Rivista Diocesana Novarese
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R ivista D iocesana N ovarese Bollettino Ufficiale per gli Atti del Vescovo e della Curia di Novara Sommario ANNO XCVI - Nº 5 - MAGGIO 2011 Terzo centenario della traslazione delle reliquie di S. Gaudenzio nello scurolo - 11 giugno 275 Giornata di Fraternità Omilia alla Celebrazione Eucaristica 277 Cor ad cor loquitur Il Vescovo ripercorre i venti anni di ministero attraverso le Lettere Pastorali 281 CONGREGAZIONE PER IL CLERO Nel 60° dell’ordinazione sacerdotale del Papa Sessanta ore di Adorazione eucaristica 298 CANCELLERIA Causa di beatificazione della serva di Dio Madre Margherita Maria Guaini Promulgazione di un Editto da parte del Vescovo 299 Presentazione della nuova istruzione “Universae Ecclesiae” 302 ORDINARIATO LA PAROLA DEL VESCOVO SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE PONTIFICIA COMMISSIONE Istruzione sull’applicazione della Lettera Apostolica “Summorum Pontificum” 305 ECCLESIA DEI UFFICIO LITURGICO Decreto circa il culto liturgico in onore del Beato Giovanni Paolo II 273 311 PASTORALE DELLA SANITÀ Giornata dell’Amicizia a Boca 313 Settimana nazionale di aggiornamento pastorale (COP) 315 Martiri per i poveri e per il Vangelo Veglia di preghiera per i Missionari Martiri 316 RECENSIONE Una biografia per conoscere don Giuseppe Rossi 324 INFORMAZIONI A Lourdes con l’Oftal 328 Dioecesis 329 UFFICIO DEL CLERO CENTRO MISSIONARIO INSERTO: OFFERTE PRO SEMINARIO BILANCIO DEL CENTRO MISSIONARIO Ufficiale per gli Atti di Curia Attività Pastorali in Diocesi Direttore Responsabile Mons. Giuseppe Cacciami Reg.Tribunale di Novara n. 4 del 18-08-1948 Per abbonamento: CANCELLERIA CURIA DIOCESANA Via Puccini 11 - 28100 NOVARA • Tel. 0321/661.661 • Fax 0321/661.662 C.C.P. n. 15682289 Copia distribuita solo in abbonamento ABBONAMENTO PER IL 2011 € 45 IN COPERTINA: S. GAUDENZIO BENEDICENTE Formella in bronzo dell’altare maggiore della Basilica di S. Gaudenzio - Novara disegnata da Carlo Beretta (1720-1723) (foto - Tino Temporelli) Edizione della Stampa Diocesana Novarese - Fotocomposizione in proprio Stampa - Poligrafica Moderna S.R.L. - Novara 274 275 ORDINARIATO LA SOLENNE PROCESSIONE CON LE RELIQUIE DI SAN GAUDENZIO Ci sono memorie che nella vita di una comunità ecclesiale acquistano un risalto particolare sia nella vivente tradizione religiosa sia per la comunità civile in cui essa si proietta. E’ il caso della venerazione per San Gaudenzio le cui reliquie furono traslate nello Scurolo della Basilica esattamente trecento anni fa. Nelle feste di gennaio è stato aperto il 3° centenario che si concluderà con le feste del gennaio 2012. In questi mesi in occasione di alcune ricorrenze lo Scurolo è stato aperto a visitatori e pellegrini che si sono avvicinati al Santo Patrono con interesse e devozione. Il 14 giugno 1711 si era svolta la grandiosa processione della traslazione, di cui si conserva anche una raffigurazione in stampa. E’ sembrato opportuno promuovere, in memoria di quella traslazione, una solenne processione commemorativa con le reliquie del Santo dalla chiesa della parrocchia dei Santi Martino e Gaudenzio alla Basilica, passando davanti al luogo dove sorgeva l’antica Basilica, distrutta dall’imperatore Carlo V per costruire i bastioni. La processione si terrà sabato sera 11 giugno nella Veglia della Pentecoste: partirà dalla chiesa di San Martino alle 20.30 dove avrà inizio la Veglia e, giunti in Basilica, ci sarà la celebrazione eucaristica. Sono trascorsi ormai cinquant’ anni dall’ultima processione con le reliquie. Nella domenica di Pentecoste, il 12 giugno, la Messa delle 10.30 sarà particolarmente dedicata al mondo dell’handicap, che potrà così avere accesso diretto alle reliquie collocate nel transetto dello Scurolo. L’urna rimarrà poi esposta fino alla solenne processione del Corpus Domini, che avrà luogo giovedì 23 giugno, con l’itinerario consueto dalla Cattedrale alla Basilica: la devozione al Santo Patrono non può non essere incentrata sull’Eucaristia, fonte e culmine di tutta la vita della Chiesa. 276 LA PAROLA DEL VESCOVO Nel ricordo dell’Ordinazione episcopale Omilia alla Celebrazione Eucaristica della Giornata di Fraternità Novara - Seminario San Gaudenzio - 9 maggio 2011 La bella tradizione della “Giornata di fraternità sacerdotale” si rinnova anche quest’anno. Il titolo di questa giornata è già un programma. Ciascuno di noi è chiamato in causa per fare qualche buon proposito. Ma è anche un giorno di doverosa gratitudine che esprimo volentieri nei confronti di tutti i Sacerdoti, giovani e anziani. Sono tutti chiamati a vegliare sul gregge, come ci ha detto l’apostolo Paolo. Tutti sono coinvolti nella missione affidata da Gesù ai Dodici. Tutti sono invitati a contemplare il Signore Gesù Cristo, sommo sacerdote che sa prendere parte alle nostre debolezze, che è stato messo alla prova come noi in ogni cosa, escluso il peccato. Mentre saluto tutti i Sacerdoti, in particolare quelli che oggi festeggiano un anniversario significativo, mi sembra doveroso pensare anche ai futuri Sacerdoti. Mi riferisco agli alunni attuali del nostro Seminario, a cui auguro un grande cammino che li renda, in futuro, un’autentica grazia per la nostra Chiesa. In modo speciale dobbiamo portare nella preghiera i diaconi, che tra qualche settimana verranno consacrati presbiteri. Questo poi è un giorno significativo per Mattia Belfiore e Riccardo Cavallazzi, mentre vengono ammessi tra i candidati agli ordini sacri. Questa celebrazione li chiama a prendere posizione in maniera decisa sul loro futuro mentre, nello stesso tempo, esprime la chiamata della Chiesa perché vadano con fiducia sul sentiero che li porterà alla meta del Sacerdozio. Mentre preghiamo per loro, lo facciamo anche per le loro famiglie che hanno ricevuto da Dio un così grande dono di un figlio che diventa prete. Permettetemi, in questo anno nel quale giungo al 20° di presenza in questa nostra Diocesi e al 30° di ordinazione episcopale, di soffermarmi a meditare con voi sul Vescovo. Lo faccio riprendendo l’omilia prevista dal rituale dell’ordinazione. In parte l’ho ripresa già 30 anni fa, sull’immaginetta-ricordo di quel momento così importante per me. Il testo del rituale si sviluppa attorno a due parti. La prima è rivolta ai fedeli perché riflettano attentamente a quale alta responsabilità ecclesiale venga promosso chi viene consacrato Vescovo. Per metterla in evidenza si ricorda la chiamata dei Dodici da parte di Gesù e il loro invio nel mondo. Si dà poi evi- 277 LA PAROLA DEL VESCOVO denza alla ininterrotta successione dei Vescovi nella tradizione vivente della Chiesa. Si sottolinea in maniera forte che nel Vescovo, circondato dai suoi presbiteri, è presente in mezzo a noi lo stesso Signore Gesù Cristo, sommo Sacerdote in eterno. Si invitano, infine, i fedeli, ad accogliere con gioia e gratitudine la presenza del Vescovo, a rendergli l’onore dovuto e a ricordare le parole di Gesù agli apostoli: “Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me; e chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato”. *** La seconda parte del testo del rituale si rivolge direttamente a chi viene consacrato Vescovo. È su questo aspetto che mi voglio particolarmente soffermare rimarcando i cinque punti che vengono sinteticamente indicati. 1. “Amate con amore di padri e di fratelli tutti coloro che Dio vi affida: anzitutto i presbiteri e i diaconi, vostri collaboratori nel ministero; ma anche i poveri, gli indifesi e quanti hanno bisogno di accoglienza e di aiuto”. Il Vescovo come padre e fratello: due parole semplici, ma enormemente esigenti. Che ne è stato per me in questi anni? Il Vescovo, i presbiteri, i diaconi: vengono messi al primo posto perché speciali collaboratori del Vescovo. Ho fatto loro ampio spazio nel mio cuore? Il Vescovo, i poveri, gli indifesi. Stanno anche essi in cima tra le persone che il Vescovo deve amare come padre e fratello. È proprio quello il loro posto per me? 2. “Esortate i fedeli a cooperare all’impegno apostolico e ascoltateli volentieri”. Emerge una Chiesa viva. Anzi, una Chiesa chiamata ad essere adulta. In due maniere. La prima, mostrando nei laici dei cooperatori all’annuncio del Regno di Dio e a offrire al mondo dei segnali del Regno di Dio che viene. La seconda venendo riconosciuti dal Vescovo come veri interlocutori ai quali si presta ascolto volentieri. Il Vescovo deve temere un’assenza indifferente dei laici e, nel medesimo tempo, una presenza passiva. Quanto lavoro di promozione dei laici tocca al Vescovo! Quanto esercizio del ministero, inteso come spazio all’ascolto dei fedeli laici! 3. “Abbiate viva attenzione a quanti non appartengono all’unico ovile di Cristo, perché essi pure vi sono stati affidati dal Signore”. Si passa dai fedeli ai cosiddetti lontani. Non devono essere lontani dal cuore e dalla mente del Vescovo. A loro va prestata attenzione. Tra di loro, qui da noi, moltissimi sono dei battezzati che, per un motivo o un altro, hanno messo tra parentesi il Battesimo. Qualcuno magari ne ha preso apertamente le distanze distaccandosi non solo dalla comunità ecclesiale, ma dal Signore Gesù Cristo. Detto con parole usate in questi tempi da Giovanni Paolo II e poi da Benedetto XVI, il Vescovo deve dedicarsi alla evangelizzazione e anche alla nuova evangelizzazione. Anzi, deve mettere in conto che, per alcune situazio- 278 LA PAROLA DEL VESCOVO ni umane e spirituali, occorre la prima evangelizzazione. Il motivo di fondo di questa responsabilità del Vescovo è che tutti a lui sono stati affidati dal Signore. Mi domando: evangelizzo? Curo anche la nuova evangelizzazione? Do spazio anche al primo annuncio, così necessario per i giovani e anche per gli adulti? 4. “Ricordatevi che nella Chiesa cattolica, radunata nel vincolo della carità, siete uniti al collegio dei Vescovi e dovete portare in voi la sollecitudine di tutte le Chiese, soccorrendo generosamente quelle che sono più bisognose di aiuto”. L’orizzonte, che già veniva allargato con l’incitamento precedente, qui prende forma anche di un’apertura a tutti i popoli della terra. Dietro a queste parole sembra stare la parola di Gesù: “Andate in tutto il mondo e portate il Vangelo ad ogni creatura”. Di ogni Vescovo si dovrebbe poter dire che è un missionario, anche nel senso di “missio ad gentes”. Questo riferimento mi fa pensare a tutti i nostri missionari e le nostre missionarie sparse a tutte le latitudini per la causa del Vangelo. Il loro cuore e la loro vita sono veramente cattolici, cioè universali. A loro ci dovremmo sempre ispirare. La loro scelta di vita ci deve sempre interrogare. Deve soprattutto interrogare i Sacerdoti, dovunque si trovino ad esercitare il ministero: nel cuore ci deve essere il mondo perché anche i nostri fedeli si aprano a questa dimensione. Il riferimento missionario mi fa pensare anche ai nostri alunni del Seminario. L’orizzonte dal quale lasciarsi ispirare per il futuro è quello universale. Ogni chiusura paurosa o piccina va combattuta. Ciò è necessario e preliminare per fare bene il prete qui. Al Vescovo tocca farsi voce della “missio ad gentes”, anche quando si può essere trattenuti dalla scarsità del clero per la nostra Diocesi. A lui tocca, soprattutto nel rapporto personale con i giovani Sacerdoti, verificare se non ci sia, per l’uno o per l’altro, una grazia particolare che permette di dare la propria disponibilità e di arrivare al giorno della decisione di partire, così come altri hanno già fatto negli anni passati. 5. “Vegliate con amore su tutto il gregge, nel quale lo Spirito Santo vi pone a reggere la Chiesa”. Se io, come Vescovo devo essere pastore; se devo essere missionario, devo essere anche la sentinella che vigila su tutto il gregge. Perché si chiede di compiere esattamente quell’azione che si chiama vigilare? Sant’Agostino, in un suo discorso sul Vescovo in occasione dell’anniversario dell’ordinazione, richiama proprio il compito di vigilare. Questo compito, importante in antico, lo è non meno oggi. Il Vescovo deve vigilare sui nemici esterni e interni alla vita della Chiesa. Deve vigilare su ciò che tende a strappare i cristiani, a cominciare dai ragazzi e dai giovani, dall’appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa. Deve ricordare sem- 279 LA PAROLA DEL VESCOVO pre che Gesù ha detto ai suoi di essere nel mondo, ma non del mondo. Deve vagliare tante situazioni che si creano e diagnosticare se conducono a restare fedeli al Vangelo o ad allontanarsene; se portano a vivere secondo giustizia e verità o se manifestano prepotenza e conducono all’ingiustizia e al disprezzo dell’altro. E dopo aver fatto discernimento deve offrire ai cristiani delle direttive che aiutano, soprattutto i laici, a incarnare il Vangelo in una società complessa e pluralista. E c’è da vigilare anche sulla vita interna della Chiesa con una spinta costante anzitutto dei Sacerdoti perché vivano la vocazione fino alla santità ed esercitino il ministero con realismo evangelico, senza avere timore di fare una proposta che non corrisponde a ciò che vorrebbe il mondo. Non è infatti il timore del mondo che ci deve guidare, ma anzitutto il timore di Dio. Ciò vale in primo luogo per il Vescovo. Solo a questa condizione sarà, in mezzo al suo gregge, la sentinella. *** Mi rendo conto che, invece di esprimere l’omilia, ho dato spazio ad un esame di coscienza in pubblico. Ringrazio tutti coloro che, in questi decenni, mi hanno stimolato, illuminato e sorretto nel portare la grande responsabilità che è propria del Vescovo. Vi chiedo di pregare sempre per il Vescovo, in particolare per colui che subentrerà al mio posto nel prossimo futuro, perché la responsabilità apostolica venga vissuta con serenità e fiducia, in un clima di sincerità e affetto fraterno e paterno. Aiuti il Vescovo e aiuti tutti voi Maria santissima, madre dei cristiani e regina degli apostoli. 280 LA PAROLA DEL VESCOVO Cor ad cor loquitur Uno sguardo a questi venti anni (1991-2011) attraverso le Lettere Pastorali Relazione svolta dal Vescovo nella Giornata di fraternità sacerdotale Novara - Seminario, 9 maggio 2011 Una relazione dedicata alla rilettura di questi miei vent’anni in Diocesi di Novara non dovrei proporla proprio io. Meglio sarebbe che ne fosse incaricato qualcun altro. Tuttavia, per quanto mi riguarda, qualcosa posso accennare, senza pretesa di completezza. Sono più di una le fonti a cui potrei utilmente attingere. Potrei riandare, anche con l’uso del calendario degli scorsi anni, alle varie iniziative, soprattutto di formazione, che hanno caratterizzato questi due decenni, talvolta anche in modo molto intenso. Potrei sfogliare le decine di lettere che, attraverso il Settimanale diocesano, ho inviato in vari momenti a tutta la comunità. Potrei ricordare le numerose volte nelle quali la proposta pastorale si è accompagnata al riferimento al nostro XX Sinodo diocesano. Potrei riprendere in mano la documentazione della Rivista Diocesana. Potrei anche avvalermi delle riflessioni di vario genere che sono entrate nel mio Diario personale, che ho sempre inteso come un modo di riflettere sugli avvenimenti e sugli incontri, personali e comunitari, di ogni giorno. Potrei, in particolare, ripercorrere il cammino della Visita Pastorale, usufruendo delle lettere conclusive consegnate ad ogni Parrocchia. Potrei riconsiderare le proposte pastorali che, di anno in anno, sono state poste in primo piano dalle Lettere Pastorali. È proprio quest’ultimo sentiero che, benchè parziale, vorrei privilegiare. Vorrei lasciar emergere il filo conduttore che, almeno in qualche misura, le lega le une alle altre. Negli Anni Novanta hanno fatto da filo conduttore gli Orientamenti CEI Evangelizzazione e testimonianza della carità. Poi, verso la fine del decennio, ci ha guidati il Giubileo del Duemila. Quanto al primo decennio del Duemila, mi sono di nuovo ispirato agli Orientamenti CEI Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia e poi alle proposte del Convegno Ecclesiale di Verona Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo. A tutto questo hanno fatto da introduzione la Lettera Pastorale Pietro e Maria e la Nota Pastorale Ecclesia Mater. 