Identificazione A cura di Maria Pia Buttiglione e Fabio Tini

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Identificazione A cura di Maria Pia Buttiglione e Fabio Tini
Identificazione
A cura di Maria Pia Buttiglione e Fabio Tini
Identificazione. Concetto psicoanalitico formulato da Freud e ripreso dalla Klein come
identificazione proiettiva. Rappresenta la modalità attraverso cui la relazione con l’oggetto viene
interiorizzata andando a costituire le strutture psichiche della personalità. Questi concetti sono
applicati da alcune scuole nella psicoterapia psicoanalitica della coppia e della famiglia.
Freud usò il termine identificazione già in alcune delle sue lettere a Fliess (1887-1904) ed in
seguito nella Interpretazione dei sogni (1899), dove lo riprese secondo l’accezione comune,
come una operazione mentale che determina la possibilità di condensare diverse
rappresentazioni in un unico elemento; ma solo molto dopo, con la formulazione della teoria
strutturale della mente il concetto di identificazione divenne un punto cardine nella descrizione
dei meccanismi fondamentali che costituiscono il soggetto umano. Attraverso il lavoro clinico con
i pazienti, infatti cominciò a individuarne il significato profondo collegato alla relazione d’oggetto
e al suo destino nel mondo interno.
L’esposizione più completa che Freud ha tentato di dare del concetto di identificazione si trova
nel cap. 7 di Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921) in cui descrive tre modi di
identificarsi:
- come la prima manifestazione di un legame emotivo con un’altra persona. Questo tipo di
identificazione viene comunemente denominato «Identificazione primaria» e si riferisce alla
prima relazione del neonato con la madre, in quel periodo della vita descritta come fase orale
primitiva, in cui investimento oggettuale e identificazione non vanno disgiunti l’uno dall’altra;
- in secondo luogo essa può diventare per via regressa il sostituto di un legame oggettuale
libidico mediante introiezione dell’oggetto nell’Io: si tratta in questo caso di «identificazione
secondaria». Questa modalità è descritta in Lutto e melanconia (1915) come risultato del
processo di elaborazione del lutto per la perdita di un oggetto d’amore. Il carattere stesso
dell’Io sarebbe il risultato di «un sedimento di investimenti oggettuali abbandonati, contenente
in sé la storia di tali scelte oggettuali» (L’Io e l’Es, 1922);
- in terzo luogo Freud individua una modalità di identificazione non strettamente correlabile
all’investimento libidico sull’oggetto, quanto piuttosto a qualche specifico elemento dell’oggetto
con cui una porzione dell’Io si identifica. Sulla base di questa modalità di identificazione tipica
della adesione delle masse al capo carismatico, Freud spiega anche il fenomeno
dell’innamoramento.
Un più ampio sviluppo del concetto di identificazione proviene dal concetto di Identificazione
proiettiva da parte della scuola kleiniana.
L’Identificazione proiettiva viene definita in un primo tempo dalla Klein in Note su alcuni
meccanismi schizoidi (1946) come il prototipo della relazione oggettuale aggressiva, che
rappresenta un attacco contro un oggetto attraverso l’introduzione in esso di parti dell’Io allo
scopo di assumerne il controllo o di dominarlo; a questo segue una fase di riintroiezione
dell’oggetto e delle parti dell’Io proiettate.
Elaborando la teoria kleiniana dello sviluppo dell’Io attraverso cicli ripetuti di introiezione e
proiezione, Bion (1959) propone di distinguere una modalità di identificazione proiettiva,
principalmente attiva nel rapporto del neonato con la madre, caratterizzata dalla necessità di
proiettare dentro l’oggetto un proprio stato d’animo come mezzo per comunicare su questo
stato. In tutti i casi, sia che si tratti di identificazione proiettiva patologica, sia che si tratti di
identificazione proiettiva comunicativa (normale), si determina una fusione del Sé con l’oggetto.
Mentre la identificazione introiettiva manterrebbe intatto la distinzione fra me e non me e
sarebbe corrispondente al fenomeno di identificazione di cui parla Freud.
