed il Presidente Bush,
per dare inizio alle operazioni, si trovarono costretti ad esigerne il ritiro, anche se contro la volontà
del CSNU e prima che avessero concluso il loro lavoro. E così l’opzione ONU si rivelò più che
complicata, visto che furono necessari anche un pubblico dibattito con Hans Blix ed altri
funzionari delle Nazioni Unite, una battaglia persa per ottenere una seconda risoluzione che
benedicesse l’invasione ed infine richiamare gli ispettori quando avevano controllato solo un
centinaio dei circa seicento siti sospetti. Il resto delle ispezioni fu rimandato a dopo la caduta di
Baghdad, quando il team di sorveglianza americano-iracheno arrivò alla stessa conclusione che
sarebbe stata alla portata degli ispettori prima della guerra: Saddam le sue ADM e aveva già
distrutte da molto tempo.
Tutto ovviamente sarebbe andato più liscio se Saddam avesse subito rifiutato gli ispettori così
come sperava Blair: anche il Presidente Bush condivideva quasi sicuramente le stesse speranze, ed
in certi momenti in cui ha l’aria un po’ assente sembra quasi che continui a sperare. Diversi mesi
dopo la caduta di Baghdad, seduto accanto al Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan,
nell’ufficio ovale, il Presidente offrì della sua politica verso Saddam questa versione:
Gli abbiamo dato la possibilità di far rientrare gli ispettori, ma lui non l’ha
permesso. Per cui, dopo una richiesta più che ragionevole, abbiamo deciso di
rimuoverlo dal potere.1
Eppure sembra strano che il Presidente possa non essersi accorto che Saddam, gli ispettori, li fece
entrare eccome nel suo paese: probabilmente dunque, quello fu piuttosto una specie di lapsus , col
Presidente che per sbaglio sostituisce alla realtà ciò che lui (e Blair) avevano sperato che
accadesse. La storia in generale è piena di episodi come questi e capire “quello che accade
realmente” è un impegno continuo che richiede la riformulazione costante di quello in cui
crediamo sulla base di ciò che conosciamo. Riguardo al memorandum di Downing Street però, la
cosa demoralizzante è proprio la generale determinazione dei giornalisti e dei commentatori di
questo paese a spegnere volontariamente ed anche in modo complicato i loro cervelli ed a far
sparire la loro curiosità.
Una buona descrizione di quest’attitudine ce la da Michael Smith, del London Times:
Il sentimento generale era più o meno “ noi l’avevamo già detto a suo tempo”. Poi
ovviamente, col crescere della pressione esterna, quest’atteggiamento ha virato
sul difensivo: “Noi ve l’avevamo detto… se poi voi lettori non siete stati attenti
beh, che possiamo farci?” [tuttavia] una cosa è che il N.Y. Times od il
Washington Post affermino che le prove sulle armi irachene venivano manipolate
dalla CIA, dal Pentagono o dal NSC, e tutt’altra cosa è averne la prova ufficiale
sotto forma di trascrizione d’una riunione del gabinetto Blair…che è la stessa cosa
d’una seduta del NSC…in quella riunione si disse che le prove contro Saddan
erano esili, che gli inglesi ritenevano illegale secondo il diritto internazionale il
cambio di regime prospettato dagli americani e che quindi si sarebbe dovuto
passare per un ultimatum dell’ONU, da non usare però come strumento per
evitare la guerra, ma come scusa per legittimarla. E questo non sarebbe materiale
per uno scoop? Ma non prendetemi in giro…
Buona parte di questo “atteggiamento difensivo” per certo, e Smith lo dice implicitamente, deriva
dalla mediocrità dei reportage statunitensi subito prima della guerra, dettato da una specie di senso
di colpa per quando i giornali e le televisioni mostravano pochissimo scetticismo nei riguardi
dell’Amministrazione e dei minacciosi ed ipotetici arsenali di Saddam2. Per quanto negli ultimi
mesi il Washington Post ed il N.Y. Times, le testate più influenti del paese, con una mossa senza
precedenti si siano scusate pubblicamente per il loro comportamento ante-bellum, sono pochi i
singoli giornalisti che pensano d’aver sbagliato, e molti anzi si risentono quando introduco
l’argomento. In questo senso il memorandum aggiunge alle sue qualità quella di essere un
promemoria tutt’altro che implicito di come la maggior parte della stampa sia stata raggirata dal
governo in modo premeditato, e direi anche con successo. E’ ovvio che a nessuno piaccia
sentirselo ripetere, meno che mai ai reporter od alle aziende per cui lavorano: dichiarando che il
memorandum non sia “roba da scoop” come dice Smith, evitano di confrontarsi con una pagina
dolorosa del giornalismo americano, in più però aggiungono che “la storia era già stata coperta”,
come dire che in realtà non se l’erano persa dall’inizio. Dobbiamo tutti essere grati al sistema
americano, perché è più vasto e complesso della stampa nazionale.
Secondo Kinsley il memorandum di Downing Street non convincerà nessuno che non sia già stato
convinto. Questo non lo rende falso, ma ampiamente senza valore di certo, questa volta però si
1
President Reaffirms Strong Position in Liberia, 14 luglio 2003, consultabile sul sito della Casa Bianca:
www.whitehouse.gov/news/releases/2003/07/200302714-3.html
2
Cfr. Michael Massing, Now they tell us (ndt. E ce lo dicono adesso), The New York Review , 26 febbraio 2004
sbaglia di grosso, e non è difficile dimostrarlo. Se il memorandum convincerà o meno qualcuno che
non lo è già è una domanda prettamente empirica, e personalmente conosco diverse persone a cui ha
fatto cambiare idea. Il fatto poi che più della metà degli americani, oggi, sia convinta che il
Presidente e la sua Amministrazione “fuorviarono il pubblico americano” intenzionalmente prima
della guerra, mi sembra un potente indizio che per quanto riguarda la persuasione e la politica, il
memorandum di Downing Street sia tutt’altro che senza valore1. Il numero di americani che
condividono questo punto di vista è destinato a salire: semplicemente la gente ha cominciato a far
caso alle incongruenze tra quello che gli viene raccontato e quello che può vedere con i propri occhi
e questa discrepanza, quando si arriva a prendere in considerazione la guerra d’Iraq, diventa sempre
più difficile da ignorare.
Io queste persone non le chiamerei entusiasti sostenitori del memorandum di Downing Street come
dice Knsley, piuttosto mi piace usare una definizione usata una volta in modo denigratorio da un
consigliere dell’amministrazione Bush e chiamarle comunità fondata sul reale: le loro fila si
ingrossano continuamente e potrebbe anche darsi che qualcuno della stampa, tra non molto tempo,
lascerà stare la fatica sempre più ardua di ignorare la storia recente e si unirà a loro.
1
La percentuale esatta è 52%, un aumento di nove punti in tre mesi. Cfr il sondaggio Washington Post / ABC e
l’articolo di Richard Morin e Dan Baly, Survey Finds Most SupportStaying in Iraq, The Washington Post, 28 giugno
2005.
POSTFAZIONE
Il 1° novembre 2005, il senatore Harry Reid, democratico del Nevada e leader
dell’opposizione, entrò in aula ed attaccò con una requisitoria di fuoco il leader repubblicani del
senato. Come punto di partenza scelse l’atto d’accusa di I. Lewis Libby Jr., Chief of Staff del
vicepresidente, che secondo Reid:
“[…]fornisce una finestra su… come l’Amministrazione abbia costruito e
manipolato le informazioni di Intelligence per vendere la sua guerra in Iraq, e
su come abbia tentato di distruggere chi osò opporvisi .”
In più di un secolo Libby è stato l’unico membro del personale della Casa Bianca ad essere
inquisito ancora in carica: l’accusa che pende su di lui è d’aver dichiarato il falso ad un gran giurì
ed agli investigatori federali circa il su coinvolgimento nel caso Wilson.
Valerie Plame Wilson era un’agente della CIA, nonché moglie dell’ex ambasciatore Joseph C.
Wilson IV, cui nel 2002 l’Agenzia commissionò di indagare sui resunti acquisti d’uranio africano
da parte di Hussein. Wilson arrivò fino al Niger e riferì che quelle accuse erano infondate.
Immaginiamo adesso la sua sorpresa quando nel gennaio del 2003, ascoltando il discorso sullo
Stato dell’Unione, sentì dire a Bush quelle 21 parole infamanti: “Il governo britannico possiede
informazioni che dimostrano come Saddam Hussein abbia recentemente cercato di ottenere in
Africa significative quantità di uranio”.
Passa qualche mese, siamo nel luglio del 2003, in Iraq le ADM rifiutano di farsi trovare e Wilson
ha da poco raccontato al N.Y.Times quello che non aveva trovato in Africa per conto della CIA.
Fu così che l’Amministrazione decise di vendicarsi facendo trapelare l’appartenenza della moglie
di Wilson all’Agenzia. Il comportamento di Libby, disse Reid in Senato, era parte di un piano più
ampio e l’esempio perfetto di come l’Amministrazione avesse “mentito e manipolato i fatti” pur
d’arrivare alla guerra:
“Il Presidente, il vicepresidente ed il Segretario di Stato, con questa storia
degli arsenali nucleari di Saddam, hanno contato il tempo al popolo
americano come si fa con un pugile al tappeto. Il vicepresidente affermò che
addirittura l’Iraq aveva “ricostituito le sue armi nucleari” , ed invece,
facendo leva sulle paure degli americani del dopo 11 settembre, questi ed
altri membri del governo hanno evocato lo spettro di un attacco nucleare
imminente da parte dell’Iraq su suolo americano, uno spettro che si poteva
allontanare solo a patto di agire in fretta. Oggi sappiamo che simili attacchi
nucleari erano assolutamente infondati, ma anche che diversi esperti dei
Servizi avvertivano costantemente il governo che simili dichiarazioni sul
regime di Saddam erano false.”
Dopo aver discusso nel dettagli le manipolazioni governative delle intelligence, il leader
dell’opposizione denunciò anche la passività del Governo:
“A causa della condotta impropria che ha tenuto, nuvole nere si addensano su
questa Amministrazione, così come su questo Congresso repubblicano, cui è
mancata la volontà di imputare all’Amministrazione le sue mancanze […]Qual’e
stata la reazione del Congresso alle manipolazioni del governo che ci condussero
a questa guerra così lunga? Più o meno nessuna. Questo Congresso a
maggioranza repubblicana ha forse espletato i suoi doveri costituzionali di
controllo? No. E’ forse stato d’aiuto alle nostre truppe ed alle loro famiglie
adoperandosi per fornire delle risposte a tante importantissime domande? No. Ha
anche solo tentato di costringere quest’Amministrazione a rispondere alle
domande più elementari sul suo comportamento? No.”
Chiedendo poi ufficialmente che le commissioni sui Servizi “ e tutte le altre commissioni di
quest’organo politico … conducano immediatamente un indagine approfondita e completa”, Reid
ha scelto una strada drammatica ed inusuale, quella di far riunire il Senato a porte chiuse per
discutere il rapporto promesso da tempo sulla manipolazione delle informazioni d’Intelligence. I
Democratici hanno dunque scelto di paralizzare il Senato (nessuna votazione o altra funzione
pubblica può essere espletata dal Senato finché rimane in sessione chiusa) per richiamare
l’attenzione degli americani sulle domande preoccupanti e senza risposta che si addensano intorno
all’inizio della guerra d’Iraq.
Le accuse di Reid non erano certo nuove, ma non si può dire lo stesso della volontà democratica di
intraprendere simili azioni aggressive: possiamo supporre che Reid non fu incoraggiato soltanto
dall’incriminazione di Libby ma anche dall’indice di gradimento del Presidente, profondamente
ridimensionato dal malcontento popolare per la guerra e dal diffuso sospetto della gente di essere
stata raggirata sulle ragioni di essa.
Nonostante tutto però, l’azione pur grave di Reid non ha dato adito ad alcun provvedimento
ufficiale del Congresso, anzi, dopo quasi tre anni di guerra il presidente repubblicano della
Commissione per i Servizi del Senato si è rifiutato di offrire una data precisa per il tanto sospirato
rapporto sulle manipolazioni ante bellum delle Intelligence.
Ad ogni modo Reid fece bene ad improntare il suo discorso sulle “sbandieriate capacità nucleari
di Saddam”, perché proprio quello fu lo spauracchi agitato davanti al popolo americano, quella
famosa pistola fumante che sta per trasformarsi in un fungo atomico che da sola dimostra come
queste esagerazioni fossero parte di un calcolo premeditato. Non esisteva alcuna prova che
Saddam avesse ricostituito le sue armi nucleari per citare Cheney, ed anzi autorevoli organi
preposti, come ad esempio l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica dell’ONU, hanno
anche messo in dubbio che Saddam abbia mai anche solo posseduto programmi nucleari.
Per le armi chimiche e batteriologice la cosa è un po’ più complicata. Il memorandum ad esempio
chiarisce come i vertici inglesi fossero convinti che Saddam ne possedesse ancora: quali le
conseguenze se il primo giorno di operazioni Saddam decide di usare le ADM…? Chiede il Capo
della Commissione Difesa verso la fine della riunione del 23 luglio a Downing Street, e subito
dopo il Ministro della difesa avverte Saddam potrebbe usare le sue ADM anche contro il Kuwait, o
contro Israele. Anche se questi ufficiali ammettevano che le informazioni sui programmi di
riarmo iracheni erano scarse, sembra abbastanza chiaro che fossero convinti che l’Iraq continuasse
a produrre ADM e che potesse disporne nel conflitto a venire.
Dobbiamo concludere che anche i vertici americani avessero le stesse certezze: stando a quanto
riportato da James Risen nel suo State of War (che usciva proprio mentre questo libro andava in
stampa) il 20 luglio 2002, 3 giorni prima della riunione di Doping Street, Sir Dearlove ed altri
ufficiali dell’ MI6 avevano preso parte ad un “summit MI6-CIA” che avrebbe avuto luogo al
quartier generale della CIA e durante il quale le due parti si scambiarono apertamente le proprie
informazioni sull’Iraq e quelle dei rispettivi reparti antiterrorismo. Secondo un “ex agente CIA” ,
scrive Risen, la riunione durò tutto il giorno ed era stata convocata su “urgente richiesta degli
inglesi”:
La CIA era convinta che il Primo Ministro Blair avesse spedito Dearlove a
Washington per scoprire cosa pensasse davvero l’Amministrazione Bush sull’Iraq:
sembra che volesse far sondare al suo capo dei Servizi il pensiero delle alte cariche
della capitale, così da poter avere, mentre rimaneva in contatto costante con Bush,
