le radici teologiche dell` esistenzialismo di a. camus

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le radici teologiche dell` esistenzialismo di a. camus
LE RADICI TEOLOGICHE DELL’ ESISTENZIALISMO DI A. CAMUS
PREMESSA. L’ esistenzialismo di Camus sembra fortemente intriso di tematiche teologiche per
almeno due ordini di motivi: innanzi tutto, i continui riferimenti al Nulla1 hanno qualcosa di mistico
e poetico al tempo stesso e, in secondo luogo, l’ Assurdo sembra scaturire dall’ assenzainafferrabilità di un punto fermo che dia in qualche modo senso alla vita. Appare inoltre, in aggiunta
a quanto detto, significativamente presente la tematica della caduta e della perdita irrimediabile di
qualcosa di molto importante e non surrogabile che rende la vita costitutivamente manchevole.
Infine, i riferimenti, tutto sommato discretamente numerosi contenuti ne Le Mithe de Sisyphe (1942)
alla gnosi, al neoplatonismo, al cristianesimo e la tesi di laurea Métaphysique chrétienne et néoplatonisme (1936), nella quale si tratta di neoplatonismo e cristianesimo passando per lo gnosticismo,
convergono nella delineazione di una Weltanschaaung che potremmo sinteticamente definire di universo teologico deteologizzato: insomma, l’ universo che resta dopo la morte di Dio e che continua a suggerirne l’ esistenza.
Si potrebbe dire anche, con altre parole, che nell’ universo di Camus, il Nulla occupa il posto di Dio
lasciando inalterata la struttura metafisica della costruzione teologica dell’ universo e che questa
contrapposizione, sovrapposizione e scivolamento di piani arricchisce e complica di suggestioni e
sfumature la condizione umana chiamando l’ uomo a dare un senso alla propria esistenza dopo aver
cancellato l’ orizzonte teologico: nascono, infatti, potremmo dire, dal contrasto tra la struttura metafisica del mondo e le aspirazioni umane il senso e la concezione dell’ assurdo nell’ opera dello scrittore francese (Nobel 1957).
L’ opera della quale ci occuperemo prevalentemente, si presenta suddivisa in saggi legati da coerenza tematica più che da organicità di trattazione, relativi a: Un ragionamento assurdo (pp. 5-60),
L’ uomo assurdo (pp. 61-88), La creazione assurda (pp. 89-114), e da Il mito di Sisifo (pp. 115122); in Appendice (pp. 127-137) figura il saggio dedicato a Kafka ed espunto, nella seconda edizione per motivi politici (Kafka era uno scrittore ebreo non gradito al regime di Vichy), a vantaggio
del saggio sul suicidio in Dostoevskij.
La collocazione della raccolta nel contesto dell’ opera di Camus, è agevolata dai progetti di lavoro,
schematici ma efficaci, predisposti dallo scrittore francese e affidati ai Carnets. Di particolare interesse, a tal proposito, la nota che riassume il ciclo letterario dell’ opera camusiana, datata 17 giugno
1947, che mostra, in maniera completa e articolata, la coerenza del progetto con l’ evoluzione dell’
attività letteraria camusiana e la sostanziale stabilità di significato e di concezione riscontrabile nella produzione dello scrittore franco-algerino:
«Sans lendemain»
1. Absurde: l’ Ētranger – Le Mithe de Sisyphe – Caligula et Le Malentendu.
2. Revolte: La Peste (et annexes) – L’ homme revolté – Kaliayev2.
3. Le Jugemente – Le premier homme.
4. L’ amour dèchiré: Le Bûcher – De l’ Amour – Le Séduisant.
5. Creation corrigée ou Le Systéme- grand roman + grand méditation + piece injouable. – (Carnets, II, 201)3
Non sembrano sussistere incertezze di sorta in merito alla collocazione e all’ interpretazione del mito di Sisifo (come opera e come racconto) nel contesto dell’ espressione della categoria fondamentale dell’ opera di Camus: l’ assurdo, incarnato ed espresso dall’ eroe assurdo per eccellenza. Tuttavia, avverte Camus nell’ incipit del libro al fine di controbattere interpretazioni fuorvianti (cioè essenzialmente o prevalentemente politiche) del suo lavoro, Qui si troverà soltanto la descrizione di un
1
A proposito di quanto detto, valga il passaggio seguente: « Sotto uno dei suoi aspetti, il nulla è composto esattamente
dalla somma di vite future che non saranno le nostre.» (MS, p. 58, n.1)
2
Rivoluzionario russo di ispirazione nichilistica denunciato dal capo, Azev, che lo aveva mandato in missione. Camus
lo considera una sorta di esempio-vittima dell’ ideologia rivoluzionaria e della rivolta politica. Ricompare in vari luoghi
di HR, ad es. pp. 810-11.
3
Ed. it. Taccuini, Milano, 1965, p. 172
1
male dello spirito allo stato puro, senza che, per il momento, sia congiunto ad alcuna metafisica né
ad alcuna fede.
I) L’ ASSURDO. Rappresenta, come detto e noto, la categoria centrale e fondamentale della concezione filosofica e dell’ attività letteraria di Camus: l’ assurdo, infatti, non è semplicemente un
concetto quanto, piuttosto, una condizione che Camus descrive attraverso immagini concettuali che
rendono visibile, rappresentandola spesso plasticamente, l’ indecifrabilità e l’ impenetrabilità del
mondo e della realtà per l’ uomo.
Dal punto di vista concettuale, Camus caratterizza l’ assurdo in termini di sostanziale estraneità, di
disappartenenza dell’ uomo al mondo quale esito conclusivo di una spregiudicata indagine razionale: l’ assurdo, infatti, in quanto ragione lucida, che accetta i propri limiti4 segna il momento del divorzio, della separazione (a proposito di immagini concettuali dell’ assurdo!) tra spirito e mondo
puntellati l’ uno contro l’ altro ma che non si abbracciano (MS p. 39). L’ assurdo, scrive Camus
Dipende tanto dall’ uomo quanto dal mondo, ed è, per il momento, il loro solo legame. Esso li suggella l’ uno all’ altro
come solo l’ odio può vincolare gli esseri. E’ tutto ciò che posso chiaramente discernere in questo universo smisurato in
cui si svolge la mia avventura (MS p. 23)
Estraneità radicale, dunque, e non colmabile nemmeno dalla conoscenza più rigorosa (come mostrano i riferimenti a Husserl)5 in quanto fondata su uno stato emotivo-razionale (evidenti le affinità
con l’ angoscia heideggeriana sotto questo profilo – anche se Camus parla di nostalgia), esprimente,
al tempo stesso, l’ evidenza del divorzio tra lo spirito che desidera e il mondo che delude, la nostalgia di unità e la contraddizione che lega l’ una all’ altro.6
Alla dimensione concettuale, Camus collega l’ aspetto emotivo, il senso dell’ assurdo che si alimenta dell’ impotenza esplicativa della ragione:
Un mondo che possa essere spiegato, sia pure con cattive ragioni, è un mondo familiare; ma viceversa in un universo
subitamente spogliato di illusioni e di luci, l’ uomo si sente un estraneo, e tale esilio è senza rimedio, perché privato dei
ricordi di una patria perduta o della speranza di una terra promessa. Questo divorzio tra l’ uomo e la sua vita, fra l’ attore e la scena, è propriamente il senso dell’ assurdo. (MS p.9-10)
Il senso dell’ assurdo origina dunque dall’ inconciliabilità riconosciuta di mondo e spirito ed è, in
pari tempo, la nostalgia di tale unità irrimediabilmente compromessa: per questo possiamo considerare intrinsecamente legati pensiero e nostalgia e ritenere la nozione camusiana di assurdo un inestricabile nodo emotivo-razionale in cui pensieri ed evidenze sensibili si sostengono e contraddicono con pari vigore e valore.7
Le evidenze che spiegano e fondano il dramma umano nella sua essenza, sono individuate da Camus nell’ esigenza di familiarità e brama di chiarezza (cfr. MS p. 20), nella nostalgia di unità e
brama di assoluto (idem), nella consapevolezza (forse presupposto indispensabile) dello stacco insanabile, dell’ abisso uomo-mondo che nessuna scienza o conoscenza può colmare o attenuare (cfr.
MS p. 22).
Camus contrappone, in altri termini, le istanze vitali e irrazionali dell’ uomo, alla miseria del dicibile, al mondo dei fatti e degli accertamenti scientifici nella convinzione che, quand’anche la scienza
risolvesse tutti i problemi concernenti i fatti, la condizione umana non ne trarrebbe vantaggio alcuno: non diminuirebbe, infatti, in nessun modo il contrasto tra il silenzio irragionevole del mondo e
la nostalgia umana.8
4
«L’ assurdo è la ragione lucida che accetta i propri limiti» (MS p. 46)
«Kierkegaard sopprime la mia nostalgia e Husserl riunisce quest’ universo» (MS p. 47)
6
«divorzio tra lo spirito che desidera e il mondo che delude, è la mia nostalgia di unità; l’ universo disperso e la contraddizione che lega l’ una all’ altro» (MS p. 46)
7
«Il pensiero di un uomo è innanzi tutto la sua nostalgia.» (MS p. 46)
8
«L’ assurdo nasce dal confronto tra il richiamo umano e il silenzio irragionevole del mondo.» (MS p. 28)
5
2
Sono presenti, a questo punto, gli elementi che compongono la triade camusiana dell’ assurdo: la
nostalgia dell’ unità col tutto (una sorta di paradiso perduto – cfr. MS p. 17), l’ irrazionalità (insensatezza e inutilità, ma anche conflitto della ragione con se stessa) dell’ esistenza e l’ assurdità (l’ assenza di soluzioni o di vie d’ uscita) caratteristiche della condizione umana.9
La perdita dell’ intimità col mondo, di cui la nostalgia è segno, assume connotazioni che oserei definire epistemologiche nel momento in cui viene posto un limite invalicabile alla conoscenza e decade il tramite teologico, cioè la comune origine creazionistica, di uomo e mondo e, con essa, il presupposto e la condizione dell’ accordo armonico, per così dire, tra fatti e valori: ad essere messa in
discussione, infatti, non è tanto l’ affermazione dell’ esistenza di Dio, quanto la logica che vi conduce (cfr. MS p. 40, n).
