acquacoltura
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La Lombardia non dispone delle risorse ittiche offerte dall’acqua salata, ma l’acquacoltura e la pesca professionale nei suoi grandi laghi prealpini rivestono un ruolo molto importante nel sistema economico lombardo. L’Assessorato Agricoltura della Regione Lombardia sostiene da anni questi due comparti sia con risorse comunitarie dello Strumento Finanziario di Orientamento della Pesca (SFOP 2000-2006), sia con risorse proprie. Oltre ad incentivare queste realtà l’Assessorato è impegnato da tempo a far conoscere i prodotti di questo settore. Per questo, nell’ambito delle attività di promozione dello SFOP, ha incaricato Irealp - Istituto di Ricerca per l’Ecologia e l’Economia Applicate alle Aree Alpine - di promuovere e valorizzare le specie ittiche tipiche della regione al fine di diffondere il concetto di eccellenza legato ai prodotti ittici lombardi: agone, alborella, anguilla, bottatrice, cavedano, lavarello, luccio, pesce persico, pigo, tinca, trota e storione. La promozione e la valorizzazione di queste specie passa anche attraverso la definizione dei loro aspetti nutrizionali, qualitativi e organolettici. Oggigiorno una dieta che comprenda il pesce almeno due volte la settimana è raccomandata da medici e nutrizionisti per prevenire l’insorgenza di patologie cardiache, l’ipertensione, i disordini infiammatori e altre malattie. Alcuni grassi contenuti nel pesce, gli “omega-3”, svolgono infatti questa funzione protettrice e studi recenti hanno dimostrato che gli omega-3 sono necessari per una crescita e uno sviluppo infantili corretti. Gli eschimesi, con una dieta a base di pesce e quindi con un elevato contenuto di acidi grassi omega 3, presentano un basso livello ematico di colesterolo e trigliceridi e un elevato contenuto di lipoproteine ad alta densità (HDL) del colesterolo. La presenza degli omega3 nella dieta fa sì che si abbassi il livello ematico del colesterolo totale, ma in particolare delle lipoproteine a bassa densità (LDL) che sono quelle realmente pericolose per il sorgere dell’aterosclerosi (ispessimento delle pareti delle arterie dovuto all’accumulo di materiale lipidico). foto: D. B. Levratti ACQUACOLTURA Oltre 70 impianti di acquacoltura producono più di 5 mila tonnellate di pesce all’anno, tra le quali spiccano la trota, l’anguilla e lo storione. La Lombardia è infatti leader in Europa nell’allevamento dello storione, detiene il primato nazionale in quello delle anguille e ha un posto di rilievo nella produzione di trote. L’acquacoltura ha origini antichissime testimoniate da alcuni bassorilievi trovati in Egitto risalenti al 2.500 a.C. in cui è chiaramente riconoscibile un uomo che raccoglie tilapie (pesci d’acqua dolce) da uno stagno. Anche Etruschi e Romani nelle città si dilettavano ad allevare e addomesticare i pesci che servivano ad abbellire le case dei patrizi. Nel 1860 nasce in Italia il primo allevamento di trote, proprio grazie alla possibilità di controllare e ottenere la riproduzione in modo artificiale. L’acquacoltura è in grado di costituire la risposta alle necessità di ridurre l’impatto ambientale della pesca e allo stesso tempo di garantire prodotti sicuri e controllati. Per stare al passo con le esigenze dei consumatori e dell’ambiente, l’acquacoltura si sta evolvendo per ottenere da una parte prodotti sempre più controllati e validi dal punto di vista nutrizionale e igienico-sanitario e dall’altra per minimizzare il proprio impatto sull’ambiente, in linea con i principi dello sviluppo sostenibile. Questo comporta un sistema di controllo delle tecniche di allevamento a tutela del consumatore e dell’ambiente, in linea con le direttive comunitarie. Dal punto di vista nutrizionale i pesci allevati presentano caratteristiche simili alle