Un`adolescente nel labirinto della patologia familiare. La

Transcript

Un`adolescente nel labirinto della patologia familiare. La
 “Un’adolescente nel labirinto della patologia familiare. La costruzione di un percorso clinico all’interno di un’Istituzione”. D. Albero, G. Maugeri, E. Pinto Premessa La dialettica fra tradizione e innovazione, tema centrale di questo Convegno, porta a rivisitare sia la clinica psicoanalitica dell’adolescenza che alcuni aspetti della teoria e della teoria della tecnica. Il lavoro di Lucina Bergamaschi e Laura Dallanegra tratta la tematica del setting , mentre noi vorremmo presentare la metodologia dell’intervento clinico di Area G rivolto alla fascia adolescenziale. Poiché la metodologia si fonda su una teoria dell’adolescenza che siamo andati approfondendo e integrando negli anni, anche rispetto alla metodologia stessa abbiamo introdotto nel tempo alcune modifiche. Vi presentiamo quindi il “Progetto Famiglie e Adolescenti in Ospedale”, che esemplifica le fasi salienti dell’iter metodologico di Area G nel lavoro clinico con gli adolescenti.. Il “Progetto Famiglie e Adolescenti in Ospedale” Il “Progetto Famiglie e Adolescenti in Ospedale” è stato pensato e realizzato dall’Associazione Area G in sinergia con l’Unità Operativa di Pediatria del Presidio Ospedaliero Bassini (Cinisello Balsamo-­‐Milano), che ha come punto di riferimento la dott.ssa Rosaria Landoni, pediatra adolescentologa. Hanno collaborato all’attuazione del Progetto il Pronto Soccorso dell’Ospedale e gli Enti Pubblici territoriali. Il servizio, attivo dal 2010, è stato sostenuto dalla Fondazione Cariplo fino al 2012 e dal 2013 al 2015 è proseguito come sperimentazione promossa dalla Regione Lombardia, che ha invece attivato nel 2016 per alcuni utenti nuovi un sistema di voucher molto diverso dalle caratteristiche del Progetto stesso. Attualmente siamo in chiusura per fine novembre, in quanto la Regione non ha rinnovato il sostegno sia al Progetto di Area G che a quelli di altre strutture coinvolte nella sperimentazione. L’inizio della collaborazione tra Area G e l’Unità Operativa di Pediatria del Bassini risale in realtà al 2004, su progetto dell’Associazione analogo a quello attuale, supportato in quegli anni dalla Fondazione Umana Mente. Dal 2004 ad aggi hanno avuto accesso a questi progetti circa 950 nuclei familiari. Il Servizio è gratuito e si rivolge ad adolescenti/giovani adulti (12-­‐22 anni) che attaccano il sé corporeo e ai loro genitori. Per “attacchi al sé corporeo” intendiamo tagli, scarificazioni, abuso di alcol e droghe, disturbi del comportamento alimentare, frequenti interruzioni di gravidanza, attacchi di ansia e panico, incidenti stradali ripetuti, ma anche disturbi somatoformi che non hanno una base organica. Nei casi più gravi l’attacco al corpo può manifestarsi attraverso ,un tentativo di suicidio. L’Associazione Area G si occupa da anni degli attacchi al corpo da parte degli adolescenti, nella convinzione che questa sintomatologia plurideterminata sia espressione di una sofferenza psichica intollerabile, non mentalizzabile e non esprimibile attraverso le parole, di un blocco del processo di soggettivazione e di relazioni familiari disfunzionali. In questo senso il coinvolgimento dell’intero nucleo familiare è una caratteristica portante del servizio offerto. Gli utenti accedono all’Ospedale attraverso il Pronto Soccorso o l’Ambulatorio portando un problema fisico. La metodologia dell’intervento prevede quanto segue: - cure mediche, in risposta al bisogno espresso esplicitamente dall’adolescente e
dai suoi genitori;
- valutazione clinica da parte del medico;
- indicazione, se ritenuto necessario, data dal medico sensibilizzato ai significati
latenti delle problematiche in questione, di una consultazione psicologica per
l’adolescente e i suoi genitori (circa 6 incontri per il ragazzo e 2 per i genitori)
e, quando opportuno, di un ricovero in Pediatria.