La logica che conduce a Dio e che confligge con le evidenze dell’ uomo assurdo, è che il tutto sia
spiegabile (la pretesa della ragione scientifica) e dotato di intrinseca razionalità (la pretesa della morale): negando le pretese di assolutezza della ragione umana, Camus recide il legame ontologico tra
mondo e Dio e tra ragione e fatti esaltando la radicale disarmonia tra dicibile e pensabile da una parte e istanze vitali dall’ altra. In altri e più radicali termini, nessuna spiegazione che non sia in grado
di soddisfare o lenire la nostra brama di eternità, è una spiegazione per noi interessante.
Nell’ ottica dell’ aspirazione all’ eternità, si comprende meglio perché il problema del rapporto uomo-Dio si collochi, per Camus, interamente ed essenzialmente nella sfera morale come problema
della libertà. In sostanza, l’ assurdo, il problema della libertà e il problema morale, si riannodano
prepotentemente per non dire indissolubilmente, secondo Camus, al problema teologico:
L’ assurdità particolare a questo problema deriva dal fatto che la stessa nozione che rende possibile il problema della
libertà, gli toglie al tempo stesso ogni senso, in quanto di fronte a Dio esiste piuttosto un problema del male che un problema della libertà. Conosciamo l’ alternativa: o non siamo liberi, e Dio onnipotente è responsabile del male; o siamo
liberi e responsabili ma Dio non è onnipotente. (MS, p. 52)
La rilettura camusiana del problema della libertà nel contesto e nel contrasto con l’ onnipotenza divina mette in evidenza la duplicità della tesi esistenzialista dell’ incompatibilità tra (o incompossibilità) tra verità e morale: dal punto di vista teologico, sottolineando l’ equivalenza delle ragioni e dei
comportamenti, rende improbabile qualsiasi tentativo di fondazione della morale in seguito alla negazione dell’ esistenza di Dio; dal punto di vista antropologico, la medesima equivalenza delle azioni, si converte nell’ affermazione metafisica del nulla e della conseguente assurdità della condizione umana.
In sostanza, se Dio non esiste, tutto è permesso, ma la vita non ha senso; se esiste, non siamo liberi
e le nostre azioni sono prive di valore: la verità metafisica, teologica o nichilistica che sia, priva la
morale del cardine fondamentale della responsabilità: in un universo teologico non siamo liberi, in
uno nichilistico tutto è indifferente.
Sono questi i termini dell’ assurdo incarnato dai personaggi dostoevskijani (ad es. Ivàn Karamazov,
Stavrogin, Kirillov) con la sola possibile via d’ uscita incarnata da Alëša Karamazov esplicitati e
sintetizzati da Camus nella contrapposizione non mediabile (in questo senso critica, segno, cioè di
crisi e di stacco) tra giudizi di fatto e giudizi di valore.10
Originano, inoltre, da queste considerazioni le analogie con l’ atteggiamento esistenziale degli gnostici e il confronto privilegiato con gli esponenti dell’ esistenzialismo tra i quali spicca, per affinità e
per importanza, Kierkegaard.
Lo sfondo teologico delle riflessioni del pensatore danese, che si accompagna costantemente agli
interrogativi sul destino e sulla condizione umana, trova un riscontro preciso e importante nell’ os-
9
«L’ irrazionale, la nostalgia umana e l’ assurdo, che sorge dalla loro intima conversazione: ecco i tre personaggi del
dramma, che deve necessariamente finire con tutta la logica di cui un’ esistenza è capace.» (MS p. 28)
10
«Tutto il problema dell’ assurdo dovrebbe potersi concentrare su una critica del giudizio di valore e del giudizio di
fatto.» (Taccuini, II, p. 66)
3
servazione secondo cui Kierkegaard conferisce al suo Dio «gli attributi dell’ assurdo: ingiusto, illogico, incomprensibile.» (MS, p. 38)
La forte saldatura col pensiero kierkegaardiano, mette in secondo piano le affinità con gli altri esponenti dell’ esistenzialismo: Heidegger, ad esempio, che riconduce l’ origine dell’ assurdo all’ essere
nel tempo o per la morte (cfr. MS p. 16); oppure gli esponenti dell’ esistenzialismo religioso che nasce dall’ umiliazione della ragione: Chestov, Jaspers, lo stesso Heidegger in parte.
Kierkegaard, in definitiva, è il più interessante (cfr. MS, p. 26) perché ha saputo vedere l’ inscindibilità radicale e la coappartenenza reciproca tra vivere e dar vita all’ assurdo:
Vivere è dar vita all’ assurdo. Dargli vita è innanzi tutto saper guardarlo. Al contrario di Euridice, l’ assurdo muore soltanto quando gli si voltano le spalle. (MS, p. 50)
Traducendo e sintetizzando nel linguaggio dell’ orizzonte teologico deteologizzato, possiamo dire
che l’ assurdo riflette ed esprime la condizione di lucida disperazione dell’ uomo che non avverte
via d’ uscita e si sente irrimediabilmente in colpa: esclusi salvatori, infatti, sostiene Camus si può
arrischiare la seguente enormità:
l’ assurdo è il peccato senza Dio (MS, p. 39)
Cioè, la coscienza della colpa, della condanna senza rimedio: in questo senso il mito di Sisifo incarna ed esprime la condizione e il destino dell’ uomo che accetta lucidamente la propria eterna condanna ma non si rassegna.
Si potrebbero recuperare, mi sembra, nella costruzione camusiana dell’ assurdo, i termini della triade cartesiana io, mondo, Dio elidendo la funzione di garanzia e di armonizzazione svolta da quest’
ultimo ottenendo un riferimento ulteriore utile per spiegare la nostalgia di unità in chiave meno mistica rispettoa Plotino, e ottenendo, al tempo stesso, una sorta di deteologizzazione che conserva e
racchiude il problema teologico come metafisica influente.11
Un appunto dell’ autunno del 1942 chiarisce quanto appena detto e ribadito in merito alle radici teologiche della concezione camusiana ma, soprattutto, precisa senza ombra di dubbio cosa lo scrittore
francese indichi con nostalgia e quale sia la genesi e la funzione rivestita dalla nostalgia nel contesto dell’ assurdo:
Développement de l’ absurde:
1) si le souci fondamental est le besoins d’ unité;
2) si le monde (ou Dieu) n’y peuvent satisfaire.
C’est a l’ homme de se fabriquer une unitè, soit en se detournant du monde, soit a l’intérieur du monde. Ainsi se trouvent restituées une morale et une ascése, qui restent à préciser. (Carnets, II, p. 193)
Da notare il riferimento a Dio incapace di soddisfare il bisogno di unità e la sua alternatività rispetto
alla natura. Questa considerazione insieme ai temi emersi in Metafisica cristiana e neoplatonismo,
consolidano notevolmente la chiave di lettura teologica, come sfondo e come radice, dell’ esistenzialismo di Camus.
Emerge, in sostanza, da queste osservazioni, la messa in discussione del rapporto uomo-Dio e uomo-natura in termini di contrapposizione metafisica e morale che Camus esprime così:
traggo dall’ assurdo tre conseguenze, che sono la mia rivolta, la mia libertà, la mia passione. Per mezzo del solo giuoco
della coscienza, trasformo in regola di vita ciò che era un invito alla morte – e rifiuto il suicidio. (MS, p. 59) 12
11
Ovvero, per una interessante variazione, «Segreto del mio universo: immaginare Dio senza l’ immortalità umana.»
(Taccuini, II, p. 18)
12
«Vivere un’ esperienza, un destino, è accettarlo pienamente.» (MS, p. 50)
4
Sebbene privo di uno sviluppo sistematico, Camus non si sentiva e non voleva essere filosofo perchè non credeva abbastanza nella ragione,13 rileviamo che tutti gli ingredienti dell’ assurdo camusiano ad eccezione del rifiuto del suicidio, sono caratteristici dell’ atteggiamento degli gnostici e costituiscono gli elementi del confronto con questa curiosa e suggestiva anomalia del pensiero cristiano.
II) IL CONFRONTO CON LA GNOSI. La pregnante caratterizzazione della gnosi come ellenizzazione acuta del cristianesimo di A. von Harnack, (condivisa da Camus che parla di riflessione
greca su temi cristiani)14 mette in luce due delle componenti essenziali di questa singolarissima visione del mondo che tenteremo di riassumere e presentare sinteticamente e nei tratti fondamentali o,
almeno, più significativi dal nostro punto di vista, senza pretese di completezza o di esaustività.