Riprendendo il lavoro della Klein, Stefania Turillazzi Manfredi ritiene che l’identificazione
proiettiva sia un tipo particolare di fantasia che molto spesso assume «una tale forza da
produrre degli effetti reali in un’altra persona...» determinando una dinamica relazionale che
essa definisce di identificazioni proiettive incrociate.
Nell’applicazione dei concetti psicoanalitici alla psicoterapia psicoanalitica della coppia Dicks
(1977) parla esplicitamente di fenomeni di identificazione proiettiva fra coniugi soprattutto in
Interazioni, n. 1, 1993, pp. 148-151
relazione alla scelta dell’oggetto e alle vicissitudini della vita di coppia.
Nella scuola di terapia familiare a indirizzo psicoanalitico, il concetto di identificazione assume un
valore ed una funzione diversi nella teoria e nella applicazione clinica a seconda delle scuole.
Nella scuola inglese ne viene valorizzato il significato relazionale sia tra i membri della famiglia
che nella relazione con i terapeuti.
Particolare risalto viene dato ai concetti di identificazione proiettiva e introiettiva considerati
come momenti importanti nel processo evolutivo normale e patologico. In particolare
l’identificazione proiettiva è considerata «il maggior legame tra i concetti di ruolo e di processo
inconscio tra individuo e gruppo e tra individuo e famiglia» (Sally Box).
La terapia familiare viene a ruotare intorno ai tentativi dei terapeuti di comprendere e analizzare
il processo dell’identificazione proiettiva tra i membri della famiglia e, nella terapia, verso i
terapeuti, al fine di «alleviare il peso che un membro o tutta la famiglia sopporta e... permettere
l’espressione di quelle parti fino ad allora tenute sotto controllo, proprio attraverso l’attribuzione
di vari ruoli all’interno della famiglia» (Errica Moustaki).
L’identificazione proiettiva, pur presupponendo inizialmente la capacità di provare una certa
differenziazione temporanea dall’oggetto (riferendosi alla fantasia di incorporare l’oggetto in una
parte di sé o in tutta la persona), comporta una perdita del senso del sé, una confusione del
limite tra sé e l’altro, una percezione alterata della propria identità e dell’oggetto nella loro
relazione.
La identificazione proiettiva può assumere intensità e rigidità tali da diventare il meccanismo
prevalente nelle relazioni familiari, con la conseguenza di un grave danno per lo sviluppo di ogni
membro, perché ogni proiezione determina un impoverimento dell’individualità di tutti i membri
della famiglia.
L’interesse della terapia è «centrato sull’interpretazione attiva dell’uso che la famiglia fa delle
proiezioni, sul modo in cui i suoi membri vivono i terapeuti» (Sally Box).
L’intervento familiare, nella scuola inglese, presuppone l’esistenza di un Io attivo sin dalla
nascita e in grado di utilizzare i meccanismi della scissione e dell’identificazione proiettiva.
La scuola francese ipotizza una fase precedente alla costituzione di un io psichico individuale e
teorizza l’esistenza di un «nucleo di indifferenziazione primaria» (Bleger, 1967) «destinato ad
essere deposto nell’altro» con l’effetto di mantenere «una fusione tra depositario e deponente,
caratteristica della simbiosi. In tal senso, il meccanismo è da distinguere dalla identificazione
proiettiva kleiniana» (A. Ruffiot).
La terapia familiare, nella scuola francese, si interessa delle vicissitudini di questi processi
primitivi e delle difficoltà occorse nel processo che porta «all’emersione degli Io psichici
individuali» da questa massa originaria, da questo nucleo indifferenziato costituito da «madrepadre-bambino».
«L’approccio terapeutico ha per obiettivo diretto la psiche familiare. l’apparato psichico familiare
primario... con il favore della messa in funzione, nei terapeuti, dell’identificazione primaria
suscitata, come per contagio, dall’apparato psichico familiare trattato» (Ruffiot).
Bibliografia
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Interazioni, n. 1, 1993, pp. 148-151