Voglia di Digital Manager

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Voglia di Digital Manager
Businesspeople.it
Data: 18 Ottobre 2014
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Voglia di digital manager
Il peso sempre più decisivo di web, smartphone ed e-commerce
sull'economia spinge le aziende alla ricerca di nuove professionalità. Tra
formazione accademica e passioni "native", vediamo quali sono i profili più
ricercati (e meglio pagati).
Il prossimo 29 ottobre, al media center della Bbc di Londra, poco distante
dalle distese verdi di Hyde Park, arriveranno centinaia di manager dai cinque
continenti. Sono i partecipanti al consueto summit annuale del Cdo Club,
un’associazione fondata dal blogger, scrittore e imprenditore americano
David Mathison che ha voluto dare maggiore visibilità a una nuova figura
professionale nata e cresciuta con l’avvento del web 2.0.
Questa figura professionale, che i non addetti ai lavori forse conoscono poco
(o non conoscono affatto), è il Chief Digital Officer (Cdo), un top manager
che ha il compito di sovrintendere (e coordinare fra loro) tutte le funzioni
dell’azienda che hanno in qualche modo a che fare con il mondo dei canali
digitali, dai social network ai dispositivi mobili, dalle piattaforme di
commercio elettronico sino ai sistemi informativi interni. Alla fine del 2014,
secondo le stime della società di ricerca Gartner, i Cdo assunti in tutto il
mondo saranno circa 1.500, più del triplo rispetto ai 488 censiti l’anno
precedente.
WORKERS IN RETE. La “caccia” al Cdo da parte delle imprese, tuttavia,
non è che un piccolo spaccato di un fenomeno ben più vasto, creatosi
nell’ultimo decennio all’interno del mercato del lavoro. In moltissime aziende
di quasi tutti i settori, infatti, la rivoluzione digitale ha fatto nascere nuove
figure lavorative impensabili fino a 15 o 20 anni fa.
Lo sanno bene gli head hunter e i responsabili delle società di executive
search, cioè i cacciatori di teste incaricati dalle imprese di cercare e
selezionare le migliori risorse manageriali e professionali presenti sul
mercato.
«L’utilizzo dei canali e delle tecnologie digitali è ormai diventato pervasivo in
diverse aree e funzioni delle aziende», dice Simone Giorgi, Client Partner di
Korn Ferry Italia, nota società multinazionale di executive search. Di fronte
a questo profondo processo di trasformazione, secondo Giorgi è dunque
inevitabile che si creino nuovi profili manageriali, reclutati dalle imprese per
affrontare al meglio le sfide portate in dote dall’avvento del web 2.0.
Dello stesso parere è anche Roberta Rachello, partner di Value Search, che
sottolinea come sia in crescita, nelle aziende, la ricerca di figure manageriali
di alto profilo, in grado di coniugare tra loro due qualità: le competenze
tecniche in campo digitale con «la capacità, tipica di un buon manager, di
saper comunicare e trasmettere a tutti i livelli dell’impresa i cambiamenti
generati dall’utilizzo crescente delle tecnologie informatiche ».
Per questo, aggiunge Laura Zolla, altra partner di Value Search con diversi
anni di esperienza nel settore dell’head hunting, «le nuove figure
dirigenziali devono essere in grado di integrare le più moderne tecnologie ai
processi aziendali tradizionali, apportando pertanto cambiamenti
organizzativi che impattano sull’impresa in maniera trasversale, cioè sulle
principali funzioni strategiche come il marketing, le operations, la supply
chain e l’information technology».
È il caso del Chief Security Officer che, sostengono Zolla e Rachello, «è un
manager con notevoli competenze tecniche che ha l’incarico di proteggere la
sicurezza delle informazioni e dei sistemi dell’azienda».
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Un altro profilo emergente è quello del Chief Innovation Officer, che ha il
compito di proporre modelli innovativi per il business dell’impresa, affinché
sfrutti al meglio la “rivoluzione digitale”. Secondo Giorgi di Korn Ferry, queste
nuove figure di top manager si stanno facendo strada non soltanto nelle
aziende da sempre vicine al mondo dell’hi tech, come le compagnie di
telecomunicazioni, le società di e-commerce o i gruppi bancari e assicurativi
(che hanno fatto da apripista nell’offerta di servizi online).
Nuovi profili trovano infatti spazio anche in altri settori produttivi
apparentemente più tradizionali, come quello farmaceutico, i trasporti o il
tessile, che oggi stanno usando in maniera crescente le tecnologie digitali
per migliorare la propria customer experience e la customer satisfaction,
cioè l’interazione con i clienti e la loro soddisfazione.