un riscontro effettivo delle informazioni che gli arrivavano dalla Casa Bianca.
“Visto a posteriori è assolutamente evidente che Dearlove abbia insistito per quella
riunione su preciso mandato di Blair, che evidentemente voleva sapere cosa stava
accadendo” dice l’ex agente CIA […] Le due delegazioni finirono per passare
insieme gran parte di quel sabato [2 luglio][…] Tenet aveva degli ottimi rapporti
personali con Dearlove e di solito con lui era molto schietto. Durante quel sabato
Tenet e Dearlove lasciarono la riunione e se ne andarono a discutere privatamente,
per più o meno un’ora e mezza, questo secondo un ex agente CIA che partecipò al
meeting1 .
Ma allora quello che “C” afferma nel memorandum, ben lontano dal rappresentare le voci e gli
umori di ‘Washington’ è invece la sintesi di quello che il capo dell’MI6 aveva scoperto in una
conferenza segreta tra i più alti livelli della CIA e dell’Intelligence britannica, organizzata tra
l’altro perché Blair potesse avere un riscontro effettivo su cosa stava accadendo. Il vero “scoop
nascosto nel memorandum”, dice Risen, è che “fu la stessa CIA ad accontentarsi di informazioni
insufficienti”:
Mentre si avvicinava l’invasione dell’Iraq, prese piede ai vertici della CIA il
sentimento che la guerra fosse inevitabile, e che di conseguenza la qualità delle
informazioni sulle ADM da passare al governo non contasse più un granché: questo
spinse i responsabili ad una certa inaccuratezza, magari ad accettare informazioni
poco sicure. Così almeno si crede all’interno della stessa CIA: il nostro agente, che
ha lasciato la CIA dopo la guerra, ci racconta che “uno dei ragazzi ai piani alti del
NE Division [divisione per il medio oriente2] mi disse che se a Baghdad ci si
andava comunque tutta quella roba non importava: lì di informazioni utili ne
avremmo trovate a palate”
Nelle ormai famose parole che “C” pronunciò appena tre giorni dopo questa riunione segreta
(intelligence e fatti stanno venendo organizzati in funzione della linea "politica) siamo ora in grado
di leggere chiaramente la conclusione a cui giunge Risen, e cioè che “il capo ed altri ufficiali della
CIA non credevano all’importanza della questione ADM, perché tanto la guerra, in un modo o
nell’altro ci darebbe stata comunque”. Quindi anche se in pochi all’Agenzia avranno dubitato
della presenza di ADM in Iraq, si saranno detti che per quanto le informazioni in merito fossero
scarse potevano anche fare a meno di continuare le indagini, soprattutto considerato quello che
ormai sembrava ovvio: l’Amministrazione non stava soppesando le informazioni che riceveva per
decidere se la minaccia irachena era tale da armare un esercito ed occupare l’Iraq, piuttosto le
usava solo per orientare il consenso a favore di una guerra per il resto già tutta decisa.
Quando poi con l’avvicinarsi della guerra sia arrivò davvero a prendere in considerazione
l’argomento ADM, la domanda non era più se Saddam ne avesse (senza prove decisive della loro
distruzione molte agenzie pensavano che così fosse – e come abbiamo visto si sbagliavano) ma se
la presenza di queste armi, insieme ad altri fatti relativi al regime, fosse sufficiente per giustificare
un attacco e correre il rischio di una lunga occupazione.
1
Cfr. : James Risen, State of War:The ecret history of the CIA and the Bush Administration, Free Press, 2006,
pp 113-115.
2
Near East Division of Directorate of Operations.
In ogni caso una risposta seria a questa domanda avrebbe richiesto un’analisi attenta delle
informazioni d’intelligence (a cominciare dall’ammetterne la debolezza) per poi accertarsi dello
stato dei programmi militari iracheni e della loro effettiva pericolosità, al fine di valutare la forza e
le intenzioni del regime iracheno. Da quello che ne sappiamo invece, ossessionata com’era di
“lanciare il nuovo prodotto” e vendere la guerra agli americani ed al resto del mondo,
l’Amministrazione non si interessò granché alle intelligence, se non per esagerare le informazioni
in mano ai servizi e facendo inoltre dichiarazioni totalmente infondate sulle “capacità nucleari di
Saddam”. L’Amministrazione sapeva bene che “una pistola fumante che diventa un fungo
atomico” era la migliore immagine da incubo disponibile, per convincere gli americani ad
appoggiare la guerra ma anche per scoraggiare qualsiasi politico che fosse incline ad esprimere i
suoi dubbi verso una decisione così saggia.
Questa strategia però era fondata sulla certezza che una volta giunti a Baghdad le truppe USA
avrebbero trovato qualcosa da mettere sotto le telecamere: che so almeno qualche mucchio di
involucri per l’artiglieria chimica o un paio di laboratori per le armi batteriologiche. Anche perché
se i signori dell’Amministrazione non avessero avuto una tale sincera convinzione della reale
presenza di ADM, sarebbe stato quantomeno imprudente da parte loro basare su questo punto
l’intera propaganda, anche fossero stati convintissimi di una guerra lampo e di essere osannati
dagli iracheni come liberatori.
Chiaramente c’è una bella differenza tra un pretesto ed una ragione, ed è ormai chiaro che
all’interno dell’Amministrazione in molti volevano in ogni caso attaccare ed occupare l’Iraq, per
una vasta gamma di ragioni alcune delle quali preesistevano anche al 9/11: ad esempio rimuovere
la minaccia che un dittatore ostile ed imprevedibile avrebbe potuto rappresentare per il Golfo e
l’industria del petrolio; prevenir qualsiasi ipotesi di collaborazione tra Saddam ed Al-Qaeda (che
avrebbe potuto contemplare il trasferimento di ADM); liberarsi di un regime ostile ad Israele;
innescare un processo di limitata democratizzazione dei paesi del Medio Oriente. Come se non
bastasse poi queste ragioni si sovrappongono e si intersecano, ed ogni funzionario ne
sottolineerebbe una piuttosto che un’altra, aggiungeteci poi l’inezia dell’11 settembre e servite il
tutto come un catalizzatore che trasforma semplici idee nelle teste delle persone in apparenti
necessità. Gli attacchi dopotutto crearono davvero una “finestra” durante la quale lo spaventato e
rabbioso popolo americano poteva facilmente essere convinto ad una “guerra d’opportunità”, che
agli occhi di molti nel governo Bus non avrebbe soltanto riaffermato la forza e l’estensione del
potere americano, ma anche eliminato una minaccia diventata ormai intollerabile. “La verità”,
faceva notare un funzionario del Ministero degli Esteri inglese in uno dei documenti allegati al
memorandum, “è che il programmi ADM di Hussein non hanno accelerato il passo, è piuttosto la
nostra tolleranza in merito ad essere cambiata con l’ 11/9”.Ne conveniva anche Straw, che scrisse
al suo Primo Ministro1 :
Se non ci fosse stato l’11/9 difficilmente gli USA non starebbero considerando
l’idea d’un intervento armato in Iraq. Inoltre non c’è alcuna prova evidente che
colleghi l’Iraq a UBL ed Al Qaida e la minaccia posta dal regime di Hussein,
oggettivamente, non è aumentata a causa dell’11 settembre: piuttosto è cambiato il
livello di tolleranza della comunità internazionale (specialmente quella USA): il
9/11 tutto il mondo ha visto cosa possono riuscire a fare oggigiorno delle persone
malvagie.
1
Cfr. infra: IL MINISTRO DEGLI ESTERI STRAW : RIUNIONE A CRAWFORD SULL’IRAQ”. Ndt: Straw usa
la stessa espressione del suo funzionario, tale Peter Rickets, perché il documento in cui questi la impiega per la prima
volta era indirizzato direttamente a Straw, per prepararlo appunto alla riunione in cui fu redatto il memorandum, cfr
infra IRAQ : SUGGERIMENTI PER IL PRIMO MINISTRO
Tra le cause da tenere in conto per la guerra d’Iraq c’è dunque anche l’11 settembre, anzi per la
verità potremmo dire che fu questo a renderla inevitabile, come disse Dearlove.
Q questo punto la questione fondamentale è diventata: come si potevano convincere gli americani
– e le varie fazioni interne al governo- che si doveva combattere una guerra d’opportunità in Iraq?
E, questione minore ma comunque importante, come convincere il popolo ed il governo britannici,
vale a dire i principali alleati?
Per quanto riguarda il presunto collegamento tra Saddam ed Al-Qaeda, molti all’interno del
Dipartimento della Difesa ne fecero un auto da fé, ma venne negato da molte potenti figure di
entrambi i governi, compresi i direttori delle maggiori agenzie di intelligence.
Quanto “all’intervento umanitario” per rimuovere Saddam e sostituirgli un governo democratico,
anche se sostenuta da diversi funzionari, incluso il vice Ministro della Difesa Paul Wolfowitz,
l’opzione non era certo un buon motivo per “mettere a rischio le vite dei nostri figli” , come
ammise lo stesso Wolfowitz dopo la guerra.
Le ipotetiche ADM di Saddam invece, visto che erano già state sanzionate da una risoluzione
ONU, rimanevano la scelta migliore per porre un casus belli che portasse anche le Nozioni Unite
dalla parte degli alleati; in più però potevano essere facilmente strumentalizzate, così da creare
l’immagine sordida ed altamente commercializzabile della terribile minaccia che Saddam avrebbe
incarnato: esattamente il tipo di apocalisse stile 11 settembre che George Bush voleva affermare di
poter prevenire. Anche agli esponenti dell’Amministrazione quella delle armi sembrava la ragione
più valida per lanciare la guerra, la migliore da rendere ufficiale almeno, e questo per i motivi
sopra esposti ma anche, secondo le parole di Wolfowitz “per motivi che hanno molto a che fare
con la burocrazia del governo americano”. Va da se che se davvero le ADM fossero state l’unica
o anche solo la maggiore delle minacce che Saddam rappresentava per l’Amministrazione,
“l’opzione ONU” promossa dagli inglesi sarebbe stata più ce sufficiente per venirne a capo, a patto
che agli ispettori fosse stato concesso di visitare tutti i “siti sospetti”: in quel caso, forse per l’estate
del 2003, avremmo saputo la verità senza dover aspettare la fine della guerra: non c’erano armi.
Allo stesso modo, dovrebbe essere ormai chiaro che probabilmente l’Amministrazione Bush non
sarebbe stata mai soddisfatta da alcuna ispezione, se non altro perché l’opzione ONU a
Washington non era considerata un modo per disarmare Saddam ed evitare la guerra, ma per
riuscire a farla ed a rimuoverlo.
Ancora una volta è il memorandum che ci chiarisce questo aspetto in maniera indiscutibile:
secondo il Primo Ministro Blair i punti chiave del progetto erano il buon esito del piano militare ed
una strategia politica che gli conceda lo spazio per funzionare, e questo già otto mesi prima della
guerra quando si riunì a Downing Street con il suo gabinetto. Se guardiamo a i fatti, purtroppo,
nessuno dei due funzionò: con la storia delle ADM e della relativa minaccia planetaria,
l’Amministrazione riuscì a mungere abbastanza consenso tra il pubblico americano ma non nel
resto del mondo, dove invece da ogni parte si chiedeva che fosse permesso agli ispettori di
concludere il loro lavoro. Anche questo problema però avrebbe potuto essere ridimensionato,
sempre che la strategia militare di Rumsfeld avesse funzionato, conducendo gli americani ed i loro
leali alleati britannici alla promessa vittoria schiacciante invece che ad una guerriglia
apparentemente senza fine.
La scelta di concentrarsi sulle ADM, e l’impossibilità di trovarle, significa che oggi per molti
americani – tre anni e 2.200 morti statunitensi dopo – l’inizio della guerra d’Iraq è qualcosa di
fumoso ed indeterminato esattamente come la sua fine. Viviamo legati a doppio filo alle
esagerazioni ed alle bugie di una scorciatoia per la guerra : i risultati sono la distorsione del
dibattito politico, la corruzione dei nostri politici ed il collasso dell’unico elemento fondamentale
per poter combattere un conflitto lungo ed inconcludente – la fiducia ed il supporto del popolo.
-MDD
20 gennaio 2006
APPENDICE:
I DOCUMENTI
DI DOWNING STREET
INTRODUZIONE
Il 23 luglio 2002 le cariche più alte del governo Blair si riunirono al 10 di Downing Street
ed all’ordine del giorno c’era la questione Iraq. Per Memorandum di Downing Street si intende
innanzitutto la trascrizione di quell’incontro, redatta da Mattehew Rycroft (un segretario di David
Manning, consigliere per gli esteri di Blair) in un documento di due pagine e mezzo, classificato
segreto e strettamente personale e distribuito in copia a ciascuno dei partecipanti. Il 1 maggio
2005 il giornalista inglese Michael Smith rese pubblico il memorandum sul London Times.
Riportiamo qui il testo per intero, assieme ai testi degli altri sette memorandum che lo stesso Smith
pubblicò il 5 maggio: di questi, sei sono note preparate nel marzo 2002 per il Primo Ministro Blair,
in previsione della visita che il mese successivo avrebbe fatto al Presidente Bush nel suo ranch
texano di Crawford. In quell’occasione i due leader discussero di Iraq e Blair confermò l’appoggio
britannico ad un’azione militare diretta alla rimozione di Saddam. Questi documenti contengono
traccia delle dinamiche interne al governo inglese per convincere gi americani a costruire un
contesto politico che rendesse la guerra più digeribile al partito laburista ed alla comunità
internazionale, al tempo stesso però (attraverso i rapporti di incontri e pranzi con funzionari
statunitensi) ci offrono degli indizi anche su come evolveva la situazione all’interno
dell’Amministrazione.
“L’entusiasmo di Condi per questo cambio di regime è indefesso” riporta Manning, consigliere
per gli esteri, dopo aver pranzato in marzo col consigliere americano per la sicurezza nazionale;
“rispetto al nostro ultimo incontro tuttavia, ho riscontrato alcuni segni che mi fanno supporre una
maggiore consapevolezza delle difficoltà pratiche e dei rischi politici”. L’ambasciatore britannico
invece, dopo aver invitato a pranzo il vice ministro della difesa americano Wolfowitz, riporta che
per quanto riguarda l’evoluzione dei dissidi interni all’Amministrazione, vale a dire dello scontro
tra i pro ed i contro INC (Iraqi National Congrass), lo stesso Wolfowitz sembri “di gran lunga
più pro INC che contro”. Nello stesso incontro, a proposito di Ahmed Chalabi, leader dell’INC,
emerge che avrebbe avuto “grossi successi nel fare espatriare dissidenti di altissimo livello”, ma
che comunque “la CIA si rifiuta categoricamente di riconoscerglielo”.
I memorandum di Marzo includono:






