Chiese
Transcript
Chiese
F rancesco | Document� 36/2015 sacerdoti Sacerdoti, dono di Dio per il bene di tutti S Udienza ai partecipanti al Convegno promosso dalla Congregazione per il clero «Un buon prete è prima di tutto un uomo con la sua propria umanità, che conosce la propria storia, con le sue ricchezze e le sue ferite, e che ha imparato a fare pace con essa, raggiungendo la serenità di fondo, propria di un discepolo del Signore. La formazione umana è quindi una necessità per i preti, perché imparino a non farsi dominare dai loro limiti». Il 20 novembre, ricevendo in udienza i partecipanti al Convegno promosso dalla Congregazione per il clero nel 50° anniversario dei decreti conciliari Optatam totius e Presbyterorum ordinis, Francesco ha rivolto loro alcuni pensieri sulla figura del prete secondo la visione del Concilio: un uomo preso «fra gli uomini», costituito «in favore degli uomini», presente «in mezzo agli altri uomini». Il papa ha anche richiamato i vescovi a stare vicini ai loro preti e alla residenza nelle loro diocesi: «Se non te la senti di rimanere in diocesi, dimettiti, e gira il mondo (...). Ma se sei vescovo di quella diocesi, residenza». Stampa (21.11.2015) da sito web www.vatican.va. Documenti 36/2015 ignori cardinali, cari fratelli vescovi e sacerdoti, fratelli e sorelle, rivolgo a ciascuno un cordiale saluto ed esprimo un sincero ringraziamento a lei, cardinale Stella, e alla Congregazione per il clero, che mi hanno invitato a partecipare a questo Convegno, a cinquant’anni dalla promulgazione dei decreti conciliari Optatam totius e Presbyterorum ordinis. Mi scuso per aver cambiato il primo progetto, che era che venissi io da voi; ma avete visto che il tempo non c’era e anche qui sono arrivato in ritardo! 9 Lombardi sul nuovo Vatileaks In una nota per Radio vaticana il direttore della Sala stampa della Santa Sede offre alcuni chiarimenti sul recente caso di divulgazione di documenti vaticani riservati. 12 Parigi di fronte alla barbarie Dopo gli attentati del 13 novembre, l’arcivescovo di Parigi, card. Vingt-Trois, celebra nella Cattedrale di Notre-Dame una messa per le vittime, le famiglie e la Francia. 15 Cremazione: riflessioni liturgiche Il Servizio nazionale di pastorale liturgica e sacramentale dell’episcopato francese propone alcune riflessioni liturgiche relative alla pratica crescente della cremazione. Direttore responsabile: Gianfranco Brunelli Caporedattore per Documenti: p. Marco Bernardoni Segretaria di redazione: Valeria Roncarati Redazione: p. Marco Bernardoni, Gianfranco Brunelli, Alessandra Deoriti, p. Alfio Filippi, Maria Elisabetta Gandolfi, p. Marcello Matté, Guido Mocellin, Marcello Neri, p. Lorenzo Prezzi, Daniela Sala, Paolo Segatti, Piero Stefani, Francesco Strazzari, Antonio Torresin, Mariapia Veladiano Editore: Centro Editoriale Dehoniano, spa Progetto Grafico: Scoutdesign Srl Impaginazione: Omega Graphics Snc - Bologna Stampa: italia tipolitografia s.r.l. - Ferrara Registrazione del Tribunale di Bologna N. 2237 del 24.10.1957. Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana Direzione e redazione: Via Scipione Dal Ferro, 4 40138 Bologna - tel. 051/3941511 segr. 051/3941309 - fax 051/3941399 - www.ilregno.it e-mail: [email protected] Per la pubblicità: Ufficio commerciale CED-EDB e-mail: [email protected] tel. 051/3941206 - fax 051/3941299 Abbonamenti: tel. 051/3941255 - fax 051/3941299 e-mail: [email protected] Quote di abbonamento per l’anno 2015 Il Regno - attualità carta + documenti solo digitale Italia € 65,00; Europa € 90,00; Resto del mondo € 100,00. Il Regno - attualità + documenti edizione digitale Italia € 65,00; Europa € 65,00; Resto del mondo € 65,00. Una copia e arretrati: € 5,00 (CCP 264408 intestato a Centro Editoriale Dehoniano) Anno LX - N. 1223 - 27 novembre 2015 F rancesco Non si tratta di una «rievocazione storica». Questi due decreti sono un seme, che il Concilio ha gettato nel campo della vita della Chiesa; nel corso di questi cinque decenni essi sono cresciuti, sono diventati una pianta rigogliosa, certamente con qualche foglia secca, ma soprattutto con tanti fiori e frutti che abbelliscono la Chiesa di oggi. Ripercorrendo il cammino compiuto, questo Convegno ha mostrato tali frutti e ha costituito un’opportuna riflessione ecclesiale sul lavoro che resta da fare in questo ambito così vitale per la Chiesa. Ancora resta lavoro da fare! Optatam totius e Presbyterorum ordinis sono stati ricordati insieme, come le due metà di una realtà unica: la formazione dei sacerdoti, che distinguiamo in iniziale e permanente, ma che costituisce per essi un’unica esperienza di discepolato. Non a caso, papa Benedetto, nel gennaio 2013 (motu proprio Ministrorum institutio) ha dato una forma concreta, giuridica, a questa realtà, attribuendo alla Congregazione per il clero anche la competenza sui seminari. In questo modo lo stesso dicastero può iniziare a occuparsi della vita e del ministero dei presbiteri sin dal momento dell’ingresso in seminario, lavorando perché le vocazioni siano promosse e curate, e possano sbocciare nella vita di santi preti. Il cammino di santità di un prete inizia in seminario! Dal momento che la vocazione al sacerdozio è un dono che Dio fa ad alcuni per il bene di tutti, vorrei condividere con voi alcuni pensieri, proprio a partire dal rapporto tra i preti e le altre persone, seguendo il n. 3 di Presbyterorum ordinis, nel quale si trova come un piccolo compendio di teologia del sacerdozio, tratto dalla Lettera agli Ebrei: «I presbiteri sono stati presi fra gli uomini e costituiti in favore degli uomini stessi nelle cose che si riferiscono a Dio, per offrire doni e sacrifici in remissione dei peccati, vivono quindi in mezzo agli altri uomini come fratelli in mezzo ai fratelli» (EV 1/1249). Consideriamo questi tre momenti: «presi fra gli uomini», «costituiti in favore degli uomini», presenti «in mezzo agli altri uomini». «Presi fra gli uomini» Il sacerdote è un uomo che nasce in un certo contesto umano; lì apprende i primi valori, assorbe la spiritualità del popolo, si abitua alle relazioni. Anche i preti hanno una storia, non sono «funghi» che spuntano improvvisamente in Cattedrale nel giorno della loro ordinazione. È importante che i formatori e i preti stessi ricordino questo e sappiano tenere conto di tale storia personale lungo il cammino della formazione. Il Regno - documenti 36/2015 Nel giorno dell’ordinazione dico sempre ai sacerdoti, ai neo-sacerdoti: ricordatevi da dove siete stati presi, dal gregge, non dimenticatevi della vostra mamma e della vostra nonna! Questo lo diceva Paolo a Timoteo, e lo dico anch’io oggi. Questo vuol dire che non si può fare il prete credendo che uno è stato formato in laboratorio, no; incomincia in famiglia con la «tradizione» della fede e con tutta l’esperienza della famiglia. Occorre che essa sia personalizzata, perché è la persona concreta a essere chiamata al discepolato e al sacerdozio, tenendo in ogni caso conto che è solo Cristo il Maestro da seguire e a cui configurarsi. Mi piace in questo senso ricordare quel fondamentale «centro di pastorale vocazionale» che è la famiglia, Chiesa domestica e primo e fondamentale luogo di formazione umana, dove può germinare nei giovani il desiderio di una vita concepita come cammino vocazionale, da percorrere con impegno e generosità. In famiglia e in tutti gli altri contesti comunitari – scuola, parrocchia, associazioni, gruppi di amici – impariamo a stare in relazione con persone concrete, ci facciamo modellare dal rapporto con loro, e diventiamo ciò che siamo anche grazie a loro. Un buon prete, dunque, è prima di tutto un uomo con la sua propria umanità, che conosce la propria storia, con le sue ricchezze e le sue ferite, e che ha imparato a fare pace con essa, raggiungendo la serenità di fondo, propria di un discepolo del Signore. La formazione umana è quindi una necessità per i preti, perché imparino a non farsi dominare dai loro limiti, ma piuttosto a mettere a frutto i loro talenti. Un prete che sia un uomo pacificato saprà diffondere serenità intorno a sé, anche nei momenti faticosi, trasmettendo la bellezza del rapporto col Signore. Non è normale invece che un prete sia spesso triste, nervoso o duro di carattere; non va bene e non fa bene, né al prete né al suo popolo. Ma se tu hai una malattia, sei nevrotico, vai dal medico! Dal medico spirituale e dal medico clinico: ti daranno pastiglie che ti faranno bene, ambedue! Ma per favore che i fedeli non paghino la nevrosi dei preti! Non bastonare i fedeli; vicinanza di cuore con loro. Noi sacerdoti siamo apostoli della gioia, annunciamo il Vangelo, cioè la «buona notizia» per eccellenza; non siamo certo noi a dare forza al Vangelo – alcuni lo credono –, ma possiamo favorire o ostacolare l’incontro tra il Vangelo e le persone. La nostra umanità è il «vaso di creta» in cui custodiamo il tesoro di Dio, un vaso di cui dobbiamo avere cura, per trasmettere bene il suo prezioso contenuto. Un prete non può perdere le sue radici, resta sempre un uomo del popolo e della cultura che lo hanno 2 F rancesco generato; le nostre radici ci aiutano a ricordare chi siamo e dove Cristo ci ha chiamati. Noi sacerdoti non caliamo dall’alto, ma siamo chiamati, chiamati da Dio, che ci prende «fra gli uomini», per costituirci «in favore degli uomini». Mi permetto un aneddoto. In diocesi, anni fa... Non in diocesi, no, nella Compagnia c’era un prete bravo, bravo, giovane, prete da due anni. È entrato in confusione, ha parlato col padre spirituale, con i suoi superiori, con i medici e ha detto: «Io me ne vado, non ne posso più, me ne vado». E pensando a queste cose – io conoscevo la mamma, gente umile – gli ho detto: «Perché non vai dalla tua mamma e le parli di questo?». È andato, ha passato tutta la giornata con la mamma, è tornato cambiato. La mamma gli dato due «schiaffi» spirituali, gli ha detto tre o quattro verità, lo ha messo a posto, ed è andato avanti. Perché? Perché è andato alla radice. Per questo è importante non togliere la radice da dove veniamo. In seminario devi fare la preghiera mentale… Sì, certo, questo si deve fare, imparare… Ma prima di tutto prega come ti ha insegnato tua mamma, e poi vai avanti. Ma sempre la radice è lì, la radice della famiglia, come hai imparato a pregare da bambino, anche con le stesse parole, incomincia a pregare così. Poi andrai avanti nella preghiera. «In favore degli uomini» Qui c’è un punto fondamentale della vita e del ministero dei presbiteri. Rispondendo alla vocazione di Dio, si diventa preti per servire i fratelli e le sorelle. Le immagini di Cristo che prendiamo come riferimento per il ministero dei preti sono chiare: Egli è il «sommo sacerdote», allo stesso modo vicino a Dio e vicino agli uomini; è il «servo», che lava i piedi e si fa prossimo ai più deboli; è il «buon pastore», che sempre ha come fine la cura del gregge. Sono le tre immagini a cui dobbiamo guardare, pensando al ministero dei preti, inviati a servire gli uomini, a far loro giungere la misericordia di Dio, ad annunciare la sua Parola di vita. Non siamo sacerdoti per noi stessi e la nostra santificazione è strettamente legata a quella del nostro popolo, la nostra unzione alla sua unzione: tu sei unto per il tuo popolo. Sapere e ricordare di essere «costituiti per il popolo» – popolo santo, popolo di Dio –, aiuta i preti a non pensare a sé, a essere autorevoli e non autoritari, fermi ma non duri, gioiosi ma non superficiali, insomma, pastori, non funzionari. In entrambe le Letture della Messa di oggi si vede chiaramente la capacità di gioire che ha il popolo, quando viene ripristinato e purificato il tempio, e inIl Regno - documenti 36/2015 vece l’incapacità di gioia che hanno i capi dei sacerdoti e gli scribi davanti alla cacciata dei mercanti dal tempio da parte di Gesù. Un prete deve imparare a gioire, non deve mai perdere, meglio così, la capacita di gioia: se la perde c’è qualcosa che non va. E vi dico sinceramente, io ho paura a irrigidire, ho paura. Ai preti rigidi... Lontano! Ti mordono! E mi viene alla mente quella espressione di sant’Ambrogio, nel IV secolo: «Dove c’è la misericordia c’è lo spirito del Signore, dove c’è la rigidità ci sono soltanto i suoi ministri». Il ministro senza il Signore diventa rigido, e questo è un pericolo per il popolo di Dio. Pastori, non funzionari. Il popolo di Dio e l’umanità intera sono destinatari della missione dei sacerdoti, a cui tende tutta l’opera della formazione. La formazione umana, quella intellettuale e quella spirituale confluiscono naturalmente in quella pastorale, alla quale forniscono strumenti e virtù e disposizioni personali. Quando tutto questo si armonizza e si amalgama con un genuino zelo missionario, lungo il cammino di una vita intera, il prete può adempiere alla missione affidata da Cristo alla sua Chiesa. «In mezzo agli altri uomini» Infine, ciò che dal popolo è nato, col popolo deve rimanere; il prete è sempre «in mezzo agli altri uomini», non è un professionista della pastorale o dell’evangelizzazione, che arriva e fa ciò che deve – magari bene, ma come fosse un mestiere – e poi se ne va a vivere una vita separata. Si diventa preti per stare in mezzo alla gente: la vicinanza. E mi permetto, fratelli vescovi, anche la nostra vicinanza di vescovi con i nostri preti. Questo vale anche per noi! Quante volte sentiamo le lamentele dei preti: «Mah, ho chiamato il vescovo perché ho un problema… Il segretario, la segretaria, mi ha detto che è molto occupato, che è in giro, che non può ricevermi prima di tre mesi…». Due cose. La prima. Un vescovo sempre è occupato, grazie a Dio, ma se tu vescovo ricevi una chiamata di un prete e non puoi riceverlo perché hai tanto lavoro, almeno prendi il telefono e chiamalo e digli: «È urgente? Non è urgente? Quando, vieni quel giorno…», così si sente vicino. Ci sono vescovi che sembrano allontanarsi dai preti... Vicinanza, almeno una telefonata! E questo è amore di padre, fraternità. E l’altra cosa. «No, ho una conferenza in tale città e poi devo fare un viaggio in America, e poi...». Ma, senti, il decreto di residenza di Trento ancora è vigente! E se tu non te la senti di rimanere in diocesi, 3 F rancesco dimettiti, e gira il mondo facendo un altro apostolato molto buono. Ma se tu sei vescovo di quella diocesi, residenza. Queste due cose, vicinanza e residenza. Ma questo è per noi vescovi! Si diventa preti per stare in mezzo alla gente. Il bene che i preti possono fare nasce soprattutto dalla loro vicinanza e da un tenero amore per le persone. Non sono filantropi o funzionari, i preti sono padri e fratelli. La paternità di un sacerdote fa tanto bene. Vicinanza, viscere di misericordia, sguardo amorevole: far sperimentare la bellezza di una vita vissuta secondo il Vangelo e l’amore di Dio che si fa concreto anche attraverso i suoi ministri. Dio che non rifiuta mai. E qui penso al confessionale. Sempre si possono trovare strade per dare l’assoluzione. Accogliere bene. Ma alcune volte non si può assolvere. Ci sono preti che dicono: «No, da questo non ti posso assolvere, vattene via». Questa non è la strada. Se tu non puoi dare l’assoluzione, spiega e dì: «Dio ti ama tanto, Dio ti vuole bene. Per arrivare a Dio ci sono tante vie. Io non ti posso dare l’assoluzione, ti do la benedizione. Ma torna, torna sempre qui, che ogni volta che tu torni ti darò la benedizione come segno che Dio ti ama». E quell’uomo o quella donna se ne va pieno di gioia perché ha trovato l’icona del Padre, che non rifiuta mai; in una maniera o nell’altra lo ha abbracciato. Un buon esame di coscienza per un prete è anche questo; se il Signore tornasse oggi, dove mi troverebbe? «Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21). E il mio cuore dov’è? In mezzo alla gente, pregando con e per la gente, coinvolto con le loro gioie e sofferenze, o piuttosto in mezzo alle cose del mondo, agli affari terreni, ai miei «spazi» privati? Un prete non può avere uno spazio privato, perché è sempre o col Signore o col popolo. Io penso a quei preti che ho conosciuto nella mia città, quando non c’era la segreteria telefonica, ma dormivano con il telefono sul comodino, e a qualunque ora chiamasse la gente, loro si alzavano a dare l’unzione: non moriva nessuno senza i sacramenti! Neppure nel riposo avevano uno spazio privato. Questo è zelo apostolico. La risposta a questa domanda: il mio cuore dov’è?, può aiutare ogni prete a orientare la sua vita e il suo ministero verso il Signore. Curare il discernimento vocazionale Il Concilio ha lasciato alla Chiesa «perle preziose». Come il mercante del Vangelo di Matteo (13,45), oggi andiamo alla ricerca di esse, per trarre nuovo Il Regno - documenti 36/2015 slancio e nuovi strumenti per la missione che il Signore ci affida. Una cosa che vorrei aggiungere al testo – scusatemi! – è il discernimento vocazionale, l’ammissione al seminario. Cercare la salute di quel ragazzo, salute spirituale, salute materiale, fisica, psichica. Una volta, appena nominato maestro dei novizi, anno 1972, sono andato a portare alla psicologa gli esiti del test di personalità, un test semplice che si faceva come uno degli elementi del discernimento. Era una brava donna, e anche un bravo medico. Mi diceva: «Questo ha questo problema ma può andare se va così…». Era anche una buona cristiana, ma in alcuni casi era inflessibile: «Questo non può» – «Ma dottoressa, è tanto buono questo ragazzo» – «Adesso è buono, ma sappia che ci sono giovani che sanno inconsciamente, non ne sono consapevoli, ma sentono inconsciamente di essere psichicamente ammalati e cercano per la loro vita strutture forti che li difendano, così da poter andare avanti. E vanno bene, fino al momento in cui si sentono bene stabiliti e lì incominciano i problemi» – «Mi sembra un po’ strano...». E la risposta non la dimentico mai, la stessa del Signore a Ezechiele: «Padre, lei non ha mai pensato perché ci sono tanti poliziotti torturatori? Entrano giovani, sembrano sani ma quando si sentono sicuri, la malattia incomincia a uscire. Quelle sono le istituzioni forti che cercano questi ammalati incoscienti: la polizia, l’esercito, il clero… E poi tante malattie che tutti noi conosciamo che vengono fuori». È curioso. Quando mi accorgo che un giovane è troppo rigido, è troppo fondamentalista, io non ho fiducia; dietro c’è qualcosa che lui stesso non sa. Ma