Storia breve del Sedile di andò

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Storia breve del Sedile di andò
Storia breve del Sedile di andò
Merito principale del Sindaco di Nardò avv. dr. Salvatore De
Benedittis e della Amministrazione Comunale è quello di essere venuto incontro, ascoltandoli, ai consigli autorevoli dell'architetto Calza
Bini e miei modestissimi, restituendo nella sua forma originaria
l'edificio del Sedile esistente nella vecchia piazza barocca, che, dal
1915, è intitolata ad Antonio Salandra. E' cosa notevole, che dinota
finalmente l'intenzione di restituire alla città il suo bel volto, specie
in quella piazza, storicamente famosa, che è uno dei migliori monumenti del barocco salentino. E' appena l'inizio, ma abbiamo almeno
noi cittadini amanti del bello e dell'antico la soddisfazione di vedere
il nostro Sedile ricordare nella sua originale struttura il passato glorioso di Nardò e non già presentarsi nell'aspetto di bottega da rigattiere o di cantina o di punto di ritrovo destinato al gioco delle carte
per dilettazione o per vizio di tutti i vagabondi paesani.
Il nostro Sedile ricorda molte pagine gloriose di storia municipale. E se, come edificio, esso è del più bel Rinascimento (le sovrastrutture sono tarda opera barocca della l a metà del secolo XVIII),
come istituzione esso è molto più antico. Già la vetusta Neritum, romanizzata dopo le distruzioni delle guerre civili coi primordi dell'Impero sotto la casa Giulia, divenne municipium in epoca Traianea.
Decaduti i municipi e le città nella tarda epoca imperiale e ridotti a
meri organi burocratici senza vita propria, troviamo, sin dall'epoca
bizantina, piazze, tocchi, platee, sedili. Si riserbava la denominazione
di piazza o platea alle adunanze dei popolari, mentre quella di sedile
spettava alle adunanze dei nobili, cui, con l'andar del tempo, finì con
concentrarsi l'amministrazione municipale, divenuta un monopolio
gentilizio, per lo meno nell'epoca angioina. A Napoli, nel XII oppure
molto prima, i nobili formavano una specie di Senato partecipante
al governo del ducato, innanzi alla unificazione del mezzogiorno. E
l'importanza di queste adunanze andava anche al di là della semplice
amministrazione, se è vero che un duca Sergio in epoca prenormanna
si era impegnato con giuramento di non mutilare, imprigionare od
esiliare senza udire il consiglio dei nobili. Il che era una specie di
Magna Charta Lihertaium.
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Per quanto riguarda la storia della città di Nardò, è opportuno
osservare che già sotto gli Aragonesi e specialmente intorno al tempo
della Congiura dei Baroni, i sovrani di detta Casa dimostrarono verso
le città, e quindi anche verso Nardò, una certa benevolenza, e ciò
è alquanto conforme alla politica delle monarchie assolute di umiliare la feudalità tendente a creare tante piccole monarchie nel più
grande reame (ed è di questo periodo la fine del Principato di Taranto, vero Stato nello Stato). Così vediamo che Re Ferdinando II
di Casa d'Aragona viene con suo privilegio incontro alle aspirazioni
secolari, sempre ritornanti in Nardò dalla epoca degli Svevi, di far
entrare la città nel demanio regio, il che significa sottrarla al dominio feudale (e i popoli, si sa, almeno nei tempi antichi e nel medio
evo, preferiscono la servitù verso il monarca — che è potente e
lontano —. alla tirannia del signorotto presente e vicino). In detto
privilegio si concede alla Città che i baroni paghino il dazio sulla
farina, che il reggimento della Città sia affidato a dodcii ordinati,
e quattro Auditori, e che, infine, vi siano due Sindaci, uno dei Nobili
e uno del Popolo.
A tale privilegio i Neritini restano talmente affezionati che lo
ritengono come il palladio delle loro libertà, a segno che lo antepongono a qualunque altro beneficio. E', infatti, per protesta contro le
continue promesse e impegni di demanialità, violate sempre a segno
che Nardò venne venduta per 11 mila ducati (cifra allora enorme).