281 LA PAROLA IN DEL VESCOVO APERTURA Pietro e Maria (1991) Ho scritto la prima Lettera Pastorale un po’ come se fosse l’unica e come se fosse l’ultima. Perciò in essa traspare ciò che mi stava a cuore e ritenevo significativo per l’impostazione globale della vita della Diocesi. Il titolo, Pietro e Maria, mi appare anche adesso come chiave di lettura fondamentale di tutti questi venti anni. Intendevo mettere in evidenza il fatto che siamo chiamati a vivere la dimensione petrina e la dimensione mariana della Chiesa, con un’accentuazione speciale della dimensione mariana. Intendevo dire che “nel nostro cammino di Chiesa dobbiamo essere attenti a Maria e a Pietro. A Maria in quanto ella allude alla dimensione interiore della Chiesa, alla radice verginale della sua maternità, cioè al fatto che il suo amore suscitatore di vita, di speranza, di amore, di perdono, di senso della storia umana, nasce dalla fede, dalla disponibilità incondizionata, dall’appartenenza totale e immediata alla Parola di Dio”. E dobbiamo essere attenti a Pietro in quanto ci “richiama la mediazione istituzionale, la varietà e la complementarietà dei ministeri, la ricchezza di funzioni con cui la fede della Chiesa prende figura e consistenza storica, manifesta in una concreta vita comunitaria la misteriosa legge di comunione verso l’uomo e il mondo” (pp. 36ss). Volevo dire che il compito di Pietro è quello di aiutare ogni cristiano ad essere simile a Maria. Essa è il pieno compimento della Chiesa, in essa ogni cristiano legge la propria immagine perfetta. Tutto il lavoro educativo e pastorale non deve mirare ad altro che a fare di ogni cristiano un discepolo simile, nell’amore per il Padre e per il suo Figlio Gesù Cristo, a Maria. Non c’è piano o programma pastorale che non debba trovare in questo riferimento a Maria il metro di giudizio della sua autenticità; non c’è iniziativa piccola o grande che possa trovare altrove la giusta chiave di impostazione e di interpretazione. “Anche il XX Sinodo - scrivevo - va portato avanti guardando a Maria, così come è stato elaborato da Mons. Del Monte, avendo dinanzi agli occhi colei che è l’immagine perfetta della Chiesa” (p. 37). “La prima scelta di metodo che mi è sembrata doversi fare per assimilare e tradurre il XX Sinodo è stata quella di garantire che l’impostazione della vita feriale della Parrocchia fosse robusta ed equilibrata. Come il Sinodo ha voluto dare una impostazione complessiva e stabile della vita della Diocesi, così occorre che ogni pastore di anime e i laici che collaborano con lui, ricavino dal Sinodo diocesano quanto loro occorre non per qualche iniziativa particolare o per qualche capitolo specifico, ma anzitutto per l’insieme della vita pastorale. Chiamo tutto questo «progetto pastorale» e dico: ogni Parrocchia curi di avere un progetto pastorale pensato, proposto, sostenuto, verificato” (p. 64). “L’impegno per l’elaborazione di un progetto pastorale rimanda a un’altra questione: quella della formazione dei soggetti che tale progetto dovranno immaginare e mettere in atto. Diceva infatti il XX Sinodo: «Una speciale attenzione è opportuno che sia posta alla preparazione e formazione di questi operatori pastorale dediti a un nuovo impegno nella Chiesa: quello della progettazione e della programmazione pastorale» (Sinodo, p. 331)”. 282 LA PAROLA DEL VESCOVO Ecclesia Mater (1992) Se Pietro e Maria costituiscono il binomio al quale ispirarsi per garantire la vitalità interiore della nostra Chiesa e anche le scelte metodologiche conseguenti ci si dovrebbe continuamente confrontare con esso. A questo proposito intendeva offrire un aiuto la Nota Pastorale dell’anno seguente. Era intitolata Ecclesia Mater. Voleva essere uno strumento di lavoro per tutti i Sacerdoti. Lasciava emergere, in particolare, alcuni interrogativi e l’indicazione di alcune azioni. Si invitava a un triplice e fondamentale sguardo, indicato con queste parole: “Conosci l’aria che respiri?” (uno sguardo verso il basso); “Oltre il piccolo orticello” (uno sguardo d’attorno, oltre il perimetro della Parrocchia); “In cospetto di Dio” (uno sguardo verso l’alto). Si indicavano anche alcune azioni indispensabili. Venivano espresse da alcuni verbi: radunare (il raduno è grande, molto grande), accogliere (fare spazio nel cuore), edificare coltivando alcuni passi essenziali (conversione, vocazione, catecumenato, preghiera, ascolto dell’insegnamento degli apostoli, croce). Per anni ho dedicato le domeniche di Avvento e quelle della Quaresima a formare i membri dei Consigli Pastorali dei vari Vicariati per lavorare e approfondire quanto veniva proposto nella Nota Pastorale Ecclesia Mater. Ne ho un bel ricordo. Avrebbero dovuto rimanere un appuntamento cui tenere fede costantemente, di anno in anno, soprattutto là dove veniva svolta nel contempo la Visita Pastorale. GLI ANNI NOVANTA “Evangelizzazione e testimonianza della carità” Paolo e Barnaba (1993) Sono molto contento che la Lettera Pastorale Paolo e Barnaba abbia ripreso la Nota Pastorale Ecclesia Mater per dare evidenza al fatto che un valido progetto pastorale, nel contesto nel quale oggi ci troviamo, debba caratterizzarsi come progetto pastorale missionario. Era importante allora questa prospettiva; lo è ancora di più oggi. La Lettera era dedicata a due apostoli del Vangelo e aveva come sottotitolo Lettera pastorale sull’evangelizzazione. Mi chiedevo allora come dare chiarezza e forza a un simile progetto. Diedi risposta parlando della coscienza missionaria, chiamandola la “ferita nel cuore”; dell’esistenza missionaria; e infine, facendo riferimento all’azione missionaria, intesa come impegno per affrontare le sfide della storia in presenza di Dio, per dare volto missionario alla Parrocchia, chiamando in causa soprattutto i laici. Non casualmente l’“actio” emblematica di quella lettera faceva riferimento ai giovani. Dicevo che sale da loro un grido, dal quale ci dobbiamo lasciare interpellare coraggiosamente. Proprio l’incontro con loro ha tutto da guadagnare se catechisti, animatori, sacerdoti, sono missionari veri. Scrivendo una simile lettera missionaria non potevo non pensare a me stesso perché proprio in quel periodo iniziavo la Visita Pastorale. Dissi dunque a me stesso, prima che cominciassi: deve essere per l’evangelizzazione. 283 LA PAROLA DEL VESCOVO Scrivevo: “Passando di Parrocchia in Parrocchia e condividendo, almeno per qualche tempo, il lavoro dei Sacerdoti e la vita di ogni singola comunità, mi farò strumento di Dio che intende radunare tutti gli uomini nel Figlio suo Gesù Cristo. In ogni comunità vorrò alimentare, con semplicità e forza, sia il riconoscimento di Cristo come nostro unico Salvatore, sia il cammino di imitazione di Cristo, nostro Maestro e fratello maggiore, sia il coraggio di “partire” per annunciare in ogni spazio di vita umana Colui che della vita umana conosce il segreto progetto voluto dal Creatore. In tal modo vivrò anch’io concretamente l’impegno di evangelizzazione e, lasciandomi interpellare dalle circostanze che di giorno in giorno incontrerò, potrò formulare nei termini più appropriati ciò che è esigito dalla nuova evangelizzazione. In tale esperienza mi sono lasciato guidare da alcune convinzioni. Prima di tutto che vi è una “grazia” per il Vescovo, inviato da Dio per il popolo cristiano e per tutte le creature che vivono sul nostro territorio diocesano. Inoltre coglievo come mio dovere quello di lasciarmi afferrare dallo Spirito Santo per vivere i molteplici incontri come umile strumento suo, vero Maestro interiore. Ho voluto vivere la Visita Pastorale rimanendo sempre al di dentro di un atteggiamento di “discernimento spirituale” per confermare ciò che trovavo conforme al Vangelo, per correggere quanto era difforme dal Vangelo, per immettersi sui nuovi sentieri, magari fino ad allora non ancora percorsi, che corrispondevano alle urgenze di una appropriata presenza dei cristiani, oggi, nel mondo. La Visita Pastorale è diventata costante preghiera perchè tutti conoscessimo i disegni di Dio su ciascuno di noi e sulle nostre comunità, per poi tradurli di giorno in giorno (cfr. pp. 103-104). Famiglia per educare (1994) La Nota Pastorale Famiglia per educare era un prolungamento della Lettera Pastorale Paolo e Barnaba. Semplicemente se ne precisava la proposta mettendo in evidenza il fatto che l’annuncio della fede dovrebbe trovare il suo primo spazio nella famiglia. In questo modo intendevo chiamare in causa esplicitamente i genitori chiedendo loro di diventare apostoli. Il 1994 era stato voluto dall’ONU come anno internazionale della famiglia. In quella occasione Giovanni Paolo II aveva scritto una “Lettera alla famiglia”: pagine intensissime, molto consapevoli delle sfide che le famiglie dovevano affrontare e che oggi sono ancora più gravi di allora. Per parte mia, citavo il nostro XX Sinodo diocesano perché venissero assimilate e tradotte le pagine dedicate alla famiglia (cfr pp. 89-93; 214-26; 279-297). La questione di fondo era ed è quella di riaprire il Vangelo in famiglia e di educare alla fede. Il pensiero va spontaneamente ai recenti Orientamenti Pastorali che hanno come titolo Educare alla vita buona del Vangelo. Una cosa è certa: l’aver potuto fare un’esperienza di fede in famiglia già nella fanciullezza rimarrà un avvenimento fondamentale e, in certo senso, incancellabile nonostante tutte le vicende di un’intera vita. È dunque grande il dono che viene offerto da una famiglia nella quale la fede è presente e viva. 284 LA PAROLA DEL VESCOVO Ma non ci deve sfuggire una caratteristica fondamentale della fede: essa è un dono di Dio, non un prodotto semplicemente umano. Dio può far sorgere figli di Abramo anche dalle pietre, ma nessuno può far nascere un credente con le sole forze umane, nemmeno nella condizione più favorevole. Perciò, per riaprire veramente il Vangelo, non devono mancare nelle nostre famiglie la preghiera, l’ascolto della Parola di Dio, la partecipazione ai Sacramenti. Né ci deve sfuggire che la fede di ciascuno di noi ha una storia. Ce l’ha la fede dei figli, la quale conosce varie stagioni. Talora può giungere, soprattutto negli anni dell’adolescenza, la contestazione. È quella la stagione nella quale ricordarsi delle parole dell’apostolo Pietro: “Siate sempre pronti a rendere ragione della speranza che è in voi”. È anche il tempo nel quale tener conto che i figli incerti e dubbiosi sono aiutati a conservare la fede e a irrobustirsi dalla testimonianza di vita vissuta dagli adulti secondo il Vangelo. È così che si evangelizza, curando naturalmente un rapporto vivo e costante con la comunità e le sue attività educative in favore delle nuove generazioni. Una storia ce l’ha anche la fede dei genitori. Perciò, se devono riaprire il Vangelo ai figli, devono compiere questo gesto in favore della propria fede personale. Anche i genitori, infatti, possono attraversare tempi difficili per la loro fede: giorni nei quali sembra che essa si sia indebolita, se non addirittura spenta. Proprio quei giorni è sommamente consigliabile riaprire il Vangelo con animo disponibile anche a una conversione, a un cambiamento di rotta, a una modificazione della mentalità e del modo di vedere e giudicare le cose più importanti della vita umana. Là dove questo avviene la fede dei genitori sicuramente cresce e quella della fede verrà molto aiutata. Soffermandomi sulla famiglia, ho fatto una proposta pratica ai Sacerdoti: quella di vivere il mistero della visitazione visitando le famiglie. Molti Sacerdoti fanno di questa scelta un orientamento qualificante del loro ministero. So pure che, da anni, alcuni Sacerdoti hanno lasciato cadere, per diversi motivi, questa attività. Pur comprendendo le possibili obiezioni, non mi sembra che se ne debba ricavare la decisione di abbandonare l’impresa, quanto piuttosto di dare spazio a un suo coraggioso ripensamento. Sono profondamente persuaso che il futuro delle nostre comunità dipende in larga parte dai contatti instancabili dei Sacerdoti nei confronti delle famiglie. Le forme sono più di una. È il caso di soffermarsi a riflettere e di confrontarsi a vicenda guidati dalla passione di aiutare le famiglie ad essere luogo privilegiato di formazione alla vita cristiana e a diventare soggetti attivi di evangelizzazione. Il grande segno (1995) Gli orientamenti pastorali della CEI per gli anni ’90 avevano come titolo Evangelizzazione e testimonianza della carità. Quanto ho ricordato fin qui ha dato spazio al primo termine del binomio. Negli anni ’95 e ’96 l’accento è andato sul secondo termine. È da questa ispirazione che sono nate le Lettera Pastorali dal titolo Il grande segno e Eucaristia e carità. 285 LA PAROLA DEL VESCOVO L’affermazione centrale del documento CEI era così indicata: “Sempre e per sua natura la carità sta al centro del Vangelo e costituisce il grande segno che induce a credere nel Vangelo” (n. 9). Scrivevo che il segno giusto e necessario per accompagnare l’evangelizzazione è la carità perché essa è il segno messianico preannunciato da Isaia e fatto proprio da Gesù nel giorno stesso in cui, nella sinagoga di Nazaret, dava inizio al suo ministero. Questo è il segno decisivo che Gesù, dopo averlo testimoniato fino a morire, ha chiesto che caratterizzasse anche la fisionomia di coloro che avrebbero voluto essere riconosciuti come suoi discepoli. Con la Lettera Pastorale intendevo invitare a imitare la carità di Cristo e attingere dal cuore di Cristo la capacità di amare come egli ha amato noi. Un invito pressante poiché è la Chiesa - la nostra Chiesa - ad essere sfidata dal Vangelo della carità, e non anzitutto la società dentro la quale siamo chiamati a viverlo. Perciò tocca alla Chiesa - alla nostra Chiesa - lasciarsi interrogare su ciò che le compete e su ciò che da lei ci si può attendere. Nel dare risposta a questi interrogativi dobbiamo porci al livello più profondo della nostra missione di salvezza. Solo in questo modo possiamo elaborare la nostra risposta e offrire in modo effettivo il nostro contributo essenziale. Tale livello è quello che vede la Chiesa capace, per grazia di Dio, di raggiungere le profondità dei cuori, di guarire le loro ferite e di trasformarli in cuori che amano, che si dimostrano generosi, intraprendenti, creativi, pronti al perdono e alla riconciliazione. Il contributo a cui è chiamata la Chiesa trova espressione in una novità capace da sola di modificare profondamente la condizione e il cammino della società: il rinnovamento dei rapporti interpersonali. Se la Chiesa, lungo la storia, non diventa questo segno, che cosa è mai? E se invece si dispone a offrire questo segno non contribuisce forse a trasformare la storia in un luogo e un tempo di vera civiltà? Se questo è il problema numero uno, la Chiesa non sarebbe sulla strada giusta qualora si dedicasse a tante belle iniziative, ma fosse distratta rispetto a questo compito assolutamente decisivo in favore dell’umanità, o mostrasse addirittura di avere scarsa sensibilità, al suo interno, per il comandamento della carità. Solo una costante contemplazione di Cristo crocifisso ci educherà al grande segno. L’ho scritto all’inizio della Lettera con una preghiera: O Signore, il tuo sguardo dalla croce, ci aiuti a comprendere quale sia la lunghezza e la larghezza, la profondità e l’altezza del tuo amore per noi. Il tuo sguardo dalla croce rinnovi il nostro sguardo renda nuovi i sentimenti e nuove le parole, nuovi gli atteggiamenti e nuove le scelte. Donaci, o Signore, i tuoi occhi e il tuo cuore per saper vedere e capire dove urge amore 286 LA PAROLA DEL VESCOVO e a chi portare consolazione, dove sostenere la giustizia e come costruire la pace, quando compiere il primo passo e a chi donare il perdono, perché disporci a un sacrificio e con chi vivere la fedeltà, quando dire una parola e quando lasciare risuonare il silenzio, a chi offrire un sorriso e come condividere il tempo e le cose. Fa’, o Signore, che portando il tuo amore in famiglia e nei rapporti con i vicini di casa, nella scuola e nel lavoro, in parrocchia e in tutti gli spazi della convivenza, diamo un aiuto alla nostra società perché diventi una civiltà, e non ci sia più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna, ma tutti ci riconosciamo figli di Dio, amati da Te o Gesù, che sei morto per noi”. Eucaristia e carità (1996) Nell’anno del grande segno avrei voluto parlare anche di Eucaristia: ne sarebbe stata un capitolo qualificante. Ho recuperato l’anno dopo con la Nota Pastorale Eucaristia e carità. Ho voluto concentrarmi su una caratteristica fondamentale e meravigliosa dell’Eucaristia: essa è sorgente divina della carità e da essa la nostra vita quotidiana può essere trasformata per prendere la forma di Cristo stesso. Giovanni Paolo II aveva scritto nella Lettera Apostolica Dominicae coenae. “Se la vita cristiana si esprime nell’adempimento del più grande comandamento, e cioè dell’amore di Dio e del prossimo, questo amore trova la sua sorgente nel santissimo Sacramento, che comunemente è chiamato Sacramento dell’amore. L’Eucaristia significa questa carità, e perciò la ricorda, la rende presente e insieme la realizza” (n. 3). Non è un caso che il testo conclusivo del Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia (2005) sia stato intitolato Sacramentum caritatis (2007). L’intera Nota Pastorale Eucaristia e carità intendeva mostrare in che senso l’Eucaristia è il Sacramento dell’amore del Signore Gesù Cristo per il Padre e per l’uomo, e come la stessa intima struttura dell’Eucaristia trascini noi sui sentieri della carità. L’Eucaristia che trasforma la Chiesa, la rende capace di interpretare questo Sacramento come dono “per la vita del mondo”, dono per ogni uomo. Come dimenticare che Gesù ha detto: “Il pane che io darò è la mia carne per la vita 287 LA PAROLA DEL VESCOVO del mondo”. La parola evangelica “per la vita del mondo” deve pulsare dentro di noi, deve diventare dominante come lo era nel cuore di Cristo. Ci dobbiamo sempre chiedere come l’Eucaristia può diventare regalo che la Chiesa fa al mondo, all’uomo di oggi, anche a chi non sa neppure (o lo ha dimenticato) che cosa sia l’Eucaristia. Ho riletto con commozione, nel 1996, le parole di mons. Pierre Claverie, Vescovo di Oran in Algeria. Le ha scritte dopo il rapimento dei monaci di Tibhirine, uccisi dopo due mesi (maggio 1996), non sapendo che da lì a poco (agosto 1996) sarebbe stato ucciso anche lui. Ecco le sue parole: “Comprendo oggi, dopo trent’anni di vita passati in Algeria, che si è più autenticamente cristiani quando si espone la propria vita là dove l’umanità è lacerata. La nostra solidarietà, la nostra incarnazione, la nostra presenza sono come quelle di Gesù. Lo si sente ancor di più oggi in Algeria: una solidarietà al di sopra di quelle che io chiamo «le fratture del mondo». Il posto dei cristiani è là dove l’umanità è lacerata; dove vi sono persone interiormente lacerate a causa della malattia, dell’esclusione, delle difficoltà della vita, dove vi sono gruppi umani che si escludono, o popoli o grandi religioni che sono in conflitto fin dalle origini. Noi siamo lì, al di sopra di quelle fratture, e cerchiamo in certo senso di sostenere le due realtà credendo fermamente che, grazie all’amore che Dio ci consente di vivere, la riconciliazione sia ancora possibile. Al di sopra delle fratture del mondo, per la riconciliazione: questo è il posto della Chiesa. Se essa non è lì, non è in nessun luogo” (cfr OR, 8 VIII, 1996). Certo, la nostra situazione non è quella dell’Algeria o di altre parti del mondo. Ma, prima di tutto, non possiamo disinteressarci di nessun Paese del mondo; e, secondo, siamo chiamati a capire quali siano le “fratture” sulle quali ci troviamo nella concreta situazione della nostra società, per affrontare, anche qui, la sfida della giustizia, del rispetto, del dialogo, dell’ospitalità, della condivisione. L’Eucaristia, che è il “corpo dato” di Cristo per la vita del mondo, è dono per plasmarci e prendere questa forma. VERSO IL GIUBILEO DEL 2000 Se nella prima parte degli anni ’90 mi sono lasciato guidare soprattutto dagli orientamenti CEI Evangelizzazione e testimonianza della carità, mi è sembrato giusto, negli ultimi anni ’90, prestare una particolare attenzione al cammino della Chiesa universale che, sulla spinta di Giovanni Paolo II, si preparava al Giubileo del 2000. La spinta era stata data, già nel 1994, dalla Lettera Apostolica Tertio millennio adveniente. Si chiedeva che in tutta la Chiesa cattolica si compisse una seria rimeditazione del mistero trinitario, dedicando, sull’arco di tre anni, un’attenzione speciale a Gesù Cristo, allo Spirito Santo, al Padre. 