stesse specie pescate, l’unica differenza è una maggiore quantità di lipidi, a loro volta caratterizzati da profili degli acidi grassi differenti da quelli delle stesse specie provenienti dagli ambienti naturali. http://bigbrownfish.com/images/raceways.jpg 67 IF Trota iridea La trota iridea (Oncorhynchus mykiss) è la specie più allevata, sia in Lombardia che nel resto d’Italia. Viene prodotta e commercializzata in due forme: la trota “bianca” e “salmonata”. La differenza di colorazione dipende dalla dieta che negli allevamenti può essere scelta proprio per ottenere la colorazione rosata delle carni. Questa specie è originaria dell’America nord-occidentale ed è stata introdotta a scopo alieutico ed alimentare nelle acque dolci di quasi tutto il mondo. In Italia le prime introduzioni risalgono al 1895, ma la sua diffusione nei corsi d’acqua e nei laghi è legata alle immissioni, in quanto in Italia la riproduzione naturale avviene molto raramente. La trota iridea, appartenente alla famiglia dei salmonidi, è caratterizzata da un corpo slanciato e compresso lateralmente. La livrea della Trota iridea è punteggiata fin sulla coda di macchioline nere, ha riflessi multicolori con predominio di verde, viola e azzurro. Sui fianchi è presente una fascia più o meno alta ed estesa di tonalità rosata o purpurea, che diviene più intensa durante il periodo riproduttivo. L’intensità della livrea può comunque cambiare in relazione all’ambiente ed allo stato fisiologico del soggetto. In natura la trota iridea si ciba principalmente di organismi bentonici (larve di insetti, crostacei, vermi, molluschi), ma in allevamento si adatta ai mangimi. Raggiunge, nel suo ambiente d’origine, anche 1 m di lunghezza e 20 kg di peso, ma in Italia non sembra superare i 50 cm di lunghezza. Le trote allevate vengono generalmente commercializzate a partire dai 330 g. Il filetto di trota iridea, bianca o salmonata, possiede ottime caratteristiche nutrizionali: è magro (4,1%) ricco di proteine (20,3%) e fornisce circa 118 Kcal per 100 g di prodotto. I lipidi della trota d’allevamento sono caratterizzati dalla presenza da acidi grassi saturi e polinsaturi in eguale misura (per entrambi circa il 28% degli acidi grassi). Tra i polinsaturi della serie omega-3 abbonda il DHA (DocosaHexaesanoic Acid-), che costituisce circa il 10% dei lipidi totali. La trota iridea è facilmente reperibile e trattandosi di una specie allevata arriva sempre fresca sui banchi delle pescherie e dei supermercati. Anguilla L’anguilla europea (Anguilla anguilla) appartiene alla famiglia degli Anguillidi. Presenta un corpo allungato, a sezione circolare e serpentiforme; la pinna dorsale, di modesta altezza, è allungata fino a unirsi alle pinne caudale ed anale. La pelle è viscida, per l’abbondante secrezione delle ghiandole mucipare di cui è ricca l’epidermide. La colorazione è variabile 68 in rapporto all’habitat, alla taglia ed allo stadio di sviluppo e varia da bruno verdastra a bruno scura sul dorso, gradualmente più chiara sui fianchi, con ventre bianco o giallastro. Questa specie ha un ciclo vitale molto particolare: raggiunta la maturità sessuale le anguille discendono i fiumi e una volta raggiunto il mare continuano la loro migrazione fino ad arrivare nel mar dei Sargassi, nell’Oceano Atlantico. Qui, in primavera, depongono le uova e da quest’ultime nascono le larve, trasparenti e a forma di foglia di salice (leptocefali), lunghe pochi millimetri, che iniziano a foto: D. B. Levratti dirigersi verso oriente. I leptocefali impiegano tre anni per percorrere gli 8.000 Km che separano il Mar dei Sargassi dalle coste europee: durante questo tragitto le larve entrano anche nel Mediterraneo attraverso lo stretto di Gibilterra. In prossimità delle coste, nella primavera del loro quarto anno di vita, i leptocefali