copertina normale
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d’oblio, il rifiuto di tutto ciò che c’è in giro, il bisogno inappagato d’amore. La critica ha subito messo in luce le movenze feline dei suoi accoccolamenti, i fan hanno da subito adorato lo stacco tra la maglietta bianca e il collo abbronzato, i giornalisti hanno perfettamente recitato insieme a lui il mito dell’anticonformismo e della sregolatezza, ma il modo in cui porta a spasso il suo corpo nell’inquadratura, come se fosse preso in prestito temporaneamente da qualcun altro, la sensazione di non avere alcuna smania di entrare in competizione con esso ma piuttosto di trattarlo come un compagno di strada, l’idea costante che la vita fosse troppo al di sotto delle nostre attese per prenderla davvero sul serio, erano qualcosa che sapeva gestire meglio di qualsiasi battuta di dialogo, meglio di qualsiasi crisi di nervi o proiezione freudiana o generazionale. In scena, i due occhi dall’asse sfalsato, sembrano sempre puntati su qualcos’altro che non vediamo e che non potremmo vedere. Non ci ha mai detto cos’era, non ce lo avrebbe detto neanche se fosse campato altri ✪ cinquant’anni. PORTAVA A SPASSO IL CORPO COME SE FOSSE IN PRESTITO La prima rockstar James Dean, Kurt Cobain, Jim Morrison, Jimi Hendrix. Altre epoche, percorsi diversi, con tratti e inquietudini pericolosamente vicini Di Federico Pontiggia James Dean ha trascorsi da “virtuoso”, ma per affibbiargli la “label” di prima rockstar della storia non ci attaccheremo a questo. In bilico tra sfida e “boutade”, vedremo quali analogie Dean ha con alcuni mostri sacri del rock. Star di altre epoche e di altri palchi, ma ugualmente maledette. Un viaggio nel futuro (di Dean) per rintracciarne la progenie: non cinematografica, ma musicale. Partiamo dal look. In questo Dean si avvicina a Kurt Cobain, a cui concede tre anni in più di vita: Dean muore 24enne, Cobain a 27. Del leader dei Nirvana, Dean può essere considerato il padre naturale, almeno a giudicare dall’indifferenza (per la moda) con cui portava maglioni con scollo a V, jeans sdruciti e magliette casual(i): quasi un “grunge ante litteram”. Là (Dean) un ciuffo aggressivo, qui (Kobain) ciocche bionde calate sul viso, ma la sostanza non cambia: l’inquietudine esistenziale passa dalla sartoria, che cuce addosso nuove misure. Le stesse poi ricalcate nel guardaroba giovanile a metà anni ’50 e inizio anni ’90. L’abito fa il divo, soprattutto quello antagonista. E chi meglio di Dean ha anticipato nelle sue movenze rabbiose un viaggio In utero nel disagio dei non-adulti: di chi, annusando un suo primo piano di Gioventù bruciata, si sarebbe potuto dire Smells Like Teen Spirit? Puzza di bruciato per cui occorrono le fiamme: Light My Fire avrebbe cantato un altro angelo ribelle, Jim Morrison, come Kobain morto 27enne nel 1971. Consapevole ancor più di Dean del suo essere artista, il Re Lucertola omaggiò con il nome del suo gruppo, The Doors, lo scrittore Aldous Huxley e le sue “porte della percezione”: quelle dell’immaginario collettivo spalancate nella morte tra le lamiere di una Porsche per Dean e nella vasca da bagno per Morrison. Ma prima la vita, ovvero gli eccessi: a Dean “posacenere umano” (per le bruciature di sigaretta infertesi sul petto) Morrison risponde giocando a domino con i tabù, perché è “meglio bruciare in una volta sola che spegnersi lentamente”. Sulla stessa scia, aperta dalla sua Stratocaster, si pone Jimi Hendrix. Un fascino, il suo, distorto e intriso di sessualità animalesca con un prevedibile capolinea: una camera d’albergo londinese in cui muore drogato, Ancora un’immagine del Gigante. A sinistra in Forever Young e nella Valle dell’Eden soffocato dal suo vomito nel 1970. A 27 anni. Pure lui. E come per Dean nessuno avrebbe potuto prevedere la sua evoluzione. Forse la morte ha sottratto entrambi a un’ingrata risposta. Come ha scritto Paolo Galori dell’ultimo Hendrix, anche la fine di Dean rivela il “disperato tentativo di non replicare se stesso di fronte a chi gli chiede prove della sua divinità”. Per primo Dean ha incarnato sul palcoscenico una ribellione fine a se stessa. La più pura e la più inutile. Ma così disperatamente tautologica da assegnargli un posto da “gigante” nella storia. In quella del cinema. E in quella del rock. In un coro a più voci, tutte destinate a strozzarsi, Dean, Morrison, Hendrix e Kobain hanno cantato “Live fast, die young, leave a good corpse”. Poi arriverà Robbie Williams con Old Before I Die. Ma è un’altra storia. Che all’odore di bruciato ha sostituito quello di plastica.