288 LA PAROLA DEL VESCOVO A immagine di Cristo (1997) Nel ’97-’98, che era anche il XVI Centenario dell’origine della Chiesa gaudenziana, ho messo in primo piano lo Spirito Santo e la vita secondo lo Spirito. Nel ’98-’99 ho dato spazio al mistero di Dio Padre. Nel 1999-2000 ho proposto una “revisione di vita” ispirata dal Giubileo dell’Incarnazione. Subito dopo il Giubileo ho voluto porre in primo piano la richiesta di Giovanni Paolo II: “È ora di riproporre a tutti con convinzione la santità: questa misura alta della vita cristiana (Novo millennio ineunte, 31). Perciò ho intitolato la Lettera Primo, la santità. Sono stati anni intensi e belli. L’incipit della Lettera A immagine di Cristo citava un romanzo di M. Pomilio: “Si dice che all’interno dei quattro Vangeli noti è come se ce ne fosse uno ancora sconosciuto. Ma ogni volta che la fede accenna a rifiorire, è segno che qualcuno ha intravisto quel Vangelo (Il quinto evangelio, p. 86)”. Per parte mia aggiungo che, per la verità, un quinto Vangelo c’è già, ed è il libro degli Atti degli Apostoli, e cioè la storia dei primi passi di quella comunità che si chiama Chiesa. Il quinto Vangelo è la Chiesa stessa. È la nostra vita di uomini e donne che cercano di testimoniare Colui che hanno incontrato e nel quale hanno creduto. Il libro degli Atti degli Apostoli è il primo resoconto di questo quinto Vangelo, non è un libro concluso: rimane aperto ed ogni generazione è chiamata a scriverne qualche pagina. Anche oggi ci attende questa scrittura. Se cerchiamo di essere a immagine di Cristo, un nuovo capitolo degli Atti degli apostoli viene scritto. Abbiamo dei maestri, a questo riguardo. Sono i santi. È alla loro scuola che dobbiamo andare perché la loro vita è tutt’uno con il Vangelo. Se questo avverrà, si potrà constatare che ogni età della nostra vita è tempo di pienezza: lo è la fanciullezza, lo è l’età della crescita, lo è la vita adulta, lo è anche la terza età. Scoprirlo è un grande dono. Viverlo è una grande felicità. Tornerò da mio Padre (1998) Il cammino trinitario proposto dal Papa in preparazione al Giubileo ci ha condotto a mettere poi in primo piano il mistero di Dio Padre. L’ho affrontato in due modi. Anzitutto chiedendo a Gesù che ci svelasse il mistero del Padre, ricordando le parole evangeliche: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare”. E poi considerando quanto noi abbiamo bisogno di vivere la parabola del figliol prodigo e di dire con lui: “Tornerò da mio padre”. Questo secondo aspetto mi ha condotto a dare largo spazio al sacramento della Penitenza considerando il senso del rito sacramentale e la sua dinamica profonda, la pastorale del Sacramento della Penitenza e la responsabilità del ministro, l’itinerario di conversione personale del cristiano. In chiusura della Lettera mi è sembrato giusto commentare il Padre nostro. Peraltro, già avevo citato la preghiera di Gesù in copertina della Lettera Pastorale dove ho messo la foto di un grande cartellone, visto in Uruguay, dove erano scritte, con qualche accentuazione e commento, le parole del Padre nostro: 289 LA PAROLA DEL VESCOVO “Non dire: Padre, se ogni giorno non ti comporti come un figlio. Non dire: Nostro, se vivi isolato nel tuo egoismo. Non dire: Che sei nei cieli, se pensi solo alle cose terrene. Non dire: sia santificato il tuo nome, se non lo onori. Non dire: Venga il tuo Regno, se lo confondi con un risultato materiale. Non dire: Sia fatta la tua volontà, se non l’accetti quando è dolorosa. Non dire: Il nostro pane quotidiano, se non ti preoccupi della gente che ha fame. Non dire: Perdona i nostri debiti, se conservi rancore verso il tuo fratello. Non dire: Liberaci dal male se non prendi posizione contro il male. Non dire: Amen, se non hai capito o non hai preso sul serio le parole del Padre nostro”. Insegnaci Signore i tuoi sentieri (1999) L’anno 2000 è diventato un tempo favorevole a compiere, come ho già accennato, una revisione di vita. Ho individuato alcuni capitoletti che, introdotti da una preghiera, invitavano a percorrere, per ogni tema, il percorso del “vedere”, “giudicare”, “agire”. Il “vedere” chiedeva di considerare attentamente una determinata situazione; il “giudicare” aveva come significato di chiedersi che cosa il Signore pensa del nostro comportamento; l’agire voleva sospingere a compiere dei passi concreti di conversione. Il tutto era proposto alle nostre Parrocchie perché distendessero questo esame di coscienza comunitaria sull’arco dell’intero anno. Molte Parrocchie l’hanno fatto. Sono stati privilegiati alcuni punti qualificanti per il cammino della Chiesa. Ecco i titoli: Che ne abbiamo fatto del Vangelo? (Fede e missione); A proposito di comunione (Quale immagine di Chiesa stiamo offrendo?); La Parrocchia (Archeologia o futuro); Dare ragione alla speranza (Formazione e cultura); Sulla roccia o sulla sabbia (Famiglia e giovani); E l’impegno politico? (Il cristiano, le istituzioni, la cosa pubblica); Fino a quando, Signore? (Giustizia e pace). Per rafforzare la nostra fede, anche noi, come tante Diocesi del mondo, abbiamo vissuto un ottimo pellegrinaggio a Roma per visitare i luoghi del martirio di Pietro e Paolo ed essere particolarmente vicini al Papa. Ma poi, raccogliendo un suggerimento offerto proprio da Giovanni Paolo II, abbiamo fatto un pellegrinaggio anche a Sarajevo. È stato un modo per riconoscere il tempio di Dio in coloro che soffrono miseria e violenza. Anche quel pellegrinaggio è stato particolarmente efficace: ci voleva proprio durante l’anno santo. 290 LA PAROLA DEL VESCOVO Primo, la santità (2001) Quando si è chiuso l’anno giubilare e, nell’Epifania del 2001, venne pubblicata la Lettera Apostolica Novo millennio ineunte, fui colpito, in modo particolare dall’accento che, sull’inizio del nuovo millennio, il Papa riteneva fondamentale per una valida testimonianza della Chiesa nel mondo. Riguardava la santità. Affermava il Papa: “Non esito a dire che la prospettiva sulla quale deve porsi tutto il cammino pastorale è quella della santità”. Egli intuisce che qualcuno di noi potrebbe rimanere sorpreso di fronte a questa proposta e ritenerla poco realistica quando si tratta di affrontare questioni gravi e complesse, come quelle che ci presenta la vita della società. Dice: “Ricordo questa elementare verità ponendola a fondamento della programmazione pastorale che ci vede impegnati all’inizio del nuovo millennio, potrebbe sembrare, di primo acchito, qualcosa di scarsamente operativo. Si può forse «programmare» la santità?”. Per parte sua Giovanni Paolo II era ben persuaso che, durante il Giubileo, “la santità è apparsa più che mai la dimensione che meglio esprime la santità della Chiesa. Messaggio eloquente che non ha bisogno di parole, essa rappresenta al vivo il volto di Cristo”. Di qui nacque la Lettera Pastorale Primo, la santità. Peraltro, in questi vent’anni ho già affrontato questo tema nella Lettera Pastorale Pietro e Maria: andava in questa direzione soprattutto indicando Maria come immagine perfetta della Chiesa, la quale ha sempre bisogno di coltivare la “dimensione mariana” per essere secondo le attese più profonde di Dio e i bisogno più profondi dell’uomo. Anche nella Lettera Pastorale A immagine di Cristo ho affrontato con ampiezza il tema della nostra vocazione alla santità descrivendo l’azione di cui è protagonista lo Spirito Santo nella vita di ciascuno di noi e dell’intera Chiesa. L’invito che ci ha raggiunti all’inizio del decennio scorso rimane di grande attualità ed è la vera spiegazione della giovinezza della Chiesa. IL PRIMO DECENNIO DEL DUEMILA Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia L’anno 2001, che sarebbe diventato anche l’anno dell’11 settembre, è iniziato con la pubblicazione, nel giorno dell’Epifania, della Lettera Apostolica conclusiva del Giubileo dal titolo Novo millennio ineunte. È dedicata, dal principio alla fine, a Cristo e al suo mistero. Gli Orientamenti dei Vescovi italiani, usciti nell’estate 2001 con il titolo Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, volevano essere un invito a tutte le Chiese particolari perché coltivassero con premura le scelte pastorali più idonee per affrontare con vigore il nuovo millennio. Il documento dei Vescovi voleva essere la prima risposta all’invito del Papa a un’appropriata contestualizzazione del documento pontificio nella situazione italiana. 291 LA PAROLA DEL VESCOVO In maniera particolare si voleva che il tema di fondo fosse la missione, e in modo specifico il rinnovamento missionario della figura complessiva del nostro lavoro pastorale: in secondo luogo, si voleva affrontare la questione attorno a due nuclei sostanziali: quello della missione di Cristo e quello del servizio della Chiesa alla missione di Cristo nella storia dell’umanità. Noi abbiamo ripreso, in Diocesi, il testo della CEI, soprattutto nel 2002 con l’Assemblea Pastorale di Pallanza (25-26 aprile 2002). La ricordo come un’ottima Assemblea che, tenendo conto delle indicazioni CEI, aveva privilegiato per la nostra Diocesi quattro capitoli da approfondire sull’arco degli anni. Un primo punto da privilegiare, in correlazione con gli Orientamenti della Chiesa italiana era il seguente: “La comunità fedele che si raccoglie in Parrocchia nel «giorno del Signore» è chiamata ad essere un anello fondamentale per la comunicazione del Vangelo” (n. 48). Un secondo punto diceva che “Una delle frontiere più delicate per la Chiesa, oggi, consiste nella grande sfida di comunicare il Vangelo alle nuove generazioni” (n. 57, § 4). Un terzo punto: “Nel contesto socio-culturale di oggi la comunicazione del Vangelo richiede ai cristiani che vivano esperienze di una fede «pensata» (n. 5, § 2). Un quarto punto: “In questi anni è evidente a tutti che l’area dei battezzati, i quali vivono solo una debole esperienza ecclesiale, e forse anche una debole esperienza di fede, è molto vasta. La responsabilità di comunicare il Vangelo ci sospinge ad interessarci, anche in forme nuove, di tutti questi nostri fratelli in Cristo” (n. 57, § 2; 59, § 1). Un giovane diventa cristiano (2003) Il programma, tutto racchiuso intorno alla comunicazione del Vangelo, era chiaro. Si trattava, naturalmente di metterlo in atto sull’arco degli anni. Mi sembra di poter dire che qualcosa s’è fatto, ma che qualche aspetto è rimasto troppo in ombra in termini di traduzione. Di fatto, nei primi anni del decennio abbiamo dato amplissimo spazio alle nuove generazioni. Abbiamo dedicato due anni a prestare particolare attenzione ai ragazzi e alla iniziazione cristiana, e poi due anni agli adolescenti, ai giovani, ai giovani adulti. S’è fatto un gruppo di lavoro, che ci ha molto impegnati e che mi conduce anche adesso a ringraziare tutti coloro che vi hanno preso parte. In apertura di quei quattro anni vi fu una Lettera pastorale dedicata a Sant’Agostino e alla sua esperienza spirituale: Un giovane diventa cristiano. Si voleva rispondere soprattutto a una domanda: chi ha aiutato Agostino a diventare cristiano? La risposta, confermata dalle stesse Confessioni di Agostino, è che furono soprattutto degli adulti: Ambrogio, il Vescovo; Monica, la madre; un prete, Simpliciano; un laico, Ponticiano. Insieme con queste singole persone, a convertirlo fu la grazia di Dio che trovò un grande appoggio nella comunità viva, gioiosa, coraggiosa della Milano di quel tempo. Questa sottolineatura rimane di grande attualità a proposito della comunicazione della fede ai ragazzi e ai giovani: hanno bisogno di vedere la fede negli adulti e quasi di toccarla con mano: hanno bisogno di trovarsi immersi in una comunità cristiana che dia la percezione della fortuna di avere incontrato Cristo nella vita. 292 LA PAROLA DEL VESCOVO Splendete come astri nel mondo (2006) Dopo quattro anni, come riflessione di sintesi degli anni precedenti e come proposta per il futuro, vi fu un’altra Lettera Pastorale intitolata Splendete come astri nel mondo. Dal principio alla fine si parla di ragazzi e di giovani e di itinerario da proporre loro perché crescano cristiani. L’intendimento era di offrire riflessioni e indicazioni pratiche per la “pastorale ordinaria”. Devo dire che una cosa mi stava soprattutto a cuore: che in tutte le nostre Parrocchie si ripensasse seriamente all’Iniziazione Cristiana. Percepivo - e colgo tuttora - che a questo riguardo c’è una svolta assolutamente necessaria e che va compiuta in questi anni nei quali ancora ci vengono richiesti il Battesimo, la Prima Comunione, la Cresima. Indico questa svolta anzitutto con una domanda che abbiamo posto a mons. Giusti nell’Assemblea Pastorale Diocesana di Boca del 2005: quando proponiamo ai nostri ragazzi il cammino di Iniziazione Cristiana, quali esperienze spirituali desideriamo che compiano perché, passando attraverso di esse, siano davvero aiutati a crescere come veri cristiani? È in gioco il nascere e il crescere dei figli di Dio, quelli che non dalla carne né dal sangue, né da volere di uomo, ma da Dio sono nati (cfr Gv 1,12s). La Chiesa è chiamata a svolgere questa meravigliosa funzione materna. Dove questo avvenimento del nascere e crescere di nuovi figli di Dio non si verificasse, non si potrebbe ancora parlare di Iniziazione Cristiana, né si potrebbe dire che la Chiesa è madre feconda. Nella parte pratica della Lettera Pastorale ricordavo l’amalgama necessario per l’Iniziazione Cristiana. Esso è composto da catechesi, liturgia e carità1. Perciò tra i luoghi importanti dell’Iniziazione Cristiana sarà certamente da considerare la sede del catechismo. Ma non può assolutamente essere l’unico luogo, magari ignorando del tutto la Chiesa parrocchiale o altri luoghi deputati precisamente alla preghiera. Ogni volta che ci si incontra con i ragazzi vanno favoriti e chiesti momenti di silenzio e di ripensamento: occorre orientare i cuori a vivere ciò che si è ascoltato. I catechisti/e dicano ai loro ragazzi che l’appuntamento fondamentale della settimana è il “giorno del Signore”, al quale va assolutamente dato il primato. Poiché sappiamo, anche con sofferenza, che per lo più i ragazzi partecipano sì con fedeltà al catechismo, ma sono largamente assenti dalla celebrazione del “giorno del Signore”, va costantemente rilanciata a loro e alle loro famiglie la persuasione che, se cade questo pilastro, l’Iniziazione Cristiana non avviene. Ciò richiede che nel “giorno del Signore” i catechisti si domandino quali attenzioni concrete mettere in atto sia per favorire che i ragazzi escano dalla loro casa per andare verso la chiesa, sia per rendere attiva il più possibile la partecipazione dei ragazzi alla santa Messa. E poi va tenuto sempre in primo piano che Gesù ha detto che la casa è costruita sulla roccia se si ascolta la sua parola e la si mette in pratica. Ciò vuol dire che il catechismo va tradotto; che va presentato come indicazione 293 LA PAROLA DEL VESCOVO di un modo di affrontare la quotidianità. Solo quando questo avviene, emerge il discepolo di Gesù: quello che lo ascolta e poi lo segue mettendosi sui sentieri della vita che sono graditi al Signore. La Visita Pastorale mi permette di dire che in varie Parrocchie la giusta fisionomia dell’Iniziazione Cristiana è già diventata proposta reale. Ma non è dappertutto così. C’è un’urgenza enorme che si dia dunque l’impronta più appropriata a un capitolo della vita pastorale nel quale vengono investite più che altrove le nostre forze. IL CONVEGNO ECCLESIALE DI VERONA “Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo” Rivestitevi di Cristo (2007) A metà dello scorso decennio si è inserito il Convegno Ecclesiale di Verona, a cui anche una rappresentanza della nostra Diocesi ha partecipato. Tale Convegno è stato preparato in sede di Consiglio Presbiterale e di Consiglio Pastorale Diocesano ed è stato seguito da ulteriori approfondimenti. Il Convegno di Verona (ottobre 2006) era dedicato soprattutto agli adulti ed ha sospinto anche la nostra Diocesi a mettere gli adulti all’ordine del giorno. Così sono nate due Lettere Pastorali. La prima, intitolata Rivestitevi di Cristo era dedicata a ciò che può essere detto la sorgente e l’alimento della maturità cristiana. La seconda, che era una prosecuzione della prima, era intitolata Fate quello che vi dirà e aveva come sottotitolo Vivere da cristiani nel mondo. Il tutto si collegava con gli Orientamenti CEI Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, là dove si legge: “Ci sembra importante che la comunità sia coraggiosamente aiutata a maturare una fede adulta, «pensata», capace di tenere insieme vari aspetti della vita facendo unità di tutto in Cristo. Solo così i cristiani saranno capaci