M.Grilli Alleanza e Popolo di Dio

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M.Grilli Alleanza e Popolo di Dio
M. GRILLI, Scritture, Alleanza e Popolo di Dio. Aspetti del dialogo
ebraico-cristiano, EDB, Bologna 2014.
(sintesi a cura di p. Lorenzo Massacesi)
I – Le Scritture ebraiche e la Bibbia cristiana.
1. Il problema
L’unità dei due Testamenti è un aspetto fondamentale della fede cristiana che non è mai
venuto meno. Aprendo la Bibbia, infatti, ci si trova di fronte ad un unico progetto salvifico
articolato in due parti. Fino all’avvento di Gesù esisteva un solo Testamento e gli eventi di
cui fu poi protagonista Gesù stesso e la Chiesa furono interpretati alla luce della Bibbia
d’Israele e considerati parti di essa.
Malgrado ciò, il rapporto fra le due parti della Bibbia ha conosciuto diverse interpretazioni,
tra le quali alcune seriamente fuorvianti, tali da minare i rapporti tra ebraismo e
cristianesimo se non persino l’autenticità stessa della fede.
Le questioni relative al difficile rapporto tra Primo e Nuovo Testamento sono tre1.
• L’intreccio che intercorre tra Scritture-Alleanza-Popolo di Dio
• Cristo come compimento delle Scritture
• L’ermeneutica delle Scritture ebraiche a partire da Cristo.
1.1. Il nesso Scritture-Alleanza-Popolo di Dio
Dire due Testamenti significa dire non solo rapporto tra Scritture ebraiche e Bibbia
cristiana ma anche rapporto tra due Alleanze e due popoli che si autocomprendono
ciascuno come popolo di Dio. In che senso, allora Israele rimane irrevocabilmente il
popolo di Dio? E a che titolo, allora, la Chiesa dei gentili può essere considerata
anch’essa popolo di Dio? E, l’obbedienza d’Israele alle sue Scritture è una via di salvezza
indipendente da Cristo?2
1.2. La questione di Cristo compimento delle Scritture
Un punto fermo dell’ermeneutica cristiana è che Cristo è la chiave delle Scritture. Sicché,
ci si chiede se il Vecchio Testamento abbia un valore intrinseco o meramente funzionale al
Nuovo3.
1.3. L’ermeneutica dell’Antico Testamento dopo l’avvento di Cristo.
In conseguenza al punto 2, se Cristo è l’unica chiave delle Scritture, cosa né è della lettura
ebraica delle Scritture? Il popolo ebraico è, di fatto, diventato incapace di leggere le
Scritture?
2. Le soluzioni cristiane
Il cristianesimo ha risposto in vario modo alle questioni sopra esposte. Presentiamo tre
modelli4.
2.1. Il modello sostitutivo
Il modello sostitutivo, dipendente in qualche modo dalle tesi di Marcione, radicalizza la
diversità dialettica tra le due parti della Scrittura, tanto da ritenere impossibile la
comprensione dei Testamenti come un’unità organica. In tal modo il vecchio Testamento è
1
Cf. M. GRILLI, Scritture, Alleanza e Popolo di Dio. Aspetti del dialogo ebraico-cristiano, EDB, Bologna 2014, 10.
Ib. 11.
3 Ib. 12.
4 Ib. 13.
2
considerato superato, sostituito dal Nuovo, così come Israele è sostituito dalla Chiesa. La
Legge è contrapposta al Vangelo5.
In proposito, occorre annotare che, se da un lato le tesi di Marcione rimasero isolate ed
avversate dai Padri6, non si può tuttavia pensare che esse nascessero dal solo Marcione,
al contrario affondavano “le radici in una sensibilità in varia misura critica nei confronti del
Vecchio Testamento”7.
2.2. Il modello riduttivo.
Tale modello vede l’Antico Testamento semplicemente funzionale al Nuovo. E’ una
relativizzazione che ha seguito diverse strade.
a. La tipologia
L’antico Testamento sarebbe soltanto un tipo, una rappresentazione, della vera e reale
pienezza che si troverebbe nel Nuovo8. Benché sia indubitabile che nella Scrittura tutti gli
eventi sono legati da un filo unico in base al quale è possibile pensare ad un’unica storia
della salvezza, spesso è invalsa una concezione definibile come progressiva, in base alla
quale le figure dell’AT sono assorbite dalle successive e dunque svuotate di contenuti
salvifici propri.
b. La considerazione delle Scritture ebraiche come “promessa” di un futuro
compimento.