si trasformano in piccole anguille ancora molto trasparenti, le ceche, e risalgono i fiumi, seguendo un istinto irrefrenabile che le porta persino in laghi non comunicanti con i fiumi, percorrendo vene d’acqua sotterranee e attraversando prati umidi. Durante questo tragitto esse si pigmentano e cominciano ad aumentare di peso, nutrendosi, all’inizio, di larve di insetti, crostacei, molluschi, vermi e uova di pesci. L’anguilla diventa quindi un pesce predatore con abitudini notturne, che durante il giorno se ne sta nascosto nelle tane sul fondo. I maschi raggiungono i 50 cm di lunghezza, le femmine possono superare ampiamente il metro e raggiungere i 6 kg di peso. Quando l’anguilla femmina raggiunge grandi dimensioni (dai 500 g in su) prende il nome di capitone. L’allevamento dell’anguilla avviene in prevalenza in vasche di acqua dolce, partendo dall’allevamento delle “ceche”, catturate alla foce dei fiumi nel mare. Dal punto di vista nutrizionale l’anguilla è uno dei pesci con il più elevato contenuto di lipidi , pari a circa il 29%. I grassi polinsaturi sono ben rappresentati (28% degli acidi grassi presenti) e tra questi il più rappresentato è il DHA (della serie omega-3) con 2,26 g/100 g di filetto (circa il 9% degli acidi grassi presenti). A causa dell’elevato contenuto di lipidi anche l’apporto energetico è abbastanza elevato e superiore alle 300 Kcal per 100 g di filetto. L’anguilla ha inoltre un buon contenuto di vitamina E, di retinolo (vitamina A) e di calcio. L’anguilla in cucina è considerata un piatto prelibato e la sua carne, anche se un po’ grassa, dal punto di vista gastronomico è assai apprezzata e ricercata per preparazioni in umido, fritte, marinate, alla griglia e arrosto. IF Storione Conosciuto per la bontà delle loro carni, lo storione deve la loro fama alle uova, note come caviale. Tra i pesci d’acqua dolce italiani, lo storione raggiunge le dimensioni maggiori. Nelle nostre acque interne sono segnalate tre specie: lo storione ladano (Huso huso), lo storione comune (Acipenser sturio) e lo storione cobice (Acipenser naccarii). Lo storione ladano e lo storione comune, le specie più grandi, possono raggiungere e superare i 5 m di lunghezza e i 400 kg di peso. Il cobice è più piccolo e raggiunge al massimo il metro e mezzo di lunghezza. Queste tre specie sono diffuse lungo le coste in tutti i mari italiani, ma sono frequenti soltanto nell’Adriatico. Risalgono i maggiori fiumi per riprodursi, ma sono sempre più rari, a causa della pesca, dell’inquinamento e degli sbarramenti che interrompono la continuità fluviale. Fino al 1850 gli storioni venivano pescati nel Po fino a Torino, oggi invece sono specie minacciate che corrono seri rischi di estinzione e per questo sono protette e ne è vietata la pesca. La forma del corpo degli storioni è affusolata e presenta cinque serie longitudinali di scudi ossei lungo il dorso, i fianchi e il ventre. Il muso è allungato, il capo è ricoperto da scudi ossei e la bocca è in posizione ventrale, affiancata anteriormente da 4 barbigli. La pinna caudale presenta il lobo superiore più sviluppato. La colorazione è verdastra sul dorso, i fianchi di varie tonalità di grigio e il ventre bianco. Negli impianti di acquacoltura si allevano anche altre specie, come lo storione bianco (Acipenser transmontanus) e lo storione siberiano (Acipenser baeri), sia per la carne che per il caviale. Le femmine di queste specie allevate, raggiunta la maturità sessuale tra 10 e 15 anni di età, producono circa 2-3 kg di uova ciascuna ogni anno. La produzione di caviale d’allevamento è una buona alternativa a una domanda di mercato sempre molto alta, una risposta concreta che allenta la pressione del bracconaggio sulle popolazioni di storione allo stato libero in Russia, Iran e altri paesi del bacino del Mar