di vivere nel quotidiano, nel feriale - fatto di famiglia, lavoro, studio, tempo libero - la sequela del Signore fino a rendere conto della speranza che li abita” (cfr 1 Pt 3,15). Su questa prospettiva ci ha aiutato anche Antonio Rosmini, beatificato nel novembre 2007. Nell’epoca moderna egli primeggia come cristiano che ha “pensato” la fede. Da grande intellettuale qual era, si è speso fino agli ultimi giorni in questa impresa. La sua eredità è molto idonea per i cristiani di oggi, chiamati a conservare la fede e a farla crescere in un mondo pluralista e secolarizzato. Egli può essere di sostegno, in particolare, per i laici, perché, nella forma tipica di un intellettuale, affronta temi rilevanti della testimonianza dei cristiani nella storia. Basti pensare a quanto ha scritto a proposito dell’educazione, della politica e di altri temi che toccano profondamente la vita della società. Il sottotitolo della Lettera Pastorale Rivestitevi di Cristo, “la sorgente e l’alimento della maturità cristiana”, mi ha condotto a dedicare spazio per spiegare che cosa intendiamo per maturità cristiana. Mi ha portato anche a rileggere il Battesimo come radice del cammino verso la maturità cristiana. Mi ha poi con- 294 LA PAROLA DEL VESCOVO dotto a riflettere sulla Parola di Dio, ponendo in evidenza dove essa vuole risiedere: nel cuore di ognuno, nella Chiesa, nel mondo. E mi ha condotto infine a rivolgere l’invito a lasciarsi plasmare dall’Eucaristia, centro dinamico della crescita della Chiesa. Così alimentati, avviene realmente che veniamo rivestiti di Cristo e abbiamo parte alla sua pienezza (cfr Ef 4,13). Fate quello che egli vi dirà (2008) Attraverso il Convegno di Verona veniva dunque chiesto agli adulti di essere “testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo”. Proprio per fondare una tale missione occorreva la massima premura per vivere una relazione personale profonda con Colui del quale si sarebbe dovuti diventare testimoni. Ma la missione si svolge nel mondo. È lì che occorre portare la speranza che solo in Gesù morto e risorto trova il suo fondamento. Stando così le cose occorreva soffermarsi a riflettere seriamente sulle responsabilità storiche che i fedeli laici adulti sono chiamati a portare e sui criteri del discernimento cristiano che vanno adottati. Per dare concretezza a questo discorso, nella Lettera Pastorale Fate quello che vi dirà ho voluto affrontare due luoghi di responsabilità adulta: la famiglia e la città. Il Vangelo deve arrivare fin lì e mostrare, attraverso la nostra testimonianza, che esso è veramente sale della terra e luce del mondo. Entrambi questi capitoli esigono un cammino formativo da parte dei laici. Esso è da intendersi come acquisizione di una sufficiente consapevolezza della posta in gioco e come coltivazione di quella sapienza che, dentro la complessità, indica qual è la via di Dio. Nel medesimo tempo famiglia e città sono realtà sulle quali la Chiesa stessa si deve interrogare per comprendere quale aiuto debba dare agli adulti cristiani e in quali forme e con quali strumenti esprimere vicinanza e sostegno. DOPO LA CONCLUSIONE DELLA Camminare insieme (2009) VISITA PASTORALE Nel mese di giugno del 2008 ho concluso la Visita Pastorale, iniziata quindici anni prima. Quello della Visita Pastorale è stato l’impegno a cui mi sono dedicato di più da quando mi è stata data la responsabilità di servire a tempo pieno la Diocesi gaudenziana. L’ho annunciata nella Pentecoste del 1993 e l’ho iniziata nell’anno pastorale ’93-’94 dedicandomi anzitutto al Vicariato di Novara. Se grande è stato l’impegno che ha richiesto, ancora maggiore è la gioia che mi ha donato. Ero consapevole, e non mancavo di dirlo, che, in realtà, la visita era quella di Dio e quella di Gesù. Il Vescovo doveva essere solo “asinus portans mysteria”, proprio come l’asinello che servì a Gesù per il suo ingresso nella città di Gerusalemme. Molto è stato il tempo che abbiamo dedicato a prendere coscienza delle sfide che oggi attendono noi cristiani in nome del Vangelo. Né ci siamo fermati all’analisi, pur necessaria. Ci siamo sempre domandati che cosa ci chiedeva il 295 LA PAROLA DEL VESCOVO Signore. Ho sempre voluto compiere la Visita Pastorale accompagnato da Pietro e Maria. A Maria chiedevo che ci aiutasse ad avere grande premura nei confronti delle dimensioni interiori e sorgive della vita della Chiesa; all’apostolo Pietro chiedevo che ci aiutasse a ben interpretare gli aspetti istituzionali della Chiesa, la ricchezza delle funzioni con cui la fede della Chiesa prende figura e consistenza storica. Nell’autunno 2008 ho iniziato, un po’ in sordina, una seconda Visita Pastorale. Essa ha assunto una forma complementare rispetto alla prima. Ho infatti avviato - solo avviato - la Visita Pastorale alle Unità Pastorali. Per la verità, l’attenzione alle Unità Pastorali ha accompagnato tutta la prima Visita Pastorale. Già allora si era cercato di definire, secondo la richiesta del XX Sinodo diocesano, una mappa delle Unità Pastorali e si fecero numerosi incontri su delle ipotesi di Unità Pastorali che avrebbero preso forma più precisa con la conclusione della Visita Pastorale alle Parrocchie. Si può dunque dire che tutta la ultradecennale Visita Pastorale era stata caratterizzata da un continuo invito a “camminare insieme”. Da questa riflessione è nata l’ultima Lettera Pastorale, intitolata appunto Camminare insieme. L’invito investe tutta la Chiesa, il suo volto, il suo compito. Coinvolge tutti i battezzati. Richiama i doni dello Spirito Santo che raggiungono ognuno e la risposta che ciascuno è chiamato a dare. Le Unità Pastorali sono una concreta risorsa per camminare insieme. Parlando di esse non ho voluto semplicemente esprimere un vago auspicio. Ho voluto piuttosto esplicitare un rilevante orientamento pastorale della nostra Diocesi. Per motivarla chiedevo grande disponibilità e coraggioso impegno da parte di tutti, a cominciare dai Sacerdoti. Credo che non saremmo attenti al futuro, né allo Spirito Santo se non fossimo disposti, nel nostro modo di portare avanti il lavoro pastorale, a mettere in atto anche quei cambiamenti che sono richiesti soprattutto dalla volontà missionaria di essere il più possibile adeguati al compito di trasmettere e conservare la fede. Il cammino delle Unità Pastorali è ancora agli inizi. In qualche Vicariato si sono già fatti dei passi significativi; in altre le Unità Pastorali sono ancora prevalentemente sulla carta. Ma bisogna dare tempo al tempo e scavare costantemente sulle ragioni ecclesiologiche che ci spingono su una strada segnata dalla comunione e dalla missione. A questo proposito, i Sacerdoti sono chiamati ad essere in prima linea curando anzitutto una profonda vicendevole fraternità, nel contesto dell’unico presbiterio diocesano e in stretta unità con il Vescovo. IN CHIUSURA Cor ad cor loquitur Ho iniziato questi anni con un proposito. È bene fare dei propositi, anzi è necessario. Occorre persino ripeterli nella nostra preghiera e meditazione perché plasmino realmente, sia pure in misura limitata, tutto il nostro vivere e agire. 296 LA PAROLA DEL VESCOVO Il proposito era racchiuso nel motto episcopale: Cor ad cor loquitur. L’avevo ripreso da Newman il quale, a sua volta, si era ispirato a san Francesco di Sales. Sono parole tratte da una lunga lettera che Francesco di Sales scrisse nel 1604 all’Arcivescovo di Bourges: “Occorre che le vostre parole siano infiammate non con grida o azioni fuori misura, ma per l’affezione interiore. Bisogna che esse emergano dal cuore più che dalla bocca. Si ha un bel dire, ma il cuore parla al cuore, la bocca non parla che agli orecchi”2. Un simile proposito apriva diversi sentieri per me, come Vescovo. Mi richiedeva anzitutto che quanto andavo dicendo o proponendo rispettasse l’azione dello Spirito Santo che scrive sulle pareti del cuore: dovevano essere perciò spirito e fuoco. Richiedeva poi di diventare stile concreto di vita in tutti gli incontri a cui venivo chiamato dal ministero, sia quelli comunitari sia quelli personali. Richiedeva che, all’inizio di ogni giornata, portassi nella preghiera gli incontri che avrei vissuto perché avessero il timbro e il tono giusto e non venissero sciupati dalle emozioni o delusioni che, spesso in maniera imprevista, invadono il campo. Richiedeva che guardassi in volto le persone e che, già dallo sguardo o dall’accoglienza, si potesse intravvedere un moto del cuore. Richiedeva di non fare distinzione fra le persone. Semmai, se ce ne doveva essere una da fare, era che gli ultimi fossero i primi. Senza escludere che talvolta, proprio la disponibilità di coinvolgere il cuore, si facesse qualche esperienza dell’oppressione del cuore: richiedeva dunque che non si rinunciasse al “cor ad cor” nemmeno quando si incrociavano degli ostacoli. Erano dunque diversi e impegnativi i sentieri su cui mi spingeva il proposito del “cor ad cor”. Perciò poteva parere persino una pretesa eccessiva, anche se certamente evangelica. Proprio per tale prospettiva dovevo mettere in conto che qualcuno non trovasse in me un cuore che si apre a un altro cuore. Sentimenti diversi e contrari hanno potuto talvolta prevalere. Posso essere stato, in qualche momento, causa di delusione. Addirittura devo realisticamente ammettere di avere più volte fallito e di essere stato giudicato causa di un male anziché di un bene. Perciò il paesaggio meraviglioso di una vita segnata dal “cor ad cor” non soltanto mi lascia intravvedere, ma mi chiede pentimento per i miei peccati e mi porta a chiedere perdono non soltanto a Dio, ma anche ai fratelli. È ciò che esprimo anche in questo momento dinanzi a voi, ripensando ai miei vent’anni nella nostra cara Diocesi di san Gaudenzio. 1 Suggerivo di articolare il lavoro educativo lungo l’anno, così che questi elementi venissero posti in evidenza. Così potrebbe avvenire anche studiando un ritmo mensile che, passando da una settimana all’altra, consenta di porre sistematicamente l’accento sull’uno o l’altro dei vari elementi. 2 GEOFRREY ROWELL, Newman anglican, in La vie spirituelle, 1/2011, p. 49 297 CONGREGRAZIONE PER IL CLERO Nel 60° anniversario dell’Ordinazione sacerdotale del Papa Sessanta ore di Adorazione eucaristica Eccellenza Reverendissima, Il prossimo 29 giugno ricorrerà il sessantesimo anniversario dell’Ordinazione sacerdotale dell’amato Papa Benedetto XVI, avvenuta nella Solennità dei Santi Pietro e Paolo del 1951. L’occasione è particolarmente propizia per stringerci intorno al Sommo Pontefice, per testimoniarGli tutta la nostra gratitudine, il nostro affetto, la nostra comunione per il servizio che sta offrendo a Dio ed alla sua Chiesa e, soprattutto, per quel “risplendere della Verità sul mondo”, a cui il suo alto magistero continuamente richiama. In spirito di soprannaturale sobrietà, si pensa poter fare cosa gradita al Santo Padre invitando ogni circoscrizione ecclesiastica, con particolare partecipazione dei sacerdoti, ad offrire, per la circostanza del sessantesimo Anniversario, sessanta ore di Adorazione eucaristica, continuative o distribuite nel prossimo mese di giugno, per la santificazione del Clero e per ottenere da Dio il dono di nuove e sante vocazioni sacerdotali. Il culmine del percorso di preghiera potrebbe coincidere con la Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù (Giornata di santificazione sacerdotale), il prossimo venerdì 1° luglio. Si potrebbe così omaggiare il Pontefice di una straordinaria corona di preghiera e di soprannaturale unità, capace di mostrare sia il reale centro della nostra vita, dal quale ogni sforzo missionario e pastorale discende, sia l’autentico volto della Chiesa e dei Suoi Sacerdoti. Certo di incontrare la cordiale e sollecita collaborazione di ciascuno Ordinario, in spirito di profonda e permanente comunione anche in questo importante Anniversario, rimango in attesa dell’auspicata adesione e profitto della circostanza per confermarmi con sensi di distinto ossequio. Mauro Card. Piacenza Prefetto Celso Morga Iruzubieta Segretario Dal Vaticano, 13 maggio Beata Vergine Maria di Fatima 298 CANCELLERIA CAUSA DI BEATIFICAZIONE della Serva di Dio MADRE MARGHERITA MARIA GUAINI Fondatrice delle Suore Missionarie di Gesù Eterno Sacerdote (1902 – 1994) Il 29 aprile 2011, presso la Curia Diocesana di Novara è stata aperta la Causa di beatificazione e canonizzazione di Madre Margherita Maria Guaini, Fondatrice delle Suore Missionarie di Gesù Eterno Sacerdote. Già da qualche mese in Diocesi sono iniziate i lavori necessari per la Causa. Tra gli adempimenti richiesti dalla legislazione canonica in questa materia vi è la promulgazione e pubblicazione di un “editto” da parte del Vescovo Diocesano non solo per informare i fedeli dell’avvio del procedimento, ma soprattutto per raccogliere tutte le notizie da cui è possibile dedurrre elementi favorevoli o contrari alla fama di santità della Serva di Dio. Pubblichiamo pertanto il testo integrale dell’Editto di Mons. Corti in data 10 marzo 2011. La presente pubblicazione costituisce atto formale con cui l’editto è comunicato a tutti i parroci della Diocesi. Resterà inoltre affisso all’albo della Curia fino alla data di chiusura dell’Inchiesta informativa diocesana. EDITTO art. 43, Istruzione della Congregazione delle Cause dei Santi, Sanctorum Mater Prot. N. SDD-2011-252 Numerosi fedeli e sacerdoti della nostra Diocesi, mossi dalla fama della santità di vita della Serva di Dio Madre Margherita Maria Guaini, attraverso le Suore Missionarie di Gesù Eterno Sacerdote, da Lei fondate, mi hanno rivolto istanza - tramite la dott.ssa Francesca Consolini Postulatrice della Causa perché avviassi l’Inchiesta Informativa Diocesana sulla vita, le virtù e la fama di santità della Serva di Dio. Esaminata attentamente la richiesta; avuto il parere favorevole dei Vescovi della Conferenza Episcopale Piemontese in data 7 marzo 2011; in attesa del Nulla Osta della Congregazione delle Cause dei Santi, che ho richiesto con lettera in data 31 gennaio 2011 (prot. SDD-2011-63); 299 CANCELLERIA ho deciso di dare inizio al processo canonico circa la vita, le virtù e la fama di santità in specie e i fatti straordinari in genere della Serva di Dio, per dar modo al Tribunale Ecclesiastico di procedere quanto prima all’escussione di alcuni testi de visu in età avanzata e in precarie condizioni di salute. *** La Serva di Dio nacque da Battista ed Elisabetta Filippini, il 21 novembre 1902, a Ceto (BS), diocesi di Brescia, primogenita di dieci figli; venne battezzata lo stesso giorno nella chiesa parrocchiale di Sant’Andrea apostolo. Il 7 agosto 1925 entrò fra le Ancelle della Carità a Mantova, dove la famiglia si era trasferita. Assunse il nome di Suor Elisa e, terminato il periodo di formazione, il 3 settembre 1923 emise la prima professione e il 19 novembre 1932 i voti perpetui. La Serva di Dio prestò la sua opera come infermiera in diversi ospedali affidati alle Suore. Gradualmente cominciò a sentire dentro di sé il desiderio di aiutare la Chiesa donandosi a Dio per la santificazione dei sacerdoti e l’esigenza di dedicarsi alla preghiera e alla contemplazione. Su consiglio del suo confessore, mons. Serini, e del prevosto di S. Lorenzo, in Brescia, mons. Bosio, decise di lasciare le Ancelle della Carità per entrare nel monastero della Visitazione di S. Maria, in Brescia. La richiesta fu accolta il 1° marzo 1938 ed il successivo 15 marzo fece la vestizione religiosa assumendo il nome di Suor Margherita Maria. Il 12 aprile 1939 emise la professione solenne. Per sette anni la Serva di Dio visse in monastero, perfezionando la sua vita spirituale ed approfondendo quella misteriosa chiamata che aveva avvertito anni prima; capì che il Signore la sollecitava a fondare una nuova famiglia religiosa col fine primario del dono di se stessi a Dio, nello spirito del sacrificio eucaristico, per la santificazione dei sacerdoti, aiutandoli con la preghiera, sostenendoli con le iniziative di carità e collaborando con loro nelle attività pastorali. Il 2 marzo 1945, in seguito ai violenti bombardamenti che colpirono il monastero della Visitazione, la comunità si disperse temporaneamente e la Serva di Dio decise di lasciare la vita claustrale per seguire la volontà di Dio. Chiesta la dispensa dai voti solenni, la Serva di Dio iniziò il non facile cammino che la portò, nel 1947, a fondare in Matera la Congregazione delle Missionarie di Gesù Eterno Sacerdote, che ebbe il suo maggior sviluppo nella diocesi di Novara e si diffuse poi anche in terra di missione. Madre Guaini continuò con ardore e costanza a seguire la vita della Congregazione fino al 15 luglio 1990, quando, a motivo dell’avanzata età, lasciò il suo servizio di superiora generale nelle mani di Madre Maria Manuela Jacovone, la prima suora che l’aveva seguita a Matera. Sempre presente nella vita della Comunità, la Serva di Dio trascorse gli ultimi anni nella preghiera, circondata dall’affetto e dalle cure delle sue figlie. Si spense serenamente il 2 marzo 1994 nel Convento di Varallo Sesia, sede della Casa Madre. I funerali si svolsero il successivo 5 marzo e la sua salma fu tumulata nella tomba della Congregazione nel cimitero di Varallo Sesia. 