Considerazioni sul rapporto tra giudicato amministrativo e riedizione

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Considerazioni sul rapporto tra giudicato amministrativo e riedizione
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Considerazioni sul rapporto tra giudicato amministrativo e riedizione del potere
A cura di FRANCESCA SACCARO
La definizione di “giudicato” in ambito amministrativo, ai sensi dell'art. 39 Decreto Legislativo 2
luglio 2010, n. 104, è traslata per “rinvio esterno” dai codici di diritto sostanziale e processuale
civile1.
L’esame del giudicato amministrativo, nonchè dei suoi limiti oggettivi e soggettivi, implica
l’approfondimento di tematiche proprie del diritto omonimo che non possono essere risolte sulla
sola base dei principi del diritto processual-civilistico.
Laddove non sia più praticabile alcuna impugnazione ordinaria contro la sentenza amministrativa è
delineato il giudicato (formale) della medesima.
Tramite riferimento alla definizione elaborata ex art. 324 c.p.c. non si riscontrano particolari
problemi interpretativi nel definire il giudicato amministrativo dal punto di vista formale mentre
problematiche sorgono ivi applicando i caratteri previsti dall’art. 2909 c.c., volti ad individuare i
limiti soggettivi all’estensione del giudicato (sostanziale).
Ciò premesso, tale norma non può considerarsi applicabile al diritto amministrativo in virtù del
rinvio espresso sovra menzionato, operato dall’art. 39 c.p.a., come invece accade per l’art. 324
c.p.c., relativo al giudicato formale: a prescindere, infatti, da una valutazione circa il carattere
sostanzialmente processuale o meno dell’art. 2909 c.c., deve notarsi che la suddetta norma
all’interno del D. Lgs. n. 104/10 richiami espressamente le sole “disposizioni del codice di
procedura civile”, tralasciando, dunque, norme di carattere processuale altrove rinvenibili.
Nell’ambito considerato la motivazione di una sentenza assume rilievo in quanto contiene la ratio
della decisione ed il profilo ricostruttivo della successiva attività da parte della Pubblica
Amministrazione.
La regola posta dalla sentenza amministrativa, in particolare ove sia esperita con successo azione di
annullamento, può non essere esplicita o completa, ed altresì la legge fa salvi, con riferimento
all’ipotesi di annullamento giurisdizionale dell’atto amministrativo2, gli ulteriori provvedimenti
adottati dalla Pubblica Amministrazione.
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F. CARINGELLA, S. MAZZAMUTO, G. MORBIDELLI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2015, 1895 ss.
V. LOPILATO, Esecuzione e cognizione nel giudizio di ottemperanza, in https://www.giustiziaamministrativa.it/cdsintra/wcm/idc/groups/public/documents/document/mdax/otmy/~edisp/nsiga_3790160.pdf:
“L’azione di annullamento rimane l’azione principale del processo amministrativo. Nel caso in cui con essa si contesta
l’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione il principio di separazione dei poteri, quale risultante dal
sistema costituzionale della giustizia amministrativa, impedisce al giudice amministrativo di sindacare, in sede di
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Quest’ultima, a seguito di un giudicato di annullamento, non perde il potere di rieditare il
provvedimento annullato, purché il medesimo sia emendato dei vizi che lo inficiavano e tenga conto
delle disposizioni contenute nel giudicato amministrativo.
La questione si pone in termini di analisi del rapporto nonché delle reciproche limitazioni sussistenti
tra potere pubblico e funzione giurisdizionale, entrambi intesi come esplicazione della sovranità
statale3.
In caso di intervenuto annullamento di un provvedimento per difetto di istruttoria e/o di
motivazione, gli atti emanati dall’Amministrazione, dopo il passaggio in giudicato della relativa
sentenza, possono considerarsi emessi in violazione di giudicato solo se da questo derivi un obbligo
talmente puntuale che la sua esecuzione si concreterebbe nell’adozione di un atto integralmente
desunto dalla sentenza.
Ne consegue che l’Amministrazione abbia il dovere di riesaminare la domanda, valutare gli
interessi pubblici sottostanti ed infine nuovamente esprimersi, anche in senso sfavorevole
all’istante, dando puntuale esposizione del ragionamento logico-giuridico sottostante, senza che
però il giudicato amministrativo possa considerarsi quale vincolo al Soggetto pubblico ai fini del
rilascio di un provvedimento favorevole al ricorrente originario.