Nero e del Mar Caspio, già ridotte dall’inquinamento e dal degrado dell’habitat naturale. La carne di storione, con circa 7-8 g di lipidi per 100 g di filetto, lo colloca tra i pesci semigrassi. Il 20% circa dei lipidi presenti (1,5 g per 100 g di filetto) è costituito da grassi polinsaturi, tra i quali predomina il DHA (0,6 g per 100 g di filetto). Il valore energetico dello storione, abbastanza contenuto grazie alla magrezza delle carni, è di circa 145 Kcal per 100 g di parte edibile. LA PESCA SUI LAGHI In Lombardia si trovano i laghi più estesi e più profondi d’Italia: il lago Maggiore, il lago di Como, il lago di Garda e il lago d’Iseo. La pesca professionale interessa 10 laghi lombardi, dove sono impegnati oltre 200 pescatori di professione che riforniscono il mercato locale di prodotti ittici tradizionali unici come l’agone, il lavarello, la tinca, il pesce persico e numerosi altri. La professione del pescatore raccoglie l’eredità di antiche tradizioni e mantiene un legame molto stretto e indissolubile con gli ambienti naturali. Le attività di pesca, quando sono esercitate in un’ottica di sostenbilità ambientale, garantiscono la salvaguardia e la valorizzazione delle risorse naturali. L’interesse dei pescatori è volto infatti non solo all’aspetto produttivo ed economico, ma anche al mantenimento ed alla tutela dell’ambiente in cui esercitano la loro attività attraverso una gestione responsabile delle risorse ittiche. I prodotti della pesca nei laghi, oltre a interessare molte più specie di quelle offerte dagli impianti di allevamento, presentano ottime caratteristiche dal punto di vista nutrizionale. Lavarello Il lavarello (Coregonus sp. “forma hybrida”) appartiene alla famiglia dei Salmonidi. E’ una specie ittica originaria dei laghi svizzeri a nord delle Alpi ed è stata introdotta nei grandi laghi prealpini intorno alla seconda metà del XIX secolo. Il corpo è affusolato e leggermente compresso lateralmente, è caratterizzato da una colorazione argentea, leggermente verdastra sul dorso e bianca sul ventre. Frequenta le acque pelagiche e si avvicina alla costa solo nel mese di dicembre per deporre le uova in acque basse su substrati ghiaiosi e sassosi. Si ciba prevalentemente di zooplancton. Può superare i 50 cm di lunghezza e 1,5 kg, ma gli individui catturati con le reti hanno normalmente una taglia intorno ai 30 cm, con un peso di circa 250-300 g. Il lavarello ha carni caratterizzate da un elevato contenuto proteico (21,4%) e da un contenuto in grasso poco elevato (6,0%), anche in questo caso variabile con la stagione. Il valore energetico del filetto è pari a 139,4 Kcal per 100 grammi di parte edibile. La composizione in grasso risente comunque dei differenti regimi alimentari al variare delle stagioni. Il foto: C. Silva 69 IF lavarello presenta buone percentuali di acidi grassi polinsaturi (37,6% sul totale degli acidi grassi), rappresentate soprattutto da acidi grassi della serie omega-3 (circa 1,7g/100g di filetto). Agone L’agone (Alosa fallax lacustris) è un pesce appartenente alla famiglia dei Clupeidi. La sua storia biologica è abbastanza particolare, in quanto si tratta di una specie di origine marina. Le popolazioni di agoni dei nostri grandi laghi derivano infatti da alose migratrici che hanno risalito il corso del Po e dei suoi affluenti fino a raggiungere i laghi dove si sono quindi acclimatate. Gli agoni vivono in grandi banchi nelle acque pelagiche, dove si alimentano soprattutto di plancton. Di forma allungata e compressa lateralmente, l’agone presenta una livrea di colore verde-azzurro sul dorso ed argentata sui fianchi e sul ventre. La parte dorsale e anteriore dei fianchi è punteggiata da un numero variabile di macchie scure, il ventre invece è caratterizzato dalla presenza di una carenatura provvista di dentelli