300 CANCELLERIA *** Ora, mentre informo la comunità diocesana dell’istanza, pervenuta dalla Postulatrice, di apertura dell’Inchiesta Informativa Diocesana, invito tutti i fedeli a comunicarmi direttamente o a far pervenire al Tribunale Diocesano tutte quelle notizie dalle quali si possano dedurre elementi favorevoli o contrari alla fama di santità della Serva di Dio. Dovendosi inoltre raccogliere, a norma della legislazione vigente, tutti gli scritti attribuiti alla Serva di Dio, col presente Editto, ordino a quanti ne fossero in possesso, di rimettere con sollecitudine al medesimo Tribunale qualsiasi scritto che abbia come autrice Madre Margherita Maria Guaini, qualora non sia già stato consegnato alla Postulazione della Causa. Stabilisco infine che il presente Editto sia comunicato a tutti i Parroci della Diocesi, attraverso la pubblicazione sul Bollettino degli Atti Ufficiali della Curia Diocesana e sia affisso all’Albo della Curia fino alla data della sessione di chiusura dell’Inchiesta Informativa Diocesana. Dato in Novara, 10 marzo 2011 + Renato Corti (Vescovo di Novara) Sac. Fabrizio Poloni (Cancelliere Vescovile) 301 SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE La nuova Istruzione “Universae Ecclesiae” Presentazione del Direttore della Sala Stampa Padre Federico Lombardi S.I. L’Istruzione sull’applicazione del Motu proprio “Summorum Pontificum” (del 7 luglio 2007, entrato in vigore il 14 settembre 2007) è stata approvata dal Papa Benedetto XVI l’8 aprile scorso e porta la data del 30 aprile, memoria liturgica di San Pio V, Papa. L’Istruzione, in base alle prime parole del testo latino, viene denominata “Universae Ecclesiae” ed è della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”, a cui il Papa aveva affidato – fra l’altro - il compito di vigilare sull’osservanza e l’applicazione del Motu proprio. Perciò essa porta la firma del suo Presidente, Card. William Levada, e del Segretario, Mons. Guido Pozzo. Il documento è stato inviato a tutte le Conferenze Episcopali nelle settimane scorse. Ricordiamo che “le istruzioni… rendono chiare le disposizioni delle leggi e sviluppano e determinano i procedimenti nell’eseguirle” (CIC, can.34). Come viene detto al n.12, l’Istruzione è emanata “con l’animo di garantire la corretta interpretazione e la retta applicazione” del Motu proprio “Summorum Pontificum”. Era naturale che alla legge contenuta nel Motu proprio seguisse l’Istruzione sulla sua applicazione. Il fatto che ciò avvenga ora a più di tre anni di distanza si spiega facilmente ricordando che nella Lettera con cui il Papa accompagnava il Motu proprio diceva esplicitamente ai Vescovi: “Vi invito a scrivere alla Santa Sede, tre anni dopo l’entrata in vigore di questo Motu proprio. Se veramente fossero venute alla luce serie difficoltà, potranno essere cercate vie per trovare rimedio”. L’Istruzione porta quindi in sé anche il frutto della verifica triennale dell’applicazione della legge, che era stata prevista fin dall’inizio. Il documento presenta un linguaggio semplice e di facile lettura. La sua Introduzione (nn.1-8) ricorda brevemente la storia del Messale Romano fino all’ultima edizione di Giovanni XXIII, nel 1962, e al nuovo Messale approvato da Paolo VI nel 1970, a seguito della riforma liturgica del Concilio Vaticano II, e ribadisce il principio fondamentale che si tratta di “due forme della Liturgia 302 SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE Romana, definite rispettivamente ordinaria e extraordinaria: si tratta di due usi dell’unico Rito romano, che si pongono uno accanto all’altro. L’una e l’altra forma sono espressione della stessa lex orandi della Chiesa. Per il suo uso venerabile e antico, la forma extraordinaria deve essere conservata con il debito onore” (n.6). Si ribadisce anche la finalità del Motu proprio, articolandola nei seguenti tre punti: a) offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’uso più antico, considerata tesoro prezioso da conservare; b) garantire e assicurare realmente, a quanti lo domandano, l’uso della forma extraordinaria; c) favorire la riconciliazione in seno alla Chiesa (cfr n.8). Una breve Sezione del documento (nn. 9-11) ricorda i compiti e i poteri della Commissione “Ecclesia Dei”, a cui il Papa “ha conferito potestà ordinaria vicaria” nella materia. Ciò comporta tra l’altro due conseguenze molto importanti. Anzitutto, essa può decidere sui ricorsi che le vengano presentati contro eventuali provvedimenti di vescovi o altri ordinari, che sembrino in contrasto con le disposizioni del Motu proprio (ferma restando la possibilità di impugnare ulteriormente le decisioni della Commissione stessa presso il Tribunale supremo della Segnatura Apostolica). Inoltre, spetta alla Commissione, con l’approvazione della Congregazione per il Culto Divino, curare l’eventuale edizione dei testi liturgici per la forma extraordinaria del Rito romano (nel seguito del documento si auspica, ad esempio, l’inserimento di nuovi santi e di nuovi prefazi). La parte propriamente normativa del documento (nn. 12-35) contiene 23 brevi punti su diversi argomenti. Si ribadisce la competenza dei Vescovi diocesani per l’attuazione del Motu proprio, ricordando che in caso di controversia circa la celebrazione nella forma extraordinaria giudicherà la Commissione “Ecclesia Dei”. Si chiarisce il concetto di coetus fidelium (cioè “gruppo di fedeli”) stabiliter existens (“stabile”) che desidera di poter assistere alla celebrazione in forma extraordinaria. Pur lasciando alla saggia valutazione dei pastori la valutazione del numero di persone necessario per costituirlo, si precisa che esso non deve essere necessariamente costituito da persone appartenenti a una sola parrocchia, ma può risultare da persone che confluiscono da diverse parrocchie o addirittura da diverse diocesi. Sempre tenendo conto del rispetto delle esigenze pastorali più ampie, l’Istruzione propone uno spirito di “generosa accoglienza” verso i gruppi di fedeli che richiedano la forma extraordinaria o i sacerdoti che chiedano di celebrare occasionalmente in tal forma con alcuni fedeli. 303 SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE Molto importante è la precisazione (n. 19) secondo cui i fedeli che chiedono la celebrazione in forma extraordinaria “non devono in alcun modo sostenere o appartenere a gruppi che si manifestino contrari alla validità o legittimità della forma ordinaria” e/o all’autorità del Papa come Pastore Supremo della Chiesa universale. Ciò sarebbe infatti in palese contraddizione con la finalità di “riconciliazione” del Motu proprio stesso. Importanti indicazioni sono date anche circa il “sacerdote idoneo” alla celebrazione in forma extraordinaria. Naturalmente egli non deve avere impedimenti dal punto di vista canonico, deve conoscere sufficientemente bene il latino e conoscere il rito da celebrare. Si incoraggiano perciò i vescovi a rendere possibile nei seminari una formazione adeguata a tal fine, e si indica la possibilità di ricorrere, se mancano altri sacerdoti idonei, alla collaborazione dei sacerdoti degli Istituti eretti dalla Commissione “Ecclesia Dei” (che usano normalmente la forma extraordinaria). L’Istruzione ribadisce come ogni sacerdote sia secolare sia religioso abbia licenza di celebrare la Messa “senza popolo” nella forma extraordinaria se lo desidera. Perciò, se non si tratta di celebrazioni con il popolo, i singoli religiosi non hanno bisogno del permesso dei superiori. Seguono – sempre per quanto riguarda la forma extraordinaria - norme relative alle regole liturgiche e all’uso di libri liturgici (come il Rituale, il Pontificale, il Cerimoniale dei vescovi), alla possibilità di usare la lingua vernacola per le letture (a complemento di quella latina, o anche in alternativa nelle “Messe lette”), alla possibilità per i chierici di usare il Breviario precedente alla riforma liturgica, alla possibilità di celebrare il Triduo Sacro nella Settimana Santa per i gruppi di fedeli che chiedono il rito antico. Per quanto riguarda le ordinazioni sacre, l’uso dei libri liturgici più antichi è permesso solo negli Istituti che dipendono dalla Commissione “Ecclesia Dei”. A lettura compiuta, rimane l’impressione di un testo di grande equilibrio, che intende favorire – secondo l’intenzione del Papa – il sereno uso della liturgia precedente alla riforma da parte di sacerdoti e fedeli che ne sentano il sincero desiderio per il loro bene spirituale; anzi, che intende garantire la legittimità e l’effettività di tale uso nella misura del ragionevolmente possibile. Allo stesso tempo il testo è animato da fiducia nella saggezza pastorale dei vescovi, e insiste molto fortemente sullo spirito di comunione ecclesiale che deve essere presente in tutti – fedeli, sacerdoti, vescovi – affinché la finalità di riconciliazione, così presente nella decisione del Santo Padre, non venga ostacolata o frustrata, ma favorita e raggiunta. 304 PONTIFICIA COMMISSIONE ECCLESIA DEI Istruzione sull’applicazione della Lettera Apostolica “Summorum Pontificum” I. Introduzione 1. La Lettera Apostolica, Summorum Pontificum Motu Proprio data, del Sommo PonteficeBenedetto XVI del 7 luglio 2007, entrata in vigore il 14 settembre 2007, ha reso più accessibile alla Chiesa universale la ricchezza della Liturgia Romana. 2. Con tale Motu Proprio il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha promulgato una legge universale per la Chiesa con l’intento di dare una nuova normativa all’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962. 3. Il Santo Padre, dopo aver richiamato la sollecitudine dei Sommi Pontefici nella cura per la Sacra Liturgia e nella ricognizione dei libri liturgici, riafferma il principio tradizionale, riconosciuto da tempo immemorabile e necessario da mantenere per l’avvenire, secondo il quale “ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l’integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede”.1 4. Il Sommo Pontefice ricorda inoltre i Pontefici Romani che, in modo particolare, si sono impegnati in questo compito, specificamente San Gregorio Magno e San Pio V. Il Papa sottolinea altresì che, tra i sacri libri liturgici, particolare risalto nella storia ha avuto il Missale Romanum, che ha ricevuto nuovi aggiornamenti lungo il corso dei tempi fino al Beato Papa Giovanni XXIII. Successivamente, in seguito alla riforma liturgica posteriore al Concilio Vaticano II, Papa Paolo VI nel 1970 approvò per la Chiesa di rito latino un nuovo Messale, poi tradotto in diverse lingue. Papa Giovanni Paolo IInell’anno 2000 ne promulgò una terza edizione. 5. Diversi fedeli, formati allo spirito delle forme liturgiche precedenti al Concilio Vaticano II, hanno espresso il vivo desiderio di conservare la tradizione antica. Per questo motivo, Papa Giovanni Paolo II con lo speciale Indulto Quattuor abhinc annos, emanato nel 1984 dalla Sacra Congregazione per il Culto Divino, concesse a determinate condizioni la facoltà di riprendere l’uso del Messale Romano promulgato dal Beato Papa Giovanni XXIII. Inoltre, Papa 305 PONTIFICIA COMMISSIONE ECCLESIA DEI Giovanni Paolo II, con il Motu Proprio Ecclesia Dei del 1988, esortò i Vescovi perché fossero generosi nel concedere tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedevano. Nella medesima linea si pone Papa Benedetto XVI con il Motu Proprio Summorum Pontificum, nel quale vengono indicati alcuni criteri essenziali per l’Usus Antiquior del Rito Romano, che qui è opportuno ricordare. 6. I testi del Messale Romano di Papa Paolo VI e di quello risalente all’ultima edizione di PapaGiovanni XXIII, sono due forme della Liturgia Romana, definite rispettivamente ordinaria eextraordinaria: si tratta di due usi dell’unico Rito Romano, che si pongono l’uno accanto all’altro. L’una e l’altra forma sono espressione della stessa lex orandi della Chiesa. Per il suo uso venerabile e antico, la forma extraordinaria deve essere conservata con il debito onore. 7. Il Motu Proprio Summorum Pontificum è accompagnato da una Lettera del Santo Padre ai Vescovi, con la stessa data del Motu Proprio (7 luglio 2007). Con essa vengono offerte ulteriori delucidazioni sull’opportunità e sulla necessità del Motu Proprio stesso; si trattava, cioè, di colmare una lacuna, dando una nuova normativa all’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962. Tale normativa si imponeva particolarmente per il fatto che, al momento dell’introduzione del nuovo Messale, non era sembrato necessario emanare disposizioni che regolassero l’uso della Liturgia vigente nel 1962. In ragione dell’aumento di quanti richiedono di poter usare la forma extraordinaria, si è reso necessario dare alcune norme in materia. Tra l’altro Papa Benedetto XVI afferma: “Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Messale Romano. Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso”.2 8. Il Motu Proprio Summorum Pontificum costituisce una rilevante espressione del Magistero del Romano Pontefice e del munus a Lui proprio di regolare e ordinare la Sacra Liturgia della Chiesa3 e manifesta la Sua sollecitudine di Vicario di Cristo e Pastore della Chiesa Universale.4 Esso si propone l’obiettivo di: a) offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’Usus Antiquior, considerata tesoro prezioso da conservare; b) garantire e assicurare realmente a quanti lo domandano, l’uso della forma extraordinaria, nel presupposto che l’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962 sia una facoltà elargita per il bene dei fedeli e pertanto vada interpretata in un senso favorevole ai fedeli che ne sono i principali destinatari; c) favorire la riconciliazione in seno alla Chiesa. II. Compiti della Pontificia Commissione Ecclesia Dei 9. Il Sommo Pontefice ha conferito alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei potestà ordinaria vicaria per la materia di sua competenza, in modo particolare vigilando sull’osservanza e sull’applicazione delle disposizioni del Motu Proprio Summorum Pontificum (cf. art. 12). 306 PONTIFICIA COMMISSIONE ECCLESIA DEI 10. § 1. La Pontificia Commissione esercita tale potestà, oltre che attraverso le facoltà precedentemente concesse dal Papa Giovanni Paolo II e confermate da Papa Benedetto XVI (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, artt. 11-12), anche attraverso il potere di decidere dei ricorsi ad essa legittimamente inoltrati, quale Superiore gerarchico, avverso un eventuale provvedimento amministrativo singolare dell’Ordinario che sembri contrario al Motu Proprio. § 2. I decreti con i quali la Pontificia Commissione decide i ricorsi, potranno essere impugnati ad normam iuris presso il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. 11. Spetta alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, previa approvazione da parte dellaCongregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, il compito di curare l’eventuale edizione dei testi liturgici relativi alla forma extraordinaria del Rito Romano. III. Norme specifiche 12. Questa Pontificia Commissione, in forza dell’autorità che le è stata attribuita e delle facoltà di cui gode, a seguito dell’indagine compiuta presso i Vescovi di tutto il mondo, con l’animo di garantire la corretta interpretazione e la retta applicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum, emana la seguente Istruzione, a norma del can. 34 del Codice di Diritto Canonico. La competenza dei Vescovi diocesani 13. I Vescovi diocesani, secondo il Codice di Diritto Canonico, devono vigilare in materia liturgica per garantire il bene comune e perché tutto si svolga degnamente, in pace e serenità nella loro Diocesi5, sempre in accordo con la mens del Romano Pontefice chiaramente espressa dal Motu Proprio Summorum Pontificum.6 In caso di controversia o di dubbio fondato circa la celebrazione nella forma extraordinaria, giudicherà la Pontificia Commissione Ecclesia Dei. 14. È compito del Vescovo diocesano adottare le misure necessarie per garantire il rispetto dellaforma extraordinaria del Rito Romano, a norma del Motu Proprio Summorum Pontificum. Il coetus fidelium (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 § 1) 15. Un coetus fidelium potrà dirsi stabiliter exsistens ai sensi dell’art. 5 § 1 del Motu ProprioSummorum Pontificum, quando è costituito da alcune persone di una determinata parrocchia che, anche dopo la pubblicazione del Motu Proprio, si siano unite in ragione della loro venerazione per la Liturgia nell’Usus Antiquior, le quali chiedono che questa sia celebrata nella chiesa parrocchiale o in un oratorio o cappella; tale coetus può essere anche costituito da persone che provengano da diverse parrocchie o Diocesi e che a tal fine si riuniscano in una determinata chiesa parrocchiale o in un oratorio o cappella. 307 PONTIFICIA COMMISSIONE ECCLESIA DEI 16. Nel caso di un sacerdote che si presenti occasionalmente in una chiesa parrocchiale o in un oratorio con alcune persone ed intenda celebrare nella forma extraordinaria, come previsto dagli artt. 2 e 4 del Motu Proprio Summorum Pontificum, il parroco o il rettore di chiesa o il sacerdote responsabile di una chiesa, ammettano tale celebrazione, seppur nel rispetto delle esigenze di programmazione degli orari delle celebrazioni liturgiche della chiesa stessa. 17. § 1. Per decidere in singoli casi, il parroco o il rettore, o il sacerdote responsabile di una chiesa, si regolerà secondo la sua prudenza, lasciandosi guidare da zelo pastorale e da uno spirito di generosa accoglienza. § 2. Nei casi di gruppi numericamente meno consistenti, ci si rivolgerà all’Ordinario del luogo per individuare una chiesa in cui questi fedeli possano riunirsi per ivi assistere a tali celebrazioni, in modo tale da assicurare una più facile partecipazione e una più degna celebrazione della Santa Messa. 18. Anche nei santuari e luoghi di pellegrinaggio si offra la possibilità di celebrare nella forma extraordinaria ai gruppi di pellegrini che lo richiedano (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 § 3), se c’è un sacerdote idoneo. 