Pretese tanto più infondate e ingiustificate dopo l’ importantissimo ritrovamento di numerosi manoscritti a Khenoboskion del 1949 che hanno permesso di ricostruire e rileggere la storia e le tesi
del movimento senza l’ ausilio delle lenti deformanti degli eresiologi cristiani, ma non ancora sufficientemente decodificati e interpretati nella loro interezza e nel significato complessivo.
- origini della gnosi. La gnosi, sinonimo di conoscenza perfetta o sapienziale delle strutture visibili
e invisibili del cosmo, si diffonde soprattutto in Asia minore agli inizi dell’ era cristiana (I secolo d.
C. in particolare), riprendendo elementi di varia origine ed estrazione culturale: mistico-magica,
ermetica, astrologica, oltre che religiosa in senso stretto.
Un discorso più attendibile e preciso richiederebbe una trattazione più ampia e specifica in grado di
distinguere movimenti, sette ed evoluzioni storiche: una trattazione sistematica esula, però, dai limiti del presente lavoro. Tanto per dare un esempio dell’ estrema varietà degli atteggiamenti, si consideri la presenza di gnostici che sembrano originare da sette ebraiche (esseni, samaritani, ebioniti,
etc.), ipotesi confermata dai citati ritrovamenti, accanto a sette come gli ofiti che riprendono pratiche e miti dei misteri greci.15
Un’ ascendenza culturale da sottolineare è però certamente la metafisica della Luce di origine iranica (riconducibile quasi certamente al Poema della creazione o Bundahišn).
Non mancano riprese e reinterpretazioni di passi del Vecchio Testamento, più o meno apocrifi o
non accolti nel canone biblico quali il Libro dell’ Arcangelica di Mosè e il Testamento di Salomone
arricchito di miti magici.
Il padre fondatore della gnosi è un certo Eugnosto (anche Gogessos) cui vengono attribuite le rivelazioni contenute negli Insegnamenti di Silvano e nella Rivelazione di Dositeo.
La grande diffusione e varietà delle sette gnostiche, spiegano la preoccupazione dei padri della
Chiesa (il Panarion o Confutazione della falsa gnosi di Ireneo, 180 d.C. è un documento importante
da questo punto di vista), confermata dai Philosophumena, trova un riscontro ulteriore, come detto,
nei ritrovamenti di testi riconducibili allo gnosticismo in Siria, nell’ alto Egitto, etc.16
- le tesi. Dovendo rinunciare per forza di cose ad ogni pretesa di esposizione unificante, ci limiteremo a richiamare alcuni dei tratti caratteristici e fondamentali che possano aiutarci a comprendere
e collocare il riferimento di Camus agli audaci gnostici e soffermandoci, in particolare, sul senso di
disagio nel mondo che sembra accomunare gli gnostici e Camus.
Il problema fondamentale degli gnostici, riassumibile nella ricerca di una spiegazione dell’ origine
del male, si articola in due momenti distinti e complementari: per un verso si fonda su una distinzione antropologica, per l’ altro si avvale di una vera e propria cosmologia.
13
In un’ intervista concessa nel 1945 alla rivista svizzera Servir, dichiara: «Je ne suis pas un philosophe. Je ne crois assez à la raison pour croire à un système. Ce que m’intéresse, c’est de savoir comment il faut se conduire. Et plus précisement comment on peut se conduire quand ne croit ni en Dieu ni en la raison.» (Essais, Paris, 1965, p. 1427 ; p. 57 n.
25)
14
In Metafisica cristiana e neoplatonismo, Camus dedica il II capitolo, (pp. 41-65 dell’ ed.it., Diabasis, Reggio Emilia,
2004). Il riferimento citato si trova a p. 41.
15
Con grande chiarezza in MCN «La Grecia trova seguito nel cristianesimo. Ed esso si trova preformato nel pensiero
greco.» (p. 15)
16
Notizie più ampie e dettagliate si possono trovare nel lavoro ormai classico di H. Jonas, Lo gnosticismo, e nella Storia
delle religioni curata da H. C. Puech pubblicata in Italia da Laterza, vol VIII.
5
La mescolanza fortuita di bene e male nel mondo e nelle azioni umane, è dovuta alla diversa appartenenza al regno del bene (Luce) o del male (Tenebre) degli esseri umani.
Accanto alla provvisoria distinzione in sessi, la complessa e articolata antropologia gnostica prevede tre sfere di appartenenza: la sfera degli pneumatici coloro, cioè, che sono dotati di spirito e consapevoli di appartenere ad un mondo superiore; gli esseri psichici dotati cioè di anima ma non di
spirito (cioè di consapevolezza), che devono essere illuminati; gli ilici intessuti di materialità e condannati alla dannazione.
La cosmologia gnostica considera il mondo una copia decaduta e imperfetta degli elementi superiori
ed eterni che costituiscono il mondo pleromatico e di cui il mondo storico, ontologicamente inferiore, conserva solo qualche pallida traccia.
Il dualismo gnostico è radicale: la contrapposizione della perfezione del mondo divino, nella conoscenza del quale consiste la vera gnosi, all’ imperfezione del mondo terreno, conduce alla convinzione, ribadita in vario modo nelle diverse sette, che i due mondi non possono essere stati creati dalla medesima divinità.
Al dualismo metafisico e cosmologico, gli gnostici aggiungono un altrettanto radicale dualismo antropologico sottolineando il contrasto tra materia e spirito (dunque tra anima e corpo) e mettendo in
dubbio la somiglianza dell’ uomo con l’ immagine dell’ anthropos supremo (la doppia creazione di
Adamo).
Riprendendo, con ogni probabilità, miti di origine iranica, il dualismo radicale degli gnostici racconta, in qualche caso (ad es. i nicolaiti), di un’ aggressione originaria delle acque Tenebrose nei
confronti della Luce attraverso l’ elemento intermedio dell’ Aria che rompe l’ armonia originaria e
cattura elementi del mondo superiore che occorre liberare: l’ analogia col poema iranico della creazione, il Bundahišn, non deve far passare in secondo piano la ripresa degli elementi caratteristici
delle cosmologie naturalistiche greche.
Più spesso, la rottura dell’ armonia cosmica è provocata dalla pochezza di Ialdabaoth (prototipo del
demiurgo trickster) responsabile della rottura delle sizigie (coppie armoniche e perfette di maschile
e femminile): alla perdita dell’ armonia, segue la nascita di un eone (mondo completo in se stesso)
tenebroso e materiale ontologicamente inferiore.
In linea con le considerazioni rapidamente esposte, aggiungiamo che la soteriologia gnostica prevede, di conseguenza, la liberazione degli elementi spirituali catturati dalla materia, attraverso al dissoluzione dei vincoli che impediscono all’ elemento divino presente nell’ uomo di ascendere.
- la cosmologia gnostica. Soffermandoci più dettagliatamente sul romanzo metafisico della gnosi,
(Camus parla non senza ironia di kermesse metafisica, cfr. MCN, p. 41) possiamo dire che propone
un modello emanatistico in cui la potenza divina si disperde ed esercita attraverso potenze intermedie disposte in ordine gerarchico digradante, in cui accanto alla riprese di temi e figure della tradizione ermetica e magica, possiamo coglier analogie con il neoplatonismo e con i miti mesopotamici
della discesa di Inanna (Ishtar).
La perfezione eterna dell’ eone supremo è detta Pro-padre, il suo pensiero è Silenzio e contemplazione immobile di se stesso, la sua potenza si dispiega geometricamente nel cosmo attraverso l’ unione del Pro-padre col proprio pensiero da cui nasce il Pleroma (mondo della pienezza e perfezione divina) delle sizigie: di unione in unione, sebbene in maniera non del tutto chiara, il processo di
digradazione e caduta prosegue fino a compiersi nell’ assoluta imperfezione dell’ eone materiale.
In alcuni miti gnostici, la responsabilità e il danno della generazione è attribuito ad una divinità
femminile Prunikos (oppure Akhamoth o Pistis Sophia), lasciva che, a seconda delle sette e delle
evoluzioni interne alla stessa setta, in forme e modi diversi, è responsabile dell’ origine del mondo
materiale attraverso la generazione, o per orgoglio, o perché attratta dal mondo fisico: il mostro nato
dall’ unione col mondo fisico viene nascosto al Pleroma con un velo che rappresenta il cielo delle
stelle fisse, cioè il confine del mondo materiale.
Ialdabaoth, questo il nome del mostro (anche Sacla, Ariael o Samael) conserva una traccia del
mondo divino, derivata dalla madre, è condannato a non vedere, a causa del velo, la luce e a signoreggiare sull’ abisso in cui la madre è stata relegata per la vergogna.
6
Dall’ unione con la propria ignoranza, Ialdabaoth genera il mondo materiale su cui dominano le 12
potenze (arconti), identificate spesso con i segni zodiacali, stupide e malefiche che occorre neutralizzare, durante il pecorso di ritorno al pleroma, con formule apposite note agli iniziati. Sotto gli arconti, si dispongono i 360 (o 365) Arcangeli che testimoniano della sottomissione del mondo materiale al tempo finito (le concezioni fatalistico-astrologiche si traducono in determinismo fisico).