L’Antico è una promessa del Nuovo. In chiave evoluzionistica, la promessa assume però
un carattere di insufficienza o imperfezione. L’AT avrebbe, così, una mera funzione
propedeutica all’avvento della pienezza del Regno di Dio in Cristo9, considerato questo
come il compimento del disegno di Dio in senso esclusivo10.
c. Il modello evolutivo
La tesi centrale di questo modello è che la Bibbia, considerata nella sua unità, testimonia
un’unica storia che Dio fa con il suo popolo, storia da intendersi qualitativamente e
dinamicamente come qualcosa gravida di senso, il cui elemento culminante, il kairos, è il
Cristo11. In questa visione si affaccia talora il rischio di concepire l’AT solo come un germe,
o un momento della verità rivelata, misconoscendo la necessità di legittimare non solo una
traiettoria dall’Antico al Nuovo Testamento, ma anche quella inversa12.
3. Prospettive nuove
3.1. Il compimento di Cristo: riportare la Torah al suo primitivo splendore.
Il brano biblico da cui è imprescindibile partire è Mt 5,17: “non crediate che io sia venuto
ad abrogare la Legge o i profeti; non sono venuto ad abrogare, ma a dare compimento”. I
verbi greci sono katalyo e pleroo. E’ interessante notare preliminarmente che l’evangelista
non usa il verbo “teleo”, ma “pleroo”. Il primo significa finire, terminare13. Il secondo ha un
senso più teologico e può avere diversi significati:
a. All’infinito finale il verbo indica compiere, eseguire, attualizzare (tipico delle
discussioni rabbiniche). Per cui andrebbe reso con: “non sono venuto a abrogare la
Torah, ma a realizzarla” con le parole e le opere. Gesù è colui che con la sua piena
fedeltà realizza la Legge. Tuttavia, da notare che Matteo avrebbe qui potuto usare
5
Ib. 14.
Ib. 16.
7 M. SIMONETTI, La Sacra Scrittura nella Chiesa delle origini (I-II sec). Significato e interpretazioni, Ed. Dehoniane,
Roma 1999, 40-41.
8 M. Grilli, Cit., 17.
9 Ib. 18.
10 Ib. 19.
11 Ib. 20.
12 Ib. 21.
13 Ib. 22.
6
meglio il verbo poiein (fare), che usa in altre occasioni (Mt 5,19), sicché questa non
appare la soluzione migliore.
b. L’infinito finale potrebbe indicare anche “rendere pieno”, cioè riempire,
perfezionare14. Tale opzione, che giustificherebbe, secondo i Padri e diversi
esegeti, la pretesa di Gesù di perfezionare la Legge, non è sorretta però dal
confronto con i testi contenenti lo stesso verbo15, quelli che si concludono
identicamente con la formula “affinché si compisse quanto detto…” (Mt 1,1 - 4,16).
In questi casi non può trattarsi né di un compimento di profezia, né un
completamento di senso poiché i fatti narrati hanno un senso pieno in essi stessi.
Piuttosto di una rilettura del presente alla luce del passato. In tal modo il verbo
“pleroo” “testimonia che Matteo comprende la vicenda di Gesù come evento
escatologico, che conferma l’agire di Dio nella storia della salvezza”.
c. Il terzo possibile senso dell’infinito “plerosai” è quello appena detto. Sicché Gesù
avrebbe voluto dire: “non sono venuto ad abolire la Torah, ma a compierla”, cioè a
rivelarne il senso pieno che essa aveva nell’intenzione originaria di Dio16. Sicché,
potremmo tradurre compiere con ‘confermare’, ‘ratificare’, usando come testo di
confronto 1Re 1,14. Compiere, per Matteo, significherebbe allora riportare la Legge
al suo antico splendore contro le interpretazioni fuorvianti degli uomini. Del resto le
fraintese antitesi matteane, introdotte dal famoso “ma io vi dico” (Mt 5,21-48), vanno
senz’altro interpretate in senso non avversativo, poiché il “de” greco assume qui un
valore precisativo, tale da poter rendere la frase17: “Ebbene, io vi dico”.