19. I fedeli che chiedono la celebrazione della forma extraordinaria non devono in alcun modo sostenere o appartenere a gruppi che si manifestano contrari alla validità o legittimità della Santa Messa o dei Sacramenti celebrati nella forma ordinaria e/o al Romano Pontefice come Pastore Supremo della Chiesa universale. Il sacerdos idoneus (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 § 4) 20. In merito alla questione di quali siano i requisiti necessari, affinché un sacerdote sia ritenuto “idoneo” a celebrare nella forma extraordinaria, si enuncia quanto segue: a) Ogni sacerdote che non sia impedito a norma del Diritto Canonico è da ritenersi idoneo alla celebrazione della Santa Messa nella forma extraordinaria.7 b) Per quanto riguarda l’uso della lingua latina, è necessaria una sua conoscenza basilare, che permetta di pronunciare le parole in modo corretto e di capirne il significato. c) Per quanto riguarda la conoscenza dello svolgimento del Rito, si presumono idonei i sacerdoti che si presentano spontaneamente a celebrare nella forma extraordinaria, e l’hanno usato precedentemente. 21. Si chiede agli Ordinari di offrire al clero la possibilità di acquisire una preparazione adeguata alle celebrazioni nella forma extraordinaria. Ciò vale anche per i Seminari, dove si dovrà provvedere alla formazione conveniente dei futuri sacerdoti con lo studio del latino8 e, se le esigenze pastorali lo suggeriscono, offrire la possibilità di apprendere la forma extraordinaria del Rito. 308 PONTIFICIA COMMISSIONE ECCLESIA DEI 22. Nelle Diocesi dove non ci siano sacerdoti idonei, i Vescovi diocesani possono chiedere la collaborazione dei sacerdoti degli Istituti eretti dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, sia in ordine alla celebrazione, sia in ordine all’eventuale apprendimento della stessa. 23. La facoltà di celebrare la Messa sine populo (o con la partecipazione del solo ministro) nellaforma extraordinaria del Rito Romano è data dal Motu Proprio ad ogni sacerdote sia secolare sia religioso (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 2). Pertanto in tali celebrazioni, i sacerdoti a norma del Motu Proprio Summorum Pontificum, non necessitano di alcun permesso speciale dei loro Ordinari o superiori. La disciplina liturgica ed ecclesiastica 24. I libri liturgici della forma extraordinaria vanno usati come sono. Tutti quelli che desiderano celebrare secondo la forma extraordinaria del Rito Romano devono conoscere le apposite rubriche e sono tenuti ad eseguirle correttamente nelle celebrazioni. 25. Nel Messale del 1962 potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi9, secondo la normativa che verrà indicata in seguito. 26. Come prevede il Motu Proprio Summorum Pontificum all’art. 6, si precisa che le letture della Santa Messa del Messale del 1962 possono essere proclamate o esclusivamente in lingua latina, o in lingua latina seguita dalla traduzione in lingua vernacola, ovvero, nelle Messe lette, anche solo in lingua vernacola. 27. Per quanto riguarda le norme disciplinari connesse alla celebrazione, si applica la disciplina ecclesiastica, contenuta nel vigente Codice di Diritto Canonico. 28. Inoltre, in forza del suo carattere di legge speciale, nell’ambito suo proprio, il Motu ProprioSummorum Pontificum, deroga a quei provvedimenti legislativi, inerenti ai sacri Riti, emanati dal 1962 in poi ed incompatibili con le rubriche dei libri liturgici in vigore nel 1962. Cresima e Ordine sacro 29. La concessione di usare la formula antica per il rito della Cresima è stata confermata dal Motu Proprio Summorum Pontificum (cf. art. 9 § 2). Pertanto non è necessario utilizzare per la forma extraordinaria la formula rinnovata del Rito della Confermazione promulgato da Papa Paolo VI. 30. Con riguardo alla tonsura, agli ordini minori e al suddiaconato, il Motu Proprio Summorum Pontificum non introduce nessun cambiamento nella disciplina del Codice di Diritto Canonico del 1983; di conseguenza, negli Istituti di Vita Consacrata e nelle Società di Vita Apostolica che dipendono dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, il professo con voti perpetui oppure chi è stato incorporato definitivamente in una società clericale di vita apostolica, con l’ordinazione diaconale viene incardinato come chierico nell’istituto o nella società, a norma del canone 266 § 2 del Codice di Diritto Canonico. 309 PONTIFICIA COMMISSIONE ECCLESIA DEI 31. Soltanto negli Istituti di Vita Consacrata e nelle Società di Vita Apostolica che dipendono dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei e in quelli dove si mantiene l’uso dei libri liturgici della forma extraordinaria, è permesso l’uso del Pontificale Romanum del 1962 per il conferimento degli ordini minori e maggiori. Breviarium Romanum 32. Viene data ai chierici la facoltà di usare il Breviarium Romanum in vigore nel 1962, di cui all’art. 9 § 3 del Motu Proprio Summorum Pontificum. Esso va recitato integralmente e in lingua latina. Il Triduo sacro 33. Il coetus fidelium, che aderisce alla precedente tradizione liturgica, se c’è un sacerdote idoneo, può anche celebrare il Triduo Sacro nella forma extraordinaria. Nei casi in cui non ci sia una chiesa o oratorio previsti esclusivamente per queste celebrazioni, il parroco o l’Ordinario, d’intesa con il sacerdote idoneo, dispongano le modalità più favorevoli per il bene delle anime, non esclusa la possibilità di ripetere le celebrazioni del Triduo Sacro nella stessa chiesa. I Riti degli Ordini Religiosi 34. È permesso l’uso dei libri liturgici propri degli Ordini religiosi in vigore nel 1962. Pontificale Romanum e Rituale Romanum 35. È permesso l’uso del Pontificale Romanum e del Rituale Romanum, così come delCaeremoniale Episcoporum in vigore nel 1962, a norma del n. 28 di questa Istruzione e fermo restando quanto disposto nel n. 31 della medesima. Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, nell’ Udienza concessa il giorno 8 aprile 2011 al sottoscritto Cardinale Presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, ha approvato la presente Istruzione e ne ha ordinato la pubblicazione. Dato a Roma, dalla Sede della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, il 30 aprile 2011, nella memoria di san Pio V. William Cardinale Levada Presidente Mons. Guido Pozzo Segretario [1] BENEDETTO XVI, Lettera Apostolica Summorum Pontificum Motu Proprio data, AAS 99 (2007) 777; cf. Ordinamento generale del Messale Romano, terza ed. 2002, n. 397. [2] BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica “Motu Proprio data” Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, AAS 99 (2007) 798. [3] Cf. C.I.C. can. 838 §1 e §2. [4] Cf. C.I.C. can. 331. [5] Cf. C.I.C. cann. 223 § 2; 838 §1 e § 4. [6] Cf. BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica “Motu Proprio data” Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, AAS 99 (2007) 799. [7] Cf. C.I.C. can. 900 § 2. [8] Cf. C.I.C. can. 249; cf. Conc. Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 36; Dich. Optatam totius, n. 13. [9] Cf. BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica “Motu Proprio data” Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, AAS 99 (2007) 797. 310 UFFICIO LITURGICO Decreto circa il culto liturgico in onore del Beato Giovanni Paolo II Un carattere di eccezionalità, riconosciuto dall’intera Chiesa cattolica sparsa su tutta la terra, riveste la beatificazione del Venerabile Giovanni Paolo II, di felice memoria, che avverrà il 1° maggio 2011 presso la Basilica di San Pietro a Roma, presieduta dal Santo Padre Benedetto XVI. Attesa tale straordinarietà, a seguito di numerose richieste circa il culto liturgico in onore del nuovo Beato, secondo i luoghi e i modi stabiliti dal diritto, questa Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti si dà premura di comunicare quanto disposto al riguardo. Messa di ringraziamento Si dispone che nell’arco dell’anno successivo alla beatificazione di Giovanni Paolo II, ossia fino al 1° maggio 2012, sia possibile celebrare una santa Messa di ringraziamento a Dio in luoghi e giorni significativi. La responsabilità di stabilire il giorno o i giorni, come anche il luogo o i luoghi del raduno del popolo di Dio, compete al Vescovo diocesano per la sua diocesi. Considerate le esigenze locali e le convenienze pastorali, si concede che si possa celebrare una santa Messa in onore del nuovo Beato in una domenica durante l’anno come, altresì, in un giorno compreso tra i nn. 10-13 della Tabella dei giorni liturgici. Analogamente, per le famiglie religiose compete al Superiore Generale offrire indicazioni circa giorni e luoghi significativi per l’intera famiglia religiosa. Per la santa Messa, con possibilità di cantare il Gloria, si prega la colletta propria in onore del Beato (vedi allegato); le altre orazioni, il prefazio, le antifone e le letture bibliche sono attinte dal Comune dei pastori, per un papa. Se ricorre una domenica durante l’anno, per le letture bibliche si potranno scegliere testi adatti dal Comune dei pastori per la prima lettura, con il relativo Salmo responsoriale, e per il Vangelo. Iscrizione del nuovo Beato nei Calendari particolari Si dispone che nel Calendario proprio della diocesi di Roma e delle diocesi della Polonia la celebrazione del Beato Giovanni Paolo II, Papa, sia iscritta il 22 ottobre e celebrata ogni anno come memoria. 311 UFFICIO LITURGICO Circa i testi liturgici si concedono come propri l’orazione colletta e la seconda lettura dell’Ufficio delle letture, col relativo responsorio (vedi allegato). Gli altri testi si attingono dal Comune dei pastori, per un papa. Quanto agli altri Calendari propri, la richiesta di iscrizione della memoria facoltativa del Beato Giovanni Paolo II potrà essere presentata a questa Congregazione dalle Conferenze dei Vescovi per il loro territorio, dal Vescovo diocesano per la sua diocesi, dal Superiore Generale per la sua famiglia religiosa. Dedicazione di una chiesa a Dio in onore del nuovo Beato La scelta del Beato Giovanni Paolo II come titolare di una chiesa prevede l’indulto della Sede Apostolica (cfr. Ordo dedicationis ecclesiae, Praenotanda n. 4), eccetto quando la sua celebrazione sia già iscritta nel Calendario particolare: in questo caso non è richiesto l’indulto e al Beato, nella chiesa in cui è titolare, è riservato il grado di festa (cfr. Congregatio de Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum, Notificatio de cultu Beatorum, 21 maggio 1999, n. 9). Nonostante qualsiasi cosa in contrario. Dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, 2 aprile 2011. *** Il testo della colletta Per messa in onore del prossimo beato si utilizzerà la colletta propria che pubblichiamo di seguito. Le altre orazioni, il prefazio, le antifone e letture bibliche sono del Comune dei pastori, per un Papa. La prima lettura è tratta da Isaia (52, 7-10); il salmo responsoriale è il 96/95 (1-2a. 2b-3. 7-8a. 10); l’alleluia è da Giovanni (10, 14); il vangelo è da Giovanni (21, 15-179). *** Colletta O Dio, ricco di misericordia, che hai chiamato il beato Giovanni Paolo I, papa, a guidare l’intera tua Chiesa, concedi a noi, forti del suo insegnamento, di aprile con fiducia i nostri cuori alla grazia salvifica di Cristo, unico Redentore dell’uomo. Egli è Dio e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. (L’osservatore Romano - Edizione quotidiana - del 12 aprile 2011) 312 PASTORALE DELLA SANITÀ “Come figli del Padre” Si rinnova a Boca la Giornata dell’amicizia delle associazioni di pastorale sanitaria Santuario SS. Crocifisso - Boca - 2 giugno 2011 Il prossimo 2 giugno, al santuario del SS. Crocifisso di Boca, si rinnoverà la «Giornata dell’amicizia», organizzata dalla Pastorale della sanità in collaborazione con le associazioni di ispirazione cattolica che nella diocesi si occupano delle persone ammalate e disabili. Si tratta di un evento ben radicato nella tradizione ecclesiale, vantando il suo atto di nascita nel 1964 per iniziativa dell’OFTAL diocesano, e che, in quest’ultimo decennio, ha ripreso il suo carattere diocesano. «La giornata di quest’anno – puntualizza don Pier Davide Guenzi, responsabile della Pastorale della sanità – è pensata come un momento di preparazione all’esperienza del pellegrinaggio a Lourdes, che coinvolgerà nei mesi estivi in diverso modo le associazioni, soprattutto l’OFTAL e il CVS, ma anche altre, come i Medici cattolici e il Movimento Apostolico Sordi, da sempre fedeli all’appuntamento con il viaggio spirituale alla grotta di Massabielle». Il tema della giornata, «Come figli del Padre», riprende quello proposto dal centro pastorale del santuario francese per il 2011: «Pregare il Padre nostro con Bernadette». «Si tratta – continua don Guenzi – della seconda tappa di un percorso triennale dedicato a riscoprire, a partire dall’esperienza spirituale di Bernadette Soubirous, la giovane veggente di Lourdes, alcuni elementi fondamentali della preghiera cristiana nelle loro implicazioni sulla vita dei credenti: l’anno scorso il segno della croce, il prossimo l’Ave Maria e quest’anno il Padre nostro. Erano le orazioni che Bernadette conosceva sin dall’infanzia, ancora prima di iniziare catechismo, che utilizzò alla grotta in presenza dell’Apparizione e che segneranno costantemente il suo cammino di fede, sino alla morte nel 1879 presso il convento di Nevers, quando ormai aveva abbracciato la vita religiosa. Sono gli elementi semplici che ritmano ancor’oggi la preghiera delle persone disabili e ammalate, che accompagnano quasi naturalmente anche i gesti dei volontari chiamati a prendersi cura di loro. Soprattutto il Padre nostro può diventare una traccia per ripensare in modo globale la propria vita di fede. Non solo di fronte a Dio, ma anche nella tenace ricerca della condivisione con l’altro e nella capacità di esercitare l’amore sino al gesto del perdono». 313 PASTORALE DELLA SANITÀ Su questo aspetto si svolgerà in mattinata, dopo la preghiera iniziale alle 9.45, la tavola rotonda «Pregare il Padre nostro come figli». Vedrà come protagonisti sorella Anna Maria Cipriano, presidente della Confederazione Internazionale CVS e padre Saverio Zampa, attualmente rettore della basilica di S. Andrea a Vercelli, ma per molti anni responsabile a Lourdes del servizio di accoglienza dei giovani. Seguirà un cammino di riflessione alla scoperta della spiritualità di Bernadette Soubirous attraverso le singole domande che ritmano il Padre nostro. Dopo la pausa pranzo, alle 14,15 è previsto un intrattenimento musicale, dedicato anche alla festa civile del 2 giugno, offerto dal quintetto di ottoni «Brass-feever». «Il momento più atteso della giornata – conclude don Guenzi – sarà alle 15.30, con la Messa presieduta dal Vescovo, prolungata, nello stile di Lourdes, con la processione esterna e la benedizione eucaristica. Sarà l’occasione per far sentire il nostro affetto a mons. Renato Corti e il sentito ringraziamento di tutte le associazioni collegate alla pastorale sanitaria, per la sua vicinanza in questi venti anni di servizio alla diocesi di Novara al mondo dei malati, delle persone fragili e disabili». Il programma della Giornata 9.00 Accoglienza 9.45 Nel nome del Padre… Celebrazione iniziale di preghiera 10.00 Pregare il Padre nostro come figli Tavola rotonda con sorella Anna Maria Cipriano, presidente della Confederazione Internazionale CVS e padre Saverio Zampa, OMI, rettore della basilica di S. Andrea – Vercelli 11.45 Il Padre nostro di Bernadette Preghiera e riflessione 12.30 Pausa pranzo 14.15 Concerto quintetto di ottoni Brass feever 15.30 Celebrazione dell’Eucaristia, processione e benedizione eucaristica, presieduta da mons. Renato Corti, vescovo di Novara Per informazioni e prenotazioni (pullman e pranzo) rivolgersi ai responsabili locali delle Associazioni, oppure allo 0321 626106 (Segreteria OFTAL). 