I lamenti e il pentimento di Sophia commuovono le potenze superiori che la traggono dall’ abisso e
la collocano in una regione intermedia in attesa che ritorni ad essere degna del mondo superiore da
cui proviene (notevoli, anche in questo caso, le analogie col mito di Ishtar e col neoplatonismo).
- antropologia gnostica. L’ antropologia gnostica che qui riassumiamo nella versione valentiniana
come una sorta di commento al Genesi, si fonda principalmente sul problema del peccato originale
e sulla figura di Adamo in particolare su quella che gli gnostici definiscono seconda creazione. In
Genesi I, 1; II, 3; II, 4; la creazione di Adamo viene attribuita a agli dei (Elohim) mentre in Giobbe
I, 6 è attribuita a Yahweh: inizia qui probabilmente la distinzione tra il Dio del Vecchio Testamento
e il Dio del Nuovo Testamento proposta da Marcione e sviluppata da Valentino.
Adamo, creato dal cattivo demiurgo, si proclama unico Dio ma viene subito contraddetto (Libro segreto di Giovanni) dall’ affermazione, voce dall’ alto, che esiste l’ Uomo e il Figlio dell’ Uomo. Alla rivelazione segue l’ apparizione sulle acque del riflesso dell’ Anthropos primordiale che il Demiurgo e gli angeli tentano affannosamente di copiare.
Il modello ottenuto, però, è privo di vita e le potenze superiori, allo scopo di recuperare la particella
divina presente in Ialdabaoth, gli consigliano di insufflarla nel corpo materiale di Adamo che risplende immediatamente di luce scatenando la violenta reazione dei creatori che decidono di rinchiuderne lo spirito in un corpo materiale e di scaraventarlo nel paradiso terrestre - luogo di finta
beatitudine.
Deluso per non essere riuscito a recuperare la propria scintilla attraverso Eva, creata apposta, Ialdabaoth la violenta: da quest’ unione nascono Caino e Abele, finta progenie di Adamo, il cui primo
vero figlio è, invece, Seth.
La cacciata dal paradiso terrestre di Adamo ed Eva è solo uno dei tanti episodi di accanimento contro l’ umanità, un altro segno di aperta ostilità è rappresentato dal diluvio universale destinato a
sterminare gli eletti che, invece, grazie a Noè, si salvano.
La gnosi, o epinoia di Luce o Logos, è ormai parte dell’ umanità e deve essere solo risvegliata ad
opera degli inviati (i profeti) delle potenze superiori.
Il percorso della salvezza dell’ anima riproduce a rovescio la caduta. Durante la discesa, l’ anima
riceve, nei diversi cieli, le attitudini o qualità che la caratterizzeranno nel rapporto col mondo materiale. Come per i Pitagorici, il percorso di salvezza si compie ascendendo e attraversando i cieli della via Lattea custoditi da severi e poco collaborativi guardiani che tenteranno di ostacolare l’ ascesa.
L’ ostacolo rappresentato dai guardiani è neutralizzato dalle formule apprese dagli iniziati e in grado di facilitare l’ iter. Le anime meno fortunate rischiano di rimanere ferme in qualche cielo intermedio (la versione gnostica del purgatorio) mentre le anime sfortunate, cioè quelle meno preparate
a rispondere, ricadono sulla terra: per questo le pratiche rituali tendevano ad istruire gli iniziati suggerendo i modi migliori per evitare o eludere la signoria degli arconti del mondo inferiore e a favorire l’ ascesa dell’ anima dopo la morte insegnando, soprattutto, a farsi riconoscere dai guardiani del
regno della Luce (importanti sotto questo aspetto I Libri di Ieu).
Nelle soteriologie di ascendenza iranica, la salvezza si compie, per lo più, nel momento in cui una
potenza di Luce (Grande Madre, Seth o Gesù), discesa negli Inferi, riesce a liberare Adamo dalla
prigione del corpo.
Sulla radicale svalutazione del mondo fisico e del corpo, fondano il rifiuto dell’ incarnazione del
Salvatore (una degradazione inconcepibile) e ricavano una morale perlomeno ambivalente oscillante pericolosamente tra il libertinaggio estremo (tutto ciò che riguarda il corpo è indifferente per lo
spirito) e l’ estrema ascesi (tutto ciò che riguarda il corpo è male) riconducibile, naturalmente, al significato metafisico attribuito al corpo.
7
Riassumendo rapidamente possiamo dire che, del mondo ellenico, gli gnostici riprendono gli aspetti
vitalistici ed esoterici connessi alle celebrazioni misteriche (rielaborate e reinterpretate secondo i
miti e i simboli del cristianesimo) e la visione dualistica del mondo e dell’ uomo di ascendenza platonica. Del cristianesimo, invece, riprendono e accentuano la contrapposizione tra legge, rappresentata dal Dio dell’ Antico Testamento, ed etica dell’ amore presente e caratteristica del Nuovo Testamento: ne scaturisce una serie di dualismi e contrapposizioni, a vari livelli, che forniscono un
quadro problematico estremamente interessante dell’ essere e della condizione dell’ uomo nel mondo su cui poter fondare le analogie con alcune delle tematiche e problematiche centrali dell’ esistenzialismo di Camus anticipate, in un certo senso, dal pensiero gnostico: l’ atteggiamento ambivalente
nei confronti del corpo; la rivolta metafisica contro l’ ordine cosmico negatore della volontà e delle
istanze profonde della natura umana; il senso di estraneità dell’ uomo rispetto al mondo in cui vive,
il chieder conto a Dio dell’ esistenza del male e della morte.
Le affinità di atteggiamento nei confronti della vita, la nostalgia del paradiso perduto e il senso di
rivolta contro l’ ordine metafisico rappresentano punti di contatto suggestivi e significativi a sostegno dell’ ipotesi che l’ assurdo di Camus si radichi in un terreno teologico nella misura in cui si
configura come aspirazione delusa alla totalità, come nostalgia o peccato senza Dio.
Possiamo pertanto sostenere che l’ interesse costante manifestato da Camus nei confronti degli audaci gnostici17, nasce, in sostanza, dalla simpatia, profonda, nei confronti dei primi radicali interpreti, a modo loro naturalmente, del disagio umano e del primo tentativo di spiegazione dell’ origine
del male nel mondo dopo la cristianizzazione dell’ Occidente.
In questo senso possiamo considerare gli gnostici anticipatori e messaggeri della rivolta contro
l’ordine metafisico-teologico del mondo e come i primi critici radicali del superficiale ed ingiustificato ottimismo riguardo il destino e la condizione umana.
III) I MODELLI ANTROPOLOGICI DELL’ ASSURDO. Ne discende, mi sembra di poter dire,
un’ antropologia, nel senso più ampio del termine, cioè di indagine a tutto campo sul destino, la natura e la condizione umana che tenteremo di ricostruire attraverso i riferimenti più significativi concernenti filosofi, romanzieri, personaggi letterari etc., presenti nella produzione camusiana.
Prima di addentrarci nell’ esposizione, e a titolo prevalentemente introduttivo (sebbene costituisca,
di fatto, l’ indispensabile premessa), dovremo dedicare una specifica attenzione al problema del
corpo come condizione e limite dell’ essere nel mondo.
Occorre precisare inoltre (e la precisazione ha anche il significato di avvertenza preliminare valida
per tutti i personaggi e le figure – spesso volutamente estremizzati, di cui tratteremo da qui in avanti), che la caratteristica che li accomuna è costituita dal rifiuto di tutte quelle illusioni del quotidiano
che sono funzionali all’ occultamento o al travisamento dell’ assurdo (cfr. MS, p. 86).
In definitiva, queste immagini, non propongono, secondo le parole di Camus, una morale e non obbligano a un giudizio: non sono che disegni, e rappresentano soltanto uno stile di vita. L’ amante, il
commediante, o l’ avventuriero recitano l’ assurdo. Ma se lo vogliono, lo possono altrettanto bene
il casto, il magistrato o il presidente della repubblica (cfr. MS, p. 86).
In altre parole, «l’ assurdo camusiano è l’ evento di un movimento della coscienza al mondo, e
quindi giudizio o rapporto dell’ attuazione del senso».18
Insomma l’ assurdo è si un fenomeno della coscienza, ma di una coscienza che si rapporta al corpo
presupponendolo e che, attraverso questo, si relaziona al mondo.
- il corpo. I riferimenti al corpo presenti nei saggi accolti in Le Mithe de Sisyphe, hanno lo scopo,
principalmente, di sottolineare il contrasto tra il corpo come strumento (medium del nostro rapporto
col mondo) e il corpo come limite, fisico e metafisico, invalicabile e imprescindibile del nostro essere nel mondo. Il corpo, in altri termini, nella misura in cui rappresenta lo strumento e il segno della condizione umana, costituisce il presupposto e la condizione di dis-appartenenza tra uomo e
mondo.
Cfr. il gia citato MS p. 109, e l’ ampio e dettagliato excursus in L’ homme revolté, (cfr. Camus Opere, Milano, 2000,
pp. 658-9), oltre, naturalmente a Metafisica cristiana e neoplatonismo cit.