quando si sente sicuro... Ezechiele 16, non ricordo il versetto, ma è quando il Signore dice al suo popolo tutto quello che ha fatto per lui: l’ha trovato appena nato, e poi l’ha vestito, l’ha sposato… «E poi, quando tu ti sei sentita sicura, ti sei prostituita». È una regola, una regola di vita. Occhi aperti sulla missione nei seminari. Occhi aperti. Confido che il frutto dei lavori di questo Convegno – con tanti autorevoli relatori, provenienti da regioni e culture diverse – potrà essere offerto alla Chiesa come utile attualizzazione degli insegnamenti del Concilio, portando un contributo alla formazione dei sacerdoti, quelli che ci sono e quelli che il Signore vorrà donarci, perché, configurati sempre più a lui, siano buoni preti secondo il cuore del Signore, non funzionari! E grazie della pazienza. Vaticano, Sala Regia del Palazzo Apostolico, 20 novembre 2015. Francesco 4 F rancesco | ecumenismo La grazia della diversità riconciliata Il servizio abbatte i muri Visita alla comunità luterana di Roma «Chiediamo oggi questa grazia, la grazia di questa diversità riconciliata nel Signore, cioè nel Servo di Jahveh, (...) che lui sia il servo dell’unità, che ci aiuti a camminare insieme. Oggi abbiamo pregato insieme. Pregare insieme, lavorare insieme per i poveri, per i bisognosi; amarci insieme, con vero amore di fratelli». Nel pomeriggio dello scorso 15 novembre, papa Francesco si è recato in visita alla comunità evangelica luterana di Roma. Dopo il saluto del pastore Jens-Martin Kruse, il papa ha risposto alle domande di alcuni membri della comunità. Qui ha toccato lo «scandalo della divisione» facendo un riferimento anche ai recenti attentati di Parigi: «I muri alla fine sono come un suicidio, ti chiudono. È una cosa brutta avere il cuore chiuso. E oggi lo vediamo, il dramma… Mio fratello pastore oggi ha nominato Parigi: cuori chiusi. Anche il nome di Dio viene usato per chiudere i cuori». Nell’omelia tenuta nel corso della preghiera serale, Francesco ha sottolineato ancora la forza ecumenica del servizio agli ultimi sulle orme dell’unico Maestro. «Dobbiamo chiederci perdono dello scandalo della divisione, perché tutti, luterani e cattolici, siamo in questa scelta, non in altre (...); la scelta del servizio come lui ci ha indicato essendo servo, il servo del Signore». Stampa (19.11.2015) da sito web www.vatican.va. Il Regno - documenti 36/2015 Dialogo con i membri della comunità Il papa parroco – Mi chiamo Julius. Ho nove anni e mi piace molto partecipare al culto dei bambini in questa comunità. Sono affascinato dalle storie di Gesù e mi piace anche come lui si comporta. La mia domanda è: che cosa ti piace di più dell’essere papa? La risposta è semplice. Quello che mi piace… Se io ti domando cosa ti piace di più del pasto, tu dirai la torta, il dolce! O no? Ma bisogna mangiare tutto. La cosa che mi piace, sinceramente, è fare il parroco, fare il pastore. Non mi piace fare i lavori d’ufficio. Non mi piacciono questi lavori. Non mi piace fare interviste protocollari – questa non è protocollare, è familiare! – ma devo farlo. Perciò cosa mi piace di più? Fare il parroco. E un tempo, mentre ero rettore della facoltà di teologia, ero parroco della parrocchia che c’è accanto alla facoltà, e sai, mi piaceva insegnare il catechismo ai bambini e la domenica fare la Messa con i bambini. C’erano più o meno 250 bambini, era difficile che tutti stessero in silenzio, era difficile. Il dialogo con i bambini… Questo mi piace. Tu sei un ragazzo e forse mi capirai. Voi siete concreti, voi non fate domande campate in aria, teoriche: «Perché questo è così? Perché…». Ecco, mi piace fare il parroco e, facendo il parroco, quello che più mi piace è stare con i bambini, parlare con loro, e s’impara tanto. S’impara tanto. Mi piace fare il papa con lo stile del parroco. Il servizio. Mi piace, nel senso che mi sento bene, quando visito gli ammalati, quando parlo con le persone che sono un po’ disperate, tristi. Amo tanto andare in carcere, ma non che mi portino in galera! Perché, parlare con i carcerati… – tu forse 5 F rancesco capirai quello che ti dirò – ogni volta che io entro in un carcere, domando a me stesso: «Perché loro e io no?». E lì sento la salvezza di Gesù Cristo, l’amore di Gesù Cristo per me. Perché è lui che mi ha salvato. Io non sono meno peccatore di loro, ma il Signore mi ha preso per mano. Anche questo lo sento. E quando vado in carcere sono felice. Fare il papa è fare il vescovo, fare il parroco, fare il pastore. Se un papa non fa il vescovo, se un papa non fa il parroco, non fa il pastore, sarà una persona molto intelligente, molto importante, avrà molta influenza nella società, ma io penso – penso! – che nel suo cuore non è felice. Non so se ho risposto a quello che tu volevi sapere. La cena del Signore – Mi chiamo Anke de Bernardinis e, come molte persone della nostra comunità, sono sposata con un italiano, che è un cristiano cattolico romano. Viviamo felicemente insieme da molti anni, condividendo gioie e dolori. E quindi ci duole assai l’essere divisi nella fede e non poter partecipare insieme alla Cena del Signore. Che cosa possiamo fare per raggiungere, finalmente, la comunione su questo punto? Grazie, Signora. Alla domanda sul condividere la cena del Signore non è facile per me risponderle, soprattutto davanti a un teologo come il cardinale Kasper! Ho paura! Io penso che il Signore ci ha detto quando ha dato questo mandato: «Fate questo in memoria di me». E quando condividiamo la cena del Signore, ricordiamo e imitiamo, facciamo la stessa cosa che ha fatto il Signore Gesù. E la cena del Signore ci sarà, il banchetto finale nella nuova Gerusalemme ci sarà, ma questa sarà l’ultima. Invece nel cammino, mi domando – e non so come rispondere, ma la sua domanda la faccio mia – io mi domando: condividere la cena del Signore è il fine di un cammino o è il viatico per camminare insieme? Lascio la domanda ai teologi, a quelli che capiscono. È vero che in un certo senso condividere è dire che non ci sono differenze fra noi, che abbiamo la stessa dottrina – sottolineo la parola, parola difficile da capire – ma io mi domando: ma non abbiamo lo stesso battesimo? E se abbiamo lo stesso battesimo dobbiamo camminare insieme. Lei è una testimonianza di un cammino anche profondo perché è un cammino coniugale, un cammino proprio di famiglia, di amore umano e di fede condivisa. Abbiamo lo stesso battesimo. Quando lei si sente peccatrice – anche io mi sento tanto peccatore – quando suo marito si sente peccatore, lei va davanti al Signore e chiede perdono; suo marito fa lo Il Regno - documenti 36/2015 stesso e va dal sacerdote e chiede l’assoluzione. Sono rimedi per mantenere vivo il battesimo. Quando voi pregate insieme, quel battesimo cresce, diventa forte; quando voi insegnate ai vostri figli chi è Gesù, perché è venuto Gesù, cosa ci ha fatto Gesù, fate lo stesso, sia in lingua luterana che in lingua cattolica, ma è lo stesso. La domanda: e la cena? Ci sono domande alle quali soltanto se uno è sincero con se stesso e con le poche «luci» teologiche che io ho, si deve rispondere lo stesso, vedete voi. «Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue», ha detto il Signore, «fate questo in memoria di me», e questo è un viatico che ci aiuta a camminare. Io ho avuto una grande amicizia con un vescovo episcopaliano, quarantottenne, sposato, due figli e lui aveva questa inquietudine: la moglie cattolica, i figli cattolici, lui vescovo. Lui accompagnava la domenica sua moglie e i suoi figli alla messa e poi andava a fare il culto con la sua comunità. Era un passo di partecipazione alla cena del Signore. Poi lui è andato avanti, il Signore lo ha chiamato, un uomo giusto. Alla sua domanda le rispondo soltanto con una domanda: come posso fare con mio marito, perché la cena del Signore mi accompagni nella mia strada? È un problema a cui ognuno deve rispondere. Ma mi diceva un pastore amico: «Noi crediamo che il Signore è presente lì. È presente. Voi credete che il Signore è presente. E qual è la differenza?» – «Eh, sono le spiegazioni, le interpretazioni…». La vita è più grande delle spiegazioni e interpretazioni. Sempre fate riferimento al battesimo: «Una fede, un battesimo, un Signore», così ci dice Paolo, e di là prendete le conseguenze. Io non oserò mai dare permesso di fare questo perché non è mia competenza. Un battesimo, un Signore, una fede. Parlate col Signore e andate avanti. Non oso dire di più. Lo scandalo della divisione – Mi chiamo Gertrud Wiedmer. Vengo dalla Svizzera. Sono la tesoriera della nostra comunità e sono impegnata nel nostro progetto per i rifugiati. Porta il nome di «Orsacchiotto» e, con esso, sosteniamo circa 80 giovani madri e i loro figli piccoli, venute a Roma dal Nord Africa. Vediamo la miseria. Cerchiamo di essere d’aiuto. Ma sappiamo, anche, che le possibilità hanno una fine. Che cosa possiamo fare, come cristiani, affinché le persone non si rassegnino o non erigano nuovi muri? Lei, essendo svizzera, essendo la tesoriera, ha tutto il potere in mano! Un servizio… La miseria… Lei ha detto questa parola: la miseria. Mi vengono 6 F rancesco da dire due cose. La prima, i muri. L’uomo, dal primo momento – se noi leggiamo le Scritture – è un grande costruttore di muri, che separano da Dio. Nelle prime pagine della Genesi vediamo questo. E c’è una fantasia dietro i muri umani, la fantasia di diventare come Dio. Per me il mito, per dirlo in parole tecniche, o la narrazione della torre di Babele, è proprio l’atteggiamento dell’uomo e della donna che costruiscono muri, perché costruire un muro è dire: «Noi siamo i potenti, voi fuori». Ma in questo «noi siamo i potenti e voi fuori» c’è la superbia del potere e l’atteggiamento proposto nelle prime pagine della Genesi: «Sarete come Dio» (cf. Gen 3,5). Fare un muro è per escludere, va in questa linea. La tentazione: «Se voi mangiate questo frutto, sarete come Dio». A proposito della torre di Babele – questo forse me lo avete sentito dire, perché lo ripeto, ma è tanto «plastico» – c’è un midrash scritto intorno al 1200, al tempo di Tommaso d’Aquino, di Maimonide, più o meno in quel tempo, da un rabbino ebreo, che spiegava ai suoi nella sinagoga la costruzione della torre di Babele, dove la potenza dell’uomo si faceva sentire. Era molto difficile, molto costoso, perché si doveva fare il fango e non sempre l’acqua era vicina, cercare la paglia, fare l’impasto, poi tagliare, farli seccare, poi farli asciugare, poi cuocerli nel forno e alla fine salivano e gli operai li prendevano… Se cadeva uno di questi mattoni era una catastrofe, perché erano un tesoro, erano costosi, costavano. Se cadeva un operaio, invece, non succedeva niente! Il muro sempre esclude, preferisce il potere – in questo caso il potere del denaro perché il mattone costava, o la torre che voleva arrivare fino in cielo – e così sempre esclude l’umanità. Il muro è il monumento all’esclusione. Anche in noi, nella nostra vita interiore, quante volte le ricchezze, la vanità, l’orgoglio diventano un muro davanti al Signore, ci allontanano dal Signore. Fare i muri. Per me, la parola che mi viene adesso, un po’ spontanea, è quella di Gesù: come fare per non fare muri? Servizio. Fate la parte dell’ultimo. Lava i piedi. Lui ti ha dato l’esempio. Servizio agli altri, servizio ai fratelli, alle sorelle, servizio ai più bisognosi. Con questa opera di sostenere le 80 giovani madri, voi non fate muri, fate servizio. L’egoismo umano vuol difendersi, difendere il proprio potere, il proprio egoismo, ma in quel difendersi si allontana dalla fonte di ricchezza. I muri alla fine sono come un suicidio, ti chiudono. È una cosa brutta avere il cuore chiuso. E oggi lo vediamo, il dramma… Mio fratello Pastore oggi ha nominato Parigi: cuori chiusi. Anche il nome di Dio viene usato per chiudere i cuori. Lei mi domandava: «Cerchiamo di essere di aiuto alla Il Regno - documenti 36/2015 miseria, ma sappiamo anche che le possibilità hanno una fine. Che cosa possiamo fare come cristiani, affinché le persone non si rassegnino o non erigano nuovi muri?». Parlare chiaro, pregare – perché la preghiera è forte – e servire. E servire. Un giorno, a madre Teresa di Calcutta hanno fatto la domanda: «Ma tutto questo sforzo che lei fa soltanto per far morire con dignità questa gente che è a tre, quattro giorni dalla morte, che cosa è?». È una goccia d’acqua nel mare; ma, dopo questo, il mare non è più lo stesso. E, sempre col servizio, i muri cadranno da soli; ma il nostro egoismo, il nostro desiderio di potere cerca sempre di costruirli. Non so, questo mi viene di dire. Grazie. Roma, Christuskirche, 15 novembre 2015. Francesco L’ultima scelta, quella definitiva Omelia nella preghiera serale Gesù, durante la sua vita, ha fatto tante scelte. Questa che oggi abbiamo sentito sarà l’ultima scelta. Gesù ha fatto tante scelte: i primi discepoli, gli ammalati che guariva, la folla che lo seguiva… – lo seguiva per ascoltare perché parlava come uno che ha autorità, non come i loro dottori della legge che si pavoneggiavano; ma possiamo leggere chi era questa gente due capitoli prima, al capitolo 23 di Matteo; no, in lui vedevano autenticità; e quella gente lo seguiva. Con amore Gesù faceva le scelte e anche le correzioni. Quando i discepoli sbagliavano nei metodi: «Facciamo che venga il fuoco dal cielo?» – «Ma voi non sapete qual è il vostro spirito». O quando la mamma di Giacomo e Giovanni è andata a chiedere al Signore: «Signore, ti voglio chiedere un favore, che i miei due figli, nel momento del tuo Regno, uno sia a destra, l’altro a sinistra…». E lui correggeva queste cose: sempre guidava, accompagnava. Ma anche dopo la risurrezione fa tanta tenerezza vedere come Gesù sceglie i momenti, sceglie le persone, non spaventa. Pensiamo il cammino verso Emmaus, come li accompagna [i due discepoli]. Loro dovevano andare a Gerusalemme ma sono scappati da Gerusalemme, per paura, e lui va con loro, li accompagna. E poi si fa vedere, li recupera. È una scelta di Gesù. E poi la grande scelta che a me sempre commuove, quando 7 F rancesco prepara lo sposalizio del figlio e dice: «Ma andate derci perdono di questo, dello scandalo della divisioall’incrocio delle strade e portate qui i ciechi, i sordi, ne, perché tutti, luterani e cattolici, siamo in questa gli zoppi…». Buoni e cattivi! Gesù scelse sempre. E scelta, non in altre scelte, in questa scelta, la scelta del poi la scelta della pecora smarrita. Non fa un calcolo servizio come lui ci ha indicato essendo servo, il servo finanziario: «Ma, ne ho 99, ne perdo una…». No. del Signore. Ma l’ultima scelta sarà quella definitiva. E quali A me piace, per finire, quando vedo il Signore saranno le domande che il Signore ci farà quel gior- servo che serve, mi piace chiedergli che lui sia il no: «Sei andato a messa? Hai fatto una buona cate- servo dell’unità, che ci aiuti a camminare insieme. chesi?». No, le domande sono sui poveri, perché la Oggi abbiamo pregato insieme. Pregare insieme, povertà è al centro del Vangelo. Lui essendo ricco lavorare insieme per i poveri, per i bisognosi; amarsi è fatto povero per arricchirci con la sua povertà. ci insieme, con vero amore di fratelli. «Ma, padre, Lui non ritiene un privilegio essere come Dio ma si è siamo diversi, perché i nostri libri dogmatici dicono annientato, si è umiliato fino alla fine, fino alla morte una cosa e i vostri dicono l’altra». Ma un grande di croce (cf. Fil 2,6-8). È la scelta del servizio. Gesù vostro [esponente] ha detto una volta che c’è l’ora è Dio? È vero. È il Signore? È vero. Ma è il servo, e della diversità riconciliata. Chiediamo oggi questa la scelta la farà su quello. Tu, la tua vita l’hai usata grazia, la grazia di questa diversità riconciliata nel per te o per servire? Per difenderti dagli altri con i Signore, cioè nel Servo di Jahveh, di quel Dio che è muri o per accoglierli con amore? E questa sarà l’ul- venuto tra noi per servire e non per essere servito. tima scelta di Gesù. Ci dice tanto sul Signore questa Vi ringrazio tanto di questa ospitalità fraterna. pagina del Vangelo. E posso farmi la domanda: ma Grazie. 5IB3DJROD/D\RXW3DJLQD noi, luterani e cattolici, da che parte saremo, a destra -,//!