314 UFFICIO DEL CLERO Educarsi alla corresponsabilità I battezzati nel mondo alla prova della vita quotidiana 61 Settimana nazionale di aggiornamento pastorale A cura del Centro di Orientamento Pastorale (COP) Firenze, 20-23 giugno2011 Lunedì 20 giugno Dignità del laico cristiano: passione costante del COP Gaetano Bonicelli, arcivescovo emerito di Siena Martedì 21 giugno Essere laici: corresponsabili della missione evangelizzatrice della Chiesa Giorgio Campanini, dell’Università di Parma Il laicato in parrocchia - Dall’analisi dei dati all’assunzione di compiti Giovanni Villata e Letizia Ammannati Corresponsabilità nella fragilità e nella vita affettiva Paolo Blasetti, fondatore del Centro Emmanuel di Rieti Corresponsabilità nel lavoro e nella cittadinanza Claudio Cecchini, assessore alla Provincia di Roma Corresponsabilità nella cultura e nell’ impegno educativo Paola Bignardi, membro Comitato progetto culturale CEI Mercoledì 22 giugno Giovedì 23 giugno Educhiamoci alla corresponsabilità Tavola rotonda con: Ugo Ughi, Timothy Verdon, Marco Livia, Daniela e Maurizio Bellamaria. Corresponsabili perché battezzati Giuseppe Savagnone, dir. dioc. Centro per la cultura di Palermo Prospettive pastorali Domenico Sigalini Lettera al laicato Sede del convegno: Seminario Maggiore Arcivescovile-Lungarno Soderini,19 - Firenze Tel 055-283875-fax 055-294144 Per le iscrizioni ed eventuali chiarimenti: COP via Aurelia,283-00165 Roma-tel e fax 06/6390010 e-mail:[email protected] 315 CENTRO MISSIONARIO Martiri per i poveri e per il Vangelo Veglia di preghiera per i Missionari Martiri uccisi nel 2010 Basilica di San Gaudenzio, 24 marzo 2011 Nella serata di giovedì 24 marzo a Novara, nella Basilica di San Gaudenzio si è svolta una suggestiva quanto partecipata Veglia di Preghiera per i Missionari Martiri. Il tema proposto dalle Pontificie Opere Missionarie era: “Restare nella speranza”, uno slogan che esprime molto bene l’atteggiamento dei cristiani che anche nelle situazioni più difficili aiutano a sperare, a consolare e a intraprendere sentieri che portino all’uscita di situazioni di conflitto a beneficio di tante popolazioni che vivono nell’indigenza, nella povertà e a volte nel bel mezzo di una guerra. Il Centro Missionario Diocesano quest’anno ha focalizzato la sua attenzione su due Missionari Martiri italiani, uno: Mons. Luigi Padovese, Vescovo di Iskenderum, ucciso in Turchia lo scorso mese di giugno; l’altro: don Ruggero Ruvoletto, missionario Fidei donum di Padova ucciso a Manaus in Brasile nel mese di settembre del 2009. A tratteggiarne il ricordo sono stati invitati due amici di questi testimoni che ne hanno messo in risalto la loro umanità e il loro senso di servizio verso i poveri e il Vangelo. Giuseppe Caffulli, direttore della rivista: “Terra Santa” amico di lunga data di Mons. Padovese, ne ha illustrato la profonda cultura patristica che ne faceva uno dei più attenti ricercatori di quel passato luminoso che ebbe nell’Asia Minore (l’attuale Turchia) la culla dove si svilupparono le prime comunità cristiane. Mons. Padovese si è caratterizzato nel suo servizio di Vescovo in una piccola, ma non insignificante Chiesa come quella Turca, come un uomo del dialogo avviando feconde relazioni - sia sul piano umano che su quello intellettuale - con i rappresentanti del mondo islamico; allo stesso modo la sua ansia ecumenica ne faceva un paziente tessitore di rapporti d’amicizia con le varie Chiese Ortodosse anch’esse minoritarie ma di consolidata rilevanza ecclesiologica. Mons. Padovese, ucciso poche settimane prima del viaggio del Papa a Cipro, fu da Benedetto XVI ricordato come ultimo esponente di quella schiera di martiri che lungo i secoli versarono il loro sangue in quelle terre. Per ricordare la figura di don Ruggero Ruvoletto è intervenuto il dott. Domenico Rossato del CMD di Padova, che sottolineando i legami di amicizia intessuti con don Ruggero ne ha illustrato la sua carismatica figura di uomo semplice e allo stesso tempo straordinario: don Ruggero era una persona molto attenta a creare ambienti di convivialità dove far crescere solidi legami di amicizia tra le persone. Un carisma questo che, dopo l’esperienza in vari settori della diocesi di Padova, tra cui una dedizione totale verso mons. Filippo 316 CENTRO MISSIONARIO Franceschi nel periodo della sua malattia, seppe manifestare in Brasile a Manaus, in una periferia tra le più violente ed emarginate di quella metropoli. Di don Ruvoletto e di mons. Padovese ciò che rifulge di più non è tanto la morte violenta subìta, quanto piuttosto la qualità di vita e il servizio verso i poveri e gli emarginati che caratterizzarono il loro impegno missionario. Mons. Renato Corti ha ripreso queste testimonianze rileggendole nella prospettiva di altre stupende figure di Martiri dei nostri giorni, come furono i Monaci Trappisti di Tibhirine in Algeria; il Vescovo ha riletto alcune frasi ricavate dagli scritti di ciascuno di loro, dove si coglieva il senso di precarietà della loro esistenza vissuta in un ambito così difficile come quello algerino. Da questa lettura emergevano figure di monaci semplici e luminose che, consapevoli dei pericoli che correvano, conservavano tuttavia la rara virtù dell’umorismo. Uno di loro lasciò scritto che ai suoi funerali voleva non musiche solenni, ma la famosa canzone di Edith Piaff: “Je ne regrette rien”. Ma forse l’aspetto più rilevante di questi martiri sta proprio in quello che lasciò scritto Christian de Chergè, Priore di Tibhirine: “Per il Signore mille anni sono come un giorno e Lui mi dona la giornata di oggi per costruire l’eternità!” pertanto, concludeva mons. Corti, “il nostro sì a Dio sull’esempio dei martiri è un sì al Suo progetto di salvezza da vivere e riaffermare ogni giorno”. La lettura dell’umile martirologio, dove sono stati scanditi i nomi dei missionari uccisi nel 2010, ha fatto emergere in maniera evidente l’universalità del martirio nella Chiesa, dei 23 testimoni che hanno offerto la loro vita per il Vangelo nel 2010, ci sono infatti ben 13 sacerdoti Fidei donum, tre sacerdoti religiosi, due seminaristi, una suora, tre volontari laici e un vescovo. Questi martiri, che provenivano da una ventina di paesi diversi, sono morti in Asia, in Africa e in America Latina, dove ci sono stati ben 15 omicidi. Mentre venivano pronunciati i loro nomi, ai piedi della Croce su cui era posta una stola rossa a significare il calvario di tanti cristiani, venivano portate delle rose rosse quale umile omaggio da parte della comunità novarese a questi testimoni. Nel contempo venivano deposti ai piedi dell’altare, su cui erano collocati cinque ceri accesi a significare che la luce di Cristo brilla nei cinque Continenti, delle scatole raffiguranti dei mattoni con i nomi dei missionari martiri, un gesto che evidenziava l’impegno di costruire la Chiesa e annunciare il Regno di Dio fino agli estremi confini della terra. Una serie di canti suggestivi eseguiti con molta partecipazione dalla corale di San Gaudenzio, ha coinvolto ulteriormente i partecipanti rafforzando la convinzione che le nostre comunità - a volte troppo prese dal tran tran quotidiano - non devono mai perdere di vista coloro che sulle frontiere dell’annuncio missionario offrono la loro vita per il Vangelo. Ricordare i martiri, fare memoria del loro sangue versato, è in fondo una delle cose più nobili che ogni credente è chiamato a compiere nel cammino della sua vita di fede, farlo una volta all’anno ci sembra doveroso come gesto di gratitudine nei loro confronti. Don Mario Bandera - Direttore CMD Novara 317 CENTRO MISSIONARIO TESTIMONIANZA SUL MARTIRIO DI MONS. LUIGI PADOVESE di Giuseppe Caffulli Per capire il contesto in cui è avvenuto il martirio di mons. Luigi Padovese lo scorso 3 giugno 2010, occorre tener presente la realtà della Turchia odierna ove si è consumato il dramma nella terra e tra la gente che Lui aveva deciso di servire. La Turchia oggi Il vicariato d’Anatolia con i suoi 480.000 km quadrati abbraccia zone di antica presenza cristiana quali il Ponto, parte dell’Armenia, la Cappadocia, la Cilicia, parte della Galazia, Pisidia, parte dell’antica Siria e tutto l’est fino ai confini con la Georgia, l’Armenia, l’Iran, l’Iraq e la Siria. I fedeli cattolici sono concentrati perlopiù al sud. Oltre alle due parrocchie del Mar Nero (Trabzon e Samsum) la presenza più consistente è in Cappadocia, con due case di preghiera, la prima delle quali, ad Avanos, e un’altra casa ad Uçisar. Altre parrocchie sono a Mersin, Adana, Iskenderun ed Antiochia. A Tarso vivono, in una casa in affitto, tre suore che accolgono i pellegrini nell’unica chiesa che è stata trasformata in museo. Anche la Grotta di San Pietro in Antiochia, pur appartenendo alla Santa Sede, è considerata museo e, quantunque si debba pagare l’ingresso, è possibile celebrare l’Eucarestia. Merita ricordare che sino al 1912-1915 queste terre dell’est erano abitate da milioni di cristiani armeni, georgiani, e poco più ad ovest, siro-cattolici e siro-ortodossi. Rimane in queste zone una notevole quantità di chiese armene e georgiane, alcune in buono stato di conservazione, ma ormai prive di comunità e di sacerdoti. Chi era mons. Padovese Nato a Milano nel 1947, nel 1965 entrò nell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, ordinato sacerdote nel 1973, dopo aver completato gli studi nelle Università Pontificie di Roma, insegnò patristica e teologia all’Università Gregoriana, all’Accademia Alfonsianum e all’Università Antonianum. Autore di numerose pubblicazioni (ricordiamo Agostino di Ippona. Sermoni per i tempi liturgici, Paoline 1994; Il problema della politica nelle prime comunità cristiane, Piemme 1998; Cercatori di Dio: sulle tracce dell’ascetismo pagano, ebraico e cristiano dei primi secoli, Mondadori 2002; La Chiesa che ti è affidata. La missione pastorale in un mondo che cambia, Dehoniane 2005), è stato curatore anche dei XXII volumi: Turchia, la Chiesa e la sua storia; che raccoglie gli atti dei simposi paolini tenutisi a Tarso e dei simposi giovannei tenutisi a Efeso. Delegato della Congregazione per le Chiese orientali presso i collegi orientali di formazione e consultore della Congregazione per le cause dei santi, mons. Padovese era stato nominato vicario apostolico dell’Anatolia da Giovanni Paolo II l’11 ottobre 2004 e il 7 novembre aveva preso possesso della sede episcopale nella cattedrale di Iskenderun. 318 CENTRO MISSIONARIO La missione di padre Luigi, l’uomo del dialogo «Personalmente - spiegava lo stesso Padovese - ho individuato alcuni significativi ambiti di azione. A parte l’impegno di tutelare i diritti delle comunità cattoliche, credo che un dialogo con il mondo culturale turco sia un fruttuoso campo di lavoro. A questo proposito già da diversi anni, in qualità di preside della Pontificia Università Antonianum di Roma, ho organizzato dei simposi su San Giovanni e su San Paolo, rispettivamente ad Efeso e a Tarso con la presenza di professori turchi. Da un paio di anni questi incontri sono svolti in collaborazione con l’università Mustafa Kemal di Antiochia. Un altro ambito di lavoro riguarda i rapporti con il mondo ortodosso. Particolarmente al sud dove mi trovo, i rapporti tra le Chiese vanno oltre la cordialità formale. Tanto per citare un esempio ricordo che i cattolici d’Antiochia celebrano quest’anno la Pasqua assieme agli ortodossi, il primo di maggio. In una realtà complessa dove cristiani ortodossi, cattolici, armeni, melchiti, maroniti, caldei e siro ortodossi si sposano tra di loro, non ha senso mantenere steccati di separazione. A chi m’ha detto che la Chiesa latina deve evitare di fare proselitismo tra i non cattolici, ho detto e ripetuto che la nostra vuole essere un’opera di supplenza e di aiuto, non di conquista. C’è inoltre un altro ambito di lavoro che ho individuato nei primi mesi della mia permanenza in Turchia e riguarda quelle famiglie passate all’Islam nel secolo scorso non per convinzione, ma per sfuggire a vessazioni e a discriminazioni. La memoria dell’originaria appartenenza cristiana ha fatto sì che alcuni i cui nonni erano cristiani, siano divenuti catecumeni e siano stati battezzati. Tenendo presente che all’est e al nord della Turchia i criptocristiani sono ancora migliaia, sono convinto che il cambiamento sociale e politico in atto, per quanto lento, possa produrre un ritorno alla fede dei padri». Una catena di sangue e persecuzione Gli anni d’intenso lavoro di mons. Padovese per la Chiesa di Turchia sono stati segnati indelebilmente dalla croce e dal martirio. Accanto ai segnali di apertura e speranza che lo stesso vescovo non lesinava di mettere in evidenza, non sono mancate le prove, le minacce e le violenze. Un destino che ha accomunato i cristiani delle varie confessioni in una lunga via crucis, culminata proprio nel suo assassinio. L’impressionante sequenza inizia il 5 febbraio 2006, con l’uccisione a Trabzon (Trebisonda, sul Mar Nero) del Fidei donum romano don Andrea Santoro, di 60 anni. Pochi giorni dopo, il 9 febbraio, il francescano sloveno Martin Kmetec viene aggredito da un gruppo di giovani al grido di “Vi faremo morire tutti” nella sua parrocchia a Smirne. L’11 marzo successivo, un uomo armato di coltello entra nella parrocchia di Mersin. Qui minaccia di morte il cappuccino italiano padre Roberto Ferrari. Il 3 luglio tocca a un prete francese di 70 anni, padre Pierre Brunissen, che è ferito a coltellate da un presunto schizofrenico in una strada di Samsun. Il 2007 inizia con l’uccisione a Instanbul, il 19 gennaio, del giornalista armeno Hrant Dink, che con la sua 319 CENTRO MISSIONARIO opera intende aprire all’interno dell’opinione pubblica turca un serio dibattito sul riconoscimento del genocidio dei cristiani armeni. Il 18 aprile il missionario tedesco Tilmann Geske, di 46 anni, e due convertiti turchi (Necati Aydin e Ugur Yuksel), tutti cristiani evangelici, vengono sgozzati nella sede della casa editrice Zirve a Malata. La loro colpa? Quella di stampare Bibbie in lingua turca. Secondo le indagini, gli assassini sono militanti ultra-nazionalisti. Il 6 dicembre padre Adriano Franchini, cappuccino di 65 anni, da 27 anni in Turchia, è aggredito da un giovane che dichiarato psicolabile. Il giorno di San Silvestro un ventenne cerca di incendiare la chiesa protestante di San Paolo ad Antalya e di uccidere il pastore Ramazan Arkan. La polizia riesce però a intervenire in tempo. Nel settembre 2009 a Istanbul vengono profanate una novantina di tombe in un cimitero ortodosso. La stampa locale ignora l’episodio. Una morte inutile? Cosa resta? All’inizio di marzo gli è stata intitolata una Cattedra di spiritualità e dialogo interreligioso presso l’Università Antonianum di Roma. La stessa università si è fatta carico di proseguire i Simposi dell’Anatolia, gli incontri organizzati in Turchia, per due decenni, da Padovese su temi patristici e paolini. Ricordiamo che in una conferenza dal titolo: “Testimonianza cristiana e dialogo della vita”, il vicario apostolico dell’Anatolia aveva spiegato in un simposio tenutosi a Venezia l’11 ottobre 2009 che in epoca di pluralismo va ravvivata la consapevolezza che la testimonianza fonda e precede l’annuncio, anzi è il primo annuncio. È sempre vero che il primo passo nel diventare cristiani si fonda nell’incontro di uomini che vivono da cristiani convinti. Ci conforta in questa convinzione il metodo missionario che Francesco d’Assisi consigliava ai suoi frati “che non facciano liti e dispute... e confessino d’essere cristiani”. Un impegno che padre Luigi ha svolto fino alla fine, donando se stesso, seme che muore proprio per germogliare e dare frutto. «Chicco di grano caduto in terra è stata la vita di padre Luigi – ha detto il cardinale Dionigi Tettamanzi nelle solenni esequie che si sono svolte nel duomo di Milano il 14 giugno 2010 - che ha accolto come una chiamata della Provvidenza di Dio il suo ministero di Vescovo di Anatolia. Chicco di grano, che silenziosamente porta frutto, è stato padre Luigi nei suoi incessanti sforzi di costruire spazi di dialogo e di incontro tra culture, tra religioni, tra gli stessi cristiani. Ogni uomo di buona volontà riconosce in questo Vescovo mite e sapiente un vero costruttore di riconciliazione e di pace, a partire dal rispetto reciproco e dall’ accoglienza fraterna. Chicco di grano, infine, padre Luigi lo è stato in quell’ultimo drammatico istante della sua vita, mentre era accanto a un fratello che considerava amico e figlio. 320 CENTRO MISSIONARIO Il suo corpo e il suo sangue sono davvero caduti sulla terra di Turchia e, pur nel dolore e nelle lacrime, ci appaiono per quello che sono davvero: non più segni di una vita strappata da violenza insensata e tragica, ma offerta viva di sé che padre Luigi ha vissuto in ogni giorno della sua missione di Vescovo, di amico della pace, di fratello di ogni uomo per amore di Cristo Signore». Aveva scritto don Andrea Santoro in uno dei suoi testi intrisi di spiritualità: “Gesù ci ha detto di non avere paura di nulla. Solo di una cosa bisogna avere paura: di non essere cristiani, di essere, come diceva Gesù, un “sale senza sapore, una luce spenta o un lievito senza vita”. Con la sua vita mons. Padovese, padre Luigi, come amava essere chiamato, ha saputo essere, senza indugio, appunto «sale che da sapore» e testimone disarmato della Buona Notizia della Salvezza. TESTIMONIANZA SUL MARTIRIO DI DON RUGGERO RUVOLETTO di Domenico Rossato Cari amici novaresi, mi chiamo Domenico Rossato. Sono medico all’Opera della Provvidenza Sant’Antonio, una casa di Padova che accoglie più di 600 disabili da oramai 18 anni e ho avuto l’onore di essere amico di don Ruggero da altrettanto. Sono venuto sin qui assieme ad altri due suoi grandi amici: Sandra che è stata a fianco di don Ruggero nei suoi anni di Direttore del Centro Missionario a Padova e il carissimo Ezio, compagno su tante strade della vita e sulla moto. Ci è stata chiesta una testimonianza, un di ricordo del suo esempio di carità vissuta in prima linea. Vi confesso che la prima reazione è stata una buona dose di ritrosia … come è possibile testimoniare su un testimone (martire…)? Per fortuna sono e siamo in buona compagnia! Da Mosè a Gedeone, a Nicodemo, a San Paolo i testimoni interpellati da Dio hanno trovato mille scuse: sono balbuziente… voglio le prove che sei tu a chiedermelo, …sono vecchio… sono afflitto da una spina nella carne etc. Il leit motiv (di solito) si riassume nella consapevolezza dei propri limiti oppure, più sottilmente, nell’incredulità sull’incarico dato da Dio accompagnato dalla richiesta di una qualche dimostrazione che le cose stiano veramente così come sono promesse. Usciamo da questo impasse solo se non testimoniamo noi stessi ma Colui che ci ha mandati… è per questo che oggi non sono qui a parlarvi di me e in fondo neanche di don Ruggero ma dell’unica cosa che “so”: il Cristo e questi crocefisso. Cerchiamo allora di capire innanzitutto chi era don Ruggero. 