18
M. Del Vecchio La fenomenologia dell’ assurdo in Albert Camus, Firenze, La Nuova Italia, 1979, p. 7 n.
17
8
I riferimenti al corpo sono densi, quindi, di richiami e suggestioni metafisiche: per quanto concerne
l’ irriducibilità della condizione umana alle paure dell’annientamento; dal punto di vista esistenziale
per il perenne contrasto tra le istanze dell’ interiorità mediate dal corpo e per il senso di estraneità
che ne deriva. In sostanza, le considerazioni che verremo sviluppando, ruotano intorno al criterio di
equivalenza che Camus formula nei termini che seguono:
Il giudizio del corpo vale quanto quello dello spirito, e il corpo indietreggia davanti all’ annientamento. (MS, p. 11)
L’ interessantissima ripresa del lamento contenuto nel Diario kierkegaardiano relativo alla mancanza di un corpo19, ci consente di dire che il corpo, nella misura in cui incarna ed esprime le aspirazioni profonde dell’ anima umana, non è mera naturalità, bensì parte integrante del destino e della
condizione umana. Vengono in mente le parole di Kiekegaard sull’ uomo come rapporto che si rapporta a se stesso ma che, per diventare coscienza e spirito, deve procedere oltre la semplice sintesi
degli estremi e oltre la conflittualità.20
Il corpo ci permette di vivere nel presente, il pensiero guarda più lontano, annota Camus, che avverte: ridurre lo spirito al corpo, cioè alla preoccupazione dell’ annientamento, significa spalancare le
porte alla disperazione.21
Insomma, all’ equivalenza del giudizio non corrisponde l’ equivalenza delle conseguenze.
Le riflessioni sul corpo si completano, in ogni caso, attraverso le osservazioni sugli interpreti più significativi della corporeità secondo Camus: l’ attore e il dongiovanni.
- L’ attore. Nella fenomenologia dell’ assurdo tracciata dallo scrittore francese, la figura dell’ attore, viaggiatore delle anime e del tempo (cfr. MS, p. 75), esprime pienamente la funzione strumentale svolta dal corpo nei confronti dello spirito.
Nella misura in cui, infatti, l’ attore è costretto dalla sua professione ad esprimere uno spirito non
suo, e nella misura in cui riveste di gesti lo spirito, cioè dà carne22 (corpo, appunto) alle forme fantasmatiche dei personaggi che interpreta, è una figura che esprime l’ apparenza, cioè, la mancanza
di un proprio destino nonostante ne incarni molti: proprio questa paradossale, per certi aspetti, situazione lo trasforma, secondo Camus, in mimo del caduco (cfr. MS, p. 75).
Inoltre, in quanto re del perituro (cfr. MS, p. 76), l’ attore rappresenta il trionfo dell’ effimero, dell’
apparenza e, nel passare da un personaggio all’ altro, esprime, al tempo stesso:
1. la condizione dell’ uomo immerso nel tempo e assorbito dal quotidiano. In questo senso, osserva Camus, l’ attore rappresenta e compie, variandolo, il destino dell’ uomo comune che
vorrebbe vivere tante vite contemporaneamente e non potendo, si accontenta della poesia
che riesce a cogliere nei destini rappresentati, senza doverne soffrire l’ amarezza: per queste
ragioni, cioè essenzialmente per illudersi di poter moltiplicare il proprio essere nel mondo si
appassiona al teatro (cfr. MS, p. 73).
2. la parabola dell’assurdo attraverso la paradossale situazione, come detto, di avere tante anime compendiate in un solo corpo (cfr. MS, p. 77) e di essere abitato, per così dire, da diverse istanze e da diversi destini non suoi.
Il corpo per l’ attore è, dunque, essenzialmente un contenitore indifferente, un mezzo per viaggiare,
conoscere e conoscersi.23
- Don Giovanni. All’ opposto dell’ attore, il dongiovanni usa il corpo sempre allo stesso modo, potremmo dire, ovvero per incarnare sempre il medesimo destino, il suo, senza inganno e senza illusioni. Rigettando le interpretazioni psicanalitiche o moralistiche della figura di Don Giovanni, Ca-
19
«Ciò che in fondo mi manca è un corpo e le condizioni fisiche dell’ esistenza.» (MS, p. 38)
Cfr. La malattia mortale, Mondadori, Milano, 1991, p. 11.
21
«La pensée est toujours en avant. Elle voit trop loin, plus loin que le corps qui est dans le présent. Supprimer l’ esperance, c’est ramener la pensée au corps. Et le corps doit pourrir.» (Carnets, I, cit. p. 128)
22
«La legge di quest’ arte vuole che tutto sia esagerato e tradotto in carne.» (MS, p. 76)
23
«Le corp, vrai chemin de la culture, il nous montre nos limites.» (Carnets, II, Gallimard, Paris, 1962, p. 90)
20
9
mus lo ritrae come il modello dell’ uomo assurdo, non triste perché, privo com’è di illusioni sull’
amore e sul mondo, egli, scrive Camus, sa e non spera (cfr. MS, p. 66)
Don Giovanni, nella misura in cui riscatta la volgarità del seduttore con la consapevolezza che “Tutto è permesso”, mette in atto un’ etica della quantità che lo colloca in una posizione ambivalente,
neutra e indefinibile al tempo stesso, nei confronti dell’ etica filosofica tradizionale: per un verso,
infatti, come seduttore andrebbe perlomeno riprovato; per l’ altro, però, in quanto esprime la propria
natura è innocente in un senso che chiariremo meglio tra poco.
Il Don Giovanni di Camus, insomma, non è un deluso sostenitore della vanità di tutte le cose, anzi,
al contrario di Faust «che credette abbastanza in Dio per vendersi al diavolo» (MS, p. 67), egli
conserva inalterata la propria anima dopo ogni conquista: per questo è sempre pronto a ricominciare. Per lui, il corpo non è una meta, ma una tappa e un mezzo per viaggiare senza meta.
Sotto questo profilo, la contrapposizione tra l’ etica di Don Giovanni e l’ etica del santo, mostra,
fondamentalmente, che godimento e ascesi possono essere considerate due facce di una stessa miseria (cfr. MS, p. 72), due risposte, alternative e complementari, all’ assurdità della condizione umana
incatenata, dal punto di vista etico, al dilemma “Tutto è bene” e “Tutto è permesso” che Camus indaga attraverso i personaggi di Dostoevskij.
- Dostoevskij e Kirillov. I personaggi di Dostoevskij esprimono in molti modi le convinzioni e i
drammi artistici ed esistenziali del grande romanziere russo. In primo luogo, la convinzione, di Camus ma valida anche per Dostoevskij, che l’ arte sia essenzialmente segno dell’ incomprensibilità
del mondo (cfr. MS, p. 95); in secondo luogo, perché è dal punto di vista dell’ incomprensibilità del
mondo che la grandezza e la radicalità, etica ed esistenziale, delle creature di Dostoevskij si coglie
pienamente.
Camus intreccia una sorta di dialogo a distanza tra i personaggi dostoevskijani e tra questi spicca,
per problematicità ed intensità, la figura di Kirillov: il personaggio che più compiutamente incarna e
vive sulla propria pelle l’ enigma dell’ esistenza assurda.
Camus individua il nucleo della riflessione dostoevskijana in quello che potremmo indicare come il
problema esistenziale fondamentale, cioè la contrapposizione insanabile tra verità ed eternità da una
parte e verità e morale dall’ altra: «O l’ esistenza è menzognera o è eterna.» (MS, p. 101).
Kirillov, al pari di Dostoevskij, è vittima del contrasto tra le evidenze sensibili per il cuore che bisogna rendere evidenti alla mente (e viceversa). Cioè, secondo Camus:
Sente che Dio è necessario e che bisogna pure che esista, ma sa che non esiste e che non può esistere. (MS, p. 102)
Kirillov, una volta convintosi della non esistenza di Dio, ritiene la vita priva di senso e indegna, in
ultima analisi, di essere vissuta: così motivato, il suicidio realizza, al tempo stesso, una sorta di equivalenza tra morte e vita (per Kirillov è indifferente vivere o morire così come è indifferente il
momento in cui smettere di esistere) e rappresenta un atto che ha tutto il sapore della serena (Kirillov si definisce felice) rivolta metafisica contro l’ ordine costituito (cfr. MS, p. 102).
La cancellazione dell’ orizzonte teologico, impone, in un certo senso, all’ umanità l’ obbligo di
prenderne il posto e di restituire senso alla vita. Da questo punto di vista, il suicidio di Kirillov traduce ed esprime il tentativo, ansioso e disperato, di divinizzazione dell’ uomo: infatti, se Dio non
esiste (è il Nulla), allora l’ uomo può, e in un certo senso deve, tentare di prenderne il posto. Però, e
qui emerge la logica assurda e spietata di cui l’ esistenza di Kirillov è capace, ciò è possibile solo
attraverso l’ annientamento: infatti, se Dio è il nulla, l’ uomo annientandosi diventa dio (cfr. MS, p.
103).
La tesi di Kirillov riecheggia tematiche obbligate del misticismo reinterpretandole, però, in chiave
distruttiva: l’ eternità dell’ annullamento, infatti, è sostanzialmente diversa dall’ annullamento come
assorbimento nella totalità prospettato dal misticismo quale soluzione del problema dell’ esistenza.