Nardò aprì le porte ai Veneziani nel 1484 e le aprì a Carlo VIII nel
1495. Perciò i Neritini furono accusati di fellonia : più esattamente
dovrebbe dirsi che i Neritini apprezzavano più le libertà che l'amore
a qualunque dinastia, considerato che la identificazione fra patriottismo e dinastia aveva anche allora un valore rettorico e una effettiva sostanza famulare. Sicché col privilegio del re Ferdinando, concesso tramite il principe Alfonso d'Aragona, duca di Calabria, nel
1488 si stabilì che il governo del Comune di Nardò fosse retto nel
modo già descritto. La elezione degli Ordinati, degli Auditori e dei
Sindaci avveniva nel pubblico parlamento tenuto ogni anno nel Sedile. Nel Parlamento avevano diritto di partecipazione e di voto i
delegati di tutte le famiglie, sia dei nobili che del popolo. Questi
delegati venivano scelti precedentemente alla convocazione del Parlamento dalle singole famiglie, di cui si teneva aggiornato l'elenco,
e ogni delegato doveva avere la età minima di anni 18. Il Parlamento
veniva poi convocato ogni anno sotto la presidenza del governatore
regio della città nel giorno di Pentecoste. Il privilegio dei due Sindaci
come quello della demanialità insieme ad altre limitazioni o tentativi
di frenare la inveterata prepotenza dei baroni indicano che il sentimento municipale non si era mai spento nell'animo del popolo neri470
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tino insieme con un certo senso di risveglio della coscienza popolare :
Nardò — città feudale — sempre angariata, oppressa, umiliata, moralmente ed economicamente' danneggiata e rovinata dalla sua numerosa nobilaglia, neghittosa sempre e sempre nemica del progresso e
del, pubblico bene (lo notava acutamente il Galante nella celebre
sua relazione a Ferdinando IV di Borbone sul cadere del secolo
XVIII), covò sempre un sordo istinto di ribellione contro il feudalesimo, aggrappandosi con una resistenza secolare alle franchigie del
popolo, sino a quando il sordo rancore della antichissima città non
esplose in violenta e cruenta rivoluzione nei giorni infuocati del luglio
1647, quando, sotto la guida di un popolano, Paggareddha, e al grido
« mora lo mal governo! » non cacciò i suoi oppressori, sventolando
sulle mura contese lo stentardo rosso-granata del Comune con lo
stemma del Toro : « Tauro non bovi ».
Di tutte queste cose parla ancora oggi alla nostra mente e al
nostro cuore il Sedile di Nardò nella sua forma restituita alla antica
bellezza e ci infonde coraggio nel nostro amore per la libertà, forza
nella nostra avversione alla tirannide, fiducia nelle energie del nostro
popolo, che, a volte, è come il titano ignavo del Carducci, e, a volte,
ha l'impeto irresistibile dello Jonio, quando, sospinto dai venti del
Sud, flagella la scogliera. Ed esso Sedile nel 1647 vide lo scempio
del povero Cesare di Paolo, Sindaco del popolo di Nardò e difensore
dei diritti del Comune contro la prepotenza feudale degli Acquaviva,
archibugiato a tradimento il 17 agosto 1647 dai cagnotti del Guercio
di Puglia e la cui testa, staccata dal busto, fu posta per dileggio nel
Sedile, ove per molto tempo fece orribile mostra di sé per terrorizzare il popolo neritino, che, pochi giorni prima, aveva avuto la ingenuità di credere nella parola degli oppressori, nella fedeltà ai patti
giurati da parte dei deposti armati.
Nella età del nazionale riscatto, quando la speranza dei tempi
nuovi ci veniva dalle sette e dalle congiure (l'ordinamento municipale del 1488, con la abolizione della feudalità operata il 2 agosto
1806 venne mutato con le leggi del 18 ottobre 1806 e del 13 dicembre 1816), i locali del Sedile, dopo avere ospitato la borbonica guardia urbana, videro la Guardia Nazionale, di cui nel 1848 fu capitano
un Fedele e nel 1860 Giovan Battista De Michele, veterano di cospirazioni, visite domiciliari, arresti, e processi politici. 'Oggi ospita
nelle sue sale, luminose e tranquille il Circolo Cittadino, ma lo spirito indomito e ribelle degli avi vi alita ancora e sempre dentro e
dintorno, ammonendoci col ricordo delle loro opere e del loro sangue
che più cara di ogni bene è la libertà.
PANTALEO INGUSCI
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