ESPERTI DI SOCIAL MEDIA. La carriera dei nuovi professionisti del web
2.0, però, non nasce di certo ai livelli più alti della scala gerarchica
aziendale. Il cambiamento più significativo si percepisce infatti un gradino
appena sotto, nella ricerca dei middle manager, cioè i quadri intermedi e le
figure dirigenziali di medio livello.
Responsabili dei canali di commercio elettronico o delle attività di Web
Marketing, Digital Planner o Social Media Planner: sono queste soltanto
alcune categorie di middle manager oggi molto gettonati nelle imprese dei
più svariati settori, almeno in quelle che hanno deciso di essere presenti in
forze su Internet con un proprio sito web, con un servizio di e-commerce, ma
anche e soprattutto sui social network più cliccati della rete, a cominciare da
Facebook.
In quest’ambito, trovano spazio molti candidati che hanno alle spalle un
percorso universitario di tipo tecnico (laureati in Economia con
specializzazione in Marketing o in Ingegneria gestionale) «ma non mancano
neppure i professionisti con una formazione umanistica, soprattutto in certe
funzioni come la comunicazione e la produzione di contenuti digitali», dice
Carlo Caporale, Senior Director per l’Italia di Wyser, società di selezione del
personale specializzata nel segmento del middle management e controllata
da Gi Group. Secondo Caporale, infatti, un fattore determinante nella
carriera dei nuovi professionisti del web 2.0 è rappresentato spesso dalle
attitudini personali, nate prima dell’ingresso nel mondo del lavoro, più che
dal percorso di studi intrapreso.
C’è una generazione di ex blogger o internauti incalliti, spesso 30enni
cresciuti durante il boom di Internet, che sono riusciti a far tesoro, in campo
professionale, di una semplice passione giovanile. Sul fatto che i nativi
digitali abbiano una marcia in più per occupare certi ruoli, concorda anche
Alessandra Cantinazzi, manager dell’area technology&digital di Page
Personnel, società di selezione delle risorse umane che fa capo alla
multinazionale Page Group.
Cantinazzi, però, sottolinea anche il crescente interesse da parte delle
imprese verso profili più tecnici, per i quali è necessaria spesso anche una
valida formazione accademica, per esempio una laurea in Scienze
dell’Informazione o in Ingegneria informatica. «In particolare», dice la
manager di Page Personnel, «l’utilizzo crescente degli smartphone e della
telefonia di nuova generazione ha fatto crescere nelle aziende la richiesta di
sviluppatori di applicazioni software per dispositivi mobili, con
specializzazioni nei diversi sistemi di programmazione oggi più utilizzati».
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BEN PAGATI, MA CON GIUDIZIO. Ogni anno, Page Personnel pubblica
uno studio sulle retribuzioni percepite in Italia dai professionisti del mondo
digitale e del settore dell’hi tech presenti nel database della società.
Il quadro che ne emerge è senza dubbio confortante per molti nuovi profili
lavorativi che, pur posizionandosi a un livello non molto elevato nella scala
gerarchica aziendale, dopo qualche anno di carriera possono aspirare a uno
stipendio di tutto rispetto, spesso superiore a 35-40mila euro annui (al lordo
delle tasse). Certo, siamo ben lontani dai compensi gonfiati che si vedevano
alle soglie del 2000, cioè ai tempi del primo boom di Internet e della bolla
speculativa della New economy.
Tuttavia, secondo gli head hunter, il talento dei nuovi professionisti del web
2.0 viene quasi sempre premiato anche sotto il profilo retributivo. Ed è
proprio il talento uno dei fattori più importanti su cui oggi occorre puntare
per intraprendere un percorso lavorativo legato al mondo dei nuovi media.
La pensa sicuramente così Laura Corbetta di Yam112003. «Spesso»,
spiega l’a.d. dell’agenzia specializzata nella produzione di contenuti digitali,
«le aziende del nostro settore hanno bisogno di dipendenti e collaboratori
con ampie competenze interdisciplinari, che il mondo delle università non è
ancora in grado di fornire». Dunque, secondo la manager di Yam112003,
molte imprese come la sua preferiscono allevare al proprio interno le risorse
più promettenti, con un percorso di crescita professionale che può durare
anche cinque o sei anni. Anche nel mondo delle nuove professioni digitali,
insomma, è bene avere pazienza e non coltivare l’illusione di poter bruciare
le tappe.
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