L’ appassionato e stringato ragionamento di Kirillov, non ineccepibile, mi sembra, dal punto di vista logico (si potrebbe, infatti, sensatamente obiettare che non si può diventare ciò che non esiste),
ha il merito indubitabile di mettere in luce un passaggio filosoficamente interessante: cioè, la can10
cellazione dell’ orizzonte teologico, costringe l’ uomo a ripercorrere e rivivere il dramma della Redenzione.
In altri termini, l’ uomo è chiamato a prendere il posto di Dio ma non dal punto di vista dell’ Incarnazione e del sacrificio, cioè della caduta dall’ eterno nel tempo, quanto, piuttosto, nel senso della
riscoperta dell’ umanità di Cristo nella misura in cui egli incarna il dramma umano.
Kirillov immagina, infatti, un Cristo deluso dalla scoperta che il paradiso non esiste, ingannato e
fatto soffrire inutilmente dalle leggi di natura, cioè dall’ apparente ordine metafisico-cosmologico
dell’ universo (cfr. MS, p. 103).
Il ragionamento di Kirillov ribalta la logica della redenzione cristiana: in quest’ultima, è Dio a farsi
uomo; secondo Kirillov, è l’uomo a doversi divinizzare: questo vuol dire ridare senso alla vita.
La rilettura in chiave radicalmente antropologica della figura del Cristo, assume, dunque, i tratti paradigmatici del dramma universale che riassume e compie limiti e destini della condizione umana
(tentativo di redenzione incluso): egli, infatti «Non è il Dio-uomo, ma l’ uomo-dio. E, come lui,
ciascuno di noi può essere crocifisso e ingannato – anzi lo è in una certa misura.» (MS, p. 104).24
Kirillov è, per molti versi, un eroe nietzscheiano, un personaggio che si sacrifica con la tranquilla
determinazione di chi costruisce la dimostrazione di un teorema, ma la verità che vive e svela concerne senso e destino dell’ umanità, non soltanto la mente o i pensieri degli uomini.
Kirillov è, dunque, personaggio doppiamente paradigmatico: innanzi tutto perché completa con l’
azione la convinzione sostenuta e, in secondo luogo, perché teorizza lucidamente quella che potremmo definire una gnosi nichilistica.
Per Camus, il suicidio di Kirillov è logico sia in relazione alla dichiarata inutilità e insensatezza della vita sia come atto estremo di negazione:
L’ uomo assurdo non può far altro che tutto esaurire ed esaurirsi. L’ assurdo è la sua estrema tensione, quella che egli
conserva costantemente con uno sforzo solitario, poiché sa che in questa coscienza e in questa rivolta, giorno per giorno, egli attesta la sua sola verità che è la sfida. (MS, p. 52)
Il suicidio di Kirillov è logico, però, anche in un senso più ampio e complesso, filosoficamente rilevante in rapporto all’ esistenzialismo. Infatti «è un modo comodo di indicare lo svolgimento attraverso cui un pensiero nega se stesso e tende a superarsi in ciò che costituisce la sua negazione. Per
gli esistenzialisti, la negazione è il loro Dio. Esattamente, questo dio non si sostiene che in virtù della negazione della ragione umana.» (MS, p. 40).
Insomma, il pensiero si nega annullandosi in ciò che ha negato: è questa la logica assurda, cioè
quella logica che nulla può coerentemente e conseguentemente negare senza averla prima in qualche modo affermata. Quindi la logica assurda, così come l’ assurdo stesso, sono intimamente contraddittori.25
Contemporaneamente, il suicidio di Kirillov è espressione di una condanna all’ annientamento della natura umana quasi fosse, suggerisce Camus, un modo per vendicarsi di essa (cfr. MS, p. 102),
alla maniera dei catari che si lasciavano morire di fame per annientare la malvagia natura umana e
una piena affermazione di libertà: è il punto, forse, in cui assurdo e rivolta si trovano più vicini.
Nonostante ciò, Kirillov, abbastanza imprevedibilmente, riesce ad elaborare e affermare una sua
personalissima teodicea secondo la quale “Tutto è bene” se è vero che le diverse soluzioni che possono essere date al problema dell’ esistenza si equivalgono.
La conclusione della sostanziale equivalenza dei destini e delle soluzioni (cui certamente non crede
Dostoevskij e, quasi certamente, nemmeno Camus), trova in altri due personaggi della produzione
dostoevskijana, espressione alternativa e complementare: in Stavrogin, re nell’ indifferenza («Non
Si consideri anche, alla luce di quanto detto, il riferimento interessante a Mersault: le seul christ que nous meritions
(Theatre, Recit, Nouvelle, p. 1929, p. 26, n 28)
25
«Il tema dell’ irrazionale, quale è concepito dagli esistenzialisti, è la ragione che si confonde e si libera negando se
stessa.» (MS, p. 46)
24
11
ho potuto detestare nulla» confessa – cfr. MS, p. 105); e in Ivan Karamazov che paga con la follia il
voler vivere fino in fondo l’ equivalenza del “Tutto è permesso” (cfr. MS, p. 105).
Lo slogan di Ivan Karamazov non rappresenta comunque una liberazione da vincoli morali, bensì,
come rileva Camus, un amaro accertamento (cfr. MS, p. 64): è questo, cioè l’ indifferenza delle
scelte e delle azioni che conduce alla follia il personaggio dostoevskijano almeno nella misura in
cui non riesce a trovare un’ armonia, un accordo soddisfacente tra natura e azioni.
In sintesi, è l’ accordo tra natura e azioni (nella misura in cui si riesce a realizzarlo), la sola saggezza raggiungibile e la sola morale realizzabile.
Pertanto, se i giudizi “Tutto è bene”, “Non ho potuto detestare nulla” e “Tutto è permesso” formulati dai personaggi dostoevskijani appaiono cinici, rassegnati o sconsolati e appartengono al novero
dei giudizi assurdi (cfr. MS, p. 105)26, è perché al di là e oltre le polarità etiche implicite, si riverbera sulle loro vite e sulle loro scelte, vissute coerentemente e fino in fondo, il bagliore di una irraggiungibile trascendenza scambiata con l’ assolutizzazione etica del vissuto, ovvero con la ricerca del
gesto definitivo che tale non è e non può essere. Nel mondo dell’ etica informulabile e dell’ eternità
impossibile, i personaggi dostoevskijani sono vinti (cfr. MS, p. 106).
Nel mondo di Dostoevskij domina, insomma, una spasmodica ansia di purezza e di redenzione, di
bontà che sopravanza le stesse conclusioni razionali (come, ad esempio nella stupenda Leggenda
del grande Inquisitore) e sembra alludere ad una via d’ uscita etica.
Pertanto, la risposta dei Karamazov (Aleša) ai Dèmoni (Kirillov), se interpreto correttamente l’ osservazione camusiana sul mondo di Dostoevskij in cui «L’ uomo baratta la propria divinità con la
felicità.» (MS, p. 106), consiste, essenzialmente, nella sottomissione delle raggelanti certezze razionali alle ragioni del cuore e della vita.
L’ annuncio della vita futura fatto da Aleša Karamazov rappresenta uno di questi momenti secondo
Camus (cfr. MS, p. 107) e attenua l’ impatto dell’ assurdo sull’ opera e sui personaggi dostoevskijani. Aleša, ad esempio, salva Dio ma condanna il suo mondo27: rivolta parziale, ma non per questo
meno significativa soprattutto perché a pronunciarla è il più evangelico dei Karamazov.
Dostoevskij sembra sottomettere le evidenze della ragione alle evidenze del cuore. La sottomissione, per quanto parziale, attenua l’ impatto e l’ incidenza dell’ assurdo nell’ opera del romanziere
russo e lo rende, secondo Camus, uno scrittore esistenzialista piuttosto che uno scrittore assurdo.
Dal punto di vista di Camus, infatti, se l’ uomo assurdo è caratterizzato dalla rinuncia all’ eterno
(cfr. MS, p. 63), i personaggi dostoevskijani, nella misura in cui non rinunciano del tutto all’ equazione eternità-verità, sono attraversati da una sorta di nostalgia dell’ innocenza perduta che li riscatta (Aleša) o li perde definitivamente (Ivan), ma il problema dell’ eternità cercata e subita domina i
personaggi di Dostoevskij e conduce al netto e crudele sovvertimento della logica dell’ assurdo.
Scrive, infatti, Camus:
La sorprendente risposta del creatore ai suoi personaggi, di Dostoevskij a Kirillov può, infatti, così compendiarsi: l’ esistenza è menzognera ed è eterna. (MS, p. 108)
Vale a dire, che nemmeno il cristianesimo evita l’ assurdità dell’ esistenza e dunque, conclude Camus, si può essere cristiani e assurdi (cfr. MS, p. 107)
- Kafka. Non ammette spiragli morali, invece, la visione kafkiana in cui l’ inesorabile rigidità della
legge divina si contrappone, determinandolo in misura significativa, al destino umano. La contrapposizione kafkiana tra quotidiano e soprannaturale, osserva Camus, assume tratti simili a quelli di
Dostoevskij ma carichi di una dose maggiore di radicalità e di indecifrabilità del divino rispetto all’
umano e al naturale (si pensi, ad esempio, al destino di Joseph K. ne Il Processo).