“Iraq: nota sulle opzioni” (8 marzo 2002). Contiene le opzioni militari per la rimozione
di Saddam;
“Iraq: background legale” (8 marzo 2002), che contiene diverse note per Blair sulla
legittimità di usare la forza contro Saddam;
“Il suo viaggio negli USA” (14 marzo 2002): il rapporto del consigliere per gli esteri
sui suoi incontri con la Rice;
“Dall’ambascaitore” (18 marzo 2002), in cui il diplomatico britannico fa rapporto sul su
pranzo domenicale col vice Ministro della Difesa Wolfowitz;
“Iraq: suggerimenti per il Primo Ministro” (22 marzo 2002), redatto da Peter Ricketts,
direttore politico del Foreign and Commonwealth Office, si occupa del contesto
politico in previsione di un attacco contro l’Iraq.
“Crawford/Iraq” (25 marzo 2002) in cui il Ministro degli Esteri britannico descrive
come promuovere la guerra in Iraq ai laburisti ed alla comunità internazionale.
Per finire, accludiamo anche “Iraq: condizioni per l’azione militare” (21 luglio 2002), realizzato
dal Cabinet Office e contenente le “condizioni politiche” necessarie per rendere possibile un
attacco in Iraq. L’enfasi cade, come nella riunione di due giorni prima, sul bisogno di imporre
all’Iraq un ultimatum che Saddam rifiuterebbe , ma che sarebbe invece percepito come più che
ragionevole dalla comunità internazionale. L’autore del documento conclude che in mancanza di
un ultimatum sì confezionato, o a meno di un attacco da parte irachena, è improbabile che si
riesca ad ottenere l’adeguato fondamento legale alle operazioni per gennaio 2003.
Ad ognuno di questi documenti ho aggiunto una breve nota introduttiva, ma rispetto agli articoli
queste sono state lievemente rivedute, per eliminare dei refusi ma anche per spiegare alcuni
acronimi che potrebbero risultare poco familiari ai lettori.
-MDD
IL MEMORANDUM DI DOWNING STREET.
Il 23 luglio 2002 il primo ministro Tony Blair riunì al dieci di Downing Street
tutti i massimi ufficiali inglesi per discutere una linea politica circa la questione
irachena. I partecipanti risultano essere: Jack Straw, ministro degli esteri,
Geoffrey Hoon, ministro della difesa, Lord Goldsmith, Attorney General, John
Scarlett, presidente della Commissione Congiunta per l’Intelligence1, Sir
Richard Dearlove, ovvero “C”, capo dell’MI6 (più o meno l’equivalente della
CIA), Sir David Manning, consigliere per la politica estera (equivalente
all’americano consigliere per la sicurezza nazionale), l’ammiraglio Sir Michael
Boyce, capo della Commissione Difesa2, Johnatan Powell, Chief of Staff di Blair,
Alastair Campbell, responsabile delle comunicazioni e della strategia (il
consigliere politico di Blair) e Sally Morgan, portavoce del governo. Questi
ufficiali trattarono dei temi che, come dimostra il memorandum stesso, il
governo britannico stava affrontando da almeno quattro mesi. Gli appunti che
leggerete furono presi da Mattehew Rycroft, un analista per la politica estera di
Manning, che per primo ha messo insieme il memorandum.
SEGRETO E STRETTAMENTE CONFIDENZIALE – SOLO PER OCCHI INGLESI
DAVID MANNING
Da: Matthew Rycroft
Data: 23 luglio 2002
S 195/02
P.C. : Ministro della Difesa, Ministro Degli Esteri, Procuratore Generale, Sir Richard Wilson, John
Scarlett, Francis Richard, CDS, C, Jonathan Powell, Sally Morgan, Alaistair Campbell
IRAQ: RIUNIONIONE DEL PRIMO MINISTRO, 23 LUGLIO
Il 23 luglio, insieme ai destinatari della presente, avete3 partecipato ad una riunione col primo ministro per
discutere d’Iraq. Questo rapporto è estremamente sensibile. Se ne evitino copie ulteriori o diffusione alcuna
fuori dai casi strettamente indispensabili.
John Scarlett fa rapporto sulle informazioni d’intelligence e sugli ultimi briefing del JIC. Il regime di
Saddam è brutale e fondato sulla più profonda paura. L’unico modo per rovesciarlo sembra essere una
massiccia operazione militare. Saddam è preoccupato e si attende un attacco, probabilmente sia da terra che
da mare, ma non crede che possa essere immediato o devastante. Il suo regime ha messo in conto che i paesi
vicini si allineeranno agli USA. Saddam sa inoltre che il morale medio delle truppe è basso. Anche il
supporto popolare è probabilmente poco esteso.
C rapporto sulle sue recenti missioni a Washington. Registrato un sensibile cambiamento d’orientamento:
l’azione militare è ora considerata come inevitabile. Bush vuole rimuovere Saddam e con un’azione militare,
1
Ndt: Joint Intelligence Commitee o JIC
Ndt: Defence Staff o CDS
3
Il memorandum è stato compilato da Rycroft ad uso dei partecipanti alla riunione del 23/7, ai quali ne spedisce copia.
2
giustificandola con la congiuntura del terrorismo e delle Armi di Distruzione di Massa1.
Ad ogni modo intelligence e fatti stanno venendo organizzati in funzione della linea politica. L’NSC 2 ha
poca pazienza per l’opzione ONU e nessun entusiasmo circa la pubblicazione di qualsiasi materiale che
riguardi l’analisi del regime iracheno. A Washington non si è discusso granché dello scenario post-bellico.
CDS afferma che gli strateghi incontreranno la CENTCOM l’1-2 agosto, Rumsfeld il 3 e Bush il 4.
Le due principali opzioni statunitensi sono:
(a) Partenza Graduale. Lenta preparazione di un esercito di 250.000 unità, breve campagna aerea (72
ore), poi dritti a Baghdad entrando dal sud. Tempo stimato per l’operatività 90 giorni (30 di
preparazione più 90 per il dispiegamento in Kuwait).
(b) Partenza Immediata. Forze USA direttamente nel teatro (3x 6000), campagna aerea continua.
Necessario casus belli iracheno. Tempo totale per l’operatività 60 giorni, facendo iniziare le
incursioni aree anche prima. Un’opzione azzardata.
Gli USA considerano la Gran Bretagna ( ed il Kuwait) essenziali per entrambe le
opzioni, in virtù delle basi di Diego Garcia e Cipro. Danno importanza anche alla
Turchia ed agli altri stati del Golfo, ma meno fondamentale. Le tre opzioni principali
circa ruolo della Gran Bretagna sono :
(i) Concessione delle basi di Diego Garcia e Cipro più tre battaglioni SF.
(ii) Come sopra più supporto navale ed aereo.
(iii) Come sopra più un contributo militare di massimo 40.000 effettivi terrestri, con forse un ruolo
importante nel nord Iraq. Ingresso Britannico via Turchia neutralizzando due divisioni Irachene.
Ministro della Difesa gli americani hanno già cominciato “attività di disturbo” che mettano
pressione al regime. Ancora non è stata presa una decisione, ma il periodo più adatto per le
operazioni, secondo gli USA, sarebbe gennaio, cominciando 30 giorni prima delle elezioni per il
Congresso.
Ministro degli Esteri afferma che ne discuterà con Colin Powell questa settimana. Anche se la
tabella di marcia non è ancora stata definita, appare chiaro che Bush si è deciso per l’azione
militare. Il margine ad ogni modo è stretto. Saddam non sta minacciando i suoi nemici e la sua
disponibilità ADM è inferiore alla Libia, al Nord Corea od all’Iran. Dovremmo lavorare ad un piano
per imporre un ultimatum a Saddam sul rientro degli ispettori ONU. Aiuterà anche per una
giustificazione legale dell’uso della forza.
Procuratore Generale fa presente che il desiderio di un cambio di regime non è una base legale per
azioni militari. Le opzioni ammissibili sono tre: autodifesa, intervento umanitario, oppure
autorizzazione dell’ CSNU3 [Consiglio di Sicurezza dell’ONU ]. La prima e la seconda non sono
applicabili nella fattispecie. Sembra difficile allo stato attuale potersi appellare alla risoluzione 1205
di tre anni fa. La situazione ovviamente, è sensibile di cambiamenti.
Primo Ministro afferma che il rifiuto di Saddam ad ammettere gli ispettori ONU farebbe una grossa
differenza, legalmente e politicamente. Il collegamento tra ADM ed il regime è nel fatto che sia il
regime a produrle. Per la Libia e l’Iran esistono strategie diverse. Con l’appropriato contesto
politico la gente supporterà il cambio di regime. I punti chiave sono il buon esito del piano militare
ed una strategia politica che gli conceda lo spazio per funzionare.
1
Ndt: d’ora in poi ADM
Ndt: National Security Council, Consiglio di Sicurezza Nazionale.
3
UNSC: United Nations Security Council.
2
All’inizio CDS sottolinea che non sappiamo ancora nulla circa la validità del piano militare
statunitense. I militari continuano a fare molte domande, ad esempio: quali le conseguenze se il
primo giorno di operazioni Saddam decide di usare le ADM o se Baghdad non cade subito e si
trasforma invece in scenario di guerriglia urbana? Lei (ricordate che è Rycroft che scrive per David
Manning, ndt.) ha risposto che Saddam potrebbe usare le sue ADM anche contro il Kuwait, o contro
Israele, ha aggiunto il Ministro della Difesa.
Ministro degli Esteri pensa che gli americani non metteranno in essere nessun piano militare senza
essere convinti che sia vincente. Su questo gli interessi Britannici ed USA convergono. Sul piano
politico ad ogni modo potrebbero esserci divergenze GB/USA. Nonostante le resistenze americane
dovremmo discutere l’ultimatum nei dettagli. Saddam continuerà à giocare al tiro alla fune con
l’ONU. John Scarlett crede che Saddam ammetterà gli ispettori solo se convinto d’una seria
minaccia militare.
Ministro della Difesa dice che se il Primo Ministro vuole la partecipazione militare del Regno
Unito, bisogna deciderlo con debito anticipo. Fa notare che molti negli USA non considerano
necessario il passaggio dell’utimatum e che sarebbe dunque importante per il Primo Ministro
accordarsi con Bush sul contesto politico.
Conclusioni
(a)Dovremmo lavorare tenendo conto che il Regno Unito prenderà comunque parte alle
operazioni militari. In ogni caso abbiamo bisogno d’un quadro più completo dei piani USA prima
di prendere qualsiasi decisione definitiva. CDS dovrebbe riferire ai militari USA che stiamo
considerando un ventaglio d’opzioni.
(b)Il Primo Ministro dovrebbe analizzare se esistono fondi da spendere per preparare questa
operazione.
(c) Per la fine della settimana CDS informerà il Primo Ministro circa tutti i dettagli della
campagna militare proposta dagli USA e di tutte le possibili forme di partecipazione del Regno
Unito.
(d)Il Ministro degli Esteri invierà al Primo Ministro ogni informazione sugli ispettori ONU, e
metterà appunto nei dettagli l’ultimatum per Saddam. Invierà anche dei rapporti sulle possibili
posizioni dei paesi nella regione: Turchia in particolare più gli altri principali paesi EU.
(e)John Scarlett invierà al Primo Ministro un rapporto d’intelligence aggiornato e completo
sulla questione.
(f)Non dobbiamo ignorare l’aspetto legale: il Procuratore Generale discuterà i dettagli con dei
consiglieri FCO/MOD1.
(Di ciò che segue ho inviato copia separata alla commissione)
-Matthew Rycroft
1
FCO: Foreign and Commnwealth Office: Ministero degli Esteri (e del Commonwealth); MOD: Ministry of Defence:
Ministero della Difesa.
IRAQ: NOTA SULLE OPZIONI.
Questo documento, preparato da ufficiali dell’ Overseas Defence Secretariat1
Cabinet Office e trasmesso l’8 marzo 2002, descrive la politica britannica in
Iraq fino a quel momento: vengono delineati gli obiettivi principali e la
strategia di contenimento, ma anche considerati i cambiamenti possibili,
compreso un “inasprimento” di questa politica di contenimento od un ipotetico
cambio di regime. Discutendo quest’ultimo punto l’autore mette sul tavolo e
confronta tre possibili strade per rovesciare Saddam: supportare di nascosto i
gruppi d’opposizione interna; lanciare un offensiva area e supportare
apertamente gli stessi gruppi; oppure dare il via ad una campagna terrestre
per invadere ed occupare l’Iraq. Questa nota era tra quelle messe insieme per
preparare il Primo Ministro Blair al suo incontro con Bush, che ebbe luogo
nell’aprile del 2002 nel suo ranch di Crowford, Texas.
SEGRETO- SOLO PER OCCHI INGLESI
IRAQ: NOTA SULLE OPZIONI
NOTA STORICA
Dal 1991 il nostro obiettivo è stato la ristabilire in Iraq la pratica della legalità, evitare che
possedesse ADM e che minacciasse i suoi vicini, allo scopo di reintegrare il paese nella comunità
internazionale. Implicitamente però, tutto questo non è possibile con Saddam Hussein al potere. La
nostra misura più pesante fin’ora, comunque minima, è stata una politica di contenimento rivelatasi
parzialmente vincente.
Tuttavia:

Nonostante le sanzioni l’Iraq continua a produrre ADM, anche se le nostre fonti
d’intelligence non ci dicono molto di più. Saddam si è servito di ADM in passato e potrebbe farlo
ancora qualora vedesse minacciato il suo regime, anche se il pericolo non è maggiore oggi di quanto
non lo sia stato nel passato recente

Il regime brutale di Saddam ha ancora il potere e destabilizza il mondo arabo e quello
islamico.
Abbiamo due opzioni. Possiamo inasprire la politica di contenimento esistente, cosa che aumenterà
la pressione su Saddam ma non riporterà l’Iraq in seno alla comunità internazionale.
1
Segretariato per gli Esteri e la Difesa, in realtà Overseas (lett. Oltremare) indica tutti gli stati che non sono nel
territorio delle isole d’Inghilterra -come gli stessi stati europei- e l’uso del termine nella definizione degli organi
burocratici britannici fa riferimento al passato imperiale della nazione.
L’amministrazione americana ha perso ogni fiducia nelle strategie di contenimento e sta attualmente
considerando un cambio di regime. Il risultato potrebbe essere sia un uomo forte sunnita sia un
governo rappresentativo.
Le tre opzioni principali per ottenere un cambio di regime:

Supportare in segreto l’opposizione interna per provocare una rivolta o un colpo di stato.

Supporto aereo agli stessi gruppi interni e per lo stesso scopo.

Una campagna terrestre in piena regola.
Nessun di queste esclude l’altra. Le Opzioni 1 e/o 2 sarebbero le premesse naturali per l’opzione
3. Maggiori saranno gli investimenti occidentali, maggiore sarà il nostro controllo sul futuro
dell’Iraq, ma contemporaneamente aumenteranno i costi ed il tempo per cui dovremo rimanere sul
campo. L’unico modo certo per rimuovere Saddam e la sua élite è invadere il paese ed imporre un
nuovo governo. Questo tuttavia potrebbe richiedere un’attività di nation building e diversi anni.
Anche un governo rappresentativo poi, potrebbe decidere di realizzare le proprie ADM e
riorganizzare le proprie forze convenzionali, almeno finché Iran ed Israele manterranno i loro
arsenali e finché non ci sarà una soluzione accettabile per la questione palestinese.
Sarà necessaria una giustificazione legale per l’invasione. Il problema, sottoposto all’attenzione dei
Law Officers, è ancora senza soluzione. Dovremmo quindi considerare un approccio graduale,
garantendo supporto internazionale all’operazione, aumentando la pressione su Saddam e
sviluppando intanto i piani militari. Abbiamo un tempo limite di circa sei mesi per un’offensiva
terrestre.
OBBIETTIVI CORRENTI E LINEA POLITICA BRITANNICA
1.
All’interno dei nostri obiettivi di salvaguardia della pace, della stabilità del Golfo e di
approvvigionamento energetico, i nostri attuali obiettivi in Iraq sono i seguenti:

la reintegrazione del paese nella comunità internazionale quale soggetto operante in
completa legalità, privo di ADM e quindi incapace di costituire minaccia per i paesi dell’area.
E’ implicito che ciò non possa avvenire con Saddam al potere.

visto il punto precedente abbiamo messo in essere, quale misura minima, una politica di
contenimento con l’intento di impedire il riarmo di Saddam, per quel che riguarda le ADM e la
conseguente possibile minaccia verso i paesi confinanti.
2.





Consideriamo obiettivi accessori:
preservare l’integrità territoriale dell’Iraq;
migliorare le condizioni umanitarie del popolo iracheno;
proteggere i Kurdi nel nord del paese;
sostenere una co-operazione GB/GB, moderando la politica USA se necessario.
salvaguardare la credibilità e l’autorità del Consiglio di Sicurezza.
IL CONTEMINIMENTO HA FUNZIONATO?
3.
Dal 1991 la nostra politica di contenimento ha parzialmente funzionato:
 le sanzioni imposte hanno effettivamente congelato il programma nucleare iracheno;

è stato impedito all’Iraq di riportare il suo arsenale convenzionale ai livelli precedenti la Guerra
del Golfo;
 i programmi missilistici sono stati profondamente ridimensionati
 i programmi per le armi batteriologiche (BW) e chimiche (CW)1 sono stati fortemente rallentati;
 le zone interdette al volo (NFZs)2 create nel nord e nel sud del paese hanno effettivamente
garantito una certa protezione a Sciiti e Kurdi e questi ultimi, sebbene sottoposti ad una
continuata pressione politica, sono rimasti sostanzialmente autonomi;
 Saddam non è riuscito a minacciare seriamente i suoi vicini.
4.
Tuttavia:
 l’Iraq continua a sviluppare le ADM, per quanto scarse siano le nostre informazioni
d’Intelligence. Si stima che il regime possieda ancora fino a 60 missili con gittata pari a 650
km, rimastigli dalla Guerra del Golfo, e capaci di colpire Israele e gli stati del Golfo. Continua
inoltre lo sviluppo di ulteriori missili balistici conformi al limite di gittata di 150 km imposto
dall’ONU. L’Iraq continua anche i suoi programmi CW e BW e se non l’ha ancora fatto,
stimiamo che volendo potrebbe produrre quantità significative di agenti biologici nell’arco di
pochi giorni, e di agenti chimici in poche settimane. Crediamo che sia capace di colpire con
gli agenti in questione in una varietà di modi, inclusi i suddetti vettori balistici. Esistono anche
indiscrezioni su un presunto programma nucleare che sarebbe ancora in corso. Saddam ha
fatto uso in passato di ADM e potrebbe farlo di nuovo se venisse minacciato il suo regime.

Saddam governa brutalmente e vessa il suo popolo. Finché sarà al potere rappresenterà un
polo d’attrazione per l’anti-occidentalismo del mondo arabo ed islamico: è cioè un fattore di
instabilità.

nonostante il controllo sui profitti petroliferi esercitato dall’ONU tramite Oil for Food,
abbiamo rilevato una quantità di petrolio considerevole, di cui una parte viene contrabbandata.
5.
In questo contesto, e contro il nostro stesso desiderio ed impegno pregresso di reintegrare
un Iraq legale nella comunità internazionale, prendiamo in esame le due opzioni politiche che
seguono:

un inasprimento della strategia di contenimento già in atto, misura facilitata dall’ 11/9, e

un cambio di regime con misure militari: vale a dire un nuovo inizio che richiederà la
costruzione d’una coalizione ed una giustificazione legale.
INASPRIRE IL CONTENIMENTO
6.


