10, 100, 1000 charlie hebdo

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10, 100, 1000 CHARLIE HEBDO Settimane fa abbiamo messo in lutto il nostro sito a seguito delle stragi che assassini, in nome di Allah, hanno perpetrato in diversi paesi, uccidendo bambini e bambine che andavano a scuola. Abbiamo parlato di attacco alla cultura, alla volontà di conoscenza, aperta e critica, non ripetitiva, capace di far crescere le persone: vengono colpiti studenti solo perché studiano, donne perché vogliono studiare, scuole in cui si impara qualcosa invece di recitare all’infinito versetti, e ancora giornali, libri, riviste, film. Tutto ciò che amiamo e che fa parte della nostra civiltà in cui il fiorentino sta accanto allo juventino, in cui il vegetariano è allo stesso tavolo dell’amante della carne, l’astemio con il sommelier, il cattolico con l’induista, il buddista con il protestante, l’ebreo con il confuciano e via discorrendo. Non ci si ama, magari creiamo barzellette contro chi ci sta antipatico, facciamo critiche feroci dell’ultimo libro letto, disprezziamo il porno, prendiamo in giro chi non mangia maiale, chi non mangia manzo, veniamo presi in giro perché ci nutriamo di “cibo spazzatura” e perché il venerdì dovremmo rinunciare alla carne e tante altre cose. In Toscana si è cresciuti bestemmiando, eppure nessuno ci ha frustato per questo, siamo stati disapprovati dai genitori e dalle nonne, magari abbiamo ricevuto un rapporto a scuola, ma nulla di più. Nessuno ci ha lapidato e ora nessun genitore osa dare uno schiaffo al proprio figlio, tanto che un ingenuo italiano è stato arrestato in Svezia per aver fatto quello che fino a qualche anno fa è stato fatto milioni di volte riconoscendone l’utilità anche da parte di chi subiva. La società occidentale è una società liberal‐democratica che presenta tanti difetti, ma che è senz’altro la meno imperfetta di quelle a cui l’uomo ha dato vita. Meno imperfetta vuol dire che riesce a garantire il massimo di felicità, libertà e responsabilità al maggior numero di persone. Per far questo esiste la separazione dei poteri, il voto, la parità tra uomo e donna, il rispetto dei diritti umani, la libertà di manifestare il proprio pensiero, di organizzarsi culturalmente, politicamente, sindacalmente. E’ una società piena di difetti e difficoltà (che però si ritrovano ingigantiti in società non liberal‐democratiche): e a questo tipo, fortunatamente, si sono ispirati ormai quasi tutti i popoli dopo la caduta del comunismo. In Europa Orientale, in Centro e Sudamerica i regimi sono di questo tipo, il Giappone e molti dei Paesi asiatici pure e anche in Africa si sono fatti passi avanti: ovviamente si è andati in modo più veloce e in maniera più liscia dove cultura e politica avevano saputo coltivare il seme. Un’analisi storica che eviti i luoghi comuni, che hanno indebolito la nostra coscienza e la nostra identità, ci porta a dire quanto il noto Professore Universitario G. Sartori scriveva in un libro del 2000: “In termini etnici gli asiatici (cinesi, giapponesi, coreani…) non sono meno diversi dai bianchi di quanto lo siano africani (e arabi). E nemmeno gli indiani sono come noi: non lo sono per niente. Eppure né gli asiatici né gli indiani suscitano, di solito, reazioni di rigetto….La cultura asiatica è anch’essa lontanissima da quella occidentale, ma è pur sempre “laica” nel senso che non è caratterizzata da nessun fanatismo o comunque militanza religiosa. Invece la cultura islamica lo è. E anche quando non c’è fanatismo, resta che la visione del mondo islamica è teocratica e che non accoglie la separazione tra Stato e Chiesa, tra politica e religione. Che è invece la separazione sulla quale si fonda oggi la città occidentale. Del pari la legge coranica non conosce i diritti dell’uomo (della