26
«Tutto il problema dell’ assurdo dovrebbe potersi concentrare su una critica del giudizio di valore e del giudizio di
fatto.» (Taccuini, II, p. 66)
27
«Io non mi ribello al mio Dio, soltanto “non accetto il suo mondo”.» I fratelli Karamazov, Milano, Rizzoli, 1998 p.
458.
12
Su questo sfondo di enigmaticità si svolgono le insolite e tuttavia naturalissime vicende dei personaggi di Kafka (la leggera contrarietà di Gregor Samsa ritrovatosi scarafaggio, sottolineata da Camus, esprime bene l’ ironia e l’ inquietudine dei personaggi kafkiani), che assumono il significato di
immagini passeggere di un eterno, insolubile dramma che Camus, incline ad una lettura teologicoesistenziale di Kafka28, riconduce al contrasto tra quotidianità naturale e inquietudine metafisica.29
Il contrasto tra i due mondi costituisce il nucleo vivo dell’ ispirazione kafkiana e la radice della nostalgia che aleggia nell’ opera kafkiana:
il segreto della particolare malinconia di Kafka, la stessa, a dir vero, che si respira nell’ opera di Proust o nel paesaggio
di Plotino: la nostalgia del paradiso perduto. (MS, p. 131)
I personaggi di Kafka, che esprimono la sottomissione dell’ uomo a una legge indecifrabile e spietata, sono costretti per un verso dalla necessità e per l’ altro dalla natura a pensare ed agire come vivono. In quanto automi ispirati, «i personaggi di Kafka, ci danno un’ immagine di ciò che saremmo, privati dei nostri “divertimenti” e abbandonati interamente alle umiliazioni del divino.» (MS,
p. 131).
Gli automi ispirati di Kafka sembrano figure abitate da uno spirito estraneo al mondo in cui vivono.
Quindi, l’ interessantissimo e problematico riferimento alla categoria del naturale in Kafka, serve
certamente per sottolineare l’ estrema disinvoltura con cui questi personaggi vivono e subiscono situazioni a dir poco insolite. La naturalezza permette loro di affrontare senza disagio o quasi, le curiose e problematiche situazioni di cui sono vittime e prigionieri ignari (ad es. K. nel Processo).
Nonostante ciò, le situazioni vengono vissute come se fossero la cosa più normale del mondo: K nel
Processo è preoccupato dei riflessi della situazione sul suo lavoro e di come farà ad avvertire il capoufficio.
Qui termina la naturalità e inizia la coscienza del pericolo: infatti è proprio intorno alla progressiva
perdita di funzione del come se, cioè nell’ ambito del realismo onirico kafkiano, che si articola e
consuma la separazione tra contesto e personaggio.
Naturale, ovviamente, è una categoria concettuale ampia e non del tutto definita che può essere riferita tanto al mondo deterministico o deterministicamente interpretato delle leggi fisiche, quanto al
cosmo indeterminato dell’ uomo: il contrasto tra legge e natura in Kafka, può essere giocato, in sostanza, a livello antropologico o teologico indifferentemente. Può essere cioè interpretato come contrasto tra ordine metafisico e negazione della libertà umana, o come contrasto tra ordinamento giuridico e natura umana a livello antropologico (ad es. Il Processo, Nella colonia penale, etc.).30
Il carattere divino della legge emerge comunque prepotentemente nell’ opera di Kafka: la legge non
ammette dubbi, incertezze, esitazioni di alcun genere. Amalia Barnabè che rifiuta le proposte di un
magistrato del Castello ricevendone una sorta di sanzione di ignominia o di immoralità, mostra che
alla legge o si obbedisce o ci si rivolta contro.
Il personaggio di Amalia indica, inoltre, in qualche modo, che la legge umana è immagine di quella
divina, ma mostra anche, in un altro senso, quanto sia pesante lo scotto da pagare per esservisi sottratta. Infatti, dal punto di vista della legge, «Essere incapaci di perdere il proprio onore per Dio, è
rendersi indegni della sua grazia.» (MS, p. 132).
Kafka mette in luce un tema caratteristico della filosofia esistenzialista secondo Camus: la verità è
contraria alla morale, cioè alla natura e alla felicità umana (cfr. MS, p. 132), ma non sembra essere
obbligatoria o indispensabile una scelta ad excludendum, per così dire, tra esse. Il Castello indica
Ipotesi sostenuta e avvalorata dalla citazione della notevole prefazione di B. Groethuysen al Processo. Com’è noto,
Groethuysen è il maggior sostenitore dell’ interpretazione teologica dell’ opera kafkiana messa in relazione con la Divina Commedia dantesca secondo lo schema: America-Inferno, Processo-Purgatorio, Castello-Paradiso. In proposito e
per un’ interpretazione alternativa di Kafka si veda il notevole saggio di W. Benjamin su Kafka contenuto in Angelus
Novus, Einaudi, Torino, 1983.
29
«In Kafka i due mondi sono quelli della vita quotidiana da una parte e dell’ inquietudine soprannaturale dall’ altra.»
(MS, p. 127)
30
Interessante anche su questo punto il gia citato saggio di Benjamin su Kafka.
28
13
nella vera speranza, nella purezza di cuore (cfr. MS, p. 133 n. 2) la vera morale, una morale in cui,
mi sembra di poter dire, la legge corrisponde alla natura dell’ uomo e di Dio.
- la morale. Dalle problematiche emerse, in particolare a proposito dei personaggi di Kafka e Dostoevskij, possiamo tentare di ricavare una morale, trarre, cioè, delle indicazioni per una corretta
condotta di vita, valide per l’ uomo assurdo. Tale morale, non può essere semplicemente quella della legge perché inappagante, ma nemmeno il libero sfogo della natura. Piuttosto, qualcosa di anteriore ad entrambe e che Camus, sebbene in modo non del tutto lineare, sintetizza nel concetto e nel
termine di innocenza.
Il problema etico sorge, naturalmente, soprattutto per l’ uomo assurdo. Camus, infatti, ritenendo che
la vera morale sia la natura di Dio, non il detto (la parola, il comandamento) che si separa da Dio
(cfr. MS, p. 63), pone immediatamente la questione per l’ uomo assurdo di doversi dare, non credendo in Dio ed essendo estraneo a una morale della legge, una propria morale.
Però l’ estraneità rispetto a questo tipo di morale, cioè alla morale delle giustificazioni rispetto al
comandamento, al detto, lo esime anche dall’ obbligo di giustificare la propria condotta: e se non ha
nulla da giustificare è innocente (cfr. MS, p. 64). Come dire, in altri termini, che la morale o è espressione della natura, divina o umana, o non è una morale vera e propria. Camus, insomma, nella
misura in cui sostiene il criterio dell’ innocenza come valore e giudizio etico fondamentale, afferma
e sostiene, contemporaneamente l’ informulabilità dell’ etica, cioè la non traducibilità in parole e
comandamenti, accanto al principio dell’ immanenza del valore delle azioni.
In sostanza, le azioni, sono buone o cattive per se stesse e in rapporto alle intenzioni non in riferimento ad un astratto paradigma etico. Da questo punto di vista, l’ etica dell’ innocenza realizza, al
tempo stesso, una sorta di autoredenzione della natura umana e l’ equivalenza delle azioni in assenza di un paradigma del dovere e della colpa, cui attenersi o riferirsi.
L’ etica dell’ uomo assurdo, in sostanza, non prescrive il delitto (colpa suprema entro la logica del
“Tutto è permesso”) ma restituisce alle conseguenze delle azioni la loro equivalenza, cioè, per un
verso, la loro indifferenza nella prospettiva etica del “Tutto è permesso”; per l’ altro, in quanto
«rende al rimorso la sua inutilità.» MS, p. 64), incatena all’ irrimediabilità e incancellabilità del
fatto e sottolinea la drammatica inutilità del rimorso stesso.
Difficile distinguere nella prospettiva tracciata la rivolta metafisica dalla morale dell’ uomo assurdo
in particolare nel contesto del radicale umanesimo professato da Camus secondo cui «l’ uomo è fine a se stesso. Ed è anche il suo solo fine.» (MS, p. 83).
Tale prospettiva, oltre a rendere difficoltosa e problematica l’ individuazione di un genuino nucleo
etico che non sia ideologicamente e programmaticamente riconducibile alla sfida di sostituirsi a Dio
nel tentativo di dar senso alla vita, rischia ad ogni istante di cadere nella trappola delle fedi organizzate, cioè delle chiese religiose o politiche (cfr. MS, p. 84).
Escludendo quindi la presenza di valori storici o storicizzabili (il problema dell’ etica assurda nasce
anche o soprattutto dalla difficoltà di formulare adeguati giudizi di valore da contrapporre ai giudizi
di fatto).31
Il compito, infatti, che Camus ritiene proprio dell’ esistenzialismo, impastato di una smisurata speranza (cfr. MS, p. 135) nel momento stesso in cui assolutizza e divinizza la negazione, è quello di
risollevare il mondo moderno: un compito simile a quello svolto dal pensiero cristiano nei confronti
del mondo antico. L’ esistenzialismo sarebbe, insomma, la buona novella del mondo moderno (cfr.