* -(-'(--&-&"/)/o a sinistra? Ma ci sono stati tempi brutti fra noi... Roma, Christuskirche, 15 novembre 2015. Pensate alle persecuzioni fra noi! Con lo stesso bat- tesimo! Pensate a tanti bruciati vivi. Dobbiamo chieFrancesco LUCIO GERA JOSÉ ANTONIO PAGOLA La religione del popolo Tornare a Gesù Come rinnovare parrocchie e comunità A CURA DI FRANCESCO STRAZZARI Chiesa, teologia e liberazione in America Latina F in dai primi giorni del suo pontificato, Francesco ha scosso e interrogato la coscienza di una Chiesa spesso paralizzata dalle paure e distante dai problemi concreti della gente. Per aderire a tale richiamo il libro formula la concreta proposta dei «Gruppi di Gesù», che intendono recuperare l’essenziale del Vangelo al fine di rigenerare la vita delle parrocchie. «CAMMINI DI CHIESA» PREFAZIONE DI A. MELLONI E POSTFAZIONE DI J.C. SCANNONE I due contributi raccolti nel libro, pubblicati la prima volta in Italia dalle EDB nel 1978, consentono di avvicinare la riflessione teologica di Lucio Gera e di coglierne l’eredità nelle parole di Papa Francesco, di cui fu amico e maestro. Da arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio decise di ospitarne la tomba nella cattedrale. pp. 104 - € 8,50 «CONIFERE» - pp. 144 - € 14,00 NELLA STESSA COLLANA N ELLA AA.VV. PAUL VALADIER LA PARROCCHIA AI TEMPI DI PAPA FRANCESCO PREFAZIONE DI DOMENICO SIGALINI pp. 64 - € 5,00 Arte, morale e religione Edizioni Dehoniane Bologna www.dehoniane.it documenti 36/2015 STESSA COLLANA I sentieri della bellezza Via Scipione Dal Ferro, 4 - 40138 Bologna Tel. 051 3941511 - Fax 051 3941299 Il Regno - N U O VNAE EDIZIO 8 pp. 176 - € 18,50 S anta Sede | vatileaks 2 Sulla divulgazione dei documenti riservati Nota di p. Lombardi per Radio vaticana sulle questioni economiche del Vaticano L «Si può dire che in buona parte si tratta di informazioni già note, (...) ma soprattutto va notato che la documentazione pubblicata è perlopiù relativa a un notevole impegno di raccolta di dati e di informazioni messa in moto dal santo padre stesso per svolgere uno studio e una riflessione di riforma e miglioramento della situazione amministrativa del Vaticano e della Santa Sede». Con queste parole, il direttore della Sala stampa della Santa Sede, p. Lombardi, introduce alcune riflessioni «su un nuovo capitolo di discussioni sulle questioni economiche del Vaticano», pubblicate in una nota per Radio vaticana datata 4 novembre. Facendo riferimento all’uscita recente di due libri (dei giornalisti Nuzzi e Fittipaldi), «risultato di una divulgazione di notizie e documenti di per sé riservati», Lombardi offre alcune lucide precisazioni sull’informazione pubblicata, per gran parte proveniente dall’archivio della commissione di studio creata in vista della riforma dell’attività economico-finanziaria del Vaticano. «Una gran quantità di informazioni di tal genere» andrebbe «studiata, compresa e interpretata con cura, equilibrio e attenzione», e comunque non è così che si sostiene il coraggioso programma di riforma del papa, che nonostante l’accaduto «continua e procede senza incertezze». Stampa (11.11.2015) da sito web it.radiovaticana.va. Titolazione redazionale. Il Regno - documenti 36/2015 a pubblicazione di due libri che hanno per argomento istituzioni ed attività economiche e finanziarie vaticane è oggetto di curiosità e di commenti largamente diffusi. Facciamo alcune osservazioni. Com’è noto, una buona parte di ciò che è stato pubblicato è il risultato di una divulgazione di notizie e documenti di per sé riservati e quindi di un’attività illecita che viene quindi perseguita penalmente con decisione dalle competenti autorità vaticane. Ma non è di questo che vogliamo ora parlare, dato che è già oggetto di molta attenzione. Ci interessa ora riflettere piuttosto sul contenuto delle divulgazioni. Si può dire che in buona parte si tratta di informazioni già note, anche se spesso con minore ampiezza e dettaglio, ma soprattutto va notato che la documentazione pubblicata è perlopiù relativa a un notevole impegno di raccolta di dati e di informazioni messa in moto dal santo padre stesso per svolgere uno studio e una riflessione di riforma e miglioramento della situazione amministrativa del Vaticano e della Santa Sede. Letture diverse a partire dagli stessi dati La Commissione referente di studio e indirizzo sull’organizzazione delle strutture economico-amministrative della Santa Sede (COSEA), dal cui archivio proviene buona parte dell’informazione pubblicata, era stata infatti istituita dal papa il 18 luglio 2013 a tale scopo e poi sciolta dopo il compimento del suo incarico. Non si tratta quindi di informazioni ottenute in origine contro la volontà del papa o dei responsabili delle diverse istituzioni, ma generalmente di informazioni ottenute o fornite con la collaborazione di queste stesse istituzioni, per concorrere allo scopo positivo comune. Naturalmente, una gran quantità di informazioni di tal genere va studiata, compresa e interpretata 9 S anta Sede Fondazione Bambino Gesù: nuovi consiglieri L o scorso 4 novembre, la Fondazione Bambino Gesù ha diramato un comunicato stampa che registra la prima riunione del nuovo Consiglio direttivo della ONLUS dell’Ospedale pediatrico della Santa Sede, uno degli enti coinvolti nel secondo episodio di divulgazione di documenti vaticani riservati. Tra i 7 nuovi consiglieri – nominati dal segretario di stato, card. Parolin – figurano anche l’ex direttore del Corriere della sera Ferruccio De Bortoli e l’ex presidente della RAI Anna Maria Tarantola. La Fondazione ha rinnovato contestualmente il suo Statuto e la sua mission (www. ospedalebambinogesu.it). La Fondazione Bambino Gesù volta pagina Si è riunito questa mattina a Roma per la prima volta il nuovo Consiglio direttivo della ONLUS dell’Ospedale pediatrico della Santa Sede, nominato direttamente dal cardinale segretario di stato Pietro Parolin. Nuovi consiglieri, nuovo Statuto e nuova mission: «Un obiettivo – dichiara la presidente Mariella Enoc – cui ho lavorato fin dal primo giorno del mio insediamento per garantire trasparenza, solidarietà e innovazione». I nuovi consiglieri sono sette, compresa la presidente Enoc: Pietro Brunetti, Ferruccio De Bortoli, Maria Bianca Farina, Caterina Sansone, Anna Maria Tarantola e Antonio Zanardi Landi. «Ringrazio il cardinale segretario di stato – dichiara Mariella Enoc – che mi è stato vicino e mi ha sostenuto in questo lungo percorso di riforma, che si inaugura formalmente oggi con la prima riunione del Consiglio direttivo e l’approvazione del nuovo Statuto. Ringrazio le persone che hanno accettato di far con cura, equilibrio e attenzione. Spesso sono possibili letture diverse a partire dagli stessi dati. Un esempio è quello della situazione del Fondo pensioni, sul quale sono state espresse in successione di tempo valutazioni molto diverse, da quelle che parlano con preoccupazione di un grande «buco», a quelle che forniscono invece una lettura rassicurante (come risultava nei comunicati ufficiali autorevolmente pubblicati tramite la Sala stampa della Santa Sede). Com’è ovvio vi è poi tutto il discorso sulle finalità e gli impieghi dei beni che appartengono alla Santa Sede. Beni che presi nel loro complesso si presentano come ingenti, sono in realtà finalizzati Il Regno - documenti 36/2015 parte di questa avventura, che volta decisamente pagina rispetto al passato. La Fondazione sarà una casa di vetro che avrà il compito di raccogliere fondi per l’Ospedale da destinare alla ricerca, all’innovazione, alle iniziative di solidarietà anche in campo internazionale». Parolin: sostegno e fraterno incoraggiamento Non potendo essere presente di persona alla riunione, il cardinale segretario di stato Pietro Parolin ha rivolto ai membri del Consiglio un messaggio di vicinanza e ringraziamento «per aver accettato questo non facile compito, mossi da quel nobile spirito di servizio, umile e disinteressato, che deve contraddistinguere i discepoli di Gesù e, nel nostro caso, quanti lavorano, ai diversi livelli, nell’Ospedale del papa. Non dubito che questi sentimenti, insieme all’alto profilo morale e professionale che vi contraddistingue, vi saranno di efficace aiuto nello svolgimento della missione che è affidata alla Fondazione e alla quale voi siete chiamati a dare volto e contenuti concreti». «Oggi» prosegue il cardinale, la Fondazione Bambino Gesù ONLUS inizia la sua attività «completamente rinnovata». «Per questo – aggiunge – vi esprimo il mio sostegno e il mio fraterno incoraggiamento. E, soprattutto, vi assicuro la mia preghiera. Credo che, insieme tra noi e insieme alle migliaia di persone che guardano all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù con profonda simpatia e speranza, potremo davvero trasformarlo in quella “grande opera di carità” che papa Francesco, sulla scia dei suoi predecessori, desidera sia e diventi sempre più». a sostenere nel tempo attività di servizio vastissime gestite dalla Santa Sede o istituzioni connesse, sia a Roma sia nelle diverse parti del mondo. Le origini delle proprietà di questi beni sono varie, e vi sono a disposizione da tempo anche strumenti adatti per conoscerne la storia e gli sviluppi (ad esempio, è bene informarsi sugli accordi economici fra Italia e Santa Sede nel contesto dei Patti lateranensi e sull’opera di impostazione di un’efficace amministrazione, svolta da Pio XI con l’aiuto di ottimi ed esperti collaboratori, opera comunemente riconosciuta come saggia e lungimirante anche negli aspetti di investimenti all’estero e non solo a Roma o in Italia). 10 S anta Sede L’Obolo di San Pietro Per quanto riguarda l’Obolo di San Pietro è necessario osservare che i suoi impieghi sono vari, anche a seconda delle situazioni, a giudizio del santo padre, a cui l’obolo viene dato con fiducia dai fedeli per sostenere il suo ministero. Le opere di carità del papa per i poveri sono certamente una delle finalità essenziali, ma non è certo intenzione dei fedeli escludere che il papa possa valutare egli stesso le urgenze e il modo di rispondervi, alla luce del suo servizio per il bene della Chiesa universale. Il servizio del papa comprende anche la curia romana – in quanto strumento del suo servizio –, le sue iniziative fuori della diocesi di Roma, la comunicazione del suo magistero per i fedeli nelle diverse parti del mondo anche povere e lontane, l’appoggio alle 180 rappresentanze diplomatiche pontificie sparse nel mondo, che servono le Chiese locali e intervengono come gli agenti principali per distribuire la carità del papa nei diversi paesi, oltre che come rappresentanti del papa presso i governi locali. La storia dell’Obolo dimostra tutto ciò con chiarezza. La strada della buona amministrazione procede senza incertezze Nel corso del tempo queste tematiche ritornano periodicamente, ma sono sempre occasione di curiosità o di polemiche. Bisognerebbe avere la serietà per approfondire le situazioni e i problemi specifici, in modo da saper riconoscere il molto (assai più di quanto generalmente non si dica, e sistematicamente taciuto dal genere di pubblicazioni di cui stiamo parlando) che è del tutto giustificato e normale e ben amministrato (compreso il pagamento delle tasse dovute) e distinguere dove si trovano inconvenienti da correggere, oscurità da illuminare, vere scorrettezze o illegalità da eliminare. Il Regno - documenti 36/2015 Proprio a questo è indirizzato il faticoso e complesso lavoro iniziato per impulso del papa con la costituzione della COSEA, che ha compiuto da tempo il suo lavoro, e con le decisioni e iniziative che sono tuttora in corso di sviluppo e attuazione (e che almeno in parte sono seguite appunto a raccomandazioni della stessa COSEA alla fine del suo lavoro). La riorganizzazione dei dicasteri economici, la nomina del Revisore generale, il funzionamento regolare delle istituzioni competenti per il controllo delle attività economiche e finanziarie ecc., sono una realtà oggettiva e incontrovertibile. Una pubblicazione alla rinfusa di una grande quantità di informazioni differenti, in gran parte legate a una fase del lavoro ormai superata, senza la necessaria possibilità di approfondimento e valutazione obiettiva raggiunge invece il risultato – purtroppo in buona parte voluto – di creare l’impressione contraria, di un regno permanente della confusione, della non trasparenza se non addirittura del perseguimento di interessi particolari o scorretti. Naturalmente ciò non rende in alcun modo ragione al coraggio e all’impegno con cui il papa e i suoi collaboratori hanno affrontato e continuano ad affrontare la sfida di un miglioramento dell’uso dei beni temporali al servizio di quelli spirituali. Questo invece è ciò che andrebbe maggiormente apprezzato e incoraggiato in un corretto lavoro di informazione per rispondere adeguatamente alle attese del pubblico e alle esigenze della verità. La strada della buona amministrazione, della correttezza e della trasparenza, continua e procede senza incertezze. È questa evidentemente la volontà di papa Francesco e non manca certo in Vaticano chi vi collabora con piena lealtà e con tutte le sue forze. 4 novembre 2015. Federico Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa Sede 11 C hiese nel mondo | francia Di fronte alla cieca barbarie Omelia dell’arcivescovo di Parigi nella messa per le vittime degli attentati del 13 novembre I «In che cosa il nostro modo di vivere ha potuto provocare un’aggressione così barbara? (...) Come è possibile che dei giovani formatisi nelle nostre scuole e nelle nostre città conoscano una disperazione tale da rendere il fantasma del Califfato e della sua violenza morale e sociale un ideale in grado di mobilitarli?». Dopo i terribili attentati che hanno insanguinato la città di Parigi nella notte del 13 novembre, il card. André Vingt-Trois ha raccolto la comunità cristiana della sua città in una messa per le vittime, le famiglie e la Francia, celebrata domenica 15 novembre nella Cattedrale di Notre-Dame. Nella sua omelia, il vescovo ha dato voce al cordoglio e alle domande di tanti, credenti e non, rimasti sgomenti di fronte all’irruzione di una tale cieca violenza. «Da che cosa si riconoscono un uomo o una donna di speranza?», si è domandato. «Dalla capacità di assumere la prova e di combattere contro le forze della distruzione con serenità e fiducia», ha detto, richiamando i cristiani al loro compito di testimoniare la speranza nella prova in favore di tutti grazie al dono della fede, che è «una luce sul cammino della vita, ma non soltanto per noi. Essa è una luce che consente di comprendere la storia umana, e di illuminarla anche nel suo svolgimento enigmatico». Stampa (20.11.2015) da sito web www.paris.catholique.fr. Nostra traduzione dal francese. Il Regno - documenti 36/2015 tragici avvenimenti che hanno colpito il nostro paese in questi giorni – e in modo particolare Parigi e Saint-Denis – gettano i nostri concittadini nel terrore e nello stupore. Essi ci pongono due terribili domande: in che cosa il nostro modo di vivere ha potuto provocare un’aggressione così barbara? A questa prima domanda volentieri rispondiamo con il nostro attaccamento ai valori della Repubblica; ma quanto è accaduto ci obbliga a interrogarci sul prezzo da pagare per questo attaccamento e a un esame di tali valori. La seconda domanda è ancora più spaventosa, perché essa instilla un sospetto in molte famiglie: come è posssibile che dei giovani formatisi nelle nostre scuole e nelle nostre città conoscano una disperazione tale da rendere il fantasma del Califfato e della sua violenza morale e sociale un ideale in grado di mobilitarli? Sappiamo che la risposta evidente delle difficoltà nell’integrazione sociale non basta a spiegare l’adesione allo jihadismo di un certo numero di persone, anche se esse si sottraggono apparentemente all’esclusione sociale. Come può questo cammino della barbarie divenire un ideale? Cosa dice questo capovolgimento dei valori che noi difendiamo? La fede cristiana può esserci di qualche aiuto nel caos che si è abbattuto su di noi? Alla luce delle letture bibliche che abbiamo ascoltato vorrei proporvi tre elementi di riflessione. «Solo in te è il mio bene» (Sal 15) Il Salmo 15, come molti altri Salmi, è un grido di fede e di speranza. Per il credente nello sconforto, Dio è l’unico ricorso affidabile: «Sta alla mia destra, non potrò vacillare». È poca cosa dire che le uccisioni selvagge di questo venerdì nero hanno gettato nella disperazione famiglie intere. E questa disperazione è tanto più profonda per la mancanza di spiegazioni razionali che giustifichino l’esecuzione cieca di decine di persone anonime. Ma se 12 C hiese nel mondo Fare questo in nome di Dio è una bestemmia! L a reazione di papa Francesco agli attentati terroristici che lo scorso 13 novembre hanno colpito Parigi e la Francia, è stata affidata il giorno stesso a poche parole in un’intervista telefonica concessa a TV2000. Domenica 15 novembre, il papa è poi tornato sulla vicenda esprimendosi con parole di ferma condanna e di cordoglio dopo la preghiera dell’Angelus. Riportiamo di seguito le parole di papa Bergoglio (it.radiovaticana.va; www.vatican.va). Nell’intervista telefonica a TV2000 «Sono commosso e addolorato e non capisco… ma queste cose sono difficili da capire, fatte da esseri umani. Per questo sono commosso e addolorato e prego. Sono tanto vicino al popolo francese, tanto amato, sono vicino ai familiari delle vittime e prego per tutti loro (...). Non ci sono giustificazioni per queste cose. Questo non è umano. È per questo che sono vicino a tutti quelli che soffrono e a tutta la Francia, cui voglio tanto bene». All’Angelus di domenica 15 novembre «Desidero esprimere il mio dolore per gli attacchi terroristici che nella tarda serata di venerdì hanno in- l’odio e la morte hanno una logica, essi non hanno razionalità. Certo, noi abbiamo bisogno di trovare delle parole; abbiamo bisogno di dire parole e di ascoltarle; ma sentiamo che tutte queste parole non vanno oltre un sollievo immediato. Con l’irruzione cieca della morte è la situazione di ciascuno di noi a farsi inaggirabile. Il credente, come tutti, è posto innanzi a una realtà ineluttabile, vicina o lontana, ma certa: la nostra esistenza è segnata dalla morte. Si può tentare di non ricordarla, di eluderla, di volerla dolce e leggera. Ma lei è là. La fede, nessuna fede, permette di sfuggirle. E noi siamo intimamente costretti a rispondere di noi stessi: verso chi rivolgersi in questa prova? Fare affidamento ai palliativi, più o meno efficaci o duraturi, oppure affidarsi al nostro Dio, che è il Dio della vita? Il salmista ci mette sulle labbra la preghiera della fede e della speranza: «Non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa». In questi giorni di prova, ciascuno di coloro che credono in Cristo è chiamato a dare testimonianza della speranza per sé e per quelli che cerca di Il Regno - documenti 36/2015 sanguinato la Francia, causando numerose vittime. Al presidente della Repubblica francese e a tutti i cittadini porgo l’espressione del mio fraterno cordoglio. Sono vicino in particolare ai familiari di quanti hanno perso la vita e ai feriti. Tanta barbarie ci lascia sgomenti e ci si chiede come possa il cuore dell’uomo ideare e realizzare eventi così orribili, che hanno sconvolto non solo la Francia ma il mondo intero. Dinanzi a tali atti, non si può non condannare l’inqualificabile affronto alla dignità della persona umana. Voglio riaffermare con vigore che la strada della violenza e dell’odio non risolve i problemi dell’umanità e che utilizzare il nome di Dio per giustificare questa strada è una bestemmia! Vi invito a unirvi alla mia preghiera: affidiamo alla misericordia di Dio le inermi vittime di questa tragedia. La vergine Maria, madre di misericordia, susciti nei cuori di tutti pensieri di saggezza e propositi di pace. A lei chiediamo di proteggere e vegliare sulla cara nazione francese, la prima figlia della Chiesa, sull’Europa e sul mondo intero. Tutti insieme preghiamo un po’ in silenzio e poi recitiamo l’Ave Maria». accompagnare e di confortare. Proprio mentre ci avviciniamo all’apertura, tra qualche settimana, dell’Anno della misericordia vorremmo, con le nostre parole e i nostri gesti, essere messaggeri della speranza nel cuore della sofferenza umana. «Mi indicherai il sentiero della vita» (Sal 15) Questa speranza definisce un modo di vivere in coloro che la ricevono. Essa ci indica il cammino della vita. Per fortuna non tutti devono misurarsi con l’orrore patito dalle vittime del fanatismo, come quelle di venerdì scorso. Ma tutti, senza eccezione, ciascuno e ciascuna di noi deve affrontare avvenimenti e periodi difficili nella sua esistenza. Da che cosa si riconoscono un uomo o una donna di speranza? Dalla capacità che essi hanno di assumere la prova e di combattere contro le forze della distruzione con serenità e fiducia. Tale forza interiore consente a uomini e donne normali, come siamo io e voi, di non piegarsi, di fare scelte difficili, perfino eroiche, ben oltre le proprie forze. 