1
2
Si tratterebbe delle seguenti misure:
completa implementazione di tutte le risoluzioni del CSNU, in particolare della 687 (1991) e
della 1284 (1999). Dovremmo assicurarci che la Good Review List (GRL) venga effettivamente
adottata in maggio, e pertanto che la Russia mantenga la sua parola e non la blocchi: ci sono
segni positivi ma è necessaria una pressione continua (la GRL concentra le sanzioni
esclusivamente sulla prevenzione di ogni compravendita che riguardi ADM o altri armamenti,
ma permette senza controllo qualsiasi altro tipo di commercio, pertanto potrebbe facilitare
largamente qualsiasi scambio commerciale Iracheno all’interno di Oil for Food);
una volta garantita l’approvazione Russa alla GRL, incoraggiare gli USA a non bloccare le
trattative che dovranno chiarire le modalità di applicazione della risoluzione 1284. Per quel che
riguarda la chiarezza dovremmo scegliere la linea dura in ognuna di queste aree, non certo con
lo scopo di abbassare la guardia alle richieste irachene; piuttosto perché :
Ndt: Biological Weapons (BW) e Chemical Weapons (CW)
Ndt: No Fly Zones (NFZs)

I P5 (Permanent Five Member)1 ed il Consiglio di Sicurezza, uniti, faciliteranno la
formulazione d’una specifica richiesta di riammissione degli ispettori in Iraq. Il nostro scopo è
riuscire a mettere Saddam nella condizione di dover scegliere tra gli ispettori ed il rischio d’un
intervento armato;
Di nuovo unitariamente, dovremmo spingere per una presa di posizione più forte
(specialmente da parte USA) contro quelle sanzioni che rischiano di mettere in ginocchio gli
stati cui vengono imposte, e questo andrebbe fatto senza alcuna discriminazione tra alleati
(Turchia), amici (UAE)2 ed altri (Siria in particolare). L’obbiettivo è pressare ancora di più
Saddam e costringerlo ad acconsentire ad ispezioni ragionevoli od a porre un casus belli;
mantenere le nostre attuali posizioni militari, comprese le NFZs, ed essere pronti a
rispondere in modo robusto ad ogni bizza irachena;
continuare a mettere in chiaro (senza porre apertamente l’ipotesi d’un rovesciamento del
regime) il nostro punto di vista: l’Iraq starebbe molto meglio senza Saddam. Potremmo anche
prospettare al paese quale roseo futuro ha davanti senza di lui, magari buttando giù un
“Contratto col Popolo Iracheno”, anche se per renderlo un’iniziativa credibile bisognerebbe
lavorarci nel dettaglio.



7.

Cosa possiamo ottenere:
ci sarà una pressione crescente su Saddam. La GRL renderà le sanzioni molto più appetibili
per
almeno una parte degli attuali detrattori. L’implementazione delle sanzioni ridurrà gli introiti illeciti
del regime e

il ritorno degli ispettori ONU permetterà un analisi più approfondita dei programmi e più in
generale delle forze irachene. Se trovando prove significative di ADM venissero espulsi,
oppure, faccia ad un ultimatum, semplicemente non riammessi, potremmo avere la
giustificazione legale per un operazione militare su larga scala (vedi sotto).
8.
Però:

alcune delle difficoltà legate all’attuale linea politica persistono;

gli stati già colpiti da sanzioni, e che tuttavia ne infrangono attualmente le direttive,
vorranno
sicuramente qualche forma di compensazione in cambio d’un inversione di rotta;

è probabile che Saddam permetterà il rientro degli ispettori solo se crederà imminente la
minaccia d’un massiccio intervento militare USA, e solo se sarà convinto che simili concessioni
eviteranno effettivamente azioni così decise. È anche probabile che per prendere tempo, a quel
punto, adotterà una rinnovata strategia di non co-operazione;

anche se una politica di contenimento ha retto per tutta la decade passata, l’Iraq ha
progressivamente aumentatato le sue relazioni internazionali, e seppure la GRL rendesse le
sanzioni più a portata di mano, nel lungo periodo la strumento stesso delle sanzioni potrebbe
perdere ogni funzionalità.
9.
L’inasprimento della strategia adottata fin’ora non reintegrerà comunque l’Iraq nella
comunità internazionale, perché offre ben poche prospettive di rimuovere Saddam, che da parte sua
continuerà i suoi programmi ADM, la destabilizzazione del mondo arabo ed Islamico
l’impoverimento del suo popolo. Ad ogni modo la minaccia che decida di usare ADM non è più
grande oggi che negli ultimi anni, continuare l’attuale politica di contenimento rimane dunque una
valida opzione.
1
2
Ndt: il consiglio di sicurezza ONU ha cinque membri permanenti,mentre gli altri cambiano a rotazione.
Ndt: United Arab Emirates, Emirati Arabi Uniti.
IL PUNTO DI VISTA AMERICANO
10.
Gli USA hanno perso fiducia nel contenimento ed alcuni esponenti del governo sono decisi
a rimuovere Saddam: a questo proposito hanno la loro importanza fattori come il successo di
Enduring Freedom, la sfiducia verso il sistema delle sanzioni e delle ispezioni ONU e l’impressione
d’aver lasciato un lavoro a metà nel 1991. A Washington sono convinti che le basi legali per un
attacco esistano già e che non sia affatto necessario fare riferimento a più ampi fattori politici. Gli
Stati Uniti potrebbero essere pronti ad attaccare con una coalizione molto meno folta di quella che
noi riteniamo necessaria.
CAMBIO DI REGIME
11.
Nel prendere in considerazione le opzioni per rovesciare il regime, dobbiamo prima aver
chiaro che tipo di Iraq vogliamo. Le possibilità sono due:

Un uomo forte sunnita, un militare, qualcuno capace di difendere l’integrità territoriale
irachena. Assistenza per la ricostruzione e riabilitazione politica potrebbero in questo caso
essere scambiate con l’abbandono d’ogni programma ADM ed il rispetto dei diritti umani, in
particolare delle minoranze etniche. USA ed altre forze militari riuscirebbero a lasciare
velocemente il teatro ma ci sarebbe un forte rischio d’involuzione del sistema politico, con un
conseguente ritorno al punto di partenza. Potrebbe verificarsi una serie indefinita di colpi di
stato fino all’avvento d’un autocratico dittatore sunnita emerso per difendere gli interessi della
sua etnia., e col tempo potrebbe ottenere ADM; oppure

un governo rappresentativo a regime più o meno democratico. In questo caso il governo
sarebbe sempre guidato dai sunniti ma in un contesto federale in cui verrebbero riconosciuti
l’autonomia per Kurdi ed il libero accesso al potere per gli sciiti. Questo tipo di stato avrebbe
meno possibilità di sviluppare programmi ADM e minacciare i suoi vicini. Tuttavia si
renderebbe necessario per gli USA e gli altri dedicarsi per diversi anni ad un esercizio di nation
building, da cui discenderebbe giocoforza il bisogno imprescindibile d’una forza di sicurezza
internazionale oltre che aiuto nella ricostruzione.
DA TENERE IN CONSIDERAZIONE: FATTORI INTERNI
12.
Saddam ha una presa forte sul potere che mantiene attraverso la paura ed il clientelismo. Le
forze di sicurezza e d’intelligence, comprese la Guardia Repubblicana e la Guardia Scelta
Repubblicana (che in effetti riescono a difendere il regime) sono composte quasi esclusivamente di
arabi sunniti (minoranza nel paese, intorno al 20-25% della popolazione), e molti di questi vengono
da Tikrit come Saddam. Temono molto qualsiasi governo non sunnita e la conseguente perdita dei
loro privilegi e le eventuali ritorsioni. Il successo del regime nel reprimere le insurrezioni del 1991
fu in buona parte dovuto agli ufficiali sunniti che di fronte all’abisso d’un governo sciita
salvaguardarono i loro interessi supportando Saddam. Nelle attuali circostanze, sia una rivolta
popolare che un colpo di stato sono da considerarsi possibilità remote.
13.
Senza aiuto l’opposizione Irachena è incapace di rovesciare il regime. L’opposizione esterna
è debole, divisa e manca di supporto popolare. Il gruppo predominante è l’INC (Iraqi National
Congress) un organizzazione di copertura guidata da un certo Ahmad Chalabi, uno sciita incarcerato
per frode popolare a Capitol Hill. L’altro gruppo maggiore, l’INA (Iraqi National Accord)
promuove un socialismo arabo moderato ed è guidato da un altro sciita Ayad Allawi. Nessuno di
questi gruppi può mettere in campo forze militari ed entrambi sono pesantemente infiltrati
dall’intelligence di regime. Quando nel 1996 la CIA tentò di far fondere i partiti d’opposizione
l’unico risultato furono numerose esecuzioni sommarie. Molti iracheni inoltre vedono nell’INC e
nell’INA delle teste di ponte occidentali.
14.
Quanto all’opposizione interna, questa risulta estremamente divisa, su basi etniche ma
anche settarie. Un’effettiva opposizione araba sunnita non esiste. Ci sono però 3/4 milioni kurdi nel
nord del paese, in prevalenza stanziati nella Zona Autonoma Kurda creata nel 1991, che dispongono
di almeno 40,000 miliziani con armamento leggero; tuttavia sono anch’essi divisi in due partiti
maggiori: il PUK (Patriotic Union of Kurdistan) ed il KDP (Kurdistan Democratic Party). Entrambi
i gruppi hanno interesse a mantenere lo status quo e sono più interessati ciascuno a guadagnare
potere sull’altro piuttosto che ad allearsi contro Saddam. Divide et impera non dovrebbe essere un
problema: nel 1996 il KDP aiutò l’esercito Iracheno nell’espulsione del PUK e
contemporaneamente i gruppi d’opposizione di Irbil.
15.
I Kurdi non collaborano con gli arabi sciiti che sono il 60 % della popolazione. Il maggior
gruppo d’opposizione sciita è il Consiglio Supremo per la Rivoluzione Islamica in Iraq (SCIRI),
forte di 3,000-5,000 combattenti ma soprattutto del supporto Iraniano. La maggior parte degli sciit
vorrebbero avere più voce nel governo iracheno, ma non necessariamente il controllo: non vogliono
né la secessione, né un’autonomia islamica, né una sudditanza verso l’Iran.
FATTORI REGIONALI:
16.
I paesi confinanti sono direttamente interessati dalla questione irachena: l’Iran e la Turchia
in particolar modo, sono preoccupati dall’influenza americana ed osteggiano alcuni gruppi
d’opposizione interni. La Turchia, consapevole dell’inquieta minoranza kurda, farà di tutto per
impedire la nascita d’uno stato kurdo indipendente nel nord dell’Iraq, compreso un intervento
militare; lo stesso dicasi per l’Iran, che in più è propenso a proteggere i diritti dei loro correligionari
dell’Iraq meridionale (cfr. il documento del FCO1 sul P5: Pareri europei e regionali su una possibile
azione militare contro l’Iraq, in allegato).
17.
Abbiamo individuato tre opzioni per ottenere un cambio di regime (l’assassinio di Saddam
Hussein è stata eliminata perché sarebbe illegale)
OPZIONE 1: SUPPORTARE SEGRETAMENTE I GRUPPI D’OPPOSIZIONE
18.
L’obiettivo è abbattere il regime attraverso una rivolta interna, contando sulla defezione od
almeno sulla neutralità di vaste aree dell’esercito. Un gruppo di generali sunniti, probabilmente
dall’interno della stessa Guardia Repubblicana, potrebbe anche arrivare a deporre Saddam, se si
convincessero che l’alternativa è la sconfitta. Per poter mettere in pratica questa opzione bisognerà
fornire la copertura d’Intelligence necessaria ai partiti d’opposizione, oltre a finanziamenti su larga
scala ed al supporto di forze speciali. I curdi possono essere convinti ad unirsi per sferrare
un’offensiva nel nord dell’Iraq, impegnando così parte delle forze irachene, contemporaneamente
però bisognerebbe provocare un’insurrezione sciita nelle città meridionali ed a Baghdad.
1
Foreign Office: ministero degli esteri.
19. L’opzione tuttavia ha ben poche prospettive di successo. L’opposizione esterna al regime
non è abbastanza forte per rovesciare Saddam e molti iracheni la percepirebbero come un semplice
ricambio al vertice, che potrebbero rifiutare. Al nord, i curdi possono sferrare solo un attacco molto
limitato ed insurrezioni di massa al sud sono piuttosto improbabili: è ancora vivo il ricordo del
mancato supporto statunitense alla rivolta del 1991. La Guardia Repubblicana inoltre è pronta a
reprimere qualsiasi sommossa, sia popolare sia all’interno dell’esercito stesso. Inoltre sarebbe alto il
rischio di cattura per le forze USA/alleate sul campo, con conseguente eliminazione di ogni
opposizione residua e rafforzamento della figura di Hussein come eroe popolare arabo. D’altro
canto la cosa non è stata mai tentata prima, non sulla base d’un piano organico almeno, o con
un’unica mente dietro: l’opzione quindi non dovrebbe essere scartata, e potrebbe anzi essere na
premessa alle opzioni 2 e 3.
OPZIONE 2: CAMPAGNA AEREA PER FORNIRE APERTAMENTE SUPPORTO AI GRUPPI
D’OPPOSIZIONE, AL FINE D’UN COLPO DI STATO O D’UNA INSURREZIONE
20.
L’obiettivo è assistere la rivolta interna fornendo supporto aereo, tattico e strategico, per
spingere i gruppi d’opposizione ad attaccare il regime. Un aiuto di questo genere smantellerebbe
ogni apparato di sicurezza, o militare, del regime; verrebbero colpiti anche presunti bersagli ADM.
Si renderebbe necessario costruire nel teatro stesso una quantità sostanziosa di munizioni ed aerei
ed ogni tipo di campagna impegnerebbe almeno diverse settimane, probabilmente mesi. La
pressione sul regime potrebbe essere ad ogni modo aumentata concentrando forze navali e terrestri e
minacciando l’invasione.
21.
Quest’opzione non offre garanzie di successo. Esercitare una pressione simile potrebbe
convincere altri sunniti a rovesciare Saddam e la sua famiglia, ma nessuno può dirci se un altro
dittatore sunnita sarebbe meglio. Ogni parallelo con l’Afghanistan è fuorviante: l’apparato di
sicurezza e militare di Hussein è considerevolmente più potente e coeso e non abbiamo nessun
Karzai capace d’ispirare rispetto, dentro e fuori dall’Iraq. Gli stati arabi acconsentiranno solo nel
caso d’una rimozione di Saddam e sarebbe necessaria almeno la collaborazione del Kuwait per tute
le necessarie operazioni militari di assemblaggio in loco. La visibilità d’una sollevazione popolare
tuttavia, potrebbe tenere a bada l’opinione pubblica araba.
OPZIONE 3: CAMPAGNA TERRESTRE
22.
L’obiettivo è di lanciare un offensiva su larga scala per distruggere la macchina militare di
Saddam e rimuoverlo dal potere. Si insedierebbe in questo caso un regime filo-occidentale che
distruggerebbe ogni disponibilità ADM, siglerebbe accordi di pace con tutti i paesi confinanti e
garantirebbe eguali diritti a tutti gli iracheni, incluse le minoranze etniche. Come nella Guerra del
Golfo, necessaria offensiva aerea intensiva per ammorbidire le difese.
23.
I relativi piani USA anteriori all’11/9 stimavano per una simile campagna l’impiego di
200,000-400,000 uomini, più o meno la metà di quelli usati nel 1991, considerato anche che le forze
irachene sono ora considerevolmente più deboli. Qualsiasi piano d’invasione dovrà prevedere una
seria minaccia per Baghdad, al fine di convincere i membri dell’elite militare sunnita che la loro
sopravvivenza è molto più probabile disertando e passando con la coalizione che rimanendo leali a
Saddam. Considerando che almeno tre mesi sono necessari per i preparativi aerei ed almeno 4/5 per
quelli terrestri, sul piano logistico nessuna campagna di questo tipo è fattibile prima dell’autunno
2002. Il periodo ottimale per cominciare le operazioni sarebbe all’inizio della primavera.
24.
In chiave strettamente strategica sarebbe molto difficile lanciare un’invasione partendo dal
solo Kuwait ed i vettori su portaerei non sarebbero sufficienti, causa la necessità di basi a terra che
garantiscano il rifornimento in volo aereo-aereo. Per avere serie possibilità di successo saranno
necessarie basi in Giordania od in Arabia Saudita. Ad ogni modo una solida ed ampia coalizione
internazionale sarebbe vantaggiosa sia sul piano militare che politico. Per garantirci il supporto
degli arabi moderati sarà molto utile la promettere una guerra lampo ed un intervento incisivo degli
USA nel processo di pace mediorientale.
25. I fattori di rischio includono gli USA e le altre variabili militari: quale che sarà la coalizione,
bisognerebbe restringere al massimo i difficili mesi di preparazione e puntare all’invasione.
Temendo un ulteriore accerchiamento da parte USA e d’essere il prossimo sulla lista, l’Iran non la
prenderà certo bene, ma probabilmente rimarrà neutrale. Vedendo il suo regime in pericolo,
Saddam potrebbe usare le ADM, sia prima che durante l’invasione, e forse potrebbe anche prendere
di mira Israele come già fatto nella Guerra del Golfo: in questo caso trattenere Israele sarebbe molto
difficile, questo potrebbe anzi decidere di giocare d’anticipo e sferrare per primo un attacco ADM.
In ogni caso, ha messo in chiaro che renderà certamente al mittente ogni offesa ricevuta. Un diretto
coinvolgimento militare da parte israeliana comunque, complicherebbe di molto gestire la
coalizione e rischierebbe d’allargare il conflitto.
26.
Nessuna delle summenzionate opzioni esclude l’altra. La 1 e la 2 anzi potrebbero essere le
premesse naturali per la 3. Tutte però hanno delle scadenze, e se ad esempio si vuole attaccare in
autunno, è necessario prendere una decisione sei mesi prima. Maggiore sarà l’investimento
occidentale, maggiore sarà il nostro controllo sul futuro dell’Iraq, e maggiore sarà anche la spesa ed
il tempo per cui dovremo restare. L’opzione 3 è quella che ha più possibilità di garantire un cambio
di regime, allo stato attuale tuttavia bisogna aspettare e vedere quale opzione o combinazione di
opzioni potrebbe essere gradita al governo USA.
27.
E’ opportuno segnalare però che anche un governo rappresentativo potrebbe voler dotarsi di
ADM o voler costruire il suo arsenale convenzionale, almeno finché Iran ed Israele manterranno i
propri.
CONSIDERAZIONI LEGALI
28.
Volendo sviluppare più nel dettaglio le opzioni summenzionate, sarebbe auspicabile
chiedere un consulto approfondito ai Law Officers, per sommi capi comunque: il
CONTENIMENTO prevede l’implementazione delle risoluzioni del CSNU e si fonda su solide
basi legali. Di per se, un cambio di regime non ha invece alcun fondamento nel diritto
internazionale: in allegato c’è una nota a cura dei consulenti legali FCO1 in cui si delinea il
background legale e ed i vincoli delle risoluzioni ONU più importanti.
29.
Secondo il JIC non esiste prova che attesti una recente complicità dell’ Iraq con il terrorismo
internazionale: non c’è dunque giustificazione alcuna per attaccare l’Iraq appellandosi all’autodifesa
(Articolo 51) contro imminenti minacce terroristiche come in Afghanistan. Lo stesso articolo 51 ad
ogni modo tornerebbe utile qualora l’Iraq attaccasse un paese vicino.
30.
Allo stato attuale è possibile agire militarmente contro l’Iraq in modo legale solo nel caso
infrangesse la ris. 687 che sanciva il cessate il fuoco della Guerra del Golfo. La 687 imponeva
all’Iraq di distruggere ogni AMD e di accettare un monitoraggio sull’effettiva osservanza di questo
1
FCO: Foreign and Commnwealth Office: Ministero degli Esteri (e del Commonwealth)
obbligo, tuttavia la 687 non revocava il mandato d’autorità per l’uso della forza della risoluzione
678 (1990): una violazione della 687 quindi potrebbe riabilitare l’autorizzazione della 678.
31.
Considerato che il cessate il fuoco fu proclamato dal Consiglio di Sicurezza, è il Consiglio
che dovrà stabilire qualsiasi eventuale contravvenzione agli obblighi che impone la 687. Esiste però
un precedente: la ris. 1205 (1998), approvata dopo l’espulsione degli ispettori ONU, stabilisce che
quell’atto pone l’Iraq è in flagrante violazione delle clausole della 687. Crediamo che questo sia
sufficiente per riabilitare il mandato della 678 e riprendere l’operazione Desert Fox. Gli USA, in
contrasto con l’opinione generale sulla fattispecie, affermano il diritto per ciascuno stato membro di
decidere se l’Iraq abbia o meno infranto la 687, anche se il Consiglio non avesse raggiunto la
medesima conclusione.
32.
Affinché i P5 e la maggioranza del Consiglio convengano sull’infrazione irachena alla 687:

dovranno essere convinti che l’infrazione riguarda ADM e vettori balistici: le prove a
questo riguardo dovranno essere incontrovertibili e mostrare un’attività su larga scala. Le
informazioni di intelligence attualmente in nostro possesso non sono sufficientemente robuste
secondo il criterio appena esposto. Anche avendo prove incontestabili, Cina, Francia e Russia, in
particolare, considereranno probabilmente lobbistico approvare o consentire una nuova risoluzione
che autorizzi l’uso della forza in Iraq. Potrebbero rendersi necessarie concessioni in altre aree
politiche. Molti stati occidentali comunque non vorranno opporsi agli USA su un punto di così
grande importanza; oppure

bisognerà, ottenuta l’unità dei P5, che l’Iraq rifiuti di riammettere gli ispettori dopo un
preciso ultimatum del Consiglio di Sicurezza; oppure

che gli ispettori vengano riammessi e trovino prove sufficienti di attività riconducibili ad
ADM o che vengano ri-espulsi cercando di farlo.
CONCLUSIONI
33.
In breve, nonostante le difficoltà considerevoli, l’uso d’una forza soverchiante ed una
campagna terrestre sembra essere l’unica opzione capace di rimuovere Saddam e riportare l’Iraq
nella comunità internazionale.
34.
Per mettere in pratica questa campagna è richiesto un approccio graduale:

Far crescere la pressione: aumentare la pressione su Saddam attraverso un contenimento più
severo. L’inasprimento delle sanzioni e qualche manovra militare spaventeranno il suo regime. Il
rifiuto ad ammettere gli ispettori, o il loro ingresso e prevedibile frustrazione, se utilizzati a dovere
in seno al Consiglio, possono fornire il casus belli alle operazioni militari. Saddam potrebbe tentare
di prevenire tutto questo benché fin’ora non abbia tenuto conto.

Pianificare con attentamente: elaborare piani dettagliati sulle varie opzioni d’invasione,
d’appoggio logistico e sui periodi migliori di spiegamento.

Costruire una coalizione: mettere in atto l’azione diplomatica necessaria a formare una
coalizione internazionale che fornisca il più vasto appoggio militare e politico alla campagna
militare. Concentrare l’attenzione diplomatica su Francia, Cina ed in particolare Russia, con diritto
di veto al Consiglio di Sicurezza, oltre che su gli altri paesi UE. Bisognerà impiegare speciale
cautela con i paesi arabi moderati e l’Iran.

Incentivi: si renderanno necessarie delle garanzie sull’integrità territoriale irachena e
bisognerà pianificare in anticipo tutti benefici che la comunità internazionale potrà fornire al popolo
iracheno in uno scenario post- Saddam: per quanto riguarda questi incentivi andrebbero anche
diffusi a mezzo stampa.

Includere altre questioni regionali: impegnarsi per coinvolgere gli USA in un serio sforzo di
rinvigorire il Piano di Pace per il Medio Oriente.

Sensibilizzare il pubblico: lanciare una campagna mediatica che metta in guardia contro il
pericolo che Saddam costituisce, allo scopo di preparare l’opinione pubblica britannica ed estera.
35.
Gli USA dovrebbero essere incoraggiati ad ampie consultazioni riguardo i loro piani.
OVERSEAS AND DEFENCE SECRETARIAT
CABINET OFFICE
8 MARZO 2002
IRAQ: BACKGROUND LEGALE.
Il documento che segue è datato 8 marzo 2002 e fu redatto da ufficiali del ministero degli esteri
britannico per suggerire una giustificazione legale ad un attacco contro l’Iraq. GB ed alleati
potrebbero proclamare di agire per autodifesa, cioè perché sono stati attaccati, o per “prevenire una
disastrosa catastrofe umanitaria”, oppure in forza delle risoluzioni ONU. Per ipotizzare
l’autodifesa, conclude l’autore ci vuole più di “una minaccia” d’attacco da parte irachena: l’attacco
dovrebbe essere “incombente od in corso”. Quanto all’ipotesi dell’intervento umanitario: “la
catastrofe deve essere evidente, ben documentata e (che) per prevenirla non devono esserci altre
vie disponibili fuori della guerra.” L’autore opta per le Nazioni Unite, asserendo che le risoluzioni
approvate nel 1998, con cui si condannava la decisione irachena di interrompere ogni cooperazione
con gli ispettori, “autorizzano all’uso della forza, in accordo con la precedente ris. 678” –che
undici anni prima aveva approvato “l’impiego d’ogni mezzo necessario” per espellere le truppe
irachene dal Kuwait.
CONFIDENZIALE
IRAQ: BACKGROUND LEGALE
(i)
(ii)
(iii)
(iv)
Uso della Forza: (a) Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza
(b) Autodifesa
(c) Intervento Umanitario
No Fly Zones
Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza relative alle sanzioni verso il regime
Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza relative all’UNMOVIC (United Nations
Monitoring,Verification and Inspection Commission1)
(i) Uso della Forza: (a) Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza relative all’Uso della Forza
1. A seguito della sua invasione del Kuwait, il Consiglio di Sicurezza autorizzò l’uso della forza
contro l’Iraq con la ris. 657 (1990)2, che permetteva alle ai paesi della coalizione l’uso di qualsiasi
mezzo al fine di costringere l’Iraq a ritirarsi e di ripristinare la pace e la sicurezza dell’area. Questa
ris. fornì le basi legali per l’operazione Desert Storm, a sua volta interrotta dal cessate il fuoco
imposto con la ris. 687 (1991). Le condizioni necessarie per la sospensione delle ostilità (in quella e
nelle risoluzioni successive) comprendevano l’obbligo d’eliminazione di ogni ADM ed il relativo
monitoraggio. La ris. 687 (1991) interruppe l’impiego della forza ma di fatto non revocò l’autorità
all’uso medesimo sancita con la ris. 678 (1990)
2. La nostra posizione è che una violazione irachena di uno qualsiasi dei suoi obblighi, minando le
basi del cessate il fuoco imposto con la 687 (1991), potrebbe, ipso facto e stante la 678 (1990),
autorizzare l’impiego della forza. Spetterebbe comunque al Consiglio di Sicurezza certificare ogni
contravvenzione agli obblighi, considerato che fu lo stesso Consiglio ad imporre il cessate il fuoco
con la 687 (1991). Gli americani hanno invece un punto di vista piuttosto diverso: l’eventuale
1
2
Commissione ONU per il monitoraggio, la verifica e le ispezioni
Ndt: forse refuso? Sarà mica 678?
disattenzione degli obblighi sarebbe certificabile anche da un singolo stato membro. Non siano a
conoscenza di alcun altro paese che appoggi questa tesi.
3. In questo senso, l’autorizzazione all’uso della forza della 678 (1990) è già tornata in discussione
alcune volte. Ad esempio, quando nel 97/98 l’Iraq si rifiutò di cooperare con la Commissione
Speciale ONU (UNSCOM1), una serie di risoluzioni condannarono la decisione come inaccettabile.
La ris. 1205 (1998) indicò la decisione irachena di interrompere qualsiasi rapporto con l’UNSCOM
come una violazione in flagrante degli obblighi della 687 (1991) e riaffermò che per l’effettiva
applicazione della risoluzione era essenziale un’effettiva operatività dell’UNSCOM.
Crediamo di poter ritenere che queste risoluzioni autorizzano all’uso della forza, in accordo con la
precedente ris. 678 (19912), che rese anche possibile Desert Fox: in merito, con una lettera al
presidente della Consiglio di Sicurezza, la GB affermò nel 1998 che il fine dell’operazione era
ottenere la collaborazione irachena nei rispetti degli obblighi stabiliti dal Consiglio, che veniva
intrapresa solo per manifesta impossibilità di ottenere in altro modo la suddetta collaborazione, e
che sarebbe stata limitata alle azioni necessarie per raggiungere tale obiettivo.
4. Il punto più delicato è riuscire a connettere alla stessa piattaforma legale un nuovo impiego della
forza a più di tre anni dall’adozione della ris. 1205 (1998). Ogni azione militare, nel 1998 come in
precedenza, è sempre stata immediatamente preceduta da una delibera del Consiglio in tale
direzione: mentre è ormai dal 1998 che il Consiglio non si pronuncia sull’Iraq.
Inoltre la nostra interpretazione della 1205 era già controversa allora e molti dei nostri alleati non la
consideravano una base legale sufficiente per l’impiego della forza, in virtù del fatto che tale
autorizzazione non era esplicita. Ogni tentativo di partire dalla 1205 dunque, difficilmente
raccoglierà consenso.
USO DELLA FORZA: (B) AUTODIFESA
5. Le condizioni per poter esercitare il diritto all’autodifesa sono note:
i) l’attacco allo stato deve essere incombente od in corso.
ii) l’uso della forza deve essere una misura necessaria, non deve cioè sussistere altro modo per
evitare/fermare l’attacco.
iii)ogni azione d’autodifesa deve essere proporzionale all’offesa e strettamente diretta a fermare
l’offensiva.
Il diritto all’autodifesa inoltre, può essere esercitato solo fintantoché il Consiglio di Sicurezza non
abbia preso le misure necessarie ad assicurare la pace e la sicurezza internazionali. Ogni azione
compiuta nell’esercizio di questo diritto poi, deve essere immediatamente riferita al Consiglio.
6. Per esercitare il diritto all’autodifesa non è sufficiente una “minaccia”. Deve essere in corso un
attacco, o lo stesso deve essere imminente. Nemmeno lo sviluppo od il possesso di armi nucleari
equivale di per se ad un attacco: piuttosto sarebbe necessaria la prova provata d’un attacco
imminente. Durante la Guerra Fredda si era evidentemente in presenza di una minaccia, nel senso
che diversi stati possedevano arsenali nucleari ed avrebbero potuto riversarli quasi all’improvviso
ciascuno sul territorio dell’altro: tuttavia né il possesso di queste armi, nonostante il clima di alta
tensione, né il tentativo di procurarsele furono mai sufficienti a scatenare un’azione preventiva. Per
giunta quando il 7 giugno 1981 Israele attaccò un reattore nucleare iracheno, nei pressi di Baghdad,
il fatto fu “fortemente condannato” dal Consiglio di Sicurezza (con mozione unanime) che lo definì
1
2
Ndt: United Nation Special Commision.
Ndt: Altro refuso?? Ma la 678 non era del ’90?
“un attacco militare…vïola chiaramente lo Statuto delle Nazioni Unite e le norme di condotta
internazionale”
USO DELLA FORZA: (C) INTERVENTO UMANITARIO
7. La GB prevede la giustificazione d’un’azione militare se questa è in grado di prevenire una
disastrosa catastrofe umanitaria. I limiti di questa dottrina, piuttosto controversa, non sono
comunque definiti chiaramente, è però placido che la catastrofe deve essere evidente, ben
documentata e che per prevenirla non devono esserci altre vie disponibili fuori della guerra.
Le misure prese devono inoltre essere proporzionali alle necessità. Per questa stessa dottrina, in
parte, l’azione dei vettori alleati che pattugliavano le No Fly Zones (istituite nei primi anni novanta
a protezione delle componenti kurda e sciita) fu piuttosto limitata riducendosi alla necessaria ed
occasionale autodifesa. Ad ogni momento l’applicazione di questa dottrina dipende sempre dalle
circostanze, ma vi si ricorre, per ovvi motivi, solo eccezionalmente.
(II) NO FLY ZONES (NFZs)
8. Le NFZs nel nod e nel sud dell’Iraq non sono state istituite da alcuna risoluzione dl Consiglio di
Sicurezza ONU, ma risalgono al 1991 ed al 1992 come provvedimenti necessari e sufficienti a
prevenire una crisi umanitaria. Prima che venisse istituita la NFZ settentrionale, il Consiglio aveva
adottato la ris. 688 (1991), per esattezza il 5 aprile 1991, con la quale esprimeva la sua profonda
preoccupazione per la repressione che era in atto in diverse parti dell’Iraq (comprese le più recenti
operazioni in area kurda) e che diede il via ad un massiccio flusso migratorio; nello stesso
documento il Consiglio si dichiarava disturbato dalla quantità di sofferenze che tutto questo
generava. La risoluzione condannava la repressione contro i civili, esigendone l’immediata
conclusione. Benché non istituite tramite una risoluzione, intendiamo le NFZs con lo scopo di
monitorare l’osservanza irachena alle disposizioni della 688; l’aviazione americana e britannica che
ha la responsabilità di sorvegliarle è attualmente autorizzata ad usare la forza, dove necessario e
proporzionatamente all’offesa, in caso di attacco in corso od imminente da parte della contraerea
irachena.
9. Gli USA hanno dichiarato invece in alcune occasioni che lo scopo delle NFZs sarebbe imporre
all’Iraq il rispetto degli obblighi delle risoluzioni 688 e 687. Il punto di vista è a nostro avviso
inconsistente: per quanto riguarda la 687 questa non aveva nulla a che vedere con la salvaguardia o
la repressione della popolazione civile, la 688 invece non fu adottata nel Capitolo VII dello Statuto
ONU e dunque non contiene disposizione alcuna circa l’imposizione degli obblighi delle
risoluzioni.
(III) RISOUZIONI DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA
RILEVANTI AL FINE DELLE SANZIONI
10. Le sanzioni ONU furono imposte al regime iracheno con la ris. 661 (1990) dell’8 agosto 1990,
con cui si decise, a seguito dell’invasione del Kuwait, che ogni stato membro avrebbe impedito nel
suo territorio l’importazione di qualsiasi bene prodotto in Iraq e parimenti l’esportazione verso
l’Iraq di qualsiasi bene all’infuori dei rifornimenti medici, e, in caso d’emergenza umanitaria, delle
derrate alimentari. Inoltre con lo stesso provvedimento venivano congelati tutti i fondi e le risorse
finanziarie del paese. La risoluzione 661 è ancora in vigore, eccezion fatta per il programma Oil for
Food, istituito con la ris. 986 (1995), che permette all’Iraq di esportare greggio (senza limiti di
quantità in accordo alla ris. 1284 (1999)) a condizione che tutto il ricavato confluisca in un fondo
bloccato del Segretariato Generale dell’ONU i cui fondi vengono destinati ai bisogni primari del
popolo iracheno e dunque all’acquisto di medicinali, dispositivi medici, cibo e quant’altro. Lo
stesso fondo finanzia anche la Commissione ONU per la Compensazione e copre parte dei costi di
gestione dell’ONU, compresi quelli del UNMOVIC.
11. Oil for Food viene prorogato dal Consiglio di Sicurezza ad intervalli più o meno semestrali:
l’ultima proroga era contenuta nella ris. 1382 (211) del 29 novembre 2001, con la quale il Consiglio
ha stabilito anche l’adozione, entro il 13 maggio 2002, delle procedure necessarie ad ampliare la
quantità di prodotti destinabili all’Iraq, con l’ovvia eccezione di armi e di altra merce sulla Good
Review List che potrebbe essere soggetta a sofisticazione bellica. Gli USA sono attualmente in
trattativa con i Russi per gli ultimi dettagli della lista.
12.Con la ris.687 (1991) il Consiglio ha deciso che ogni interdizione sull’importazione dei prodotti
iracheni sarebbe decaduta non appena l’Iraq avesse adempiuto agli obblighi di disarmo illustrati nei
paragrafi 8-13 della stessa. Sempre nella 687, il paragrafo 21 stabiliva la revisione dell’interdizione
all’esportazione verso l’Iraq a scadenze di 60 giorni, in modo da poter valutare i provvedimenti del
governo iracheno in materia di disarmo e rispetto delle risoluzioni ed eventualmente alleggerire o
eliminare il provvedimento d’embargo. Queste revisioni sono attualmente sospese causa
l’inadempienza da parte irachena alle richieste del Consiglio.
13. L’intenzione del Consiglio di agire in direzione dell’annullamento di quest’embargo è stata più
volte riaffermata, anche nella risoluzione 1284 (1999), che contiene ad esempio una formula
abbastanza complessa pensata per sospendere le sanzioni economiche: se l’UNMOVIC e l’IAEA
(Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica1) certificassero che, dopo il rafforzamento e la
piena entrata a regime del sistema di controllo, il regime avesse offerto piena collaborazione nei
programmi di queste due agenzie per un periodo di almeno 120 giorni, le sanzioni imposte all’Iraq
sarebbero allora sospese per un periodo rinnovabile di altri 120 giorni. L’Iraq non ha mai accettato
tali condizioni.
(iv) RISOLUZIONI DEL CONSIGLIO
RELATIVE ALL’ UNMOVIC
L’UNMOVIC fu istituita con la ris. 687 (1991), quella del cessate il fuoco, con le mansioni dell’ex
Commissione Speciale, vale a dire occuparsi della distruzione delle CBW2 e dei missili balistici
iracheni con gittata maggiore di 150 km, nonché del monitoraggio successivo. Esattamente come la
Commissione Speciale all’UNMOVIC doveva essere garantito accesso incondizionato a tutte le
strutture, gli equipaggiamenti e gli archivi iracheni, come pure agli stessi ufficiali. Il paragrafo 7
della risoluzione 1284 assegnava invece all’IAEA ed all’UNMOVIC la responsabilità di studiare un
programma che includesse la realizzazione d’un rinnovato sistema di controllo, l’OMV3, oltre ad
alcune azioni chiave di disarmo residuo che l’Iraq avrebbe dovuto realizzare per rientrare negli
standard assegnatigli. A tutt’oggi non c’è personale UNMOVIC sul suolo iracheno, e non è stato
mai possibile completare l’OMV causa il rifiuto del regime a cooperare.
1
Ndr: Internetional Agency for Atomic Energy.
Ndr: Chenical Biological Weapons: armi chimiche e batteriologiche
3
Ndr: Ongoing Monitoring and Verification : monitoraggio e verifica continui.
2
“ HO CENATO CON CONDI”.
Un memorandum datato 14 marzo 2002 contiene il rapporto fatto al suo capo
da Sir David Manning, consigliere agli affari esteri di Blair, circa l’incontro che
aveva avuto a Washington col suo omologo americano: il Consigliere per la
Sicurezza Nazionale Condoleeza Rice. Manning racconta di aver riferito alla
Rice che, testualmente, Blair “non avrebbe fatto marcia indietro” per quanto
riguarda il supporto britannico ad un cambio di regime in Iraq, ma che “la cosa
va fatta attentamente e dove produrre i risultati previsti: il fallimento non è
un’opzione contemplabile”. In un passaggio illuminante sulla loro “relazione
particolare”1, Manning assicura Blair che il suo “incontro con Condi mi ha
convinto che Bush vuole sentire la Vostra2 opinione riguardo l’Iraq prima di
prendere decisioni irrevocabili….Questo Vi conferisce una grande influenza.”
Quale che avesse potuto essere l’influenza di Blair sugli americani comunque, i
limiti erano evidenti, come suggerisce lo stesso Manning con questa cupa
osservazione a proposito della guerra che gli alleati avrebbero inaugurato
giusto un anno dopo: “Credo esista un rischio reale che l’Amministrazione
sottovaluti le difficoltà. Possono anche convenire che il fallimento non sia
un’opzione contemplabile, questo però non assicura che la eviteranno.
SEGRETO- STRETTAMENTE PERSONALE
DA: DAVID MANNING
DATA: 14 MAGGIO 2002
P.C. JONATHAN POWELL
AL PRIMO MINSTRO
IL VIAGGIO NEGLI USA
Ho cenato con Condi martedì, mercoledì invece riunioni e pranzo sempre con lei ed il team NSC3
(al quale ha preso parte anche Cristopher Meyer). L’atmosfera era molto cordiale, anche
particolarmente franca quando ci siamo trovati faccia a faccia a cena. Allego un rapporto dettagliato
nel caso voleste dare un’occhiata.
IRAQ
Buona parte della cena l’abbiamo passata parlando d’Iraq. Io ho messo in chiaro che Voi non
avreste fatto marcia indietro per quanto riguarda rovesciare il regime iracheno, ma anche che dovete
vedervela con una stampa, un Parlamento ed un’opinione pubblica che negli States nemmeno si
immaginano e che quindi non avreste neanche smesso d’insistere su questo punto: se un cambio di
regime deve esserci, la cosa va fatta attentamente e dove produrre i risultati previsti, il fallimento
non è un’opzione contemplabile.
1
Ndt: dell’America con l’Inghilterra e di Bush con Blair, notare l’ironia.
Ndt: vostra di Blair
3
Ndt: National Security Council: consiglio di sicurezza nazionale.
2
L’entusiasmo di Condi per questo cambio di regime è indefesso. Rispetto al nostro ultimo incontro
tuttavia, ho riscontrato alcuni segni che mi fanno supporre una maggiore consapevolezza delle
difficoltà pratiche e dei rischi politici. (si veda l’allegato di Seymur Hersh, che secondo Meyer da
una buona impressione di quanto il dibattito sia ancora incerto a Washington).
Dalle sue parole, Bush non ha ancora le risposte per le domande più impegnative:

Come persuadere l’opinione pubblica che un’azione militare in Iraq è necessaria e lecita

Che importanza dare all’opposizione irachena in esilio

Come coordinare una campagna militare US/alleati prevedendo qualche forma di
opposizione interna

Che succede a guerra finita?
Bush vuole sapere quello che avete per la testa. E vuole anche sapere se può aspettarsi l’appoggio
d’una coalizione. Ho detto ha Condi che siamo ben coscienti di come l’Amministrazione possa
procedere unilateralmente volendo, ma anche che se vogliono sostegno è necessario prendere in
considerazione anche le preoccupazioni degli altri membri della coalizione. In particolare:

Il contesto ONU. La faccenda degli ispettori deve essere gestita in modo tale che gli europei
e l’opinione pubblica in generale si convincano che gli USA sono coscienti del contesto
internazionale, dell’insistenza di diversi paesi e del bisogno d’una base legale. Un nuovo rifiuto di
Saddam a subire ispezioni illimitate sarebbe inoltre un ottimo argomento per il loro scopo .

L’importanza enorme di mettere mano alla questione palestinese, col rischi che se non lo
facessimo potremmo ritrovarci a bombardare l’Iraq e perdere il Golfo.
LA VISITA AL RANCH
Senza dubbio abbiamo bisogno di continuare a vedere le cose con un certo distacco, tuttavia
l’incontro con Condi mi ha convinto che Bush vuole sentire la Vostra opinione riguardo l’Iraq
prima di prendere decisioni definitive. E vuole anche il Vostro appoggio: sta ancora finendo di
incassare i commenti degli altri leader europei sulla sua politica irachena.
Questo Vi conferisce grande influenza: sulla strategia delle pubbliche relazioni, sulla questione
ONU e le ispezioni agli armamenti, e sulla pianificazione USA della campagna militare. Questo
potrebbe essere un punto d’importanza cruciale: credo esista un rischio reale che l’Amministrazione
sottovaluti le difficoltà. Possono anche convenire che il fallimento non sia un’opzione
contemplabile, questo però non assicura che la eviteranno.
La maggioranza sunnita si unirà veramente ad una rivolta guidata da kurdi e sciiti? Gli americani
metteranno davvero in campo una quantità di truppe sufficiente a finire il lavoro, qualora non
funzionasse lo stratagemma dei kurdo-sciita? Ammesso che le truppe siano abbastanza, sono pronti
ad accettare le eventuali sconfitte che la Guardia Repubblicana potrebbe infliggergli, nel caso in cui
l’esercito non si sfasci (come predicono fiduciosamente Richard Perle ed altri) e si finisca invece
alla guerriglia urbana?
L’incontro al ranch Vi darà anche la possibilità di spingere Bush sulla questione mediorientale:
questa storia dell’Iraq potrebbe essere un’occasione irripetibile per spingere quest’Amministrazione
ad una maggiore ed attiva attenzione alla questione Palistinese1
1
Ndt: MEPP nel testo: Middle East Peace Process.
DALL’AMBASCAITORE :
“WOLFOWIZ È VENUTO DOMENICA A PRANZO”.
Il 18 maggio 2002, Sir Cristopher Meyer, l’ambasciatore britannico a
Washington, scrisse a Sir David Manning il resoconto del suo pranzo
domenicale col Deputy Secretary of Defense Paul Wolfoxiz. Sir Cristopher è
decisamente sfacciato circa la strategia che si stava evolvendo per giustificare
la guerra: “d’accordo il cambio di regime, ma il piano deve essere
migliorato…poi ho introdotto la necessità di depistare Saddam sugli ispettori
ONU [risoluzioni del Consiglio di Sicurezza]…” Questo documento è
interessante anche per ciò che ci mostra del conflitto interno
all’amministrazione sulla politica del dopo Saddam, nello specifico tra i
sostenitori e gli oppositori di Ahmed Chalabi, leader del Congresso Nazionale
Iracheno. Per poter rimpiazzare Saddam con “qualcosa che funzioni più o meno
come una democrazia”, dice Wolfowitz, è necessaria “una coalizione che
rappresenti tutte le parti: un’idea che a quanto pare fu scartata appena dopo
l’invasione dell’anno successivo.
CONFIDENZIALE E PERSONALE
Ambasciata Britannica di Washington
Da: l’Ambasciatore
Cristopher Meyer KGMG
18 marzo 2002
A Sir David Manning KGMG
Downing Street 10
IRAQ ED AFGHANISTAN:
INCONTRO CON WOLFOWITZ
1. Paul Wolfowitz, Deputu Secretary of Defense, è venuto a pranzo da me domenica 17 marzo.
2. Sull’Iraq ho cominciato attenendomi strettamente al documento che avete usato la settimana
scorsa per l’incontro con Condi Rice: d’accordo il cambio di regime, ma il piano deve essere
migliorato ed il fallimento non è contemplabile. Sarebbe un bel problema interno per noi e forse
anche peggiore per il resto d’Europa. Se proprio ci tengono gli americani possono anche far da soli;
se vogliono dei partner invece, è necessaria una strategia che costruisca il supporto sufficiente per
l’operazione militare. Poi ho introdotto la necessità di depistare Saddam sugli ispettori e le
risoluzioni ONU, ed anche il concetto che la questione Palestinese1 debba essere parte integrante di
una strategia anti-Saddam. Ho aggiunto la nostra piena fiducia sul fatto che molti paesi si
unirebbero al progetto qualora i punti di cui sopra venissero coscienziosamente messi in pratica.
1
Ndt: MEPP nel testo.
3. Ho dichiarato che la GB sta seriamente considerando l’idea di pubblicare dei documenti che
possano montare il caso Saddam: per unirci agli USA in qualsiasi operazione contro Hussein
avremo bisogno di avere dalla nostra parte una ampia maggioranza parlamentare ed una larga fetta
dell’opinione pubblica. E’ incredibile quanto la gente possa aver dimenticato la sua efferatezza, ho
aggiunto.
4. Wolfowitz ha detto di essere completamente d’accordo ed in generale ha assunto una posizione
leggermente diversa dal resto dell’Amministrazione, che invece è totalmente concentrata sulle
capacità di Saddam di sviluppare armi di distruzione di massa. Ovviamente è convinto che il
pericolo ADM sia d’importanza cruciale, specialmente per i possibili collegamenti col terrorismo e
specialmente per vendere al pubblico il caso Saddam. Wolfowitz è anche convinto dell’ importanza
di descrivere nei dettagli all’opinione pubblica la barbarie di cui è capace Saddam: tutte cose
ampiamente documentate, ne abbaimo dell’occupazione del Kuwait, dell’aggressione ai Kurdi, agli
arabi del Marsh ed anche circa le violenze compiute sul suo stesso popolo. Buona parte di questo
lavoro ad ogni modo fu portato a termine verso la fine della prima amministrazione Bush.
Wolfowitz pensa che ci vorrà del tempo per distruggere ogni nozione d’equivalenza morale tra
l’Iraq ed Israele; io ho risposto raccontando di quanto rimasi mio malgrado stupito durante una sere
di conferenze universitarie negli States: gli studenti sembravano prontissimi a sorvolare su i crimini
di Saddam ed altrettanto pronti ad accusare USA e GB per le sofferenze del popolo iracheno.
5. Wolfowitz ha definito assurdo negare l’esistenza d’un legame tra Saddam ed il terrorismo.
Potrebbero tuttavia sussistere dei dubbi sul presunto incontro che avrebbe avuto luogo a Praga tra
Mohammed Atta, il capo degli attentatori dell’11/9, ed esponenti dei Servizi iracheni (abbiamo
qualche altra informazione su questa storia? Gli ho chiesto) . in ogni caso esistono altri episodi
meglio documentati sull’ospitalità offerta da Saddam a diversi terroristi, inclusi alcuni di quelli
coinvolti nel primo attentato al World Trade Center (l’ultimo New Yorker tra l’altro contiene un
articolo su certi collegamenti che Saddam avrebbe direttamente con Al Qeada in Kurdistan.
6.Ho anche chiesto a Wolfowitz di parlarmi dei dissidi interni all’Amministrazione, vale a dire dello
scontro tra i pro ed i contro INC (Iraqi National Congrass) ben documentato in un recente articolo
di Sy Hersh, sempre sul New Yorker, che allego. Mi ha spiegato di trovarsi tra i due fuochi (anche
se alla fine della conversazione mi è apparso evidente che sia di gran lunga più pro INC che contro)
e di essere fortemente contrario ad alcune proposte, tra cui quella di creare in Iraq un governo
d’unità nazionale che contenga tutti i partiti fuoriusciti tranne l’INC ( e cioè INA, KDP, PUK,
SCRI). Non funzionerebbe. L’ostilità verso l’INC è in realtà avversione nei confronti di Chalabi.
Senza dubbio Chalabi non è una persona con cui sia facile collaborare, ma ha avuto grossi successi
nel fare espatriare dissidenti di altissimo livello. E la CIA si rifiuta categoricamente di
riconoscerglielo. Conseguentemente denigrerebbero l’INC a causa di questa fissazione con Chalabi.
Quando gli ho fatto notare che l’INC è infiltrato dai Servizi iracheni, mi ha risposto che
probabilmente si potrebbe dire lo stesso di tutti gli altri gruppi d’opposizione: è un dato di fatto di
cui dovremmo prendere atto, secondo lui. Per quanto riguarda i kurdi ha aggiunto, è vero che ora
non se la passano male (altro punto da sottolineare in un futuro pubblico dossier su Saddam) e che
hanno paura di provocare il regime e scatenare incursioni da Baghdad. Ci sarebbero però buoni
elementi tra i kurdi, compreso un certo Salih (?) del PUK. Al mio appunto circa la totale assenza di
sunniti nel INC, Wolfowitz ha tagliato corto sostenendo che c’è una gran differenza tra gli sciiti
iracheni e quelli iraniani: i primi non vedono l’ora di liberarsi di Saddam.
7. Wolfowitz è stato sbrigativo anche nel giudicare l’opzione d’un colpo di stato militare, magari
con gli ex generali fuoriusciti dei partiti in esilio: prospettive poco desiderabili, hanno le mani
sporche di sangue. Il suo approccio sarebbe rimpiazzare Saddam con qualcosa che funzioni più o
meno come una democrazia. Anche se imperfetto, dice, il modello kurdo non sarebbe male. Gli
chiedo come ci si possa arrivare e mi risponde: soltanto per mezzo d’una coalizione di tutte le parti
politiche irachene (non abbiamo affrontato la strategia militare).
IRAQ: SUGGERIMENTI
PER
IL
PRIMO
MINISTRO.
Il 22 marzo 2002 Sir Peter Ricketts, responsabile politico del ministero
degl’esteri britannico, manda al suo capo Jack Straw alcune note di
suggerimento, per il rapporto che lo stesso Straw dovrà fare a Blair in vista
dell’incontro di Crawford tra il primo ministro e Bush. Come Manning anche
Ricketts rassicura Blair sulla sua influenza: “Condividendo alcuni degli obiettivi
principali di Bush, il Primo Ministro[…] potrà mettere all’attenzione del
Presidente alcune realtà che a Washigton sono senza dubbio meno evidenti.”
Tra queste c’è anche una visione più chiara della minaccia irachena: “La verità
è che il programmi ADM di Hussein non hanno accelerato il passo, è piuttosto
la nostra tolleranza in merito ad essere cambiata con l’ 11/9.” E poi “ tutta la
fatica degli USA per stabilire un legame Iraq–Al Qaida ha prodotto risultati
francamente poco convincenti.” Bush dovrebbe essere convinto a “concentrarsi
sull’eliminazione delle ADM ed a prendere seriamente la questione degli
ispettori…”
Una politica di questo tipo porterebbe comunque ad una vittoria: “o Saddam contro ogni
previsione lascia lavorare gli ispettori liberamente, nel qual caso possiamo continuare a tollerare i
suoi programmi, oppure gli ispettori verranno bloccati/ostacolati ed allora avremo argomenti più
forti per passare ad altri metodi.” La terza alternativa, ossia la possibilità che Saddam ammettesse
gli ispettori e questi trovassero trovato nulla, non viene menzionata.
CONFIDENZIALE E PERSONALE
N° pr. 121
Da: P F Ricketts
Responsabile Politico
Data: 22 marzo 2002
P.C. PUS
SEGRETARIO DI STATO
IRAQ: SUGGERIMENTI PER IL PRIMO MINISTRO
1. In risposta alla vostra richiesta di suggerimenti per le note da consegnare al Primo Ministro per la
sintesi d’un opinione ufficiale (abbiamo riunito tutte le informazioni a parte in un altro documento),
ecco i miei:
2. Condividendo l’obiettivo principale di Bush il Primo Ministro può influire sulla definizione del
progetto e sulla strategia per renderlo operativo. Nel processo potrà inoltre mettere all’attenzione
del Presidente alcune realtà che a Washigton sono senza dubbio meno evidenti ed aiutarlo a
prendere delle buone decisioni sottoponendogli i problemi che probabilmente non vengono
contemplati dalla macchina della sua aminitrazione.
3. Un ampio supporto all’operazione comunque prevede la discussione di due serie questioni.
4. Primo, la MINACCIA. La verità è che il programmi ADM di Hussein non hanno accelerato il
passo, è piuttosto la nostra tolleranza in merito ad essere cambiata con l’ 11/9: non è certo una cosa
da nascondere, ma cercare di sostenere il contrario in pubblico aumenterà soltanto lo scetticismo
verso la nostra posizione. Mi solleva sapere che avete deciso di posporre la pubblicazione dei
dossier protetti. Il mio incontro di ieri ha messo in evidenza che c’è ancora del lavoro da fare per
assicurarsi che le informazioni in nostro possesso appaiano accurate e compatibili con quelle USA;
anche la migliore delle analisi comunque, non mostrerebbe un avanzamento particolare, rispetto agli
ultimi anni, dei programmi nucleari, missilistici o CW/BW: sono dei programmi estremamente
preoccupanti ma per quello che ne sappiamo non sono ancora stati avviati.
5. Tutta la fatica degli USA per stabilire un legame Iraq–Al Qaida ha prodotto risultati francamente
poco convincenti. Per ottenere il necessario supporto pubblico e parlamentare alle operazioni
militari, abbiamo bisogno di essere convincenti sui punti seguenti:
 La minaccia è abbastanza seria/imminente da giustificare l’invio di truppe che metteranno a
repentaglio la loro vita;
 La minaccia è qualitativamente differente da quella rappresentata da altri paesi, con
programmi simili e ben è più vicini ad ottenere della tecnologia nucleare (Iran incluso).
Sulla differenza qualitativa abbiamo anche gli argomenti per sostenere la nostra tesi (solo l’Iraq ha
attaccato in passato i suoi vicini, usato CW e lanciato missili contro Israele), ma la strategia
generale dovrebbe includere uno sforzo rinnovato per affrontare comunque la questione, con altri
mezzi, con gli alti paesi prolificatori (in questo senso sarebbe utile la proposta GB/Francia per un
incremento delle attività AIEA). E ad ogni modo rimarrebbe il problema di come far accettare
all’opinione pubblica l’imminenza della minaccia irachena. Questo è un punto che il Primo Ministro
ed il Presidente dovrebbero discutere il più francamente possibile.
6. il secondo problema essenziale è la FASE FINALE. Le operazioni militari hanno bisogno di
obbiettivi militari, chiari e vincolanti. In Kosovo, erano fuori i Serbi, far arretrare i Kosovari e
dentro le forze d’interposizione; in Afghanistan, distruzione dei Talebani e delle basi d’appoggio di
Al Qaida. Per quanto riguarda l’Iraq invece, abbiamo un “cambio di regime”che non sta in piedi:
sembra tanto una cosa personale tra Bush ed Hussein.
Molto meglio sarebbe, come avete suggerito, porsi l’obiettivo di eliminare la minaccia che le ADM
irachene rappresentano peri la comunità internazionale, prima che Saddam decida di usarle o
venderle ai terroristi: sarebbe una cosa più semplice da giustificare sul piano del diritto
internazionale, per quanto più impegnativa. Un cambio al vertice che insediasse un altro generale
sunnita sarebbe una brutta situazione: i programmi ADM rimarrebbero probabilmente attivi ma
sarebbe contemporaneamente quasi impossibile mantenere le sanzioni ONU sull’Iraq in presenza
d’un leader che promettesse tutto il bene del mondo. Come è stato fatto contro UBL1, Bush farebbe
bene a de-personalizzare l’obiettivo principale, concentrarsi sull’eliminazione delle ADM
prendendo seriamente la questione degli ispettori,cominciando a considerarla la prima scelta per
raggiungere lo scopo (sarebbe comunque un successo: “o Saddam contro ogni previsione lascia
lavorare gli ispettori liberamente, nel qual caso possiamo continuare a tollerare i suoi programmi,
oppure gli ispettori verranno bloccati/ostacolati ed allora avremo argomenti più forti per passare ad
altri metodi).
1
Ndt: Usama bin Laden
7. Programmare la fase finale in questi termini, passando cioè per l’ONU, aiuterà anche a mantenere
un certo supporto dagli altri paesi europei, ma di certo sarà anche utile per far passare un messaggio
fondamentale di cui il Primo Ministro sottolineerà senza dubbio l’importanza: porre la questione
irachena come un problema della comunità internazionale e non come un affare privato degli USA.
PETER RICKETS
CONFIDENZIALE E PERSONALE
IL MINISTRO DEGLI ESTERI STRAW :
RIUNIONE A CRAWFORD SULL’IRAQ”.
Il 25 marzo 2002, Jack Straw scrive a Blair circa l’imminente visita da fare a
Bush. Il tono del ministro è sobrio: “Sono poche le cose che potete ottenere
con questo viaggio a Crawford, alti invece i rischi politici, sia per Voi che per il
governo.” Ad esser cambiata è ancora una volta non l’entità della minaccia
irachena quanto “il livello di tolleranza della comunità internazionale
(specialmente quella USA): il 9/11 tutto il mondo ha visto cosa possono
portare a termine oggigiorno delle persone malvagie.”
Straw spinge Blair a concentrarsi sulla “flagrante contravvenzione” dell’Iraq
“agli obblighi internazionali”, consiglia di considerare questo “il nucleo della
strategia” che dovrebbe avere al cuore “l’incondizionata riammissione degli
ispettori”. Poi, come i suoi colleghi, Straw si lascia andare a premonizioni d’un
futuro cupo: “Dobbiamo ancora rispondere alla domanda principale – con
questa operazione cosa otterremo? Sembra che su questa questione ci sia una
lacuna molto più grande che su qualsiasi altro punto” Anche se dall’America
arrivano “ferme convinzioni (sul) cambio di regime…, nessuno ha ancora
fornito una risposta soddisfacente sul come perseguire questo scopo, e
soprattutto su come assicurarsi che il nuovo governo sia migliore dell’attuale”.
SEGRETO E PERSONALE
PM/02/019
PRIMO MINISTRO
CRAWFORD/IRAQ
1. Sono poche le cose che potete ottenere con questo viaggio a Crawford, alti invece i rischi politici,
sia per Voi che per il governo. Sono convinto che al momento attuale non ci sia, all’interno del
PLP1, la maggioranza per qualsivoglia azione militare in Iraq, e anzi nello stesso PLP affiorano
senza difficoltà diverse preoccupazioni. I nostri colleghi sanno che Saddam ed il regime iracheno
sono cattivi, ma ce ne vorrà per convincerli, nell’ordine:
(a) delle proporzioni della minaccia rappresentata da Saddam, e del perchè questa minaccia sia
cresciuta;
(b) delle differenze tra la minaccia irachena e quella iraniana ad esempio ( o nordcoreana), che
giustificherebbero un’azione militare;
(c) delle giustificazioni legali che intendiamo usare, in termini di diritto internazionale;
(d) del fatto che a quest’azione militare farà davvero seguito un nuovo governo-rimpiazzo
accondiscendente e ligio
1
Parliamentary Labour Party: gruppo parlamentare dei Labour
2. Ad ogni modo tutto questo complesso esercizio sarà infinitamente più difficile da gestire fino a
ch il conflitto israelo-palestinese resterà nella presente fase acuta.
LE PROPORZIONI DELLA MINACCIA
3. Il regime iracheno costituisce chiaramente una seria minaccia per i paesi vicini, solo in secondo
luogo per la comunità internazionale. Tuttavia attraverso i documenti racimolati fin’ora è stato
difficile stabilire se la minaccia irachena sia così diversa da quella iraniana o nordcoreana da
giustificare un intervento (vedasi infra).
COS’E’ CHE E’ PEGGIORATO ?
4. Se non ci fosse stato l’11/9 difficilmente gli USA non starebbero considerando l’idea d’un
intervento armato in Iraq. Inoltre non c’è alcuna prova evidente che colleghi l’Iraq a UBL ed Al
Qaida e la minaccia posta dal regime di Hussein, oggettivamente, non è aumentata a causa dell’11
settembre: piuttosto è cambiata il livello di tolleranza della comunità internazionale (specialmente
quella USA): il 9/11 tutto il mondo ha visto cosa possono portare a termine oggigiorno delle
persone malvagie.
LA DIFFERENZA TRA IRAQ, IRAN E COREA DEL NORD.
5. Applicando la famosa etichetta di “asse del male” a questi tre paesi, il Presidente Bush li ha
messi sullo stesso piano non solo per quanto riguarda il tipo di minaccia che rappresenterebbero,
ma anche per le misure necessarie ad affrontare tale minaccia: ora ci vorrà molto lavoro per far
dimenticare tutto questo e dimostrare che un intervento militare sia più utile o giustificabile in Iraq
che in Iran od in Corea del Nord. Gli argomenti utilizzabili per questa tesi – che l’Iraq cioè
porrebbe un pericolo immediato e specifico, sono i seguenti:



l’Iraq ha invaso un paese confinante;
l’Iraq ha fatto uso di ADM e potrebbe farlo nuovamente;
l’Iraq continua ad infrangere ben nove risoluzioni ONU.
IL CONTESTO LEGALE INTERNAZIONALE
6. La flagrante contravvenzione irachena agli obblighi legali imposti dal Consiglio di Sicurezza
rappresenta di per se il nucleo di una strategia fondata sul diritto internazionale, ed a voler essere
sinceri tutta la campagna contro l’Iraq e quella (se necessaria) a favore di un’azione militare,
andrebbero poste strettamente sotto l’autorità delle legislazioni sovranazionali.
7. Per questa iniziativa dovremmo anche definire con più precisione le fasi del nostro procedere e
le spiegazioni che intendiamo addurre per ciascuna delle nostre iniziative. In particolare, all’inizio
dovremmo concentrarci su:

rendere operative le sanzioni prospettate al regime dalla ris. 1382;