Dopo la consultazione psicologica che avviene con un terapeuta dell’équipe e la
restituzione all’adolescente e ai genitori, il percors procede con:
- proposta all’adolescente di presa in carico individuale psicologica e/o educativa,
a cui può seguire in tempi brevi il passaggio a una presa in carico di gruppo;
- proposta ai genitori di presa in carico individuale o di gruppo per un percorso di
sostegno alla genitorialità;
- colloqui di follow-up al termine dell’intervento.
Entrando nel merito della metodologia Il ruolo del medico Riflettendo sull’iter metodologico sopra esposto, appare evidente innanzitutto l’importanza della figura del medico che, se lo ritiene opportuno, dà l’indicazione per una consultazione psicologica o per il ricovero. Qui è indispensabile un chiarimento: il “Progetto Famiglie e Adolescenti in Ospedale” prevede che anche l’équipe medica e infermieristica condividano una cultura e un modo di operare a forte valenza terapeutica. Questo significa fare propria la consapevolezza che esistono due livelli di problemi nei comportamenti di questi pazienti: quello manifesto, che riguarda il corpo fisico danneggiato e quello invece sottostante e non esplicito che riguarda la sofferenza psichica che si esprime attraverso gli atti autolesivi. Si tratta di situazioni nelle quali vanno colti sia l’aspetto fisico che psichico per evitare la banalizzazione dei gesti, per contenere la distruttività presente anche sul piano psicologico e il rischio di recidive. In una parola, si tratta per i sanitari di passare dal “curare” al “prendersi cura”. Il ricovero In alcuni casi la situazione richiede un ricovero di qualche giorno in Pediatria, prima che inizi la consultazione, a volte per i danni fisici riportati, ma non solo. Qui interviene un altro aspetto della metodologia che tiene conto dell’importanza, come già detto, di non banalizzare difensivamente ciò che è accaduto e del peso della qualità relazionale in atto fra l’adolescente e i suoi genitori nell’insorgenza della sofferenza psichica. Inoltre, in alcune situazioni si rileva l’esistenza di una dinamica familiare molto distruttiva, non arginabile attraverso le parole. Si rende quindi necessaria un’azione terapeutica concreta che introduca un “fermo”, una presa di distanza reciproca per favorire la messa in moto del pensiero e della riflessione. La consultazione psicologica Qualche considerazione di carattere generale. Se ci rappresentiamo l’adolescenza come un processo intessuto di una molteplicità di elementi appartenenti al mondo interno ed esterno e finalizzato alla soggettivazione, la consultazione è, a nostro avviso, un percorso relazionale che due persone costruiscono insieme. E’ fondamentale che tale percorso tenga conto dei bisogni dell’adolescente e dei suoi genitori, dei problemi presenti ma anche delle risorse disponibili e aiuti l’adolescente a mettere a fuoco, attraverso l’esperienza di una buona relazione, l’esistenza di eventuali blocchi evolutivi e a muovere i primi passi sulla strada della conoscenza di sé e delle relazioni familiari. Ritorniamo ora al contesto ospedaliero. L’incontro fra il terapeuta e l’adolescente avviene in ambulatorio o in reparto durante il ricovero, una volta che sono state praticate le cure mediche del caso. E’ importante sottolineare che si tratta di un setting molto particolare perché non c’è una domanda di ascolto psicologico né da parte del ragazzo né dei suoi genitori. Siamo noi che proponiamo la nostra “lettura” del danno o del problema fisico come sintomo di un malessere psichico le cui origini sono tutte da ricercare. A proposito del costruire insieme, l’adolescente, nella maggior parte dei casi, è interessato, ma, tenendo conto della tendenza dei ragazzi a muoversi sul piano della concretezza e a comunicare spesso attraverso gli agiti, il passaggio dalla domanda manifesta di cure fisiche a quella latente, cioè il bisogno di aiuto psicologico, è