13 C hiese nel mondo Dopo momenti di dura prova ci è dato di riconoscere che alcuni uomini e donne hanno tenuto senza cedimenti, perché la loro convinzione interiore era abbastanza forte da affrontare pericoli possibili o reali. Per noi cristiani questa forza viene dall’affidamento a Dio e dal nostro appoggiarci a lui. Ma possiamo spingerci oltre: la fede in una reale trascendenza dell’essere sostiene un certo numero di uomini e di donne. Persino se non condividono con noi la fede in Dio, essi condividono però uno dei suoi frutti, che è il riconoscimento del valore unico di ogni esistenza umana e della sua libertà. Possiamo vedere nella calma e nel sangue freddo mostrato dai nostri connazionali un segno della convinzione che la nostra società non può giustificarsi che per il rispetto indefettibile della dignità della persona umana? Di fronte alla cieca barbarie, ogni incrinatura in questo fondamento delle nostre convinzioni sarebbe una vittoria dei nostri aggressori. Non possiamo rispondere alla ferocia barbara se non attraverso una crescita della fiducia nei nostri simili e nella loro dignità. Non è decapitando che si mostra la grandezza di Dio; ma è lavorando al rispetto dell’essere umano fino nelle sue estreme debolezze. «Quando vedrete accadere queste cose...» (Mc 13,29) Il nostro affidamento a Dio è una luce sul cammino della vita, ma non soltanto per ciascuno di noi, nella sua personale esistenza. Esso è una luce che consente di comprendere la storia umana, di illuminarla anche nel suo svolgimento enigmatico. Il Vangelo di Marco che abbiamo ascoltato annuncia il ritorno del Figlio dell’uomo, il Salvatore, attraverso dei segni terrificanti nel cielo e sulla terra. Non siamo più abituati a questo modo di scrutare i segni, Il Regno - documenti 36/2015 sebbene alcuni facciano commercio di un tale esercizio. Ma mi sembra che la cosa più importante per noi sia attingere dalle letture due insegnamenti. Anzitutto, nessuno conosce né il giorno né l’ora della fine dei tempi. Solo il Padre li conosce. Non conosciamo neppure il giorno e l’ora della nostra fine e sappiamo che questa ignoranza tormenta molti. Ma tutti vediamo – e gli avvenimenti di queste settimane ce lo ricordano crudelmente – che l’opera della morte non si ferma mai e colpisce, talvolta ciecamente. Inoltre, gli avvenimenti drammatici o terrificanti della storia umana possono essere interpretati e compresi come dei segni per tutti. «Quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli [il Figlio dell’uomo] è vicino, è alle porte» (Mc 13,29). Questa capacità di interpretare la storia non è un modo di negare la realtà. È il modo di scoprire che la storia ha un senso. Essa annuncia qualcuno che bussa alla porta, a ciascuna delle nostre porte. E questo qualcuno è il Cristo. Così non possiamo fermarci alle disgrazie della vita né alle sofferenze che sopportiamo, come se queste non avessero alcun senso. Attraverso queste vicende ci è dato di scoprire che Dio bussa alla nostra porta e che desidera chiamarci ancora alla vita, che egli vuole aprire cammini di vita. Questa speranza noi dobbiamo portarla e testimoniarla a consolazione di coloro che soffrono e farne un appello per tutti a verificare i veri valori della vita. Vi chiedo ora di unirvi intensamente alla preghiera per i defunti che canteremo. Parigi, Cattedrale di Notre-Dame, 15 novembre 2015. ✠ André card. Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi 14 C hiese nel mondo | francia La cremazione: riflessioni liturgiche Servizio nazionale di pastorale liturgica e sacramentale della Conferenza dei vescovi di Francia La pastorale delle esequie si trova in questi anni sfidata dalle evoluzioni in corso nella nostra società. «Innanzitutto, il modo di affrontare e trattare la morte e i suoi riti si è sempre più professionalizzato», perché oggi sono spesso le imprese di onoranze funebri che «si occupano dello svolgimento complessivo del processo funerario». L’altra importante evoluzione riguarda «l’aumento delle richieste di cremazione». Questi due fenomeni stanno profondamente cambiando lo svolgimento tradizionale delle esequie. «Come si deve porre la Chiesa in questo nuovo scenario? Come tener conto di questa nuova cultura della morte e dei fini ultimi per annunciarvi la buona novella della salvezza in Gesù morto e risorto?». Sono alcuni degli interrogativi con i quali si confronta questo studio elaborato da un gruppo di lavoro del Servizio nazionale di pastorale liturgica e sacramentale della Conferenza dei vescovi di Francia, pubblicato lo scorso anno. Come celebrare una liturgia esequiale al crematorio, o in chiesa in presenza di un’urna cineraria? Quali riti e quali segni sono adeguati? Il testo presenta un’analisi svolta in 13 diocesi francesi e offre alcune riflessioni pastorali su questioni emergenti, proponendo in conclusione anche due schemi possibili di celebrazione liturgica. Documents épiscopat (2014)6. Nostra traduzione dal francese. Il Regno - documenti 36/2015 P remessa Da alcuni anni in gran parte delle nostre diocesi viene dedicata molta attenzione alla pastorale delle esequie, in particolare con la costituzione di gruppi che collaborano con i presbiteri per l’accompagnamento delle famiglie in lutto e per la celebrazione dei funerali, e con la cura della loro formazione, poiché questo servizio richiede un’autentica competenza ma anche un profondo radicamento spirituale. Sono in tanti ad affermare come tale servizio alle persone in lutto abbia portato a un rinnovamento nella loro vita cristiana e spirituale. Ma la pastorale delle esequie si trova ora ad affrontare le evoluzioni in corso nella società. Se ne possono individuare specialmente due. Innanzitutto il modo di affrontare e trattare la morte e i suoi riti si è sempre più professionalizzato e, lo si voglia o no, oggi sono le imprese di onoranze funebri che si occupano dello svolgimento complessivo del processo funerario. L’altra importante evoluzione riguarda l’aumento delle richieste di cremazione. Insieme, questi due fenomeni cambiano profondamente lo svolgimento tradizionale delle esequie nel quale la Chiesa rivestiva un ruolo principale. Come si deve porre la Chiesa in questo nuovo scenario? Come tener conto di questa nuova cultura della morte e dei fini ultimi per annunciarvi la buona novella della salvezza in Gesù morto e risorto? Sono questi, tra gli altri, gli interrogativi che queste evoluzioni suscitano. Su mandato della Commissione episcopale per la liturgia e la pastorale sacramentale, il Servizio nazionale ha creato un gruppo di lavoro specificamente dedicato alla cremazione. Questo numero di Documents épiscopat ne è il frutto. Esso non ha la pretesa di dare risposta a tutte le domande poste alla pastorale delle esequie dalla pratica crescente della cremazione. Sulla base di un’inchiesta con- 15 C hiese nel mondo dotta presso un certo numero di diocesi, che permette di illustrare una varietà di opzioni pastorali, il documento vuole offrire elementi di riflessione per un discernimento: riflessioni antropologiche e teologiche, ma anche pastorali e liturgiche. Nella speranza che questo documento sia di arricchimento per la riflessione e la prassi di quanti lo leggeranno, rivolgo i miei sentiti ringraziamenti a tutti coloro che hanno partecipato alla sua elaborazione. ✠ Bernard-Nicolas Aubertin, arcivescovo di Tours, presidente della Commissione episcopale per la liturgia e la pastorale sacramentale I ntroduzione Il problema della cremazione come prassi funeraria non si è realmente posto per la Chiesa prima della fine del XIX secolo. Benché fosse una pratica corrente nel mondo romano e nell’Oriente pre-cristiano, le prime comunità cristiane sono rimaste fedeli al costume ebraico di seppellire i morti, con il suo riferimento alla sepoltura di Cristo (cf. Gv 19,40-42) e questa tradizione si è imposta naturalmente insieme alla cristianizzazione. Quando, alla fine del XIX secolo, si sviluppò la moderna tecnica dell’incenerimento,1 essa venne presentata come un modo di manifestare, contro la Chiesa, posizioni legate alle correnti del libero pensiero e all’ateismo militante. Questo spiega la reazione vigorosa della Chiesa e la severità del canone 1203 del Codice di diritto canonico del 1917. Tuttavia, nel corso del XX secolo, quando la cremazione non parve più riferirsi esclusivamente a un rifiuto della speranza cristiana, la Chiesa cattolica ammorbidì questa posizione. L’istruzione del Sant’Uffizio dell’8 maggio 1963 certamente ricorda la netta preferenza per la sepoltura del corpo, ma «i sacramenti e le pubbliche esequie non dovranno essere rifiutati a coloro che avranno richiesto l’incinerazione del proprio corpo, a meno che non risulti evidente che tale richiesta sia stata fatta per motivi indicati sopra, contrari alla vita cristiana».2 1 Manteniamo deliberatamente questo termine nel suo riferimento storico. In seguito parleremo più di cremazione che di incenerimento. 2 Rito delle esequie, n. 18. il Rito in uso nella Chiesa di Francia è diverso da quello italiano. Di seguito, le citazioni dal Rito francese sono state tradotte senza cercare le cor- Il Regno - documenti 36/2015 Da una trentina d’anni, in Francia come in altri paesi europei, il diffondersi della cremazione rappresenta un’importante modifica di comportamento rispetto alla morte. Dallo 0,5% nel 1980, la cremazione è passata al 30% nel 2010 e si prevede che nel 2020 ne farà richiesta il 50% dei francesi. Di conseguenza, il numero dei crematori è passato da 9 nel 1978 a 152 nel 2013. Se ne prevedono 400 nel 2020.3 Questo nuovo scenario non è senza conseguenze per le prassi abituali della Chiesa cattolica, specialmente se si va ad aggiungere a un’altra evoluzione, quella della richiesta di celebrazione cristiana al crematorio senza passaggio in chiesa. La Chiesa come deve allora accogliere e accompagnare questi sviluppi e tenerne conto nella propria missione di presenza al mondo, di evangelizzazione e di annuncio della speranza cristiana? Alle famiglie che domandano una presenza ecclesiale in questo luogo, senza che si passi per la chiesa, occorre dare risposta? E se sì, come? Quali sono gli effetti dal punto di vista antropologico, ecclesiale e liturgico? Come deve assumere questa novità la Chiesa? Il presente documento vorrebbe essere un tassello nella riflessione della Chiesa in Francia su questi interrogativi.4 Il primo capitolo traccerà a grandi linee alcuni aspetti delle evoluzioni in corso, sia nella società sia nella Chiesa. In un secondo capitolo vedremo come il Rito delle esequie implichi un’antropologia e una teologia del corpo umano; è a partire da questo e in riferimento a questo che la Chiesa annuncia la speranza della risurrezione futura. Infine, gli ultimi due capitoli offriranno alcuni elementi di interesse e di orientamento sul piano pastorale e liturgico per celebrazioni al crematorio. Un documento che riguarda questo argomento non può non trattare inoltre, anche se rapidamente, rispondenti nel Rito italiano, che spesso non esistono. Qui si tratta del n. 15 del Rito delle esequie italiano, nel quale si afferma: «A coloro che avessero scelto la cremazione del loro cadavere si può concedere il rito delle esequie cristiane, a meno che la loro scelta non risulti dettata da motivazioni contrarie alla dottrina cristiana: tutto questo, in base a quanto stabilito dall’Istruzione della Sacra Congregazione del Sant’ Uffizio, De cadaverum crematione, in data 8 maggio 1963, nn. 2-33» (ndt). 3 Cf. i due studi di OGF/PFG (cf. nota 5 – ndr) che riguardano approssimativamente il 30% delle esequie dell’aprile 2008 e del giugno 2013, come pure un sondaggio del 2-3 ottobre 2008 condotto su 1004 persone. 4 Il documento cita qui gli Allegati 1 e 2, che non abbiamo riportato (ndr). 16 C hiese nel mondo la celebrazione in chiesa alla presenza di un’urna cineraria. A questo è dedicata un’Appendice alla fine del quarto capitolo. I. Evoluzioni della società favorevoli alla cremazione Una certa concezione del corpo A spetti delle evoluzioni in corso Alcuni dati statistici Le statistiche del giugno 2013 elaborate dall’OGF/PFG5 confermano il profondo cambiamento in corso nelle pratiche funerarie in Francia. Nel giugno 2013 il 70% delle esequie era religioso. Se la percentuale è ancora alta, si rileva tuttavia una diminuzione del 7% in 5 anni. Il 95% è rappresentato da funerali cattolici celebrati per il 95% in chiesa. Ma vi sono tratti diversi a seconda delle regioni, come segue, a titolo di esempio. Per quanto riguarda i funerali civili (il 30% a livello nazionale), vanno dal 13% di Metz al 46% di Essonne. Se per la Francia nel suo complesso il 68% dei funerali in chiesa a cui segue una inumazione è celebrato da un ministro ordinato (prete o diacono), la cifra sale all’86% nel Sud-Est e scende al 56% nel Rhône-Alpes. Ancora, in media il 69% dei funerali cattolici celebrati fuori dell’edificio chiesa è accompagnato da laici, con scarti fra il 47% nell’Île-deFrance e il 5% nell’Ovest. Le motivazioni per la scelta della cremazione sono varie:6 – il 35% lo fa per non essere di peso alla famiglia al momento delle esequie; – il 24% per motivi ecologici; – il 9% per timore della decomposizione e del disfacimento del corpo; – il 5% per sopprimere il corpo il più rapidamente possibile. Queste cifre illustrano bene che la scelta della cremazione non è più legata a un anticlericalismo o a un rifiuto della fede nella risurrezione. Essa dev’essere posta in rapporto con gli sviluppi culturali della società detta postmoderna e con differenti concezioni del corpo, della morte e della gestione dei funerali. Si rilevano di seguito alcuni elementi che effettivamente giocano in favore della cremazione. 5 Il gruppo OGF (Omnium de gestion de financement), chiamato comunemente OGF/PFG, è un raggruppamento di enti funerari fra cui le Pompes funébres générales (PFG). 6 Cf. studio statistico Chambre syndicale nationale de l’art funéraire-Centre de recherche pour l’étude et l’observation des conditions de vie, «Les français et les obsèques», del giugno 2007. Il Regno - documenti 36/2015 Nella nostra cultura, contrassegnata tra l’altro dalla moderna medicina e dall’ideale di salute che essa permette, il corpo è fatto oggetto di molta cura. Basti vedere l’aumento costante delle spese relative alla salute, le cure di bellezza che le riviste promuovono, lo sport praticato intensivamente per mantenere la forma fisica, gli interventi chirurgici per tentare di arrestare «l’irreparabile oltraggio» del tempo che passa ecc. Quando sopraggiunge la morte, lo smarrimento – talvolta anche la rivolta – che provano i congiunti è tanto più vivo. In relazione a questo ideale la morte (ma anche la vecchiaia) può essere percepita come uno scacco, addirittura una perdita di senso. Si prova repulsione all’idea del degrado del corpo, della sua corruttibilità, della sua putrefazione. Far sparire rapidamente questo corpo morto, accelerare per mezzo della cremazione il processo che gli darà il suo stato definitivo di cenere, di resti, appare come la risposta più efficace di fronte al malessere del degrado corporeo. Anche il progresso della medicina e delle diverse tecnologie (fra cui l’informatica) modifica la concezione del corpo. Esso offre la possibilità di riparare gli organi difettosi, ma presto potrà anche permettere di aumentarne le capacità.7 Il sociologo David Le Breton, nella sua opera L’adieu au corps,8 constata che a causa del progresso tecnologico si può arrivare a considerare il corpo come una «bozza» da trasformare, rettificare, perfezionare, addirittura arrangiare diversamente. Questa concezione del corpo, che lo relativizza, gioca ampiamente in favore della cremazione. Vi si può rinvenire la forma moderna dell’idea del corpo come rivestimento o accessorio, o strumento dell’essere, che attraversa tutta la storia della filosofia e delle scienze umane o positive. Il pensiero ebraico e cristiano si è sviluppato attorno a un’altra prospettiva, secondo la quale il corpo partecipa pienamente all’essere personale e alla sua manifestazione. Citiamo queste righe di Bernard Sesbouë: «Con il corpo umano è stata varcata una soglia nuova e radicale. Senza dubbio esso assume tutti gli “stadi” inferiori dell’essere corporeo. Siamo fatti di atomi, di molecole, di cellule, di sistemi vegetativi e nervosi. Il nostro corpo obbedisce a tutte le leggi della biologia. Tuttavia, le oltrepassa in 7 Cf. J.-G. Xerri, «Le transhumanisme, ou quand la science-fiction devient réalité», Documents épiscopat (2013)9. 8 D. Le Breton, L’adieu au corps, Métailié, Paris 2013. 17 C hiese nel mondo maniera decisiva per mezzo della coscienza riflessa, per mezzo della ragione, per mezzo della capacità di linguaggio. Non è possibile qui separare facilmente il corpo e l’anima. Poiché tutto ciò che viviamo è indissociabile dal nostro corpo. È per mezzo di questo che lavoriamo e possiamo agire sulla natura e trasformare il mondo. Che pensiamo e parliamo, entrando così in relazione con gli altri. La nostra parola è immateriale quanto al senso ma anche molto materiale, poiché la nostra bocca articola dei suoni con il fiato. Quando scriviamo, è ancora con la mediazione del corpo che formiamo le lettere sulla carta o che battiamo sui tasti di un computer (…). È con il corpo che amiamo. I gesti dell’amore passano per esso, esprimendo un sentimento che va ben al di là delle sensazioni corporee. E in generale è nel nostro corpo che proviamo gioia e piacere».9 Il corpo è solamente cosa materiale oppure esprime la verità del nostro essere? Esitiamo, noi contemporanei, fra queste due affermazioni? La nostra società sopravvaluta il corpo, ne fa un vero oggetto di culto. Ma il corpo è anche mediazione della relazione con gli altri: è per mezzo del corpo che appariamo agli altri. Noi non «abbiamo» un corpo, ma piuttosto «siamo» il nostro corpo. È il primo luogo di relazione, di comunicazione. Un sguardo diverso sulla morte Insieme a un’idea di corpo in piena «rivoluzione», vi è anche lo sguardo che la società occidentale volge sulla morte. Che cos’è oggi la «buona morte»? L’allungamento della speranza di vita, i cambiamenti nelle cause di morte, i successi della medicina che permettono di allontanarne il momento e così via fanno sì che essa sia concepita meno come un esito naturale e più come la conseguenza di un’aggressione esterna (malattia, incidente ecc.). La morte ha sempre una causa, ed essa diviene sinonimo di scacco e di frattura.10 Qualche decennio fa, la «buona morte» era una morte vissuta «al suo momento», quando il defunto aveva avuto il tempo di trasmettere la propria esperienza, il proprio mestiere, i propri beni. Oggi, la morte «ideale» è una morte «senza soffrire», «all’improvviso», «senza accorgersene». Si osserva anche un paradosso: la morte ha una marcata sovraesposizione nei media (così che un quattordicenne può 9 B. Sesboüe, Croire. Invitation à la foi catholique per les femmes et les hommes du XXI siècle, Droguet et Ardant, Paris 1999, 309. 