In conclusione, affermiamo che il senso del compimento cristiano delle Scritture non è
quello dell’annullamento né della relativizzazione della Torah antica. In Mt il compimento
definisce il rapporto tra AT e NT in modo che nessuno dei due poli viene eliminato o
ridotto. Sicché, non solo la Torah va compresa alla luce del Vangelo ma anche viceversa.
Certamente nel NT è presente anche una novità, da intendersi, tuttavia come surplus di
senso, ricollocazione prospettica. Compiere, dunque, significa dare alla Legge il suo
senso ultimo e definitivo che corrisponde, in verità, al senso originario del legislatore18. In
nota, vale la pena aggiungere una considerazione di Lohfink, il quale ricorda che per gli
antichi era esattamente la tradizione, il “vecchio”, che autenticava il “nuovo” e non
viceversa19.
La Legge non viene resa antiquata e tra essa e Gesù non si pone un “ma”.
3.2. La permanente validità della letteratura ebraica delle Scritture
Questa prospettiva teologica impone ai cristiani una riconsiderazione dell’AT20. Occorre
ricordare, con H. von Camphausen, che il problema della Chiesa antica era quello del
come poter comprendere il Vangelo alla luce delle Scritture ebraiche che erano
riconosciute come veri oracoli di Do.
La riconsiderazione dell’ebraicità di Gesù ha permesso in questi anni un necessario
allargamento ermeneutico del suo insegnamento. Sicché, “la comprensione che il NT ha
della Bibbia ebraica non è alternativa perché ambedue le letture offrono una prospettiva
ermeneutica che richiede una relazione dialogica”21.
14
Ib. 23.
Ib. 24.
16 Ib. 25.
17 Ib. 26.
18 Ib. 27.
19 N. LOHFINK, L’Alleanza mai revocata. Riflessioni esegetiche per il dialogo tra cristiani ed ebrei, Brescia 1991, 43.
20 M. GRILLI, Cit., 28.
21 Ib. 29.
15
3.3. La struttura dialogica dei due Testamenti
I due Testamenti vanno messi necessariamente in dialogo. Cosa comporta questo statuto
dialogico?
a. Anzitutto, “la ricerca di una struttura dinamica, dove ciascuno dei Testamenti trovi
senso in rapporto all’altro”22. Va recuperato, cioè, il carattere relazionale, la reciprocità dei
Testamenti, in tal modo da poter passare dal passato al presente – cioè poggiare l’autorità
del Nuovo sul Vecchio – e viceversa, illuminare la speranza d’Israele attraverso
l’insegnamento di Gesù. In passato il percorso è stato sempre quello di convalidare il
vecchio con il nuovo.
b. Poi, il riconoscimento del valore proprio dell’AT. Scrive Zenger: “la parola dell’AT non è
pre-cristiana né sub-cristiana, come nemmeno a-cristiana o non-cristiana. Una parola
veterotestamentaria è semplicemente cristiana […] senza per questo cessare di essere
ebraica. Un testo veterotestamentario non è costretto a giustificarsi rispetto al NT, né
dev’essere prima battezzato per poter diventare parola di Dio per i cristiani”23. L’At ha una
sua propria dignità che non dipende da quella del NT24.
c. Infine, la comprensione che la riconciliazione tra i Testamenti da una parte dipende da e
dall’altra implica la riconciliazione tra due popoli e due culture tradizionalmente in conflitto,
cioè tra quella ebraica e quella cristiana25.
In conclusione, tutto questo discorso apre forse a molti un interrogativo su quale sia, a
questo punto, il profilo dell’identità cristiana. Ebbe, certamente non si potrà scoprire la
propria identità prescindendo dalle proprie radici26.
22
Ib. 30.
A. ZENGER, Il primo Testamento. La Bibbia ebraica e i cristiani, Brescia 1997, 157.
24 M. GRILLI, Cit., 31.
25 Ib., 32.
26 Ib., 34.
23