MS, p. 134). Ancora una volta, dal parallelo antichità-cristianesimo esistenzialismo-modernità, e-
31
A proposito del versante che ricuce ricerca morale e rivolta metafisica, Del Vecchio osserva: «Il “naturalismo” è l’
assicurazione contro l’ ideologia storicistica. [….] Camus vede Cristo come un grande mediatore che doveva conciliare
Dio e l’ uomo, e risolvere i problemi della morte e del male con la sua Passione. Ma la Chiesa, secondo Camus, non ha
interamente riconosciuto il ruolo mediatore di Cristo e, condannando l’ atteggiamento gnostico della ricomposizione
dell’ eredità giudaica nel cristianesimo, ha ripristinato il carattere di ingiustizia della sofferenza umana.» (op. cit. p. 7778).
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merge una significativa conferma della forza e della profondità delle radici teologiche della sua visione del mondo e della sua produzione letteraria.
La storia, dunque, ridotta a causa occasionale, diventa semplicemente il luogo in cui si può confusamente provare a cercare un criterio di valore utile a giudicarla.32
L’ antistoricismo di Camus, nel momento in cui separa storia e valore, tende a salvaguardare l’ autonomia di entrambi: la storia ridotta a manifestazione del valore sarebbe un’ epifania del divino o
una distruzione di ogni forma di trascendenza del valore (Hegel per tutti, cfr. HR, p. 777); il valore
ricondotto alla storia risulterebbe svilito e stravolto dal tempo.
Insomma ciò che è storico passa, di conseguenza il criterio per giudicare la storia non può essere
nella storia, va cercato oltre essa: la storia può offrire solo meri giudizi di fatto:
Privo della volontà divina, il mondo è ugualmente privo di unità e di finalità. Quindi non può essere giudicato. Ogni
giudizio di valore portato sul mondo si risolve alla fine in calunnia della vita. Si giudica allora ciò che è in relazione a
quanto dovrebbe essere, regno dei cieli, idee eterne o imperativo morale. Ma il dover essere non è: il mondo non può
essere giudicato in nome di niente (HR, p. 694)
Nella distinzione-contrapposizione tra il tempo e l’ eterno, trovano posto Plotino, gli gnostici, le
suggestioni kierkegaardiane, la malinconia kafkiana e i personaggi di Dostoevskij accomunati da
quel senso di perdita o di nostalgia che conferisce all’ esistenzialismo di Camus le sue caratteristiche tonalità emotive attraversate dall’ eco della menzognera eternità della vita rinfacciata da Dostoevskij ai suoi personaggi.
Lo sfondo nietzscheiano (l’ annuncio della morte di Dio) delle riflessioni camusiane può, dunque,
alla luce di quanto detto, essere riassunto, e per molti aspetti interpretato, attraverso l’ amara constatazione della perdita irrimediabile del cielo (quale che sia il significato attribuito al termine e quale
che sia la lettura del dissidio irricomponibile tra uomo e mondo: in termini di conflitto naturacultura, materia-spirito, etc.).
Ora, anche se si tratta di un Nietzsche letto attraverso domande che non appartengono all’ Übermensch33, la lettura produce ugualmente l’ impegno di piena e completa fedeltà al compito di migliorare l’ uomo e la terra.
Appare sempre più chiaro, a questo punto dell’ indagine, che le categorie teologiche usate da Camus, funzionano e valgono da paradigmi della condizione umana nella misura in cui fanno emergere, per analogie e per contrasti, la perdita irrimediabile della pienezza di vita simboleggata, di volta
in volta, dal cielo, dal paradiso, dalla vita eterna, etc.
IV) IL MITO DI SISIFO. In questo universo senza speranza in cui la sola certezza è la morte e in
cui «La sorte del pensiero non è più quella di rinunciare a se stesso, ma di rimbalzare in immagini»
(MS, p. 113), si colloca e si staglia il mito di Sisifo, l’ eroe umano per eccellenza, colui che incarna
e riassume gli aspetti salienti i sogni e gli slanci dell’ uomo assurdo.
La collocazione del mito nel contesto dell’ opera camusiana è espressa ancora una volta da una
chiarissima annotazione dei Carnets (II, p. 328) che riportiamo:
I) Le Mythe de Sisyphe (absurde); II) Le Mithe de Prométhée (revolte); III) Le Mithe de Némésis ( ?)
L’ annotazione richiede solo una rapida precisazione a proposito di Némésis che non è, nelle intenzioni di Camus, la vendetta, quanto piuttosto, la dea della misura che perde coloro che di misura sono privi. Come si rileva dal punto interrogativo, il progetto è ancora indefinito e tale rimarrà a meno
di considerare La caduta l’ opera iniziale della parte rimasta in sospeso.
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«La pensée qui se forme avec la seul histoire comme celle qui se tourne contre toute histoire enlèvent à l’ homme le
moyen ou la raison de vivre. La première le pousse à l’ extrême déché du “pourquoi vivre”; la seconde au “comment
vivre”. L’ histoire, necessaire, non suffisante, n’est donc qu’une cause occasionnelle. Elle n’est pas absence de valeur,
ni la valeur elle-même, ni même le materiau de la valeur. Elle est l’ occasion, parmi d’ autres, où l’ homme peut éprouver l’ existence encore confuse d’une valeur qui lui sert à juger l’ histoire.» (HR p. 164)
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Cfr. L. Chiuchiù Metafisica della rivolta in MCN, cit., p. 171.
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Sisifo è multiforme (personaggio avveduto e incatenatore della morte secondo Omero; rifiuta gli
ammonimenti degli dei che gli hanno permesso di ritornare sulla terra per punire la moglie, sacrilega su sua indicazione), appassionato (tornato sulla terra si innamora dello spettacolo della vita, cioè
di quello che altrove Camus ha chiamato il miracolo di amare ciò che muore, e non vuole ridiscendere agli inferi), coraggioso (sfida l’ ira degli dei, Ares deve riportarlo a forza nell’ Ade), ma soprattutto è disilluso sul destino umano che così bene rappresenta:
Sisifo è l’ eroe assurdo, tanto per le sue passioni che per il suo tormento. Il disprezzo per gli dei, l’ odio contro la morte
e la passione per la vita, gli hanno procurato l’ indicibile supplizio, in cui tutto l’ essere si adopra per nulla condurre a
termine. E’ il prezzo che bisogna pagare per le passioni della terra. (MS, p. 118)
Non potrebbe esserci presentazione e sintesi più efficace della prospettiva da cui Camus osserva il
mito che dà il titolo al libro e costituisce il filo conduttore dei saggi accolti in esso.
L’ attenzione di Camus si concentra, di conseguenza, sul ritorno di Sisifo, cioè sul momento di tregua che precede la ripresa dell’ inutile fatica e della sfida col destino: il mito è tragico, osserva Camus (cfr. MS, p. 119), perché l’ eroe è cosciente, cosciente di lottare col proprio destino.
Camus ritrae Sisifo nel momento della lotta e della tensione estrema tra coscienza e destino: è questo l’ oggetto dei suoi pensieri durante la discesa. Sisifo, però, a differenza di Edipo, altro mito doloroso della condizione umana, non è vittima del proprio destino: egli lo accoglie e lo affronta pur
sapendo che il suo sforzo inutile non cesserà mai.34
Sisifo, prototipo dell’ umanista radicale, incarna ed esprime la condizione dell’ uomo-dio, cioè dell’
uomo assurdo crocifisso al proprio destino chiamato e, in un certo senso obbligato, a tentare di ridare senso alla vita nella misura in cui è «persuaso dell’ origine esclusivamente umana di tutto ciò che
è umano, cieco che desidera vedere e che sa che la notte non ha fine, egli è sempre in cammino. Il
macigno rotola ancora.» (MS, p. 120)
Durante la discesa con passo pesante ma uguale, verso il tormento, in questo momento di coscienza
e di respiro, in cui sembra di poter scorgere uno sguardo in tràlice fiero e deciso, Sisifo dimostra di
essere superiore al proprio destino perché l’ uomo assurdo, scrive Camus, «quando contempla il suo
tormento, fa tacere tutti gli idoli.» (MS, p. 120).
Sisifo è, per Camus, l’ eroe che «insegna la fedeltà superiore, che nega gli dei e solleva i macigni.
Anch’ egli giudica che tutto sia bene.» (MS, p. 121). Dunque un eroe positivo che si adopera per il
compimento di una giustificazione umana dell’ esistenza: una teodicea, si potrebbe dire, se non fosse una contraddizione in termini (o quasi), nel cui contesto l’ assolutorio “Tutto è bene” viene riaffermato oltre e contro le annichilenti certezze di Kirillov e il rassegnato fatalismo di Edipo.
Sisifo si impegna nel tentativo di redimere la terra, di andare oltre se stesso nonostante conosca la
portata ma soprattutto l’ esito dell’ impegno. Per questo, ribadisce Camus, Sisifo è un eroe altamente positivo che dobbiamo immaginare felice (cfr. MS, p. 121) – almeno nella misura in cui, dovendo
rinunciare razionalmente alla speranza, «la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo.
Bisogna immaginare Sisifo felice.» (MS, p. 121)
Filippo Accurso
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Camus propone un interessantissimo e suggestivo parallelo tra Edipo e Kirillov all’ insegna del “Tutto è bene”, formula della vittoria assurda, in cui la saggezza antica si ricollega all’ eroismo moderno (cfr. MS, p. 120)
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