tutt’altro che semplice o immediato. L’incontro con i genitori, all’interno della consultazione, è uno step fondamentale e fa parte di un protocollo. Questo aspetto metodologico si fonda sulla convinzione che il disagio psichico che si esprime attraverso l’attacco al corpo derivi in parte da relazioni familiari disfunzionali e che quindi il gesto autolesivo sia finalizzato anche a mobilitare l’ambiente. L’adolescente richiede agli adulti di intervenire in modo adeguato, concreto e tempestivo, pena la reiterazione dell’ atto in modo eclatante e ancora più distruttivo. Come già precisato, alla consultazione psicologica segue una restituzione e, salvo eccezioni, una proposta di presa in carico sia per l’adolescente che per i suoi genitori. A tu per tu con l’adolescente Vorremmo ora “dare corpo” a quanto sopra esposto, presentando il percorso clinico ancora in atto di un’adolescente, con l’intento di sottolineare soprattutto la costruzione di tale percorso e i motivi per i quali abbiamo utilizzato, nel titolo, il termine “labirinto” a proposito della patologia familiare. Renata, anni 15, accede all’Ambulatorio dell’Ospedale Bassini per disturbi del comportamento alimentare e precedenti atti di autolesionismo. Dopo una valutazione clinica da parte della pediatra, sia la ragazza che i genitori vengono avviati a una consultazione psicologica, accettata senza difficoltà, con una psicoterapeuta dell’équipe di Area G. Questi step si susseguono nel pieno rispetto dell’iter metodologico precedentemente illustrato. Riportiamo solo gli elementi di rilievo emersi dalla consultazione, tratti dai colloqui fatti con Renata e con la coppia genitoriale: - molestie sessuali da parte di un estraneo (a. 12);
- convinzione che le molestie subite abbiano rovinato la situazione familiare
idilliaca di una ragazza funzionante sotto tutti gli aspetti (scolastico, sportivo a
livello agonistico, relazionale intra- ed extra-familiare), il cui valore però
soprattutto agli occhi del padre, è fondato solo sui suoi successi;
- funzionamento psichico che in seguito risulterà di tipo Falso Sé;
- chiusura relazionale, inizio gesti autolesivi, impossibilità a comunicare ai
genitori quanto le era successo e le sta succedendo in quanto non rientra
nell’immagine di ragazza perfetta che Renata ha di sé e che i genitori hanno di
lei.
Al termine della consultazione viene data dalla psicoterapeuta l’indicazione a Renata di presa in carico psicologica e ai genitori di presa in carico di coppia per un percorso di sostegno alla genitorialità, da attuare con un’altra collega psicoterapeuta. L’indicazione è accettata, Quindi, fino a questo punto, le figure professionali coinvolte sono due psicoterapeute in stretta collaborazione tra di loro. Vorremmo ora focalizzare la problematica nodale della ragazza, tralasciando per necessità molti altri aspetti che non è possibile trattare oggi. E’ oltremodo ostico per Renata e per i suoi genitori rinunciare all’immagine di sé come ragazza perfettamente funzionante, ma nonostante ciò il Falso Sé lentamente si sfalda ed emergono in modo sempre più pervasivo bisogni antichi disattesi, paure, emozioni violente di segno opposto, idee suicidarie e segnali di disinvestimento nello studio. A questo punto è opportuno affiancare alla psicoterapeuta un’educatrice che segua Renata rispetto alle difficoltà a uscire di casa e frequentare la scuola. Il lavoro assume quindi la configurazione di un intervento integrato che coinvolge tre figure professionali: due psicoterapeute e un’educatrice. La psicoterapia prosegue a fasi alterne e passa attraverso due ricoveri presso la Pediatria dell’Ospedale Bassini. Si fa strada nella ragazza la drammatica consapevolezza che non c’è posto in casa per una Renata sofferente, in quanto la richiesta da parte dei genitori, in particolare il padre , è di guarire in fretta, di riprendere la scuola, di ritornare a essere quella di prima. E’ a questo punto