prominenti ed acuminati. L’agone può superare i 30 cm di lunghezza; gli individui pescati con le reti e commercializzati misurano circa 25 cm, con un peso tra i 50 e i 60 g. Oggetto di pesca professionale durante tutto l’anno, viene anche pescato dai dilettanti durante il mese di giugno, quando si avvicina alle rive del lago per deporre le uova. Questo pesce si conserva a lungo mantenendo intatte le proprie caratteristiche nutrizionali. Il “missoltino”, specialità tipica del lago di Como, non è altro che l’agone conservato previa salatura, essiccatura e pressatura. Gli agoni presentano un alto contenuto in proteine (19,9%) ed una buona percentuale di lipidi (9,3%), valore quest’ultimo che consente di collocare l’agone nella categoria annonaria dei pesci semi-grassi. Il grasso del filetto condiziona fortemente il contenuto calorico della specie che si attesta intorno ad un valore di 163 Kcal per 100 grammi di parte edibile. Il contenuto in grasso è comunque soggetto a variazioni dipendenti dalla stagione e dall’età. Confrontato con altre specie ittiche, il profilo in acidi grassi del tessuto muscolare degli agoni si è rivelato caratterizzato da buone percentuali di acidi grassi polinsaturi (circa il 27% del totale degli acidi grassi); tale specie è in grado di fornire sia buone quantità di acidi grassi della serie omega-3 (circa 1,5g/100g di filetto), in particolare EPA (Eicosa Pentaenoic Acid), sia alte percentuali di acido arachidonico (appartenente alla serie omega-6). Tinca La tinca (Tinca tinca) è una specie indigena delle acque interne italiane tipica dei laghi o dei fiumi a lento corso. Predilige gli ambienti ricchi di vegetazione acquatica e con fondo melmoso. Il corpo è piuttosto ovale, tozzo e massiccio, ma nel complesso caratterizzato da linee arrotondate, anche nelle pinne, che gli conferiscono una certa eleganza. La bocca è protrattile e caratterizzata da labbra abbastanza spesse, agli angoli delle quali pendono un paio di barbigli. La livrea è verdastra, con tonalità brune e riflessi dorati soprattutto sui fianchi, molto influenzata dall’habitat. La sua alimentazione è a base di organismi di fondo (crostacei, molluschi, larve di insetti) e di vegetali. Raggiunge una lunghezza massima di 70 cm, per un peso di quasi 10 kg. La tradizione gastronomica della tinca è legata soprattutto alla regione del lago d’Iseo, dove la tinca ripiena al forno costituisce una specialità che appassiona gli amanti della buona cucina e del mangiar bene. A Clusane, nei pressi di Iseo, ogni anno a metà luglio si svolge la settimana della tinca, durante la quale si può gustare questa specialità nei migliori ristoranti a prezzo speciale. La tinca è caratterizzata da carni delicate e saporite e dal punto di vista nutrizionale evidenzia delle proprietà molto particolari. Le sue carni sono molto magre e ricche di proteine (19,1%) di elevato valore biologico. I pochi lipidi presenti (0,6%) sono costituiti principalmente da grassi strutturali caratterizzati da un elevatissimo contenuto di acidi grassi polinsaturi (47,4%), rappresentati essenzialmente da acidi grassi altamente insaturi della serie omega-3, tra i quali predomina il DHA che costituisce ben il 15,4 % degli acidi grassi totali. Il valore energetico della parte edibile è abbastanza basso e pari a 81,5 Kcal/100g. Il basso apporto calorico è giustificato dalle modeste concentrazioni di grassi che comunque sono condizionate dalla stagione e dallo stadio fisiologico dei pesci. Fonte dei dati riportati. INRAN: anguilla, storione e trota VSA – Università di Milano: agone, lavarello e tinca. Per informazioni e approfondimenti su prodotti e iniziative: Dott. Gabriele Borsani - Dott.ssa Martina Nessi IREALP - Tel +39 02.6797161 - Fax +39 02.679716200 Web www.pescinlombardia.it - Mail: [email protected] 70