Il principio in base al quale il giudicato copre il dedotto ed il deducibile non può trovare piena
applicazione nel processo amministrativo, in quanto il relativo giudicato si forma con esclusivo
riferimento ai vizi dell’atto ritenuti sussistenti (alla stregua dei motivi dedotti nel ricorso).
La diversità di situazioni giuridiche poste alla base del giudizio amministrativo porta, tuttavia, ad
una diversità di definizioni quanto agli effetti del giudicato, che possono essere tipicamente
demolitori, ripristinatori, preclusivi ovvero conformativi. A questi, anche in ragione
dell’ampliamento del novero delle azioni esperibili dinanzi al Giudice amministrativo, vanno ad
aggiungersi, secondo il tipo di azione, effetti ordinatori, sanzionatori ed infine dichiarativi.
L'effetto conformativo vincola la successiva attività dell'Amministrazione nella riedizione del
potere, poiché il Giudice, quando accerta la invalidità dell'atto e le ragioni che la provocano,
stabilisce la corretta modalità di esercizio del potere, fissando la regola cui l'Amministrazione deve
attenersi nella propria attività futura.
legittimità, questioni di merito che rientrano nella sfera di esclusiva spettanza dell’autorità pubblica. (..) E’ necessario
distinguere la fattispecie in cui l’amministrazione pone in essere un comportamento attivo da quella in cui la stessa è
inerte.”
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In tal senso v. L. CANNADA BARTOLI, Giudicato amministrativo, regolazione sopravvenuta e “giusto processo”,
in http://amministrazioneincammino.luiss.it/wp-content/uploads/2010/04/Cannada-Bartoli_Dirittosopravvenuto_Rivisto1.pdf.
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In primo luogo sarebbe necessario verificare, nel processo amministrativo, l’operatività quanto al
principio del dedotto e del deducibile, a sua volta legato alla distinzione tra giudizio sull’atto e
giudizio avente ad oggetto la pretesa sostanziale.
La recente risposta a tale quesito da parte del Supremo Consesso amministrativo è negativa, poiché
“non può escludersi in via generale la rivalutazione dei fatti sottoposti all’esame del giudice”4.
L'effetto ripristinatorio, invece, implica la cancellazione delle modificazioni della realtà (giuridica e
di fatto) intervenute per effetto dell'atto annullato e comporta, dunque, l'adeguamento dell'assetto di
interessi esistente prima della pronuncia giurisdizionale, avutosi sulla base dell'atto impugnato,
rispetto alla situazione giuridica prodotta dalla pronuncia stessa.
Tuttavia, tali effetti del giudicato si riferiscono unicamente a pronunce di accoglimento nelle quali
la decisione imprime una modifica alla realtà giuridica mediante la caducazione di un
provvedimento, ovvero la individuazione di una regula iuris che vincola l’Amministrazione
nell’esercizio dell’attività successiva: nessun effetto, infatti, produce una sentenza di rigetto che si
limiti ad accertare la legittimità di un atto ed in relazione ai motivi di censura dedotti.
In realtà, le difficoltà di reductio ad unitatem del concetto di giudicato amministrativo sono dettate
sia dalla ampiezza del potere del Giudice amministrativo sia dal fatto che il conseguimento del bene
della vita spesso non è attribuito direttamente dall’Autorità giurisdizionale bensì richiede un’attività
ulteriore che si svolge dopo ed al di là del giudizio spettante al potere della Pubblica
Amministrazione, la quale dovrà al contempo conformarsi alla regula iuris espressa nella
pronuncia.
Il termine “potere”, più volte menzionato, è iscritto nella più generale categoria del “potere
giuridico” e presenta differenti significati.
E’ altresì utilizzato per designare la situazione giuridica soggettiva della Pubblica Amministrazione
quale Autorità nell’ambito dell’attività regolata dal diritto amministrativo.
Sono individuati ex lege i titolari del potere così inteso, i quali lo esercitano determinando gli effetti
giuridici previsti dall’ordinamento (senza necessità del consenso dei destinatari), costituendo,
modificando ed estinguendo situazioni giuridiche soggettive.
Gli atti derivatene sono sindacabili dal Giudice amministrativo, sia pure con limitazioni, in quanto
la relativa giurisdizione riguarda la legittimità, articolata nei vizi di violazione di legge, di
incompetenza e di eccesso di potere.
Infine, la situazione giuridica soggettiva esaminanda richiede l’adozione di un provvedimento
amministrativo e normalmente si confronta con gli interessi legittimi, dotati di struttura e di tutela
differenziate rispetto a quanto previsto per i diritti soggettivi.
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Cons. St., Ad. Plen., 15 gennaio 2013, n. 2.