321 CENTRO MISSIONARIO Ruggero nasce a Calta di Vigonovo il 23 maggio 1958, unico figlio maschio della famiglia formata da papà Giovanni, mamma Agnese e le quattro sorelle Giuliana, Rosanna, Wilma e Luisa. Viene ordinato sacerdote nel giugno 1982. Inizia il suo ministero come segretario del vescovo Filippo Franceschi, affiancandolo sempre, sino alla malattia che porterà quest’ultimo a morte nel 1988. Si trasferisce, per motivi di studio, a Milano e a Roma ove si laurea in teologia nel 1993. Viene quindi chiamato a dirigere l’ufficio missionario Padovano, compito che mantiene sino al 2003, quando inizia la sua avventura missionaria in prima linea in Brasile, dapprima a sud di Rio de Janeiro, poi a Pesqueira in Pernanbuco, ed infine a Manaus nel cuore dell’Amazzonia per partecipare ad un progetto voluto dalle Chiese locali e servire un’area a confine tra città e foresta dove la criminalità, il banditismo e la marginalità sono particolarmente aggressive. La mattina del sabato 19 settembre 2009 viene freddato in casa, il suo corpo viene ritrovato in ginocchio con la Bibbia in mano. Ad aumentare il nostro disagio di testimoni a cui accennavo prima, è anche la consapevolezza del fatto che sono sicuro che don Ruggero non avrebbe gradito troppo una veglia in suo nome e meno che meno un ricordo volto solo al passato. Per spiegarmi prendo a prestito un po’ di righe del discorso che ha fatto Obama dopo la strage di Tucson all’inizio dell’anno: “…quando perdiamo qualcuno in famiglia... specie se la perdita è inaspettata siamo distolti dalla nostra routine e costretti a guardarci dentro. Riflettiamo sul passato. Abbiamo passato abbastanza tempo con un genitore che stava invecchiando? Abbiamo espresso tutta la gratitudine per tutti i sacrifici che quel fratello ha fatto per noi? Abbiamo detto al nostro partner che lo amiamo perdutamente, non solo una volta ogni tanto, ma ogni singolo giorno? Così le perdite improvvise ci fanno guardare indietro ma ci costringono anche a guardare avanti, a riflettere sul presente e sul futuro, sul modo in cui viviamo le nostre vite e nutriamo le relazioni con chi è ancora con noi… Riconosciamo il nostro essere mortali e ci viene ricordato che nel tempo che ci è dato di trascorrere sulla terra… quel che conta non è la ricchezza, lo status, il potere, la fama ma piuttosto quanto abbiamo amato e quale piccola parte abbiamo giocato nel migliorare le vite degli altri”. Quanto ha amato don Ruggero, quanto ha lottato per migliorare le vite degli altri? È per questo che la sua morte è stata così lacerante che quasi oscura la pur splendida luce della sua vita. E’ stata quel che si dice comunemente un “peccato”, uno spreco, una mancanza, una privazione… Ma chi è esente dal peccato, a chi non manca qualcosa? Mi viene in mente un parallelismo un po’ ardito con i disabili che incontro ogni giorno nel mio lavoro che ci ricordano tramite la loro disabilità i nostri personali deficit di amore, pazienza, gioia, semplicità… a chi non manca almeno una di queste? Il nostro peccato non è forse un’incompletezza…? Eppure Dio la assume e la ama al punto da inviare il suo Figlio. “Chi mi ama prenda la sua croce e mi segua”… Cristo lo può dire perché lo ha fatto davvero… don Ruggero lo ha fatto davvero giorno per 322 CENTRO MISSIONARIO giorno e mi viene da dire, da urlare che anche noi possiamo, basta prendere la croce non come un peso ma con ciò che amiamo al punto da volerlo abbracciare. Vorrei testimoniarvi allora quello che i miei occhi hanno visto, le mie mani hanno toccato e le mie orecchie hanno sentito: don Ruggero ha sempre voluto ricordarci e sottolineare che non sono la malattia, la croce, il peccato e nemmeno la morte il problema o il male; la meraviglia, la buona notizia che resta per quelli che l’hanno incontrato e conosciuto è che, nonostante tutto il male, il bene c’è, Dio c’è e il suo nome si chiama Amore. Il punto allora è “come” don Ruggero ha trasmesso tutto questo; non riesco a pensare ad altro che al continuo rimando alla dimensione sacramentale e condivisa della vita. Un rimando non teorico ma “incarnato” in quel sorriso che spunta fuori da ogni angolo dei ricordi delle nostre vite, da ogni inquadratura delle foto che lo ritraggono, dal fatto che stasera non sono venuto qui da solo ma in comunione con questi amici di Padova. Potrei citare innumerevoli episodi personali o riportati, scelgo solo questo: Alla veglia di preghiera per la sua morte, in duomo a Padova, venne invitata a parlare una famiglia brasiliana della comunità di Manaus. Nelle parole sul dono della presenza di don Ruggero in Brasile - uno squarcio rivelatore - il contadino brasiliano ci dice: “Grazie don Ruggero perchè ci hai insegnato a preparare e a mangiare la pastasciutta!...”. Non si tratta di banalizzare la catechesi. Don Ruggero aveva colto che la gioia nasce nelle piccole cose vissute alla presenza di quel Dio che diventa così tangibile che va celebrato, e celebrato assieme: in un giro in bici, spaccando legna, sugli sci, nelle nascite, nei matrimoni, nelle morti, in una camomilla alla sera e certamente intorno a un tavolo con la pastasciutta. Se ci sono delle pentole in paradiso, don Ruggero là sta sicuramente preparando un po’ di spaghetti da condividere. La lezione di questa sacramentalità richiamata quotidianamente sino al sacrificio ultimo di sé è un dono enorme che testimonia la fede in un modo accessibile a tutti. Grazie don Ruggero, se non fosse per aver trascorso un pezzo di strada assieme a te, chissà quanti ora farebbero più fatica a credere. E noi chissà che pensieri avremmo fatto. Ma poi sulla porta di casa c’è il tuo volto, sulle nostre memorie ci sono le tue parole, salendo e scendendo dalle nostre auto ti vediamo sul santino che anche voi potrete prendere alle porte della chiesa e sentiamo la tua voce cantare “mia forza e mio canto è il Signore”. Si resta allora muti di fronte alla caratteristica ultima di questo DIO-amoreagape-carità che don Ruggero ha portato per il mondo, un Dio presente a cui rendere solo grazie: Egli tutto spera, tutto sopporta, ma soprattutto, mentre tutto sparirà, resterà per sempre. E’ allora la vita di don Ruggero che diviene martirio/testimonianza non la sua morte: una celebrazione fine a se stessa rischia di allontanarlo fosse pure per metterlo su un altare. La vita lo ha avvicinato e incarnato nei cuori delle persone dove rimarrà per sempre mentre tutto il resto sparirà: c’è solo, davvero, da rendere “grazie”! 323 RECENSIONE Una biografia per conoscere don Giuseppe Rossi Nella Collana Blu dei “Messaggeri d’Amore” protagonisti della fede, è apparsa questa agile ed accattivante ricostruzione della biografia di Don Giuseppe Rossi, il parroco di Castiglione Ossola, trucidato a 33 anni di età il lunedì 26 febbraio 1945. Opportunamente introdotta da Mons. Renato Corti, che ne rileva l’attualità a conclusione dell’anno sacerdotale e la mette in relazione con la chiamata al sacerdozio di Karol Wojtyla e di Joseph Ratzinger, nel vortice della guerra, per testimoniare la presenza di Dio nella storia degli uomini, soprattutto nei momenti di smarrimento, la vicenda di Don Rossi si struttura come un documentario, ricco di testi del giovane parroco e di illustrazioni fotografiche di luoghi e di avvenimenti, che attirano e coinvolgono, diventando parte integrante del racconto. Si inizia con l’episodio conclusivo, il più drammatico, che distingue e caratterizza la vicenda don Giuseppe, quello del prete, che armato solo della preghiera, (quanto ha pregato in quel giorno sentendosi in periculo mortis) e, sostenuto dalla carità pastorale per confortare la sua comunità, non fugge, ma affronta l’odio, sino al dono della vita. Morendo trucidato, presso l’antico mulino del vallone dei Colombetti, diventa “come chicco di grano macinato per dare frutto”, una immagine con un duplice richiamo, al Vangelo di Giovanni e alla Lettera di Ignazio di Antiochia ai Romani. Poi la ricostruzione segue l’itinerario basato sulla cronologia per evidenziare una maturazione progressiva, dalla nascita, alla prima formazione nella famiglia e nella parrocchia, dove, insieme ad una timidezza di fondo, emergono spiccate qualità nel recitare e focosità nel gioco per il desidero di vincere sempre. E un prete stupendo, don Giovanni Preti, che gli resterà sempre vicino, lo avvia, quando aveva tredici anni, al seminario di Arona, dove subisce il fascino del venerabile don Gallotti, che lo, porta verso la Vera devozione a Maria, praticata con convinzione senza fanatismi (nel fanno fede i libri di Luigi Maria Grignon de Monfort presenti nella sua biblioteca e la fotografia di don Gallotti sul letto di morte da lui tenuta cara per tutta la vita). Diligente, pio, sereno anzi gioioso, come attestano i compagni di Seminario, con un contegno riservato che esplodeva solo nel “gioco comune” della palla avvelenata. Poi l’ordinazione 324 RECENSIONE il 29 giugno 1937, la festa della prima Messa in paese, il completamento della preparazione e la nomina a parroco di Castiglione con l’ingresso il 30 ottobre 1938. Allora tra i requisiti per avere una parrocchia, accanto alle buone qualità pastorali, dimostrate negli studi, soprattutto di teologia morale, all’equilibrio e al senso del dovere, occorreva anche avere qualche familiare disponibile a seguire il prete. Per lui lo si trovò nella sorella Maria, coadiuvata in alcuni momenti anche dalla mamma Angela. La pagine del ministero parrocchiale, intenso e metodico, sono ben documentate per le iniziative che lo videro assiduo e diligente promotore, dalla catechesi dei bambini a quella per gli adulti, dalle celebrazioni secondo il calendario liturgico, con le feste proprie della parrocchia, alla cura dei poveri sostenendo la “San Vincenzo” parrocchiale. In particolare va rilevata la formazione delle giovani di Azione Cattolica, con la direzione spirituale, la cura della predicazione(lo testimoniano le prediche rimaste e gli schemi che coprono tutto l’anno), la premura per la riuscita della Giornata Missionaria Mondiale, di quella della santa Infanzia e dell’Università Cattolica. Le pagine poi di un diario zibaldone, pubblicato, con qualche censura, da don Stoppa con il titolo Oasi ricreative dello spirito, lasciano intravvedere le sue letture, la capacità riflessiva e il suo modo di esprimersi, forse con qualche compiacenza letteraria. Vanno però considerate in filigrana, controbilanciate da un ministero, attivo e gioioso, nonostante alcune inevitabili delusioni. Una pagina dello zibaldone del 28 marzo 1939 (riportata a pag. 21) sembra registrare un momento di smarrimento, che unisce don Giuseppe al curato di campagna del famoso diario di Bernanos, uscito in Francia nel 1936, ma tradotto e conosciuto in Italia solo dopo la guerra. Sembra il consuntivo di un fallimento, ma non va assolutizzata. Attento alle notizie del giornale radio, che ascoltava ogni mattina appena alzato, monarchico e ligio all’autorità come lo erano tutti i preti dopo il Concordato, deprecò a poco a poco l’entrata dell’Italia in guerra e, nell’emergenza della guerra civile, si mantenne al di sopra delle parti, pregando e facendo pregare nell’attesa che la bufera passasse. Egli, da uomo schivo e di poche parole, continuò il suo ministero con regolarità esemplare, senza nulla di straordinario; di particolare, lo hanno notato i parroci vicini, vi era “un sorriso che dominava il (suo) volto anche quando doveva esprimere pensieri, osservazioni ed avvertimenti, talora meno piacevoli e persino severi”. Momenti forti della vita spirituale furono la Messa, il Breviario, la meditazione quotidiana, la Visita al Ss.mo Sacramento ed il Rosario; la confessione settimanale era compiuta presso un parroco della valle, raggiunto in bicicletta Il dramma dell’ultimo giorno è documentato nei particolari, per quanto è stato possibile; anche don Stoppa aveva cercato invano di avere notizie più dettagliate nel 1985 e Rodolfo Badiali, comandante del presidio di Castiglione, condannato per altri delitti, riuscì a difendersi dall’accusa di aver fatto uccidere don Rossi. 325 RECENSIONE Gli autori, che hanno esposto quanto emerge dall’attuale documentazione raccolta, sono i primi a lasciar intravvedere dei problemi aperti. Occorre riflettere ancora sulla fisionomia di don Giuseppe, la sua spiritualità e le fonti (tra esse, l’ascetica di Rosmini), a cui attinse; i tempi ed il contesto della guerra civile in Ossola, durante la quale don Giuseppe Rossi fu barbaramente ucciso, senza un regolare processo; una esecuzione, che è maturata nel clima esasperato del giorno della rappresaglia, secondo le testimonianze degli ostaggi, a cui don Rossi avrebbe confidato: “State tranquilli voi non vi ammazzeranno, io invece sì, sicuramente”. Una uccisione quella di don Giuseppe che, per molti aspetti, suscita ancora oggi degli interrogativi. Non ci fu un vero e proprio capo di accusa accertato contro di lui. Il segnale delle campane non era altro che il suono delle ore, scandito dal campanile. Ci volle poco a capirlo anche da parte dei militi. Nel giorno dell’ira, mentre bruciavano le case e gli uomini fuggivano, è rimasto; si può dire che si sia consegnato volontariamente per rincuorare e difendere gli ostaggi. Capiva che poteva essere ucciso, ma non si è imboscato. Egli del resto alla morte violenta era preparato, dopo una giornata di grandi tensioni. Si può dire che don Giuseppe Rossi è stato ucciso perché era parroco, responsabile della popolazione, in un tempo di grande sbandamento, è stato ucciso perché nella sua mitezza ha voluto e saputo restare al proprio posto, provocando quasi con il suo atteggiamento disarmato, ma chiaro e lineare, l’odio di chi voleva a tutti i costi un capro espiatorio e pensava di averlo trovato in quell’uomo, che già la veste nera additava come ministro di Cristo. La sua testimonianza rimane viva e fresca come la novità del Vangelo, da cui ha attinto forza e mitezza. Si tratta di un comportamento esemplare per ogni ministro della Chiesa, che sia responsabile di una comunità, nei confronti della quale avverte il primato della missione anche a costo della vita. Stupisce che l’uccisione di don Rossi non compaia nel Diario ufficiale, oggi presso l’Istituto di Storia contemporanea di Novara e che registra tutte le operazioni militari della Brigata Nera, che ha operato in Vallanzasca; il Manifesto dei nazifascisti poi esprime, sia pure in modo ipocrita, partecipazione: Questo comando si unisce al paese tutto nel sincero rimpianto per la scomparsa del parroco di Castiglione, reputato persona onesta ed animato da puri sentimenti di italianità. E da ultimo vengono concessi funerali a dir poco solenni (circostanza anche questa da non sottovalutare, se si pensa che i fascisti non hanno mai permesso il funerale a chi era considerato un traditore). Forse la vera chiave di lettura sta nel fatto che don Rossi possa essere stato giustiziato da un gruppo di fascisti, che hanno agito in modo affrettato e con odio verso la chiesa ed i preti, senza che vi sia stata l’approvazione di tutto il presidio. Un milite fascista alla dipendenza di Raffaele Raffaeli del comando di 326 RECENSIONE Pieve Vergonte, e che ha battuto a macchina, sotto dettatura, il Manifesto, Carlo Geminiani (1925-2008) nella sua corrispondenza successiva con Don Cantonetti ha sempre considerato don Rossi un martire. Sono aspetti che richiedono approfondimenti e paziente attesa che si decanti, nella ricerca non di parte, anche la situazione circa i preti e la guerra civile in Italia. Intanto l’agile biografia qui segnalata, che troverà diffusione tra molte persone, e. si spera, soprattutto tra i giovani, continui a mantenere la viva la figura di don Giuseppe, per la cui canonizzazione, si è battuto, in modo ammirevole e generoso, don Severino Cantonetti, il parroco successore, che, con l’approvazione dei vescovi di Novara e soprattutto di Mons. Corti, ha fatto di Castiglione un santuario, centro della memoria di questo sacerdote, immagine viva del Cristo, Buon Pastore. Ora la causa, che, dopo la fase diocesana del 2002 è in corso a Roma, va accompagnata con la preghiera e la segnalazione di eventuali grazie, ottenute per l’intercessione del Servo di Dio. Don Mario Perotti MARCO CANALI – ANDREA GILARDONI, Don Giuseppe Rossi, “Come chicco di grano macinato per dare frutto”, Edit.VELAR, Elledici, Gorle, Bergamo 2011, pp.50. (Il libro è reperibile nelle librerie e presso la Curia Diocesana) 327 INFORMAZIONI “Pregare il Padre nostro con Bernadette” A Lourdes con l’Oftal Pellegrinaggio diocesano guidato da mons. Renato Corti Da mercoledì 27 luglio a martedì 2 agosto con due treni In albergo tariffe a partire da 457 euro, compresa la cuccetta in treno. All’Accueil Notre Dame per le persone ammalate 382 euro, compresa la cuccetta in treno. Da lunedì 28 luglio a lunedì 1° agosto Con un aereo speciale 657 euro. Per bambini ragazzi giovani e famiglie un’offerta speciale Le iscrizioni dovranno pervenire entro il 15 giugno 2011 Per informazioni e prenotazioni: Segreteria Oftal Diocesana - via Puccini,11 - tel 0321/626106 Le iscrizioni si ricevono anche presso i gruppi Oftal parrocchiali Organizzazione tecnica del pellegrinaggio: Sogevi Tour-Vercelli 328 INFORMAZIONI DIOECESIS Cronaca breve del territorio gaudenziano AMMISSIONI Lunedì 9 maggio 2011, “Giornata della fraternità sacerdotale” nella Cappella del Seminario, il Vescovo, ha accolto le domande di ammissione tra i candidati al Diaconato e al Presbiterato di: Belfiore Mattia della parrocchia di S. Martino in Vignone; Riccardo Cavallazzi della parrocchia di Borgomanero (NO). ORDINAZIONI DIACONALI Sabato 14 maggio 2011 nella chiesa della Sacra Famiglia in Novara, il Vescovo ha ordinato diaconi permanenti: Nunzio Dell’Era della comunità dei Santi Martino e Gaudenzio in Novara, Sergio Manzella della comunità della Sacra Famiglia in Novara. NOMINE Il Vescovo ha nominato Presidente diocesano dell’Azione Cattolica la signora Maria Rizzotti. RINUNCE In data 26 maggio 2011 il Vescovo ha accettato la rinuncia all’Ufficio di parroco della parrocchia “Santi Bernardo e Carlo” in Formazza (VB) di don Emilio Remigio Olzeri. AGGIORNAMENTO INDIRIZZARIO CERESA don MARIO e-mail: [email protected] parrocchia Piedimulera e-mail: [email protected] GAMBARO don PIERINO tel. 331/9420762 GAVINELLI padre MASSIMO e-mail: [email protected] Con decreto vescovile in data 1° maggio 2011 Don Pierangelo Cerutti parroco di Bellinzago Novarese; Mons. Mario Bandera Consigliere Ecclesiastico della Federazione Interprovinciale Coldiretti di Novara e VCO. In data 20 marzo 2011 Con lettera in data 4 aprile 2011 Don Carlo Maria Scaciga è stato designato quale Rappresentante nella Conferenza permanente del sito UNESCO “Sacri Monti del Piemonte e della Lombardia”. MARAGNO don MASSIMILIANO e-mail: [email protected] MASSERONI don GILIO e-mail: [email protected] MOIA don VITTORIO e-mail: [email protected] TOSI don PRIMO e-mail: [email protected] ZANINETTI don RICCARDO e-mail: [email protected] 329