10 Notiamo a questo proposito che a metà del XX secolo la dizione «morte naturale» è stata soppressa nei certificati medici. Il Regno - documenti 36/2015 assistere a 20.000 morti attraverso serie poliziesche, telegiornali e videogiochi), ma è una morte lontana, virtuale e inimmaginabile di per sé. Sovrarappresentata nell’immagine, la morte è spesso nascosta come avvenimento reale: si muore all’ospedale, lontani da casa e dalle relazioni abituali, e la regola diventa l’anonimato o almeno la più grande discrezione. Perdita dei punti di riferimento che circondavano la morte I sociologi sono allarmati: nella nostra società la morte per tanti è concepita come «una finestra che dà sul nulla»11 (o su di un «a parte» indefinibile e senza legame con coloro che ci hanno preceduti o con l’altro) e i riti funebri sono «in panne»,12 meno collegati al mondo religioso. Compaiono nuovi riti tanto in ambito religioso quanto in ambito «laico» (specialmente al crematorio),13 che lasciano molto spazio alla personalizzazione, alla privatizzazione e alla soggettivizzazione. Così la dimensione sociale della morte tende a sfumarsi. Notiamo, infine, con il diminuire della pratica religiosa, la perdita dei punti di riferimento ancestrali che aprivano uno scenario quanto al futuro del defunto. Sembra si faccia fatica a trasmettere l’idea del passaggio dalla morte alla vita con Cristo, dell’attesa della risurrezione, del destino ultimo dove regna l’amore di Dio, di un aldilà fatto di relazioni personali, mentre non vengono più tenute in considerazione la teologia e le devozioni dei secoli passati che descrivevano i luoghi dell’aldilà: paradiso, purgatorio, inferno. Una legislazione sulla destinazione delle ceneri Queste incertezze si sono tradotte nella varietà delle pratiche relative alla conservazione o alla dispersione delle ceneri di un defunto dopo la cremazione. A tal punto che il legislatore ha stimato necessario intervenire con una proposta di legge sulla destinazione delle ceneri dopo la cremazione, legge 11 V. Jankelevitch citato da D. Le Guay, Qu’avons-nous perdu en perdant la mort?, Cerf, Paris 2003, 21. 12 L.-V. Thomas, Rites de mort, Fayard, Paris 1985, 94. 13 All’inizio degli anni Settanta del secolo XX la cremazione si riassumeva in una modalità tecnica, senza raccoglimento. La famiglia attendeva durante la cremazione, poi recuperava le ceneri. Nel 1986 (al crematorio del cimiero Père Lachaise a Parigi) si abbozzò una prima forma di cerimonia con un momento di raccoglimento e qualche parola pronunciata. Infine, nel 1998 il momento di raccoglimento è stato organizzato con diverse fasi – entrata, musica, raccoglimento, gesto di omaggio, partenza della bara –, e una vera e propria ridefinizione del ruolo del maestro di cerimonia. 18 C hiese nel mondo comunemente denominata «loi Sueur», adottata nel dicembre 2008.14 Quanti hanno condotto tale iniziativa si sono consapevolmente collocati in una prospettiva filosofica nella quale è possibile discernere due grandi principi. Innanzitutto, l’affermazione della dignità dei resti umani, anche al di là della morte e della distruzione del corpo. Le ceneri sono ancora i resti di una persona umana, meritano dunque rispetto e dignità, il che include il rispetto della sua unità fisica; non si dividono le ceneri. Per il legislatore è fondamentale questo criterio, che segna qualunque civiltà dalla notte dei tempi. Il titolo della proposta della legge: «Serenità dei vivi e rispetto dei defunti» ne riassume bene la forza. D’altro canto, la legge approvata stabilisce il principio fondamentale secondo il quale i resti umani non sono una proprietà privata. L’urna non è un possesso che si eredita, e dunque non la si può conservare a casa, né si può disperdere le ceneri in un giardino privato. La collocazione appropriata è quella di uno spazio pubblico, che lasci a chiunque la libertà di andarsi a raccogliere in un luogo dato alla memoria. Sono dunque previste quattro destinazioni possibili secondo la volontà del defunto: dispersione delle ceneri in un giardino della memoria, oppure nella natura, deposizione nel cimitero pubblico in una tomba di famiglia, oppure in un colombario. Ed è fatto obbligo di dichiarare al Comune di nascita l’indirizzo ove le ceneri sono state deposte affinché se ne conservi memoria e, se possibile, si iscriva in questo luogo il nome del defunto per permettere di raccogliervisi.15 La complicazione dei percorsi funerari Fra il domicilio, l’ospedale, la camera mortuaria (o la casa di riposo dove si trova il corpo del defunto), la chiesa, il cimitero o crematorio il corpo di un defunto conosce diversi spostamenti. Talvolta questi comportano distanze notevoli. Ricordiamo di passaggio che tali spostamenti sono regolati strettamente dalla legge. In tutto ciò va anche considerato che in molti casi i membri di una stessa famiglia e le relazioni del defunto si trovano distanti. Nelle aree urbane questi spostamenti sono resi difficili dall’ingombro della circolazione e richiedo14 J.-P. Sueur, J.-R. Lecerf, senatori. La proposta e la legge («Serenità dei vivi e rispetto dei defunti») sono disponibili sul sito del Senato francese: www.senat.fr/propositions-de-loi/ sueur_jean_pierre01028.html. 15 Notiamo che questi principi corrispondono a quelli della Chiesa, salvo il fatto che essa rifiuta la dispersione delle ceneri. Il Regno - documenti 36/2015 no tempo. Vengono assicurati dalle pompe funebri e hanno un’incidenza sul costo delle esequie. Vi è dunque l’esigenza di limitare gli spostamenti, sia della bara, sia dei partecipanti al funerale: – quando la celebrazione e l’inumazione debbono avvenire in un comune lontano, si richiede un momento di preghiera alla camera ardente con i parenti prossimi; – quando la scelta è orientata verso la cremazione, lo spostamento al crematorio richiede talvolta un tragitto relativamente lungo e costoso; da qui la richiesta di «fare tutto nello stesso posto»; – si nota poi questo ulteriore passaggio per le famiglie, quello del ricevimento dell’urna cineraria, che raramente avviene il giorno stesso della cremazione. In Francia la maggior parte dei crematori dispongono di una sala cerimoniale, e dunque la scelta della cremazione con una celebrazione sul posto offre una semplificazione del circuito funerario. Un rapporto differente col tempo e con le relazioni Nella scelta della cremazione, le analisi sociologiche rilevano l’influenza della concezione del tempo che è caratteristica del mondo contemporaneo, quella del «subito», «senza perdere tempo». La cremazione si trova allora su questo lato «breve» del tempo moderno: fare in fretta nella morte, come nella vita odierna. Ciò s’intensifica con la visione di un passato troppo doloroso da accettare, della difficoltà a scorgere il futuro generazionale e così via. La cremazione è anche sintomatica della vita relazionale del nostro tempo: fluttuazione delle relazioni, indebolimento delle radici familiari, scioglimento e ricomposizione delle famiglie... Allora, molto spesso, quando si prevede il proprio decesso si preferisce organizzare le cose «per non disturbare», anche dopo la morte; per non essere – ancora! – un peso per gli eredi. E i sociologi di nuovo suonano l’allarme: se si nutre questa coscienza sociale di essere «di troppo» o di «non aver trovato il proprio posto», non vi è forse un’affinità naturale col divenire cenere, e non occupare troppo spazio? Siamo ben lontani oggi da l’Enterrement à Ornans che Gustave Courbet dipingeva nel 1849, e si potrebbe riprendere con qualche nostalgia la canzone di Georges Brassens Les funérailles d’antan! Questo paesaggio sconvolto e complesso della società di fronte alla morte di fatto contribuisce al diffondersi della cremazione. Ma tale atteggiamento si ritrova anche nella Chiesa nell’esitazione ad accogliere la pratica della cremazione. 19 C hiese nel mondo La variegata risposta della Chiesa In tredici diocesi francesi è stata condotta un’inchiesta sulla presenza cristiana al crematorio e lo svolgimento di una celebrazione quando, per motivi diversi, non vi è passaggio in chiesa. Tale inchiesta fa emergere nelle risposte esitazioni e complessità, come pure un certo disagio rispetto ai riti da adottare. Si possono distinguere tre tipi di risposta, che vanno dalla scelta deliberata di celebrare al crematorio fino al rifiuto per principio, passando per situazioni più o meno gestite caso per caso.16 Presenza deliberata e organizzata della Chiesa al crematorio Questo primo caso corrisponde in prevalenza alle diocesi a intensa urbanizzazione, nelle quali i legami con la parrocchia e la comunità sono allentati. Il modello è caratterizzato da alcuni tratti comuni. Una decisione «diocesana» In queste diocesi il vescovo ha deliberato di creare un’équipe di persone che egli ha designato e mandato per celebrare una liturgia cattolica al crematorio o al centro funerario: «Nella diocesi di B., fino all’autunno 2009, due persone erano destinate a questo servizio e assicuravano tutte le celebrazioni nel centro funerario ove si operavano delle cremazioni. Il nuovo vescovo ha nominato un responsabile delle équipe per il culto cattolico al centro funerario». Talvolta si tratta di ufficializzare o di dare continuità a una situazione di fatto: «La presenza al crematorio di D. è stata decisa dal vescovo per un anno, a titolo di esperimento, al fine di regolarizzare la situazione di un cristiano che esercitava freelance. All’arrivo del nuovo vescovo è stato deciso di ufficializzare questa presenza cattolica». 16 La nostra analisi si basa su un certo numero di risposte fornite da persone o servizi incaricati di questo ambito missionario in Francia nel corso dell’anno 2013. L’inchiesta non è stata sistematica in tutte le diocesi, dunque non si può affermare che essa illustri le scelte pastorali delle diocesi o delle parrocchie nella totalità del territorio francese. Tuttavia, i lineamenti proposti possono permettere a ciascuna diocesi di collocarsi in questo scenario e di misurare le ripercussioni delle proprie decisioni riguardo alla presenza accanto alle famiglie in un contesto di «nuova evangelizzazione». Per discrezione, il nome delle diocesi è sostituito da una lettera attribuita a caso. Le diocesi che hanno voluto partecipare all’inchiesta sono le seguenti: Bayeux, Chambéry, Coutances, Créteil, Laval, Le Havre, Nantes, Nice, Rennes, Pontoise, Rouen, Saint-Brieuc, Séez. Il Regno - documenti 36/2015 Infine, la decisione può essere operativa senza essere stata debitamente ponderata e assunta: «Nella diocesi di E. non si è avuta una riflessione pastorale o diocesana previa, che è in corso. Per quanto riguarda il crematorio più antico, fin dall’inizio la parrocchia anima un momento di preghiera quando le famiglie ne esprimono il desiderio. Per il secondo crematorio, da un anno due persone, membri della Pastorale liturgica e sacramentale, rispondono per quanto possibile alle richieste delle famiglie. Per il terzo che si sta per aprire l’organizzazione deve essere ancora messa a punto». Un’équipe responsabile, riconosciuta e organizzata In alcune diocesi un’équipe diocesana che opera al crematorio è stata costituita per iniziativa del vescovo e della Pastorale liturgica e sacramentale. In altre si è realizzato un coordinamento diocesano. «A C. la responsabile è stata nominata dal vescovo con una lettera di mandato. Ella è membro dell’équipe diocesana delle esequie, senza legame specifico con la (o le) parrocchia(e)». «A B. si accolgono ogni anno 350 celebrazioni cattoliche. Quaranta persone di diverse parrocchie si recano al centro funerario per condurre le esequie. Esse seguono dei corsi di formazione diocesani. Hanno tutte una lettera di mandato firmata dal vicario episcopale. Una piccola équipe di cinque persone è pronta a intervenire in caso di non disponibilità delle équipe locali». In questa diocesi, la relazione con le parrocchie è assicurata da queste persone. Altrove l’équipe è nata piuttosto per iniziativa della parrocchia, ma interviene con l’assenso o l’appoggio della diocesi: «Nella diocesi di D. le équipe dei crematori dipendono dai responsabili del settore di riferimento sotto la guida del responsabile diocesano». La risposta da offrire richiede alla Chiesa la messa in opera di un’organizzazione efficiente e una grande disponibilità. È necessario che una persona fissa, facilmente raggiungibile, assicuri il coordinamento. Sono talvolta persone con un incarico ufficiale e una retribuzione, almeno a tempo parziale, come a B. o a F. Esse possono essere volontarie come a D. Nella diocesi di A. questo servizio è assicurato dal servizio d’accoglienza del vescovo e a G. da una comunità religiosa. Una collaborazione con i professionisti dei servizi di onoranze funebri La presenza della Chiesa al crematorio in prevalenza fa seguito a una richiesta dei gestori dei crematori, o delle imprese di pompe funebri: «La richiesta 20 C hiese nel mondo è giunta dagli operatori dei crematori. Le relazioni sono cordiali e aperte, ognuno assicura una parte del momento della celebrazione. (…) In concreto, tutte le agenzie del onoranze funebri del dipartimento hanno il numero di telefono della responsabile. Le relazioni sono eccellenti. Ognuno rispetta il lavoro dell’altro». Altrove le relazioni con i crematori sono più complesse o dipendono dall’apertura religiosa dei responsabili: «Nella diocesi di D. i crematori sono municipali. Uno dei crematori è gestito dalle Pompes funébres générales. Gli impiegati delle Pompes funébres générales ascoltano e rispettano le richieste cattoliche. Il secondo crematorio è gestito da un operatore municipale, ateo e anche piuttosto anticlericale. Le relazioni sono più difficili». In molti luoghi la Chiesa è riconosciuta come interlocutore e partecipa alla concertazione, persino a un comitato etico. La condizione giuridica del crematorio, privato o municipale, determina l’interlocutore: in molti luoghi è il Comune l’interlocutore privilegiato, senza trascurare la necessaria relazione con l’insieme delle imprese private di pompe funebri. Un vero servizio alle famiglie Appare molto chiaramente che la prima richiesta arriva dalle famiglie, che desiderano «qualcosa di religioso» ma sono riluttanti al «passaggio» in chiesa, che sembra troppo «pesante», da un punto di vista sia pratico sia simbolico. Le qualità relazionali di ascolto e di disponibilità si giocano allora allo stesso modo che nell’accompagnamento per una celebrazione in chiesa. Nella diocesi di C. «la presenza della Chiesa al crematorio permette ai cristiani che ne stanno al margine – che non andrebbero mai in una chiesa – di accorgersi che la comunità cristiana non li lascia soli e che viene detta loro una parola di speranza. È davvero una nuova evangelizzazione che avviene». Una liturgia «alleggerita» Fra le testimonianze raccolte figurano molte domande a proposito della liturgia realizzata in questo luogo neutro, privato o adattabile a qualunque culto. Globalmente la liturgia si basa sul Rito delle esequie e sulla guida pastorale Dans l’espérance chrétienne.17 Gli interrogativi si riferiscono al rito da celebrare, sia a causa del tempo limitato – generalmente trenta minuti – ma anche dell’opportunità di 17 Association episcopale liturgique pour les pays fran- (AELF), Dans l’espérance chrétienne, célébrations pour les défunts, Desclèe-Mame, Paris 2008. La guida è normalmente citata con l’acronimo DEC. cophones Il Regno - documenti 36/2015 riprodurre dei riti previsti in origine per lo spazio sacro della chiesa. Nella diocesi di B. «la celebrazione è per il momento la stessa che in parrocchia. La domanda che si pone è: si deve fare al centro funerario la medesima celebrazione che si svolge in chiesa?». La diocesi di D. ha «pubblicato un opuscolo approvato dal vescovo e intitolato Guide pour la prière publique pour les défunts dans les athanées, funérariums et crématoriums. Essa riprende essenzialmente le proposte della guida Dans l’espérance chrétienne, omettendo le preghiere di lode». Nella diocesi di E. e G. si mantiene il rito della luce senza il cero pasquale o il rito della croce. Nella diocesi di H. è stato elaborato uno svolgimento rituale che integra una benedizione dell’acqua. Vi è sempre la parola di Dio, seguita da un breve commento (o da un momento di meditazione con sottofondo musicale). A seconda dei luoghi, il rito della luce o quello dell’incenso possono essere vietati (o tollerati) per questioni di sicurezza e di regole interne del crematorio. Dubbi o difficoltà Al di là della soddisfazione espressa quanto alla relazione con le famiglie e la validità di questo accompagnamento, nelle testimonianze si percepisce un insieme di dubbi o di difficoltà suscitati dalla presenza di operatori pastorali in questi luoghi. – Legame con la parrocchia e con la comunità cristiana. L’organizzazione di B. permette un collegamento con le comunità locali per tramite degli operatori che fondamentalmente provengono dalle parrocchie ove risiedevano i defunti. Altrove questo legame è più tenue o inesistente, e ci si interroga sul rischio di indebolire ulteriormente la relazione delle famiglie con la comunità. Qui o