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Dopo il giudicato, quindi, può risultare necessaria un’ulteriore attività giurisdizionale volta ad
assicurare il rispetto della sentenza, sia quando gli atti posti in essere non siano ad essa adeguati,
ovvero si debba completare o esplicitare il comando in essa contenuto, sia, ancor prima, quando
l’Amministrazione prescinda del tutto dalla sentenza stessa.
La tendenziale inesauribilità del potere esercitato renderebbe possibile per il Soggetto pubblico
provvedere nuovamente, ed in un numero non predeterminato di volte, in relazione all’oggetto su
cui si è fondato il giudicato annullatorio.
Di conseguenza, la Pubblica Amministrazione ben potrebbe porre a sostegno del proprio
convincimento elementi che non siano stati previamente oggetto del provvedimento impugnato, pur
riconfermando il contenuto del dispositivo annullato dal Giudice.
Al fine di risolvere la problematica considerata, l’Amministrazione dovrebbe essere destinataria
dell’obbligo di valutare in toto la quaestio, sollevando qualsivoglia circostanza ritenuta rilevante,
senza poter decidere nuovamente ed in modo sfavorevole neppure in relazione a profili non ancora
esaminati.
Ove poi la sentenza passata in giudicato mancasse di essere eseguita, sarebbe legittimo instaurare
un “giudizio di ottemperanza” 5 6.
I relativi presupposti processuali si rinvengono, in primis, ex art. 24 Cost., nonchè ai sensi degli artt.
112-114 c.p.a., e consistono nella sussistenza di un provvedimento della Pubblica Amministrazione,
di una decisione giurisdizionale ad esso inerente passata in giudicato, nell’esecuzione di atti
materiali o giuridici da parte della Amministrazione in attuazione della pronuncia, ed infine nella
inesecuzione di quest'ultima (come tale comprensiva delle ipotesi di mancata adozione del
provvedimento conseguente alla sentenza, di attuazione incompleta o parziale dell’obbligo di
eseguire il giudicato e di adozione di provvedimenti violativi ovvero elusivi del giudicato).
Siffatto giudizio rientra tra le ipotesi in cui la giurisdizione amministrativa è eccezionalmente estesa
al merito, al fine di consentire al Giudice Amministrativo l’esercizio di ampi poteri cognitivi e di
sostituzione rispetto alla Amministrazione risultata inottemperante (art. 134, c. 1, lett. a), c.p.a.).
All’interno di tale rimedio le azioni esperibili sono eterogenee, “talune riconducibili
all’ottemperanza come tradizionalmente configurata; altre di mera esecuzione della sentenza di
condanna pronunciata nei confronti della pubblica Amministrazione; altre ancora aventi natura di
cognizione (..)”7.
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Attualmente non è previamente necessaria la diffida, ex art. 114, c.1 c.p.a., come in proposito risulta anche da C. Cass.
civ., SS.UU., 19 gennaio 2012, n. 736.
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F. CARINGELLA, S. MAZZAMUTO, G. MORBIDELLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., 1889 – 1892; tra
gli altri, v. anche C. ASPRELLA – M. PALMA, L’esecuzione della sentenza amministrativa, in
http://www.judicium.it/old_site/archivio/asprella_palma.html.
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Cons. St., Ad. Plen., 15 gennaio 2013, n. 2.
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Tra i poteri del Giudice dell’ottemperanza8 vi è quello, ai sensi dell’art. 21-septies, L. n. 241/90, di
dichiarare nulli gli atti adottati dalla Amministrazione se in violazione/elusione del giudicato e di
conoscere “tutte le questioni relative all’ottemperanza”.
“In definitiva, la scelta di concentrare avanti allo stesso giudice tutte le azioni ed i rimedi che
attengono l’attuazione delle relative decisioni consente di riassorbire il dibattito per lungo tempo
sviluppatosi sulla natura di tale giudizio, ponendo l’accento sull’effetto conformativo che discende
da ogni pronuncia definitiva ed in relazione alla quale va valutata la successiva azione dei pubblici
poteri (..)”9.
Il processo in esame è diretto a garantire il rispetto del principio di legalità dell'azione
amministrativa, costituzionalmente previsto ex artt. 28, 97 e 98, nonchè l’effettività della tutela
giurisdizionale nei confronti della Pubblica Amministrazione (artt. 24, 101, 103 e 113 Cost.), in
coerenza con la mutata funzione del processo amministrativo, da strumento di protezione di
interessi oppositivi a strumento satisfattorio anche di interessi pretensivi.