che l’équipe dei curanti, osteggiati dai genitori, esplicita la necessità di un altro ricovero nel reparto di Neuropsichiatria di un Ospedale presente sul territorio, dove la ragazza si trova tuttora. L’obiettivo è quello di dare ai genitori un segnale “forte” e di apprestare condizioni di maggiore contenimento e salvaguardia per Renata. Il lavoro con i genitori Questo caso conferma la nostra convinzione dell’indispensabilità del coinvolgimento dei genitori nel percorso psicoterapeutico di un figlio che vive una forte sofferenza psichica. In generale, l’intervento prevede un sostegno alla funzione genitoriale, nel senso di una messa a fuoco del tipo di relazione genitore/ figlio, degli ostacoli presenti nel processo evolutivo, spesso connessi ad aspetti collusivi inconsapevoli, e della necessità di introdurre opportuni correttivi. Rispetto al caso presentato, diversi sono i problemi emersi in modo sempre più evidente a partire dai primi colloqui con i genitori di Renata. Sia la madre che il padre inizialmente non riescono a riconoscere la probabile presenza di elementi problematici nella relazione con Renata bambina. Come a dire: “figlia perfetta, genitori perfetti, famiglia perfetta”. Non possono negare invece l’esistenza di difficoltà nella relazione attuale, difficoltà che però sono imputabili a cambiamenti nel carattere della figlia a seguito degli episodi di molestie. Il sistema familiare si regge quindi sull’intoccabilità della perfezione dei genitori, sulla necessità di una ricostituzione della perfezione di Renata, e coinvolge in un rimando reciproco genitori e figlia. Nello specifico, se Renata fa molta fatica a rinunciare alla sua caratteristica di ragazza perfettamente funzionante, la rinuncia è quasi impossibile per i suoi genitori, in particolare per il padre. Renata è il suo “fiore all’occhiello”, rappresenta il tentativo di una pseudo-­‐riparazione di una grave falla narcisistica legata alla sua storia personale. Il riconoscimento di una Renata profondamente sofferente e problematica gli attiverebbe un insostenibile vissuto di fallimento come padre e come uomo, con il rischio di un grave crollo psichico. La madre, all’apparenza più in grado di mettersi in discussione, in realtà si difende da un forte senso di colpa nei confronti della ragazza, alla quale ha sempre preferito il figlio maschio più piccolo. E’ evidente la patologia collusiva che caratterizza questo assetto familiare. A complicare quanto evidenziato rispetto alla relazione figlia/genitori, si aggiunge quello che viene definito da Dicks (Dicks H. V. , “Tensioni coniugali”, 1967…) “incastro inconscio”, meccanismo fondato sull’identificazione proiettiva reciproca, che caratterizza la coppia. Si può ipotizzare che il padre di Renata, oltre alla necessità di viversi come genitore perfetto attraverso la perfezione della figlia, sia anche il portatore inconsapevole di un’analoga necessità da parte della madre della ragazza, donna molto fragile e dubbiosa rispetto al proprio valore. La madre, oltre alla propria sofferenza, potrebbe essere a sua volta la portatrice inconsapevole di quella del marito, da lui sempre negata. L’ “incastro inconscio” della coppia è accompagnato dalla “collusione”, altrettanto inconscia, finalizzata al mantenimento della situazione in atto. Sono questi due meccanismi profondi che, oltre a quanto già evidenziato, rendono molto difficile il lavoro con i genitori di Renata, nonostante ogni tanto si palesi uno spiraglio nella direzione di una possibile incrinatura di questo equilibrio patologico. Renata, seppure con molta sofferenza, ha acquisito delle consapevolezze riguardanti se stessa e le relazioni familiari. I genitori sono invece, come è apparso, fortemente difesi. Fino a quando non interverranno delle modifiche interne sul loro fronte, sarà ben difficile che la ragazza riesca a trovare la strada per uscire dalla prigione labirintica nella quale è rinchiusa.