persona) come diritti individuali universali e inviolabili; un altro cardine della civiltà liberale. E questi sono i veri nodi del problema. L’occidentale non vede l’islamico come un infedele. Ma per l’islamico l’occidentale lo è.” E ancora: “L’elemento centrale della Weltanschauung pluralistica non è né il consenso né il conflitto ma, invece, la dialettica del dissentire, e per essa un dibattere che in parte presuppone consenso e in parte assume intensità di conflitto, ma che non si risolve in nessuno di questi due termini…A livello di principii fondamentali occorre il consenso. E il consenso più importante di tutti è il consenso sulle regole di risoluzione dei conflitti (che è, in democrazia, la regola maggioritaria. (pagg. 32‐33) La tolleranza non presuppone una visione relativistica. Chi tollera ha principii e credenze propri, li ritiene veri, e tuttavia concede che altri hanno il diritto di coltivare ‘credenze sbagliate’. “ Pluralismo, multiculturalismo e estranei. Rizzoli, Milano 2000 (pag. Pg.48‐49) Per tutti gli altri riferimenti storici posso fornire indicazioni, bibliografiche e non. Non sfugge a nessuno la verità di quanto asserito dallo studioso. Ed è inutile girarci intorno: o acquisiamo questo dato come un dato di fatto e ne traiamo le conseguenze o lasciamo libero spazio a belle parole che facilitano lo sviluppo di azioni terroristiche. Negli ultimi decenni, in nome di un drammatico relativismo culturale, abbiamo favorito il fenomeno di cui non solo gli episodi pachistani, nigeriani, siriani, yemeniti sono esempi importanti, ma anche i recenti avvenimenti di Ottawa, Sydney, Parigi mostrano il livello raggiunto (cosa non nuova: vi dicono nulla lo scrittore Rushdie, il suo traduttore giapponese, Hitoshi Igarashi,e quello italiano, Ettore Capriolo,il regista Theo Van Gogh, il vignettista Kurt Westergaard, la scrittrice “apostata” Ayaan Hirsi Ali, per restare sui casi personali decisi dal clero islamico con le fatwe). Giustificazionismo, relativismo, buonismo….illusionismo. Il nostro Paese è un Paese a maggioranza cattolica e garantisce il diritto di fede a tutte le religioni e confessioni, nel rispetto delle norme liberal‐democratiche che sono il fondamento della nostra esistenza. Come dimostrato più e più volte nel corso della storia, non solo recente, forme di barbarica legge del taglione, e quindi di accresciuta conflittualità, possono essere evitate solo se, pur accettando la diversità, ne riconosciamo la differenza e la distanza. Allora non c’è dubbio che è la cultura islamica (strettamente dipendente dal credo religioso) che fa fatica ad integrarsi in una società liberal‐democratica; non è certo la nostra società, civile e politica, che ha difficoltà a integrare chi professa una fede diversa. Nessuna legge del taglione, nessun principio di reciprocità pur riconosciuto dal diritto internazionale (tu mi arresti se in casa mia viene fatta la Santa Messa, allora arresto chi fa il rito islamico) sono utili a superare i problemi. Anche psicologismo e sociologismo creano solo problemi: la nostra società è cresciuta democraticamente da quando ha visto spengersi i “lanternoni” di cui parla Pirandello, cioè i valori assoluti, in nome dei quali tutto è permesso per l’affermazione del proprio marchio. Caduto il nazismo e il comunismo sembrava che conflitti mortali tra visioni universali differenti fossero impossibili. Il terrorismo islamico ha colmato questo vuoto e ha potuto farlo perché affonda le sue radici su comunità e valori che fanno fatica ad accettare i principi della liberal‐democrazia. Si può discutere sul diritto di cittadinanza dell’immigrato (suolo o sangue), si può discutere se (come in altri paesi) si debba passare un esame di lingua e cultura, si può discutere se introdurre materie opzionali (tra cui arabo ecc), si