Per quanto il codice del processo amministrativo sia favorevole alla concentrazione, in sede di
ottemperanza, di tutte le questioni successive al giudicato e relative alla sua attuazione, in
giurisprudenza è stato chiarito che non risulti possibile giungere ad affermare come conoscibile dal
Giudice, in tale sede, qualunque provvedimento adottato dopo il giudicato incidente negativamente
sulla pretesa sostanziale avanzata dal ricorrente.
E' quindi rilevante la distinzione tra violazione ed elusione del giudicato nonchè violazione nuova
ed autonoma, confine questo che deve essere tracciato muovendo dalla portata oggettiva del
giudicato.
Il giudizio di ottemperanza assume natura giuridica diversa a seconda che si tratti di dare
esecuzione al giudicato del Giudice ordinario ovvero a quello del Giudice amministrativo.
In dottrina10, infatti, si è osservato che, rispetto al giudicato civile, l'obbligo di conformarsi sia
totalmente esterno rispetto al contenuto ed agli effetti della sentenza; con riguardo invece al
giudicato amministrativo, l'obbligo di conformarsi deriva dagli effetti-contenuto propri della
sentenza11.
Il Giudice davanti a cui è esperita l’azione ex art. 112 c.p.a., può esercitare il potere di integrazione
del giudicato nel solo processo per l'esecuzione del giudicato amministrativo: in questo caso, infatti,
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V. Cons. St., Ad. Plen., 15 gennaio 2013, n. 2: “(..) il giudice dell’ottemperanza, come identificato per il tramite
dell’art. 113 c.p.a., deve essere attualmente considerato come il giudice naturale della conformazione dell’attività
amministrativa successiva al giudicato e delle obbligazioni che da quel giudicato discendono o che in esso trovano il
loro presupposto”.
9
Cons. St., Ad. Plen., 15 gennaio 2013, n. 2, in Urbanistica e appalti, 2013, 959, con nota di F. FIGORILLI, La
difficile mediazione della Plenaria fra effettività della tutela e riedizione del potere nel nuovo giudizio di ottemperanza.
10
R. GAROFOLI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2010, p. 2062.
11
D. GIANNINI, Il nuovo giudizio di ottemperanza dopo il codice del processo, Milano, 2011, p. 30.
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il Giudice dell'esecuzione ha il potere di integrarlo, esercitando ampi poteri, tipici della
giurisdizione estesa al merito (idonei a giustificare anche l'emanazione di provvedimenti
discrezionali), che consentono l'adeguamento della situazione concreta al comando definitivo
inevaso12.
Nel giudizio di ottemperanza, quindi, il Giudice amministrativo può adottare una statuizione
analoga a quella che egli stesso potrebbe emettere in un nuovo giudizio di cognizione, risolvendo
eventuali problemi interpretativi che sarebbero comunque devoluti alla propria giurisdizione;
invece, l’Autorità giurisdizionale non può esercitare analoghi poteri di integrazione allorché la
sentenza da eseguire sia stata adottata da un Giudice appartenente ad un diverso ordine
giurisdizionale e laddove la questione rientri nella giurisdizione di quest'ultimo.
Da quanto appena riportato, deriva che gli effetti del giudicato amministrativo abbiano inevitabili
ripercussioni sulla natura del giudizio di ottemperanza e sugli spazi cognitivi riservati in tale sede al
Giudice amministrativo.
“Infatti, specialmente quando la regola posta dal giudicato amministrativo è una regola implicita,
elastica, incompleta, spetta al giudice dell'ottemperanza completare ed esplicitare detta regola:
proprio in questo modo emerge la natura mista di esecuzione e di cognizione del giudizio di
ottemperanza che, essendo diretto ad arricchire, pur rimanendone condizionato, il contenuto
vincolante della sentenza amministrativa, rappresenta sempre più la prosecuzione del giudizio di
merito.
È per questa via che, in conclusione, si ritiene che rientri a pieno titolo tra i compiti del giudice
dell'ottemperanza dare un contenuto concreto a tutti gli obblighi (espliciti ed impliciti) imposti
dalla sentenza di annullamento.”13.
Ai sensi dell’art. 114, c.4, lett. e), c.p.a., in caso di perdurante inerzia della Pubblica
Amministrazione, il Legislatore ha previsto la possibilità di azionare una misura coercitiva indiretta,
la “penalità di mora”.
Funzione delle misure coercitive consiste nel supplire alla mancanza di strumenti esecutivi in forma
specifica nonché, specialmente, nell’indurre l’obbligato ad adempiere, indipendentemente dalla
possibilità o meno di attuare in via coattiva diretta la relativa prestazione.