là si tenta di rimediare alla mancanza. Nella diocesi di E. ci si chiede «come essere presenti al crematorio pur sostenendo l’importanza del funerale in chiesa, per il defunto, la famiglia e la comunità parrocchiale? Che legame assicurare con una comunità parrocchiale quando la famiglia, e spesso il defunto stesso, non ne avevano alcuno?». Nella diocesi di D. «al termine della celebrazione l’officiante annuncia che verrà celebrata una messa la domenica successiva in parrocchia. Il problema è che per la maggior parte queste famiglie ignorano quale sia la loro parrocchia». – Legame con il ministero ordinato. In generale le équipe che intervengono nei crematori sono composte di laici, sotto la supervisione di un prete, per lo 21 C hiese nel mondo più membro o responsabile della Pastorale liturgica e sacramentale. Si constata che i preti delle parrocchie vi sono poco coinvolti. Mai – nelle informazioni attualmente raccolte – si riferisce che venga celebrata l’eucaristia. Nella diocesi di B. «il referente è un prete, cappellano dell’ospedale. Egli segue le équipe e interviene solo se lo richiede una famiglia in quanto ha accompagnato il defunto come cappellano dell’ospedale. Anche se un prete è amico di famiglia può celebrare al centro funerario». – La questione economica. In molte diocesi il servizio reso richiede un sostegno economico per le équipe funerarie. Questo aspetto non trascurabile ha richiesto un protocollo di accordo con le agenzie di onoranze funebri e presuppone un dialogo con le famiglie. Questa decisione è stata presa per ovviare al rischio di abuso da parte di persone non designate dalla Chiesa che profittavano monetariamente della situazione (è avvenuto in diverse diocesi dell’Île-deFrance). «I membri dell’équipe ricevono un’indennità telefonica, come pure il rimborso chilometrico alla tariffa diocesana (...). Questa presenza della Chiesa permette anche di respingere i falsi preti o diaconi che imperversano nella diocesi di D. A tal proposito l’offerta richiesta alle famiglie è gestita dalla segretaria parrocchiale che versa questi soldi sul conto diocesano. Per il momento ciò non pone alcun problema alle parrocchie». Nella diocesi di B. «le famiglie che possono danno l’obolo (150 €). È ripartito come segue: 16 € per la messa, celebrata più tardi in parrocchia (per il prete); 67 € per la diocesi; 67 € per la parrocchia della persona che conduce le esequie. Lo gestisce un tesoriere». Altre, come la diocesi di I., accolgono la celebrazione delle esequie in un’antica cappella dell’ospedale vicino al funerario-crematorio. Presbiteri, diaconi o laici vi celebrano secondo il rituale abituale, compresa l’eucaristia. Una presenza della Chiesa secondo le singole situazioni In questo dipartimento vi è un solo crematorio situato nella città principale. Anche qui i trasporti funebri provengono da più dipartimenti vicini, e le cremazioni rappresentano circa il 29% del totale. Il direttore del crematorio è conosciuto come «cristiano praticante». Vi si propongono dei momenti di preghiera adattati secondo la religione della persona. Il 39% delle cerimonie religiose cattoliche viene innanzitutto celebrato in chiesa. Talvolta, dopo la celebrazione, dei preti o dei laici accompagnano la famiglia al crematorio. Caso particolare, un anziano prete operaio di ottantatré anni guida regolarmente dei momenti di preghiera direttamente al crematorio. Per evitare l’aspetto freelance, viene assistito da una persona che ha avuto mandato dalla diocesi per celebrare le esequie. Una presenza discreta e garantita In certe diocesi (E., J.) la parrocchia vicina al crematorio ha già preso l’iniziativa di rispondere favorevolmente alle richieste di intervento. Uno dei crematori della diocesi di J. ha operato 820 cremazioni nel 2011 e circa 900 nel 2012, ossia circa il 35% dei funerali. Esso copre una zona geografica molto ampia che si estende su diversi dipartimenti limitrofi. Una piccola équipe della parrocchia vicina interviene al crematorio quando la famiglia richiede una celebrazione cristiana, il che avviene nel 10% delle cremazioni. All’inizio sono intervenuti dei presbiteri, ma molto presto hanno lasciato ai laici di accompagnare le famiglie: «Siamo in buone relazioni con le agenzie di pompe funebri. Ma bisogna che la cosa non duri più di trenta minuti: una presentazione del defunto, una lettura biblica, un commento “leggero”, una preghiera dei fedeli con risposta, il Padre nostro, la benedizione del corpo, il gesto di commiato, poesie, musiche (soprattutto classiche) o canti registrati. Si conservano i riti propri della chiesa: benedizione, luce, ma non col cero pasquale». Questa équipe interviene così col sostegno dei preti della parrocchia e della Pastorale liturgica e sacramentale diocesana. D’altra parte, la zona geografica che fa riferimento a questo crematorio riguarda almeno quattro diverse diocesi, il che rende complesso il legame con le comunità parrocchiali. Una presenza «tollerata»: l’esempio di K. È difficile ricondurre a un modello le altre situazioni incontrate poiché le soluzioni offerte dalla Chiesa sono varie: vanno da una presenza garantita, ma che resta relativamente marginale, al rifiuto sistematico, spesso per decisione del parroco della parrocchia, ostile a una celebrazione al crematorio. Un luogo di celebrazione nelle vicinanze del crematorio Fra gli esempi citati in precedenza, la diocesi di G. segnala che si è tentato di proporre delle celebrazioni in chiese o cappelle vicine al crematorio. Ma la proposta per il momento non ha avuto seguito. Il Regno - documenti 36/2015 22 C hiese nel mondo Un’assenza della Chiesa deliberata e motivata Diverse diocesi che hanno partecipato all’indagine indicano il rifiuto di intervenire regolarmente per condurre la preghiera al crematorio in sostituzione di una celebrazione in chiesa. La ragione spesso presentata è che le celebrazioni in chiesa si diradano e sia le relazioni sociali sia il legame con la comunità si indeboliscono. Questa situazione si trova piuttosto nelle diocesi rurali, ma talvolta anche in zone a forte densità di popolazione. Il crematorio di L. ne è un buon esempio. È situato in un piccolo villaggio rurale nelle vicinanze di una città di medie dimensioni e pratica circa 750 cremazioni all’anno, ossia il 40% dei funerali (nel 2007, quando è stato aperto, erano il 20%). Oltre due terzi dei trasporti funebri sono prima «passati» in chiesa, e avviene talora (raramente) che un laico sia presente per una preghiera al momento della cremazione. Il crematorio propone sistematicamente un rito «universale», qualunque sia l’origine religiosa della persona, anche quando vi sia stata in precedenza una celebrazione in chiesa. La proposta figura in una «raccolta» che la famiglia può rifiutare.18 Tale rito è officiato dall’équipe delle pompe funebri del crematorio. Dà soddisfazione alle persone senza religione o lontane dalla Chiesa. In compenso, indispone profondamente i cristiani praticanti che esprimono il proprio malessere, addirittura la propria rivolta: «Eravamo usciti pacificati dalla chiesa, siamo usciti straziati dal crematorio!». Senza dubbio questo aspro sentimento è dovuto al fatto che i riti officiati appaiono, per i credenti, come una pallida copia dei riti cristiani oppure riti vuoti di speranza. Finora la Chiesa locale si è rifiutata di essere presente al crematorio per assumervi direttamente il servizio della preghiera. Molti preti sarebbero pronti a fare questo passo, ma li trattiene la difficoltà a trovare le persone da incaricare per questa missione. Inoltre, la questione non è stata affrontata nel suo complesso dalla diocesi. Dal punto di vita delle famiglie e secondo il direttore del complesso, queste desidererebbero un momento di preghiera: «Si desidererebbe che la parrocchia ci seguisse al crematorio o vi guidasse il momento della celebrazione soltanto in alcuni casi ben precisi. Molti dei contratti stipulati per le esequie prevedono il passaggio diretto al crematorio. 18 È il termine usato in loco per designare la cerimonia non religiosa. Il Regno - documenti 36/2015 Per noi le porte sono aperte. È un problema della Chiesa: occorrerebbero persone appositamente formate. L’importante è andare incontro alla famiglia e il crematorio è pronto a collaborare. Basterebbe incontrarsi» (parole del direttore del crematorio). La diocesi di O. ha condotto una riflessione al riguardo, nella prospettiva della costruzione prossima di due crematori nel dipartimento. Sulla base del Rito delle esequie (nn. 18 e 228) gli orientamenti diocesani manifestano una certa riluttanza, pur lasciando aperta la possibilità di una celebrazione al crematorio. Il rifiuto talvolta sistematico, più o meno motivato, di una presenza della Chiesa al crematorio pone tuttavia due problemi. – Questa posizione è sostenibile a lungo termine? Non si rischia di perdere definitivamente contatto con una parte importante dalla popolazione francese che, ancora oggi, si rivolge alla Chiesa a motivo della sua capacità e competenza, ma più ancora in ragione del messaggio di speranza che la celebrazione cristiana comporta? Al contrario, non si rischia di spostare definitivamente i riti del lutto dalla sfera pubblica a quella privata, dalla chiesa a un luogo neutro? – D’altro canto, un certo numero di imprese che gestiscono i crematori desiderano un maggiore coinvolgimento della Chiesa. Esprimono forse un puro interesse commerciale da parte delle agenzie di onoranze funebri, oppure il desiderio sempre più esplicito delle famiglie stesse? II. Il corpo del defunto nella celebrazione delle esequie È possibile pensare che l’attuale interesse per cremazione non sia senza legame con una visione del corpo e un comune sentire che di volta in volta lo esaltano oppure lo emarginano come insignificante. Vedremo invece come la liturgia delle esequie vada contro quel sentire. Il corpo del defunto – questo corpo spogliato della coscienza e delle relazioni, che va verso il degrado e perde la forma umana – dice tutta la vulnerabilità e tutta la finitezza dell’uomo. Eppure tutta la liturgia delle esequie si svolge attorno a questo corpo per attestarne la grande dignità, ed è partendo da esso e a suo riguardo che annuncia la speranza della risurrezione futura. È dunque importante valutare la portata teologica e antropologica di questo Rito e della sua celebrazione. 23 C hiese nel mondo La presenza del corpo nel Rito delle esequie Il Rito rende testimonianza alla dignità del corpo Il Rito delle esequie presta grande attenzione al corpo del defunto. Nella celebrazione, gli conferisce un posto speciale, per non dire centrale. Ad esempio, al momento dell’accoglienza alla porta della chiesa colui che presiede la celebrazione è chiamato a raccogliersi «davanti al corpo del defunto» (n. 44) compiendo al contempo un gesto (segno di croce, atto di benedizione). Inoltre il Rito invita a collocare il corpo «in modo da facilitare il radunarsi dell’assemblea e da permettere che tutti vedano bene i gesti compiuti attorno a esso» (n. 47). Occorre anche far notare i termini utilizzati per indicare il corpo, «il defunto» oppure «il corpo del defunto», che designano una persona, contrariamente ai termini «cadavere», «ceneri» oppure «resti». Il Rito dice ancora a suo riguardo «nostro fratello, nostra sorella»; accendendo i ceri ai lati del feretro, si dice di «rianimare questa fiamma presso N., nostro fratello, nostra sorella» (n. 55). Più ancora, al momento dell’incensazione del corpo, l’officiante si rivolge direttamente al defunto: «Ecco questo incenso, segno di rispetto per te, N. Salga davanti a Dio con la nostra preghiera» (n. 119). Questo rispetto mostrato dalla liturgia per il corpo del defunto richiama la stima biblica per il corpo, inscritta non soltanto nella creazione che porta il segno della bontà del Creatore, ma anche nel modo stesso in cui Dio ha scelto di rivelarsi, «per mezzo di uomini, alla maniera umana».19 Ma più ancora, è alla luce del Verbo incarnato che va compreso l’uomo nella sua realtà corporea. Fin dalle origini, contro le correnti gnostiche e docetiste, per le quali la realtà corporale era incompatibile con la trascendenza immateriale di Dio e per le quali la realtà corporea del Cristo non era che apparenza, la Chiesa ha dovuto difendere la verità del corpo di Gesù senza il quale non vi sarebbe stato un vero uomo. E questa realtà umana trova il suo pieno compimento in lui, nella sua resurrezione corporea, promessa della nostra. Paolo dirà che Cristo risorto è «primogenito di tutta la creazione» (Col 1,15). Il rispetto per il corpo del defunto, particolarmente marcato negli antichi riti delle esequie attraverso le cure che gli sono prodigate, «fa cogliere che esso non cade puramente e semplicemente nell’insignificanza».20 19 Concilio ecumenico Vaticano II, cost. dogm. Dei Verbum, n. 12; EV 1/891. 20 P. Fresson, «Le corps, enjeu eschatologique dans Il Regno - documenti 36/2015 Respinge ogni forma di dualismo Il rispetto e i riti che circondano il corpo, la maniera in cui il Rito interpella il defunto compiendo dei gesti sul suo corpo (cf. il rito dell’incensazione), l’insistenza delle orazioni sull’assunzione di tutto l’uomo in Dio,21 respingono qualunque concezione dualista dell’uomo. Il Rito è del tutto coerente con ciò che afferma la costituzione Gaudium et spes a questo riguardo: «Unità di anima e di corpo, l’uomo sintetizza in sé, per la stessa sua condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi attraverso di lui toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore. Non è lecito dunque disprezzare la vita corporale dell’uomo. Al contrario, questi è tenuto a considerare buono e degno di onore il proprio corpo, appunto perché creato da Dio e destinato alla risurrezione nell’ultimo giorno» (n. 14; EV 1/1363). Alla concezione frammentata del corpo umano, che è dominante nella nostra cultura, la fede nella resurrezione oppone e valorizza la dignità del corpo e soprattutto l’integrità della persona umana, corpo e anima: corpo animato, spirito incarnato. La persona umana non è dunque soltanto qualcuno che ha un corpo, ma qualcuno che è il suo corpo, luogo di relazione, di comunicazione fra l’esteriorità e l’interiorità. È quanto mette in evidenza questo testo della Conferenza episcopale tedesca, in una riflessione sulla pratica della cremazione: «Il corpo privo di vita ha anch’esso la sua dignità (…). È il corpo della madre o del padre a cui i figli devono la vita; il corpo dell’amico, la cui vicinanza era comunicazione di relazione e di amore; è il corpo che conserva i segni del lavoro fisico, o mediante il quale si è praticato il lavoro intellettuale; il corpo che nella sua vita ha portato le stimmate della malattia e delle sofferenze, dell’handicap, dell’età e della decadenza, ferite che nella trasfigurazione della carne risorta ricevono valore eterno».22 le Rituel francophone des funérailles», La Maison-Dieu 220(1999)4, 105-118, qui 116. 21 Ad esempio: «Concedi al nostro amico la gioia che riservi ai tuoi fedeli: liberalo da tutto ciò che lo tiene lontano da te, donagli di vedere il tuo volto il giorno della risurrezione» (n. 80). O ancora: «Signore, il nostro fratello ha partecipato alle sofferenze del tuo Figlio nella malattia e nelle prove. Ha completato nella sua carne ciò che manca alla passione di Cristo. Concedigli di condividere la gloria della sua risurrezione» (n. 72). 22 «Le prassi funerarie e di accompagnamento alle persone in lutto. Riflessioni della Conferenza episcopale tedesca (1994)», Documentation catholique, n. 2123 (15.11.1995), 1002ss. 24 C hiese nel mondo Evoca una presenza-assenza che è nell’ordine del segno Con molto tatto il Rito suggerisce, nella maniera di considerare il corpo, una presenza-assenza che rimanda alla categoria del simbolo: non è più la presenza di colui o colei che sono dipartiti; e tuttavia continua a significare il loro essere presenti. Davanti alla frattura che la morte costituisce, il Rito delle esequie, prendendosi cura del corpo del defunto, conferma che è impossibile immaginare un’anima totalmente indipendente dal suo corpo; «né l’antropologia teologica, né una conseguente teologia della creazione possono risolversi a vederlo corrompersi completamente e definitivamente».23 In altre parole, solo la visione dell’uomo nell’integralità della sua natura, indissolubilmente carnale e spirituale, può esprimere ciò che realmente è l’uomo e quale sia la sua dignità. Tutta la liturgia delle esequie invita dunque a considerare il corpo del defunto non come un semplice resto o addirittura uno scarto, un involucro di cui il defunto si sarebbe spogliato, ma come «luogo» di attesa del mistero della risurrezione della carne. Nel suo modo di considerare il corpo del defunto e di porlo in mezzo a un’assemblea di viventi, la liturgia lo designa come portatore del mistero della resurrezione promessa, come depositario della speranza cristiana. Senza disconoscere l’opera ineluttabile della corruzione della carne, i credenti continuano a leggere, in ciò che resta di un corpo che fu vivente, il mistero della sua speranza: la risurrezione dei morti. Una liturgia battesimale Occorre sottolineare il carattere battesimale della liturgia delle esequie. Il defunto è infatti accolto alla porta della chiesa come lo fu per il battesimo. Come per il battesimo, il cero pasquale è la sorgente della luce che attornia il suo corpo, luce del Cristo risorto. La croce da cui fu segnato al battesimo è deposta sul feretro; la croce, non già innanzitutto segno di sofferenza, ma, come esprime la monizione che accompagna il gesto, segno dell’amore personale di Cristo che ha dato la vita per noi: «Ricordati, Signore Gesù, che ci hai amati fino a morire per noi; questa croce sia dunque ai nostri occhi il segno del tuo amore per N. e per ognuno di noi» (n. 58). Al momento dell’ultimo saluto, il corpo è benedetto con l’aspersione dell’acqua, ricordo dell’acqua battesimale per mezzo della quale lo Spirito di Dio 23 Fresson, «Le corps, enjeu eschatologique dans le Rituel francophone des funérailles», 117. Il Regno - documenti 36/2015 gli ha donato la vita nuova in Cristo. E se l’incenso non entra nella celebrazione del battesimo, nella liturgia eucaristica esso onora i battezzati, membri del popolo di Dio, che già hanno parte alla santità di Cristo, formando in lui il tempio dello Spirito Santo. Il carattere battesimale delle esequie è dunque, come si vede, un tono pasquale. La liturgia celebra il mistero pasquale di Cristo (cero pasquale e croce) al quale il defunto, fin nel suo corpo, è già stato configurato nel battesimo. Si può notare qui come, per parlare della vita nuova che ci è offerta nel battesimo, Paolo riprende il simbolismo della deposizione nel sepolcro: «Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione» (Rm 6,4-5). Il defunto e il corpo di Cristo Notiamo inoltre che le esequie cristiane hanno anche un carattere eucaristico. Senza cercare di illustrarne tutte le armoniche, ci si limiterà al legame fra il defunto e il corpo di Cristo, corpo personale del Risorto e corpo ecclesiale di Cristo. Di questo corpo, l’eucaristia è il sacramento.24 La liturgia delle esequie attesta che il defunto appartiene sempre al corpo di Cristo che è la Chiesa. Essa lo fa in molti modi. La presenza del corpo del defunto in mezzo all’assemblea è essa stessa significativa. Una nota all’inizio del Rito precisa: «Secondo l’opportunità, si conserverà l’usanza di disporre il corpo nella posizione che esso occupava abitualmente nell’assemblea liturgica, ossia: per un fedele, volto verso l’altare; per un presbitero o un diacono, volto verso il popolo» (n. 47). Così è reso manifesto il posto ecclesiale che esso continua a occupare nella comunione dei santi di cui l’assemblea liturgica è il segno. È ciò che sottolinea una delle preghiere di inizio del Rito: «Signore Gesù, tu hai voluto che proprio colui che ci ha appena lasciato, sia oggi colui che ci raduna» (n. 66). Nel corso della preghiera eucaristica la Chiesa prega in comunione con i santi, e prega per i fratelli e sorelle defunti, e in particolare per il tale o la tale che vengono raccomandati. La raccomandazione dei defunti nel cuore della grande preghiera di ren24 Ricordiamo tuttavia che il sacramento dei morenti è la comunione al corpo di Cristo data nel viatico, sacramento del passaggio ultimo insieme a Cristo. 