può discutere se sia giusto il reato di vilipendio alla religione, si può discutere di tante cose, ma poi sarà il Parlamento a decidere e non il gruppo o l’individuo che si fa giustizia da solo uccidendo chi ha un’opinione diversa. Non si può invece mettere in discussione il carattere liberal‐democratico del nostro Stato. Ognuno deve garantire il rispetto e la fedeltà ai nostri principi costituzionali: non esiste differenza culturale che possa giustificare uno scostamento. Eppure in nome di ciò si sono fatti danni enormi, anche nella scuola, confondendo i nostri studenti e favorendo nei violenti la consapevolezza della nostra debolezza. Clitoridectomia e infibulazione, chador, poligamia, crocifisso e presepe, stabilimenti balneari separati per donne mussulmane che devono rimanere lontane da sguardi indiscreti, non punibilità per chi fa proselitismo per andare nei campi siriani di addestramento alla jihad. E altre amenità. Amenità che ho vissuto in tanti anni di insegnamento della storia quando, per giustificare l’attuale guerra santa contro gli infedeli, non si faceva che ripetere “Ma le Crociate eh! Le Crociate? Ve ne siete dimenticati?”, ignorando il fatto più semplice tra tutti: la diffusione del Cristianesimo dalla Palestina grazie al martirio e la diffusione dall’Arabia dell’islamismo grazie alla guerra e all’oppressione (per non andare molto lontano il Maghreb è pieno di berberi e il Mashrak di copti). Ci sono cose che sono compito della politica che può sbagliare o avere ragione, ma questo lo vedremo solo a conti fatti. Ci sono cose che invece sono compito della cultura e dunque anche della scuola. Quando alcuni docenti passano tutto l’anno ad educare gli studenti ad avvicinarsi al diverso sembra che facciano opera di grande cultura: ma il diverso è anche il nazista e il terrorista, dunque limitarsi, fermarsi alla parola “diverso” non solo non aiuta la crescita civile, ma al contrario è diseducativo. Il diverso fuori dal contesto storico non vuol dire nulla; il diverso fuori dai fondamenti della convivenza civile distrugge la nostra identità. Il dialogo è possibile solo se si riconoscono dei nodi strategici che ci uniscono: non si può fare una partita di calcio se una squadra segue le regole del football e l’altra del rugby. In tal senso non si tratta di condannare gli islamici, gli islandesi o i testimoni di Geova e tanto meno di combatterli con le armi o con pogrom. Ma occorre il rispetto delle regole in ogni ambiente. Fingere di non vedere che in molte moschee si istiga all’odio contro l’Occidente e la democrazia è autodistruttivo. Il diritto di culto dell’islam come di ogni religione è un diritto che dobbiamo imparare a difendere. Nel rispetto dei diritti della persona, della donna in particolare. Il problema forse nasce proprio qui: il concetto di persona è un concetto giudaico‐cristiano e in particolar modo con il Cristo, uomo e Dio, l’uomo si può elevare, mentre nell’Islam i due aspetti sono nettamente separati. Ci sono cose che la scuola può fare, anche la nostra scuola. Ciò che è successo a Parigi con ciò che lo ha preceduto deve diventare l’occasione, nel rispetto delle indicazioni ministeriali, di diffondere la cultura della cittadinanza a partire dalla nostra Costituzione. Stato e Chiesa sono separati: le leggi sono il quadro di riferimento per la convivenza civile. Il reato di offesa è contemplato dal nostro Codice e chi si sente offeso può rivolgersi a un Tribunale, senza sparare un colpo né prendere ostaggi. Come scuola abbiamo il dovere di lavorare con gli studenti su questi temi, approfittando anche dell’abbonamento al Corriere della Sera, i cui editoriali in questi giorni rappresentano un faro nel buio. Altrimenti un giorno potremo leggere su una lavagna la scritta clandestina: primo piatto, ebreo arrosto.