La penalità di mora risulta modellata sull’istituto dell’astreinte, elaborato all’interno
dell’ordinamento giuridico francese e che tradizionalmente trova la propria origine in una sentenza
12
G. SORICELLI, Il giudizio di ottemperanza dopo il codice del processo amministrativo e i decreti correttivi (D. Lgs.
15 novembre 2011, n. 195 e D. Lgs. 14 settembre 2012, n. 160), in
http://www.uilpadirigentiministeriali.com/attachments/article/2586/+il_giudizio_.pdf.
13
D. GIANNINI, Il nuovo giudizio di ottemperanza, cit., p. 28.
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del Tribunale di Cray, datata 1811, con cui il Giudice competente aveva condannato il convenuto14
al compimento di una ritrattazione pubblica ed, in mancanza, al conseguente pagamento di tre
franchi per ogni giorno di ritardo registrato.
L’astreinte15 16 consiste in una sanzione pecuniaria accessoria alla condanna principale, pronunciata
dal Giudice anche d’ufficio, in modo da costringere il debitore all’adempimento.
Se così invece non fosse, l’Autorità giurisdizionale, in primo luogo, prospetta al condannato
l’obbligo di pagare una somma fissa di denaro per ogni giorno (ovvero altra unità temporale) di
ritardo nell'esecuzione della prestazione dovuta, eventualmente considerando, nel caso di
obbligazioni a carattere continuativo, ogni infrazione ex post commessa.
Il relativo ammontare è rapportato non ai danni subìti dal creditore bensì all’entità che il Giudice
ritenga idonea al fine di indurre il soggetto passivo all’adempimento17.
La fonte è dunque esclusivamente giudiziale e l’Autorità competente ha un’amplissima
discrezionalità nell’adottarla e nel determinarne in concreto le modalità, senza alcuno specifico
obbligo di motivazione.
In ordine ai soggetti legittimati al suo esercizio, l’astreinte è ormai un beneficio concesso a creditori
di qualunque natura.
Per vero, nell'ambito della Giustizia amministrativa, le posizioni sono più variegate e si registra una
maggiore resistenza alla relativa concessione, a causa della previsione istituzionale di altri mezzi di
coercizione in capo ai creditori pubblici.
Quanto ai casi in cui essa risulta applicabile, il riferimento è alle sentenze di condanna pecuniarie
della Pubblica Amministrazione; alle sentenze che definiscono un giudizio sul silenzio o
sull’accesso, non essendo ostativa la circostanza che per tali istituti il Codice appronti una disciplina
ad hoc; con riguardo al ritardo nella rinnovazione di un procedimento di approvazione di un piano
urbanistico attuativo; in tema di inottemperanza a statuizioni di condanna al pagamento di somme di
denaro, non assumendo alcun rilievo escludente la circostanza che sulle medesime competano
interessi legali, ossia interessi compensativi intesi come tipici frutti civili.
14
L. MARAZIA, Astreintes e altre misure coercitive per l'effettività della tutela civile di condanna, in Riv. esec. forz.,
2004, p. 338.
15
F. SACCARO, La tutela cautelare degli obblighi infungibili di fare e di non fare, in
http://www.altalex.com/index.php?idnot=69472.
16
S. GUINCHAR e T. MOUSSA, Droit et pratique des voies d'exécution, Paris, 2004, p. 278: “Toutes les obligations
que consacrent les jugements, sentences et arrêts sont susceptibles d'être assorties d'une astreinte. L'astreinte, qui vise
à l'exécution d'un acte de l'autorité publique, se cumule sans contradiction avec les sanctions prévues
contractuellement entre les parties; intérêts moratoires”.
17
V. A. PROTO PISANI, Condanna (e misure coercitive), in Foro.it., III, 2007, p. 3.
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L’astreinte non è invece applicabile ove le oggettive condizioni economiche in cui versa la Pubblica
Amministrazione debitrice inducano a ravvisare la ricorrenza di ragioni ostative all’applicazione
della norma sanzionatoria.
Difetterebbe, in tal caso, uno dei presupposti per ottenere la condanna dell’Amministrazione al
pagamento della penalità di mora.
Quest’ultima, ex art. 114, c.4, lett. e), c.p.a., costituisce una misura con finalità sanzionatoria, non
risarcitoria, in ultima istanza volta a stimolare (indirettamente) l’adempimento: è pertanto
giustificato il progressivo aumento dell’importo previsto da siffatto istituto, disposto dal Giudice
ove si palesi una ulteriore protrazione della condotta inottemperante del debitore.
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