25 C hiese nel mondo dimento di grazie e di supplica della Chiesa li indica come parte sempre integrante del corpo ecclesiale di Cristo. Il battesimo e la comunione che essi hanno ricevuto nel corso della vita terrena preparano sempre, in essi come in noi, l’ultima comunione con Dio per mezzo di Cristo e in lui. Da questo punto di vista, poiché la celebrazione dell’eucaristia si è fatta più rara nello svolgimento dei funerali, è una pratica importante invitare le famiglie a partecipare a un’eucaristia domenicale ove si pregherà specialmente per il loro defunto. Infine, il Rito delle esequie insiste particolarmente sul ritrovarsi con il defunto (cf. nn. 107, 108, 125). Questa speranza si poggia sul già della comunione dei santi. Al termine della celebrazione, al momento dell’ultimo saluto, il Rito afferma: «Anche se la morte sempre comporta una separazione, i cristiani, come membra di Cristo, non possono essere separati, poiché sono uno in lui» (n. 99). Nei gesti e nei testi che prevede attorno al corpo del defunto, tutto il Rito è continuamente attraversato dalla proclamazione della fede fondamentale che la legge apparente della morte è soltanto temporanea: «Con rispetto e affetto affidiamolo/la alla misericordia del Padre nella speranza di ritrovarlo/ la un giorno, quando l’amore di Cristo, vittorioso di ogni male, avrà trionfato sulla morte» (n. 105; ripreso in Dans l’espérance chrétienne, n. 234). Riferendosi alle parole di Cristo nel discorso sul pane di vita al capitolo 6 del Vangelo di Giovanni, alcuni testi del Rito pongono in relazione la vita sacramentale del defunto, messa in pratica mediante il corpo, e la sua realizzazione escatologica: «Per mezzo del battesimo è divenuto/a figlio/a di Dio, per mezzo dell’eucaristia è stato/a nutrito/a dal corpo di Cristo: trovi ora posto al banchetto del cielo, che riceve in eredità coi santi, l’eternità promessa» (n. 108; ripreso in Dans l’espérance chrétienne, n. 233). Nel mistero, la risurrezione della carne è già in gestazione in questa vita, come Paolo esprime ricorrendo all’immagine del seme: «È seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato nella debolezza, risorge nella potenza; è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale» (1Cor 15,43-44). Nel cuore del mondo e della vita di ogni uomo, attraverso l’esperienza stessa della morte, germoglia la realtà del Regno. Inumazione e cremazione Ci si può limitare qui al significato dell’inumazione (seppellimento del corpo in una fossa scavata nella terra; ndr) e della deposizione nella tomba per la fede cristiana. Si sa che i racconti della PassioIl Regno - documenti 36/2015 ne terminano con la deposizione nel sepolcro; san Giovanni ci dice che era un sepolcro nuovo, e che si trovava in un giardino. Da quel sepolcro sorgerà il mondo nuovo, il nuovo Adamo definitivamente vittorioso sulla morte. Al mattino di Pasqua questo sepolcro vuoto, dove si constata con stupore che i teli sono riposti a parte, sarà per Pietro e per il discepolo amato il primo segno dell’inaudito: il Signore è risorto. L’inumazione lascia che il tempo compia il suo lavoro. Per i congiunti del defunto, deporne il corpo nella tomba è acconsentire a lasciare la presa sul suo avvenire; è, nella speranza, rimetterlo a Dio. Il simbolo della deposizione nella tomba è così potente che – come si è detto sopra – Paolo lo riprende a proposito del battesimo dei cristiani. Allo stesso modo, nella lettera ai Corinzi, per rispondere a quanti dubitano della risurrezione dei morti, egli collega alla sepoltura la metafora del seme: «È seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità» (1Cor 15,42). Nel Vangelo di Giovanni si ritrova ugualmente questa metafora del seme, questa volta sulla bocca di Gesù che parla della propria morte: «In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). Si comprende dunque facilmente la preferenza della Chiesa per l’inumazione.25 Come afferma l’orazione di benedizione della tomba, da quei tre giorni in cui il Signore ha riposato nella terra, «la tomba degli uomini è divenuta, per i credenti, segno di speranza nella risurrezione» (n. 263). Se la pratica della cremazione non reca danno al mistero cristiano in sé, essa richiede tuttavia ai pastori una valutazione particolare dei riflessi che essa può avere sulla rappresentazione della fede cristiana. Vi è reale tensione fra i riti funebri coi quali la Chiesa avvolge il corpo del defunto e la cremazione, nella misura in cui questa è un atto volontario e violento, che accelera il processo di distruzione e di disfacimento del corpo. Ciò non deve comunque portare a sminuire questi riti, anche se a essi segue la cremazione. Si comprende tuttavia perché la Chiesa richieda di non disperdere le ceneri e che queste siano conservate nell’urna deposta al cimitero o in un colombario.26 25 «Pur rispettando la libertà delle persone e delle famiglie, non si perderà di vista la tradizionale preferenza che la Chiesa accorda al modo in cui nostro Signore stesso è stato seppellito» (Rito delle esequie, vol. I, n. 18). 26 Su questo punto le disposizioni della legge francese (Legge Sueur) non coincidono. Cf. Congregazione per il culto divino, nota L’incinerazione, indicazioni e norme, febbraio 2012. 26 C hiese nel mondo L’inchiesta condotta nelle diocesi (c. I) e la riflessione antropologica e teologica alla luce del Rito delle esequie (c. II) mostrano ampiamente come la cremazione richieda una specifica valutazione pastorale e liturgica. Le ultime due parti di questo documento vogliono offrire alcuni elementi di interesse o di orientamento. III. Celebrare al crematorio: riflessioni pastorali Dialogo e concertazione La Chiesa non è più l’interlocutore privilegiato né l’unico attore nello svolgimento delle esequie e nei rituali che vanno definendosi per accompagnare la morte. Al momento in cui avviene un decesso le famiglie si rivolgono innanzitutto alle imprese di onoranze funebri, alle quali viene sempre più demandata la conduzione globale delle esequie e i suoi passaggi. Fra le proposte di queste agenzie vi sono anche elementi di omaggio al defunto, perfino rituali di commiato. Da ciò risulta evidente l’importanza del dialogo e della concertazione con i differenti operatori e professionisti: i servizi di pompe funebri, i responsabili del crematorio. La Chiesa, dal canto suo, deve interrogarsi sulla comunicazione e l’identificazione (o la leggibilità) del proprio messaggio cristiano e sulla sua collocazione. In questa prospettiva diversi vescovi hanno pubblicato orientamenti diocesani per la pastorale delle esequie. L’elaborazione di questi orientamenti è avvenuta a partire dal dialogo con i servizi diocesani di pastorale liturgica e di pastorale delle esequie, con le équipe locali e anche con i responsabili di dei servizi di pompe funebri. È fortemente consigliabile che la Chiesa sia in grado localmente di offrire un messaggio chiaro e una pastorale coerente sulle modalità della propria presenza (o le ragioni della propria assenza) nei crematori. Questo va anche a vantaggio delle famiglie. Si può notare che l’evoluzione delle pratiche funerarie è talmente rapida da interpellare gli operatori del settore tanto quanto la Chiesa. È allora urgente lavorare e riflettere insieme, specialmente sulle implicazioni etiche di tali cambiamenti. La composizione del Comitato nazionale di etica funeraria27 è un buon esempio. Esso è infatti formato di 27 Il Comitato nazionale di etica funeraria, creato nel febbraio 2001 dalla Società di tanatologia e dalla Confederazione Il Regno - documenti 36/2015 professionisti del funerario, di sociologi, di personale sanitario, ma anche di membri di diverse religioni. È inoltre vicino al Comitato nazionale di etica. La partecipazione della Chiesa a queste istanze è da incoraggiare. La posizione e il riconoscimento delle équipe funerarie dei crematori Dall’inchiesta condotta nelle diocesi emerge talvolta una certa indeterminatezza riguardo alla posizione delle persone che intervengono per un momento di preghiera al crematorio. La presenza di una équipe funeraria in questi luoghi non è riconosciuta in maniera sistematica. Per dare consistenza sia alla visibilità della Chiesa sia alla legittimità delle persone sarebbe bene che fosse ufficialmente creata un’équipe per le esequie a cui dare specifico mandato. Una simile équipe è infatti spesso formata di laici, ma vi hanno un ruolo anche i ministri ordinati, preti o diaconi, in quanto quegli ambienti sono anche ambiti di evangelizzazione. Consolidare i legami con la comunità cristiana La richiesta di preghiera e di celebrazione delle esequie al crematorio è spesso avanzata da persone che non hanno legami o riferimenti nelle comunità parrocchiali. La preghiera al crematorio rischia allora di essere percepita come una preghiera soltanto familiare e privata. Per quanto possibile è bene che si stabiliscano contatti e che circolino le informazioni fra quanti intervengono al crematorio e la parrocchia della famiglia o del defunto. Questo legame con la Chiesa si favorisce innanzitutto grazie alla qualità del rapporto e all’incontro con la famiglia prima della celebrazione. Come si è già detto, le esequie cristiane non possono essere completamente separate dall’eucadei professionisti dell’imprenditoria funeraria e cimiteriale ha lo scopo di condurre una riflessione etica sull’esercizio della professione e di avanzare proposte accettabili per tutti (congiunti in lutto e professionisti) in un’ottica pluridisciplinare. Suo obiettivo e sua ragione d’essere sono fissare nuove regole morali d’esercizio di queste professioni senza disconoscerne le caratteristiche commerciali. Si tratta di fare coesistere in modo armonioso ed equo l’equilibrio economico delle imprese di onoranze funebri con la dimensione umana e sociale che questa professione così particolare deve possedere. Il Comitato nazionale di etica funeraria è formato di personalità note per le competenze e l’interesse per le questioni etiche. Si veda il sito www.ethique-funeraire.com. 27 C hiese nel mondo ristia. Anche se la famiglia è lontana dalla Chiesa e dalla pratica religiosa, estendere un invito ai congiunti per l’eucaristia domenicale ove la comunità pregherà in maniera speciale per il defunto e lo ricorderà personalmente non è un passaggio da trascurare. Questo richiede ovviamente che, quel giorno, dei membri della comunità parrocchiale abbiano cura di accoglierli e di stare loro vicini. Essere e fare Chiesa in un ambiente come il crematorio Riflessioni sul luogo della cremazione In Francia si è soliti celebrare le esequie nella chiesa del paese o del quartiere. Sta ora accadendo che a causa della mobilità o della scristianizzazione i legami fra i battezzati e la comunità locale di riferimento si siano indeboliti, e che molti cattolici se ne siano allontanati. Essi dunque ignorano qual è la loro parrocchia e la chiesa nella quale si raduna la comunità cristiana. Questo dato di fatto, al quale si possono aggiungere considerazioni pratiche o economiche, porta sempre più le famiglie a scartare la celebrazione alla chiesa, pur desiderando che venga organizzato un momento di preghiera al crematorio. La chiesa è il luogo dell’ecclesia, ossia del radunarsi dei credenti per affermare la propria fede e la vita fraterna che ne consegue. È inoltre il luogo della lode e dell’offerta. Il crematorio è in realtà un ambiente unicamente dedicato alle esequie, ove le persone si recano per dare un ultimo saluto al defunto; non ha quindi e non può avere la densità simbolica ed ecclesiale della chiesa. Sorge inoltre un interrogativo: come può questo luogo neutro, adattabile a ogni tipo di cerimonia religiosa o civile, divenire uno spazio degno per una preghiera cristiana? A quali condizioni questo spazio può essere «trasformato» al fine di permettere a un’assemblea, anche se poco numerosa, di trovare delle condizioni favorevoli per riconoscere la presenza di Cristo? È bene ricordare che il termine «Chiesa» designa innanzitutto l’assemblea dei credenti che, nella comunione dello Spirito, professa Cristo e loda Dio per le sue meraviglie. È da questa assemblea che il luogo di raduno e di culto trae il suo nome. La Chiesa è il tempio edificato da pietre vive dove il Padre è adorato in spirito e verità. In ogni luogo è dunque possibile formare una Chiesa. Trattandosi del crematorio, tutto dipende allora dalla maIl Regno - documenti 36/2015 niera di «abitare» il posto, di porvisi cristianamente nella fede e la speranza, di fare sì che esso sia un luogo di incontro con Cristo risorto. Una ritualità necessaria I sociologi osservano che, rispetto al XIX o all’inizio del XX secolo, i riti che accompagnano la morte sono andati perdendo l’antica importanza. Allo stesso tempo, tuttavia, si rileva un’aumentata consapevolezza della funzione essenziale del rito, che è funzione sociale, psicologica, spirituale. I vivi non possono restare soli e come nudi di fronte alla morte del parente o dell’amico. Le imprese di onoranze funebri inoltre hanno molto lavorato sul cerimoniale da porre in atto nel corso delle esequie e intendono offrire un autentico servizio rituale alle persone in lutto. È in questo nuovo contesto che occorre riflettere riguardo alla preghiera cristiana di commiato per un defunto, celebrata al crematorio, senza passaggio in chiesa. La questione è complessa poiché le richieste di celebrazione in questi casi spesso provengono da congiunti poco familiari con la fede cristiana ma che voglio ugualmente «un qualcosa» che sia legato alla tradizione cattolica. Il rischio o la tendenza sarebbero di limitarsi a un «omaggio» reso al defunto; occorre invece anche aiutare l’assemblea riunita attorno a lui a volgersi a Dio e verso il futuro che egli ci apre. Per chi guida la preghiera, anche se consapevole che non tutti in quell’assemblea condividono la fede cristiana, si tratta di onorare il desiderio espresso dalla famiglia. La natura degli elementi fondamentali di una liturgia o di una ritualità cristiana, lungi da essere un ostacolo, al contrario permettono questo ritorno di fede e di speranza. Si possono indicare tre elementi fondamentali della liturgia adatti a una preghiera al crematorio i quali, coniugati insieme, consentono di dare identità a una celebrazione cattolica. Permettere ai convenuti di divenire un’assemblea Al crematorio esiste il rischio che l’officiante sia percepito solo come un prestatore di servizi e che i presenti siano soltanto individui che assistono, poiché non hanno più alcuna cultura cristiana. Occorre dunque trovare il modo di coinvolgere i presenti in quanto partecipanti e non soltanto come assistenti (senza dimenticare che anche la comunione, nel silenzio e nel raccoglimento, è un modo di parte- 28 C hiese nel mondo cipare all’azione che si compie). Il rito, con i suoi gesti (segno della croce, benedizione) e le sue parole (risposte, preghiere e in particolare il Padre nostro) è una via per questa partecipazione. Chi guida la preghiera non dimenticherà che una celebrazione non è una rappresentazione, ancor meno una manipolazione; essa è una mistagogia in cui le parole, i gesti, ma anche il silenzio e il raccoglimento sono una strada per entrare in sé stessi e dirigersi verso quel luogo dove Dio parla al cuore, nella convinzione che anche dei non credenti possano incamminarvisi. «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro», dice il Signore ai suoi discepoli (Mt 18,20). Il posto della parola di Dio proclamata e commentata La riforma liturgica, in piena coerenza con la costituzione sulla divina rivelazione, ha voluto ridare alla parola di Dio tutto il posto che le spetta nella liturgia. I brani che vengono letti non sono in primo luogo testi per far pensare, ma piuttosto una parola di vita da udire e da ricevere, parola di Dio che suscita la risposta della fede e della preghiera. È per questo che si privilegerà sempre la proclamazione di un testo biblico anziché la lettura di testi profani. Si tratta di intendervi la promessa stessa di Dio, promessa che apre un orizzonte nuovo ai defunti, alla nostra comunione con essi nell’ora stessa in cui la morte appare come una conclusione. Va da sé che questa liturgia della Parola può essere semplice, anche breve (poiché capita che il tempo al crematorio sia limitato). Si