esigere la riammissione degli ispettori, e che stavolta possano lavorare liberatamene ed
incondizionatamente (una formula simile, se ben mi ricordo, a quella che usò Cheney alla
vostra conferenza stampa congiunta) .
8. Sono cosciente dell’opinione di molti, per i quali un attacco all’Iraq sarebbe giustificato in ogni
caso, che gli ispettori vengano riammessi o meno, tuttavia sono anche convinto che esigere il loro
rientro incondizionato sia una mossa essenziale, in termini di rapporti con le opinioni pubbliche ma
anche in termini di sanzioni legali per ogni azione militare successiva.
9.
Dal punto di vista legale abbiamo due ostacoli principali:
(i) la volontà di rovesciare un regime non è di per se una giustificazione sufficiente all’intervento
armato, può senza dubbio far parte del metodo di ogni strategia, ma non può rappresentarne il fine.
Ovviamente ci troveremo nella posizione di affermare che un cambio di regime essenziale per il
nostro scopo – l’eliminazione delle ADM irachene : è quest’ultimo però che deve essere lo scopo
della nostra strategia.
(ii) bisogna decidere se un intervento militare avrebbe o meno bisogno d’un nuovo mandato del
CSNU: per Desert Fox non fu necessario. E’ probabile che gli USA si opporranno idea di nuove
autorizzazioni; d’altronde, secondo i nostri consiglieri legali, sarebbe invece necessario. Senza
ombra di dubbio poi una nuova risoluzione farebbe la differenza almeno nel PLP. Se un nuovo
mandato, data la posizione USA, risulta improbabile, è altresì vero che un pronunciamento del
Consiglio contro l’azione miliare, anche con tredici voti a favore (o astenuti) e due veti1, sarebbe
un bel problema.
LE CONSEGUENZE DI UN INTERVENTO MILITARE
10. Innanzitutto:una giustificazione legale è necessaria, ma non costituisce affatto condizione
sufficiente per alcun intervento armato; in secondo luogo dobbiamo ancora rispondere alla
domanda principale: con questa operazione cosa otterremo? Sembra che su questa questione ci sia
una lacuna molto più grande che su qualsiasi altro punto. Molti in america hanno la ferma
convinzione che cambiare regime equivalga a sbarazzarsi della minaccia ADM irachena, nessuno
però ha ancora fornito una risposta soddisfacente sul come perseguire questo scopo, e soprattutto
su come assicurarsi che il nuovo governo sia meglio dell’attuale.
11. L’Iraq NON ha mai conosciuto la democrazia, dunque nessun iracheno ne possiede
abitudine o esperienza.
(JACK STRAW)
Foreign and Commonwealth Office
25 marzo 2002
SEGRETO E PERSONALE
1
Ndr. Cina e Russia ?
IRAQ: CONDIZIONI PER L’ AZIONE MILITARE
Il 21 luglio 2005 alcuni ufficiali del Cabinet Office realizzarono un documento
che fotografava l’evoluzione del caso Iraq. Anche se sono ormai passati tre
mesi dalla famosa visita a Crawford di Blair, non sembra essere in realtà
cambiato molto, almeno per quello che si percepisce dalle parole del dossier. I
ministri vengono nuovamente invitati a prendere atto che negli USA “non si è
pensato granché a come creare le condizioni politiche per l’azione militare, né
tanto meno si è pensato al dopoguerra e come affrontarlo.” Per l’ennesima
volta viene rinnovata la proposta di ottenere dal CSNU “un ultimatum che
Saddam rifiuterebbe… e che sarebbe invece percepito come più che
ragionevole dalla comunità internazionale”. In fine l’autore avverte che “un
dopoguerra d’occupazione, in Iraq, potrebbe trasformarsi in un lungo e
costoso esercizio di nation-building. Come già chiarito, i piani USA sono in
proposito praticamente muti.” Gli inglesi concludono per la necessità di “Sarà
necessario definire più precisamente le modalità di raggiungimento del nostro
scopo finale.” A Washington invece, rimasero ancora “praticamente muti”
[Nota: il documento che giunse nelle mani dei giornalisti mancava dell’ultima
pagina .]
PERSONALE E SEGRETO – SOLO PER OCCHI INGLESI
IRAQ: CONDIZIONI PER L’AZIONE MILITARE (Nota degli ufficiali)
SOMMARIO
Si invitano i ministri:
(1) a prendere visione della strategia militare USA e delle possibili tabelle di marcia per
l’intervento;
(2) a riconoscere che l’obiettivo di qualsiasi azione militare dovrebbe essere un Iraq dal governo
stabile, con un chiaro stato di legalità, compreso nei suoi confini attuali, cooperante con la
comunità internazionale e soprattutto un Iraq che non rappresenti più una minaccia né per i suoi
vicini né per la sicurezza internazionale e che adempia ai suoi obblighi sulle ADM;
(3) ad impegnarsi nel convincere gli USA che qualsiasi piano militare vada necessariamente
inserito in una realistica strategia politica, il che significa avere un’idea chiara circa la successione
di Saddam e creare le condizioni necessarie per giustificare un’azione militare ufficiale:
quest’ultimo punto potrebbe richiedere un ultimatum per il rientro degli ispettori ONU in Iraq ed
anche che il Primo Ministro contatti il Presidente Bush prima del 4 agosto, giorno dell’ultima
riunione preparatoria USA sui piani militari;
(4) a prendere atto dei tempi necessari alla GB per equipaggiare un esercito che possa combattere
nel teatro iracheno, tempi che potrebbero rivelarsi lunghi; ed a riconoscere che il MOD dovrebbe
avanzare le proposte necessarie per la fornitura di un Urgent Optional Requirements, soprattutto
sulla base di quanto imparato in Afghanistan e nelle conseguenze della SR2002 .
(5 ) A stabilire la creazione di un gruppo ad hoc che, sotto l’egida del Cabinet Office
Chairmanship si occupi dello sviluppo di una campagna mediatica da concordare con gli USA.
INTRODUZIONE
1. Il governo statunitense procede velocemente con la stesura dei piani militari per l’azione in
Iraq, ma questi, come già detto, non prevedono la creazione di alcun contesto politico. In
particolare non si è pensato granché a come creare le condizioni politiche per l’azione militare, né
tanto meno si è pensato al dopoguerra e come affrontarlo.
2. Quando a Crawford, lo scorso aprile, il Primo Ministro discusse dell’Iraq col Presidente Bush,
disse che la GB avrebbe fornito il suo contributo militare al cambio di regime, ma a patto che
fossero rispettate alcune condizioni: che ci si impegnasse a costruire una coalizione/ad orientare il
consenso dell’opinione pubblica; che la situazione israelo-palestinese fosse in quiete e che ogni
strada per eliminare le ADM irachene passando per l’ONU fosse stata tentata.
3. Ora è necessario insistere su questo messaggio ed incoraggiare il governo statunitense a
progettare la sua strategia militare all’interno del contesto politico, anche per prevenire il rischio
che le operazioni precipitino in modo inaspettato, ad esempio per qualche incidente nelle NFZs.
Questo punto è di estrema importanza per la GB: è necessario creare le condizioni per rendere
legale il nostro supporto all’intervento armato. C’è altrimenti il pericolo che gli USA
intraprendano una serie di azioni che ci sarebbe molto difficile supportare.
4. Per realizzare le condizioni poste dal Primo Ministro ci sono diverse cose da preparare ed altri
punti da prendere in considerazione, questo documento li affronta tutti in una forma che, con
qualche adattamento, può essere usata anche per i nostri rapporti con gli USA. Secondo le
intenzioni USA, potrebbe rendersi presto necessaria una decisione di massima, ammesso che la GB
partecipi alle operazioni, sulle modalità della nostra partecipazione all’intervento armato.
LO SCOPO
5. Il nostro obiettivo dovrebbe essere un Iraq dal governo stabile, con un chiaro stato di legalità,
compreso nei suoi confini attuali, cooperante con la comunità internazionale e soprattutto un Iraq
che non rappresenti più una minaccia né per i suoi vicini né per la sicurezza internazionale e che
adempia ai suoi obblighi sulle ADM. Appare improbabile che queste condizioni possano
verificarsi finché il regime attuale sarà ancora al potere. I piani militari USA individuano senza
alcun dubbio il loro obiettivo nella rimozione del regime di Hussein, e successivamente nella
distruzione delle ADM irachene. Dal punto di vista britannico tuttavia, l’ordine degli obiettivi
dovrebbe essere invertito: il cambio di regime sarà anche una misura necessaria per controllare le
ADM, ma non è certamente sufficiente.
I PIANI MILITARI USA
6. Anche se non è stata ancora presa alcuna decisione politica, gli strateghi statunitensi hanno già
sottoposto al governo diverse opzioni per l’invasione dell’Iraq. Un piano Partenza Immediata
potrebbe essere operativo già a Novembre di quest’anno senza manovre particolarmente visibili:
attacchi aerei e supporto ai gruppi d’opposizione interna dovrebbero dare luogo inizialmente ad
operazioni terrestri su piccola scala, cui farebbe seguito un ulteriore e graduale spiegamento di
forze fino alla completa sconfitta delle forze irachene ed al collasso del regime. Una Partenza
Graduale prevedrebbe invece manovre più lunghe prima di ogni ingaggio, ed il piano non sarebbe
comunque operativo prima di gennaio 2003. I piani militari non contemplano alcun contesto
strategico, né prima né dopo la campagna. Al momento l’Amministrazione sembra propendere per
Partenza Immediata, CDS si riserva di fornire informazioni più dettagliate al Primo Ministro non
appena possibile.
7. I piani USA danno per scontate almeno le nostre basi di Cipro e Diego Garcia, e questo
significa che qualsiasi decisione prenda il Primo Ministro, la questione d’un fondamento legale
alle operazioni potrebbe presentarsi comunque.
FATTIBILITA’ DEI PIANI
8. I Chiefs of Staff hanno discusso la fattibilità dei piani militari USA: il primo responso è stato
che ci sono diversi punti da chiarire prima di poterne decidere la validità. In particolare si fa
riferimento al realismo di Partenza Immediata, al dubbio su quanto questi piani siano a prova di
contrattacchi chimici o batteriologici ed alla certezza USA sui bersagli logistici e sulla presunta
(non) volontà a combattere dell’esercito iracheno.
IL CONTRIBUTO MILITARE DELLA GB
9. Le capacità contributive della GB in termini di truppe dipendono dai dettagli dei piani USA e
dal tempo disponibile per prepararle e dispiegarle. Il MOD sta esaminando la questione nei dettagli
nell’ipotesi d’un’operazione guidata dagli USA. Le opzioni vanno dallo spiegamento di una
divisione (vale a dire lo stesso impegno della Guerra del Golfo più forze navali ed aeree) alla
semplice concessione delle basi. E’ apparso comunque evidente da subito che la GB non sarà in
grado di produrre un’intera divisione in tempo per gennaio 2003, a meno di decisioni pubbliche,
ufficiali e prese velocemente. Nel calcolare ogni scadenza va tenuto conto anche del tempo
necessario alla liquidazione degli Urgent Operational Requirements1, per i quali al momento non
c’è alcuna copertura finanziaria.
CONDIZIONI NECESSARIE PER L’INTERVENTO MILITARE
10.
A parte la validità dei piani strategici, consideriamo essenziali per la possibilità d’un
intervento armato e per la partecipazione della GB i punti seguenti:
una giustificazione /
fondamento legale; una coalizione internazionale; una contingente situazione di calma tra Israele e
Palestina; un rapporto positivo quanto a rischi/benefici e la preparazione dell’opinione pubblica
interna.
GIUSTIFICAZIONE LEGALE
1
Ndt: Necessità Operativi Urgenti.
11. L’interpretazione americana del diritto internazionale è molto diversa da quella britannica e
del resto della comunità internazionale; un cambio di regime è tuttavia possibile come risultato di
un’azione del tutto legale. Consideriamo legale l’uso della forza contro l’Iraq, o contro qualsiasi
altro paese, se esercitato in nome del diritto all’autodifesa, individuale o collettiva se esercitato per
scongiurare una disastrosa catastrofe umanitaria o se autorizzato dal Consiglio di Sicurezza ONU.
Un’ analisi dettagliata degli aspetti legali, preparata nel corso di quest’anno, è all’allegato A. La
posizione legale dipenderebbe ad ogni modo dalle circostanze del momento. In linea di principio le
basi legali per un intervento potrebbero essere individuate anche nei primi due punti, ma sarebbero
difficili da sostenere, ad esempio, per quanto concerne l’immediatezza e la proporzionalità. Su
questo punto sono necessarie ulteriori consulenze legali.
12. Il punto precedente lascia aperta la strada delle risoluzione degli ispettori. Kofi Annan ha
condotto tre cicli d’incontri con i rappresentanti iracheni nel tentativo di persuaderli a riammettere
gli ispettori. Non c’è stato dunque alcun sostanziale progresso: gli iracheni sono deliberatamente
evasivi. Annan ha cercato di abbassare il tono degli incontri ma si prospettano nuove infruttuose
riunioni: dobbiamo convincere l’ONU e la comunità internazionale che non possiamo tollerare
all’infinito questa situazione. Dobbiamo decidere una scadenza, arrivare ad un ultimatum e la cosa
migliore sarebbe ottenere il supporto di una risoluzione del Consiglio: a questo scopo sarebbe
auspicabile esplorare in anticipo con Annan, ed in particolare con i Russi, il modo migliore per
ottenerla.
13. Sotto la pressione d’un azione militare, probabilmente Saddam ammetterà gli ispettori con la
speranza di scongiurarla, una volta dentro però non gli permetterà di operare liberamente.
L’UNMOVIC (ex UNSCOM) avrà bisogno di sei mesi, dal suo ingresso nel paese, per portare a
regime il sistema di monitoraggio e verifica che secondo la ris. 1284 dovrà stabilire se l’Iraq sta
rispettando o meno i suoi obblighi. Quindi ammesso che gli ispettori siano riammessi oggi, per
gennaio 2003 avrebbero appena finito di organizzasi, senza contare che nel frattempo il regime
potrebbe decidere di intralciare il loro lavoro, anche se è più probabile che iniziative di questo
genere si verifichino quando le ispezioni saranno pienamente operative.
14. E’ anche possibile che si riesca a confezionare un ultimatum che Saddam rifiuterebbe (causa
l’indisponibilità a garantire accesso incondizionato agli ispettori) e che sarebbe invece percepito
come più che ragionevole dalla comunità internazionale. Tolta questa ipotesi comunque (o un
attacco iracheno) è improbabile che si riesca ad ottenere l’adeguato fondamento legale alle
operazioni per gennaio 2003.
UNA COALIZIONE INTERNAZIONALE
15. Una coalizione internazionale è necessaria dal punto di vista militare ed auspicabile da quello
politico.
16. I piani militari USA danno per certa la disponibilità delle basi nel Kuwait (per forze aeree e
terrestri), in Giordania, nel Golfo (forze navali ed aeree) e di quelle in territorio britannico (Diego
Garcia e le nostre basi a Cipro). E’ anche previsto che l’Arabia Saudita garantisca una certa
cooperazione, eccezion fatta per la concessione dello spazio aereo a voli militari. Nella
convinzione che l’intervento prevedrà operazioni nell’area kurda settentrionale, sembra necessario
anche l’utilizzo della basi turche.
17. In assenza d’un autorizzazione ONU ci saranno problemi ad assicurarsi il supporto degli altri
partner NATO ed UE. L’Australia sembra disposta a partecipare sulle stesse basi britanniche, la
Francia potrebbe essere disposta a fare la sua parte qualora un’azione militare si dimostrasse
inevitabile, Russia e Cina, desiderose di migliorare i loro rapporti con gli USA, potrebbero mettere
da parte ogni ritrosia in cambio della sufficiente attenzione alle loro preoccupazioni legali ed
economiche. E’ probabile che la cosa migliore che dobbiamo aspettarci dall’area sia la neutralità.
Gli USA inoltre sono propensi a trattenere Israele dal prendere parte al conflitto. In pratica la gran
parte della comunità internazionale troverà difficile intralciare il cammino alla più che determinata
egemonia statunitense: più grande sarà il supporto internazionale, maggiori le probabilità di
successo.
LA QUESTIONE PALESTINESE
18. La re-occupazione israeliana del West Bank ha tamponato la violenza palestinese per il
momento, ma è una situazione insostenibile sul lungo periodo e produrrà nel futuro ulteriori
problemi. Quantomeno il discorso di Bush rappresenta un mezzo passo avanti. In questo momento
stiamo cercando di usare il programma di riforme palestinese per fare progressi e speriamo di
riesumare anche i negoziati politici. Gli americani parlano di una conferenza ministeriale
sull’argomento, non prima di novembre però. Avanzare verso la definizione di un’accettabile stato
palestinese è il modo migliore per tagliare fuori gli estremisti e ridurre l’avversione araba verso
un’azione militare contro Saddam Hussein. Tuttavia rimane altamente probabile una recrudescenza
del conflitto tra Israele e palestinesi, ed una ripresa delle ostilità in concomitanza dei preparativi
per la campagna militare non può essere esclusa a priori e sottovalutata: Saddam si servirebbe della
violenza nei Territori Occupati per incitare i popoli arabi a supportare il suo regime.
BENEFICI / RISCHI
19. Anche in presenza d’una solida base legale e di piani militari efficienti dovremmo ancora
assicurarci che i benefici d’una simile iniziativa superino i rischi del caso. In particolare dobbiamo
essere sicuri che le spese dell’operazione ci consentiranno di raggiungere gli obiettivi di cui al
precedente paragrafo 5. Un dopoguerra d’occupazione, in Iraq, potrebbe trasformarsi in un lungo e
costoso esercizio di nation-building. Come già chiarito, i piani USA sono in proposito
praticamente muti, e potrebbe anche darsi che Washington guardi a noi per dividere, e
sproporzionatamente, il peso di questo fardello. Sarà necessario definire più precisamente le
modalità di raggiungimento del nostro scopo finale ed in particolare quale forma di governo dovrà
sostituire il regime di Saddam, nonché avere una chiare idea dei tempi entro i quali individuare un
successore. Inoltre non possiamo non analizzare in maggior dettaglio l’impatto delle operazioni
militari sul resto degli interessi britannici nell’regione.
OPINIONE PUBBLICA INTERNA
20.
Avremo bisogno di tempo per preparare l’opinione pubblica in GB all’idea che sia
necessario prendere le armi contro Saddam Hussein, e sarà necessario anche un grande sforzo per
assicurarsi l’appoggio del Parlamento. Inoltre è fondamentale che la campagna mediatica sia
concertata con quella, più ampia, pensata ad hoc per influenzare Saddam, il mondo islamico e
l’opinione pubblica internazionale1 : servirà a dare credibilità alla minaccia posta da Hussein,
comprese le sue ADM, ed aiuterà per ottenere un fondamento legale.
TABELLE DI MARCIA
21. Per quanto gli USA possano essere pronti all’attacco già da novembre, pensiamo di poter
ritenere improbabile che la campagna venga iniziata prima di gennaio 2005, anche solo per il
tempo che ci vorrà a guadagnare il consenso necessario nella stessa Washington. Ciò detto,
ripetiamo che, anche per ragioni climatiche, l’azione militare dovrebbe prendere il via nel gennaio
del 2003, sempre che non si rimandi all’autunno successivo.
22. Inoltre, come il presente documento fa esplicito, anche siffatte tabelle di marcia presentano
dei problemi, ciò significa:
(a) che dobbiamo cercare di influenzare le strategie militari statunitensi prima che il
Presidente Bush abbia il suo ultimo briefing del 4 agosto, e per farlo saranno necessari
contatti tra il Primo Ministro ed il Presidente, oltre che a tutti gli altri livelli.
[il documento arrivato ai giornali si interrompe qui]
1
Ndt: nel testo si parla di overseas information campaign, cfr. nota 1 pag 4