UN SOMMELIER A LONDRA Partenza. Osservo i numerosi

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UN SOMMELIER A LONDRA Partenza. Osservo i numerosi
UN SOMMELIER A LONDRA
Partenza. Osservo i numerosi spettatori inglesi addobbati con le bandiere della Union Jack e a
far da contrasto alle loro spalle il verde della vegetazione di St James Park. L’adrenalina è a
mille e tutti noi concorrenti sembriamo delle bottiglie di spumante pronte a scoppiare
all’unisono al suono dello start; per coerenza con le mie origini venete mi immedesimo in una
magnum di Prosecco millesimato e la tanto agognata medaglia d’oro si trasforma in un gustoso
pezzo di formaggio grana.
Km 2. Il gruppo è ancora compatto quando passiamo a fianco di Westminster: le bollicine della
partenza sono scomparse ma l’ossigeno che arriva al cervello si mantiene a livelli discreti e mi
permette ancora di fare ragionamenti articolati. Scruto la sede del Parlamento e penso alle
prime volte in cui dovevo organizzare banchetti ufficiali: per non sbagliare la mia scelta ricadeva
sempre sui profumati sauvignon friulani o sui corposi rossi bordolesi.
Km 5. L’andatura sta progressivamente aumentando anche se la velocità non è ancora pari a
quella dell’acqua del Tamigi che scorre alla mia destra o a quella con cui i tifosi britannici si
scolano le birre nei pub; me li immagino davanti a un piatto di fish and chips e non riesco a
individuare alcun vino che possa rappresentare una valida alternativa a un boccale di bionda
schiumosa.
Km 10. All’altezza della Torre di Londra cominciano i primi allunghi e in gruppo sale il
nervosismo: meglio lasciar fare o evitare a tutti i costi la classica “fuga bidone”? Per un atleta
come me alla prima gara importante della carriera è un dilemma paragonabile alle prime
esperienze in ristorante quando dovevo fronteggiare una tavolata che aveva scelto portate di
carne e pesce in ordine sparso. Memore delle vicissitudini passate penso che sia meglio non
esporsi troppo, quindi decido di rimanere nel centro del plotone.
Km 20. Non siamo ancora a metà gara? Passo davanti a St Paul’s Cathedral e mi chiedo cosa
avesse bevuto Gesù la sera dell’ultima cena. In una delle ultime degustazioni prima di smettere
la professione di sommelier mi ero imbattuto in un cabernet sauvignon prodotto proprio a
Betlemme: non era male ma non credo che duemila anni fa lo producessero. E non credo che
riuscirò ancora per molto a tenere il passo dei migliori.
Km 30. La spia della riserva si è già accesa e non sento più le braccia: i prossimi chilometri
saranno terribili. Come vorrei che tra tutti questi londinesi a bordo strada all’improvviso saltasse
fuori un uomo con il kilt a offrirmi una bistecca di manzo delle pregiatissime Highlander
scozzesi, ma non storcerei il naso neppure davanti a un Aberdeen Angus. Per il vino mi
arrangerei: ho la mente annebbiata ma mi ricordo che a Montalcino ne fanno di molto buono...
Invece alzo la testa e vedo solo la statua dell’ammiraglio Nelson: ha la faccia seria, sembra
muoversi e indicarmi la via dell’arrivo.
Km 42. Ecco Buckingham Palace, poi l’ultima curva e la mia maratona paralimpica sarà finita.
Spingo le ruote quel tanto che basta per andare avanti: non vincerò alcuna medaglia eppure il
pubblico continua ad applaudirmi con entusiasmo. Per la prima volta dopo l’incidente comincio a
riassaporare quella dolcezza di vivere che avevo smarrito assieme alle mie gambe. Magari
all’arrivo c’è la Regina ad aspettarmi: dopo cinque anni potrei rimettermi la divisa da sommelier
e offrirle un ottimo vino passito, con i biscotti al posto del suo solito the ci starebbe benissimo.