farà tanta più attenzione alla qualità della Parola; e anche alla qualità del libro da cui si trae la parola di Dio: la Bibbia, il lezionario. I responsori brevi che si trovano nel Rito delle esequie o nella guida Dans l’espérance chrétienne sono perfettamente adeguati per questi momenti di preghiera. Il riconoscimento di un officiante che ha ricevuto un mandato ecclesiale È importante che chi guida la preghiera e il rito sia riconosciuto come persona che ha ricevuto un mandato ecclesiale e opera in rappresentanza della Chiesa, e non a titolo proprio, a titolo individuale o in ragione di qualifiche personali. Talvolta la preghiera è condotta da due persone insieme. In ogni modo, nella maniera di presentarsi e di guidare il momento, occorre mostrare che si agisce, che si ascolta, che si prega nella comunione e nel legame con la Chiesa in quanto comunità di fede, di speranza e di carità. Il Regno - documenti 36/2015 IV. Celebrare al crematorio: riflessioni liturgiche L’inchiesta condotta presso le diocesi ha mostrato che esistono dubbi in relazione allo svolgimento dei riti nei crematori. Quanti guidano i momenti di preghiera si chiedono: «È bene realizzare al crematorio la medesima liturgia che si celebra in chiesa?». La risposta è complessa poiché molto spesso, come abbiamo detto sopra, le richieste di celebrazione provengono da congiunti poco familiari con la fede cristiana che vogliono comunque un rito cattolico. Come rispettare la richiesta delle famiglie, senza svuotare il rito dell’espressione della fede cristiana in un luogo – e in un tempo – che non è la chiesa, ovvero che non è lo spazio abituale per compiere il rito cristiano? Si evidenzia anche un altro punto delicato: sempre più i servizi di onoranze funebri, nella sollecitudine ad accompagnare il lutto delle famiglie, propongono un cerimoniale delle esequie a partire da un «servizio-tipo» nel quale potrebbe essere possibile inserire elementi cristiani.28 Ora, il rito cristiano è un insieme di parole e di gesti orientati non solo al ricordo del defunto e alla consolazione delle famiglie, ma più ancora alla manifestazione della presenza di Dio alla nostra umanità sofferente. È per questo che, per un momento di preghiera in un luogo come il crematorio (ma ugualmente nelle camere ardenti), occorre includere in un rituale cristiano dei punti di riferimento chiari e senza equivoci. Anche se è possibile personalizzare le esequie, è comunque indispensabile basarsi sul Rito e sulla sua dinamica propriamente cristiana. I gesti e i simboli della liturgia infatti sono «collaudati», ci precedono e non ci appartengono. Invitati a compiere gesti e pronunciare parole che generazioni di credenti hanno a loro volta adottato nel tempo, i congiunti in lutto possono cogliere che essi non sono i soli a vivere questa situazione. Come abbiamo visto, la liturgia cristiana delle esequie ha un carattere battesimale. Ciò si mostra fondamentalmente nell’itinerario che traccia e nei gesti e simboli che pone in essere. Al crematorio occorre essere attenti a questo aspetto. Un itinerario da rispettare La struttura della celebrazione delle esequie mostra una certa logica: aiutare i dolenti a spostare 28 Si veda al riguardo F. Michaud-Nérard, Une révolution rituelle: accompagner la crémation, Éditions de l’Atelier, Paris 2012, 107ss, su una «spiritualità laica». 29 C hiese nel mondo lo sguardo dal defunto a Cristo, a passare dalla tristezza della perdita alla speranza e alla promessa di vita che è Cristo. Così l’avvenimento della morte è sostituito nella dinamica del «passaggio», della Pasqua, orientando i dolenti, come il defunto, verso il destino ultimo: l’ingresso nel regno di Dio. La sequenza accoglienza / parola di Dio / raccomandazione del defunto a Dio e ultimo saluto va dunque rispettata. L’accoglienza: passare dallo sguardo sul defunto allo sguardo rivolto a Cristo Questo momento fondamentale manifesta tanto la sollecitudine della Chiesa per le famiglie nella varietà delle loro situazioni, quanto la presenza di Cristo e la dimensione ecclesiale della celebrazione. L’arte di chi guida la preghiera sarà aiutare la famiglia a passare dallo sguardo sul defunto (farne memoria) allo sguardo verso Cristo («volgiamoci verso...»). È la funzione delle parole d’accoglienza e dei riti d’accoglienza. Si comprende bene qui il necessario contatto con la famiglia (per quanto possibile) prima della celebrazione. È anche dando importanza a un segno della croce ben fatto, è invitando a guardare la croce di Cristo e così via che si servirà al meglio sia l’attesa dei congiunti sia la fede cristiana. La liturgia della parola di Dio: ascoltare colui che dà senso La riforma liturgica ha permesso di ritrovare il posto fondamentale della parola di Dio in qualunque celebrazione liturgica. Il n. 88 dei Praenotanda del Rito ne fa eco: «Nelle celebrazioni per i defunti la liturgia della Parola riveste un ruolo molto importante. Essa proclama il mistero pasquale, nutre la speranza di ritrovarsi nel regno di Dio, rende manifesti i legami profondi che uniscono i morti e i viventi, esorta alla testimonianza di una vita cristiana». Nel caso in cui il momento di preghiera avvenga soltanto al crematorio, la parola di Dio è fondamentale, tanto più che certe famiglie sono poco abituate alla fede cristiana e tuttavia richiedono un sostegno, una spiegazione, una risposta alle domande sul senso della vita e della morte che i cristiani possono offrire. La parola di Dio non è dunque sostituibile con testi profani.29 Questi non possono, allo stesso titolo delle sacre Scritture, essere questa Parola viva 29 Essi hanno piuttosto un posto all’inizio del momento di preghiera. Il Regno - documenti 36/2015 che Dio rivolge all’assemblea, una Parola che salva, nella quale, ci dice Sacrosanctum concilium al n. 7, Cristo stesso è presente. Dio ha parlato con i suoi figli e desidera la comunione con loro; per questo motivo la preghiera universale, la preghiera di azione di grazie, la recita del Padre nostro sono momenti favorevoli alla risposta dei congiunti. L’ultimo saluto: con fiducia, raccomandare il defunto a Dio Nel quadro del Rito delle esequie, il commiato vuole raccomandare il defunto a Dio, accompagnarlo nel suo passaggio con la preghiera, rimetterlo con fiducia fra le mani del Padre e rinviare i viventi a questo mondo. Questa parte del rito va dunque conservata nel caso di un momento di preghiera al crematorio. Simboli e gesti da non edulcorare Vi è spazio al crematorio per la croce, il rito della luce, l’aspersione, l’incenso, in breve per questi gesti e simboli che il Rito delle esequie contempla? La croce La croce, segno e strumento della nostra salvezza, è a volte rifiutata dalle famiglie in lutto poiché significa chiaramente la morte. Tuttavia, essa ha certamente il proprio posto nel momento di preghiera al crematorio. Iniziare infatti con questo segno forte ricorda il luogo ove Dio ci parla e ci raggiunge / si unisce a noi: nella sua sofferenza e nella sua morte. Di conseguenza, sarà necessario che al crematorio durante il momento di preghiera sia presente una croce. È possibile darle rilievo ponendole accanto una candela. Il rito della luce Nel funerale celebrato in chiesa i ceri che circondano la bara sono accesi a partire dal cero pasquale che brilla nel presbiterio. Questo rito ricorda il cero consegnato al nuovo battezzato, acceso anch’esso al cero pasquale, «perché egli avanzi nella vita come figlio della luce (…) per andare incontro a Cristo nel suo Regno» (Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti, n. 227; anche questo citato nell’edizione francese, ndt). Con questo simbolo, alle esequie, la Chiesa riafferma il proprio desiderio che la luce di Cristo illumini i dolenti affinché essi «non piangano come quelli che sono senza speranza» (cf. 1Ts 4,13). 30 C hiese nel mondo Portare un cero pasquale al crematorio? Ogni simbolo s’inscrive in un contesto, in una liturgia particolare in seno a una comunità di credenti che si raduna regolarmente in un luogo preciso. È in questo quadro che acquista il suo senso. Il cero pasquale s’inscrive nella liturgia della Veglia pasquale. È la luce di Cristo, morto e risorto, che dissipa le tenebre; nella chiesa, luogo privilegiato del radunarsi dei credenti, esso rende manifesto che è il Risorto che li convoca. È qui che ormai brilla il cero pasquale. Uscire da questo luogo significa rischiare di alterare il senso e la dignità di questo simbolo di Cristo vivente, di ridurlo semplicemente a un bel cero, pratico per accendere i lumini. Sembra dunque inopportuno trasportare il cero pasquale al crematorio. Ciò non impedisce tuttavia l’utilizzo di candele (del tipo da candelabro). Queste, ed eventualmente lo svolgimento del rito della luce, prenderanno significato allora dalle parole del salmista: «Lampada per miei passi, luce sul mio cammino» (cf. Sal 118,105). Queste candele possono poi essere offerte ai congiunti, alla fine del momento di preghiera, come si dona il cero del battesimo ai padrini e ai genitori del battezzato affinché la luce di Cristo sia loro guida. In riferimento alle esequie, tutto ciò non vale per l’acqua e l’incenso. L’acqua può venire benedetta per un utilizzo specifico nel corso di un’azione liturgica. Quanto all’incenso, esso può essere impiegato in qualunque occasione. Questi due simboli non sono dunque legati a una celebrazione speciale come il cero pasquale lo è alla veglia pasquale. I riti del commiato Aspersione e benedizione Dato il significato battesimale di questo rito, sembra opportuno che l’officiante lo mantenga. Ha senso con la preghiera di raccomandazione che lo segue. In tanti ambienti è d’uso che i partecipanti si uniscano al gesto di benedire il corpo. È un atto di fede. La saggezza e la delicatezza richiedono che siano proposti anche gesti diversi per consentire a ognuno di sentirsi a proprio agio, di essere vero e sincero in quel momento: ad esempio porre la mano sulla bara al modo in cui si pone una mano sulla spalla dell’altro, o inchinarsi in segno di rispetto, deporre un fiore e così via. Sta all’officiante di orientarli verso la speranza di ritrovarsi in Dio. L’incenso al crematorio? Al momento del commiato, il rito dell’incenso – che resta facoltativo – ricorda che il corpo del batIl Regno - documenti 36/2015 tezzato è tempio dello Spirito Santo.30 Ma l’incenso ha anche un altro significato, quello di esprimere la preghiera dell’assemblea, in riferimento al Salmo 140,2: «La mia preghiera stia davanti a te come incenso». Resta da considerare l’opportunità di questo rito in un crematorio, per ragioni pratiche e per la percezione che ne possono avere i convenuti. Se il rito si compie, sarà bene evocarne il senso con qualche parola. Schema per un possibile momento di preghiera al crematorio Sulla base di schemi proposti dalle équipe, dalla guida pastorale Dans l’espérance chrétienne, dal Rito delle esequie come pure di tracce per celebrazioni cristiane tratte dal Rito delle esequie di alcuni altri paesi, in particolare l’Italia, proponiamo la seguente struttura per un momento di preghiera nel caso non sia possibile una celebrazione in chiesa. Accoglienza – Segno di croce e saluto liturgico; – monizione di accoglienza e ricordo della vita del defunto riletta alla luce di Cristo; – orazione. Parola di Dio – Prima lettura (ad esempio, Gb 19,1.23.27b; oppure 2Cor 4,14-5,1); – salmo responsoriale (ad esempio, Sal 114-115); – acclamazione al Vangelo e Vangelo (ad esempio, Gv 6,37-40); – breve commento; – silenzio (accompagnato o meno da un sottofondo musicale); – preghiera universale / dei fedeli e di rendimento di grazie; – Padre nostro. Raccomandazione del defunto a Dio – Monizione; – rito di commiato; – preghiera di raccomandazione del defunto a Dio; annuncio di una celebrazione eucaristica per il defunto nel luogo parrocchiale del defunto o della famiglia o dell’équipe. 30 Cf. AELF, Dans l’espérance chrétienne, n. 287: «Ecco questo incenso, segno di rispetto per il tuo corpo che fu tempio dello Spirito Santo». 31 C hiese nel mondo Questo schema è naturalmente da adattare a seconda delle persone o del tempo consentito. Se il tempo è limitato, è raccomandabile privilegiare la proclamazione del Vangelo, la preghiera del Padre nostro, la raccomandazione del defunto a Dio. C elebrare in presenza di un’urna cineraria Sempre più sovente quanti si occupano delle esequie cristiane ricevono la richiesta di una celebrazione in chiesa alla presenza di un’urna cineraria. Ci sembra utile di vederne qui le ragioni principali e di fornire uno schema tipo di celebrazione. Ragioni principali Tre ragioni giustificano il fatto che la cremazione possa avere luogo prima della celebrazione in chiesa: – ragioni indipendenti dalla volontà della famiglia o del defunto: morte sopravvenuta all’improvviso lontano dal paese d’origine, malattie degenerative che richiedono la cremazione per ragioni igieniche ecc.; – ragioni economiche: costo elevato del trasporto del corpo dall’ospedale alla chiesa, dalla chiesa al crematorio, dal crematorio al cimitero; – orari del crematorio incompatibili con una celebrazione in chiesa, che obbligano le famiglie a «passare» prima al crematorio. Adattare lo svolgimento In una lettera del 4 giugno 1986 la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti ammette la possibilità di celebrare in presenza di un’urna, ma in ogni caso va richiesta l’autorizzazione dell’ordinario del luogo. Nel febbraio 2012 la medesima Congregazione ha fornito alcune indicazioni normative nel caso della cremazione: «In questo caso, il rito delle esequie in chiesa può comportare la celebrazione della messa o della liturgia della Parola. L’urna contenente le ceneri è accolta alla porta della chiesa e viene deposta su un tavolo, collocato nello spazio antistante l’altare, fuori del presbiterio. Si devono tralasciare l’aspersione con l’acqua benedetta e Il Regno - documenti 36/2015 l’incensazione, riservate al corpo del defunto. Il ministro deve rendersi disponibile per accompagnare l’urna funeraria e guidare la preghiera di benedizione del sepolcro» (nostra traduzione dal testo francese; ndt). Notiamo qui alcuni elementi molto importanti, specialmente per ciò che si riferisce allo spazio e ai simboli: – l’urna cineraria è accolta alla porta della chiesa, come la bara; – l’urna cineraria è collocata fuori del presbiterio, in prossimità di una croce astile. Se non vi è la croce, l’urna è disposta di fianco, e non nel posto centrale riservato abitualmente alla bara, per una buona integrazione del «volume» occupato dall’urna nello spazio liturgico. Precisiamo che ciò non è segno di una considerazione di minor dignità o minor rispetto, ma della volontà di adattarsi a una realtà differente; – il cero pasquale è acceso prima della processione di ingresso, conservando così la forza simbolica di Cristo-luce che accoglie i suoi figli; – i riti dell’aspersione e dell’incensazione riguardano il corpo e non le ceneri. Sarà allora importante dare manifestazione visibile alla preghiera dei congiunti in altro modo. Ad esempio, ognuno depone un fiore in un vaso per farne un mazzo, o dei grani d’incenso in una ciotola. Schema possibile di celebrazione in presenza di un’urna Accoglienza – L’urna cineraria è accolta sul sagrato della chiesa ed è deposta vicina al presbiterio, di fianco (con fiori, foto ecc.); – la croce e il cero pasquale acceso sono in prossimità, nel presbiterio; – segno di croce e saluto liturgico; – monizione d’accoglienza e ricordo della vita del defunto riletta alla luce di Cristo; – orazione. Parola di Dio – Prima lettura; – salmo responsoriale; – acclamazione al Vangelo e Vangelo; – breve commento; – silenzio (accompagnato da sottofondo musicale); – preghiera universale; – eucaristia, se è prevista, o preghiera di azione di grazie che termina con il Padre nostro. 32 C hiese nel mondo Raccomandazione del defunto a Dio – Monizione; – eventuale gesto di raccoglimento; – preghiera di raccomandazione del defunto a Dio e canto; – annuncio di una celebrazione eucaristica per il defunto nella chiesa parrocchiale del defunto, o della famiglia o dell’équipe. C onclusione Al termine di questa riflessione comprendiamo chiaramente che, riguardo a tutta questa materia, la Chiesa cerca e «si» cerca. La riflessione e il discernimento, a livello tanto pastorale quanto liturgico, devono proseguire. Ma a questo punto possiamo già elaborare due considerazioni. Innanzitutto, è importante e sempre necessario ricordare la preferenza della Chiesa per l’inumazione e per una celebrazione delle esequie alla chiesa secondo il Rito vigente. I pastori devono avere cura di spiegarne le ragioni profonde ai fedeli. Tuttavia è oggi impossibile fare resistenza a questa tendenza alla cremazione, che rovescia il panorama della morte e del suo accompagnamento, o trascurare il crematorio. Come abbiamo visto, esso diventerà per Il Regno - documenti 36/2015 molti l’unico ambito possibile per un momento di preghiera in occasione delle esequie. Ciò non è privo d’importanza per la Chiesa cattolica nel momento in cui essa invita i cristiani a riflettere sul modo di proporre il Vangelo oggi, nelle sue «periferie». Infine, è importante e sempre necessario cogliere l’importanza del luogo e della liturgia che vi si può svolgere. Non è possibile celebrare nell’identico modo in presenza del corpo e in presenza dell’urna. Ma non va dimenticato che al crematorio si prega ancora davanti a un corpo. È allora possibile svolgere riti e utilizzare simboli cristiani, tranne il cero pasquale ed evidentemente l’eucaristia, per i quali la collocazione naturale resta il presbiterio delle nostre chiese. Tutti i riti che manifestano l’onore reso al corpo si possono svolgere anche in un altro luogo. Le sole condizioni restano che l’officiante che vi rappresenta la Chiesa sia da questa adeguatamente riconosciuto; che vi si ascolti la parola di Dio; che lo spazio della preghiera riveli, per gli oggetti o per i segni compiuti, che siamo nel corso di una celebrazione cristiana; che gli stessi siano quelli che la Chiesa ci dà tradizionalmente. Se tutto ciò è osservato, la fede si può annunciare… anche in questo spazio! L’importante per la Chiesa non è solamente celebrare secondo norme corrette; è innanzitutto evangelizzare, annunciare il Vangelo in ogni tempo e in ogni luogo. 33