Il vangelo secondo Satana
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Il vangelo secondo Satana
LIBRO IN ASSAGGIO IL VANGELO SECONDO SATANA PATRICK GRAHAM IL VANGELO SECONDO SATANA 1 CONVENTO DI BOLZANO, 11 FEBBRAIO 1348 Mentre l'aria si assottiglia nella bugigattolo in cui finisce di consumarsi una grossa candela di cera, la fiamma si affievolisce. Non tarderà a spegnersi. Sprigiona un odore nauseante di sego e di corda bruciata. Spossata a causa del messaggio che ha appena finito di incidere sulla parete con un chiodo da carpentiere, la vecchia suora segregata lo rilegge un'ultima volta, sfiorando i segni coi polpastrelli laddove gli occhi stanchi non riescono a distinguerli. Poi, quando è certa che le parole sono state incise abbastanza profondamente, verifica con mano tremante la solidità del tramezzo che la tiene prigioniera. Un muro di mattoni il cui spessore la isola dal mondo e lentamente la soffoca. L'esiguità della propria tomba le impedisce sia di accovacciarsi sia di stare diritta. Sono ore che l'anziana donna piega la schiena in quel buco. Il supplizio di essere murata viva: ricorda di aver letto diversi manoscritti che riportavano le sofferenze di quei condannati che i tribunali della Santissima Inquisizione imprigionavano nella pietra dopo aver strappato loro una confessione. Donne che procuravano aborti, streghe e anime morte alle quali pinze e tizzoni facevano confessare i mille nomi del diavolo. Ricorda soprattutto una pergamena che raccontava la presa del monastero di Servio, avvenuta il secolo precedente da parte delle truppe di papa Innocenzo IV. Quel giorno, novecento cavalieri avevano accerchiato le mura del monastero, dove si diceva che i monaci, posseduti dalle forze del Male, facessero celebrare messe nere durante le quali sventravano donne gravide per divorare la loro progenie. Dietro l'esercito, la cui avanguardia piegava la saracinesca a colpi di ariete, una serie di carri e carrozze teneva al riparo i tre giudici dell'Inquisizione e i loro notai, i boia giurati e il loro armamentario di morte. Una volta abbattuta la porta, avevano trovato i monaci inginocchiati nella cappella. Dopo aver esaminato quell'adunata silenziosa e puzzolente, i mercenari del papa avevano sgozzato i più deboli, i sordi, i muti, i deformi e gli imbecilli, poi avevano portato gli altri nei sotterranei della fortezza, dove li avevano torturati notte e giorno per una settimana. Sette giorni di grida e di lacrime. E la ronda incessante delle tinozze d'acqua putrida che i servitori spaventati gettavano sulle lastre di pietra per diluire le pozze di sangue. Infine, una volta tramontata una luna su quelle· inconfessabili esplosioni di furore, coloro che avevano resistito alle divaricazioni e ai pali, coloro che avevano urlato senza morire mentre i boia trafiggevano loro l'ombelico per srotolare le viscere, coloro che non erano spirati mentre il ferro degli inquisitori faceva sfrigolare le loro carni erano stati tutti murati, agonizzanti, nelle profondità del monastero. Quattrocento scheletri che avevano graffiato a sangue il granito. Era il suo turno. Con l'unica differenza che l'anziana religiosa non aveva subito i tormenti della tortura. Era stata lei stessa, madre Yseult da Trento, superiora delle agostiniane di Bolzano, a murarsi con le proprie mani per sfuggire all'assassino demoniaco che si era introdotto nel convento. Un po' di malta e di mattoni per riempire la breccia nel muro in cui aveva trovato rifugio, qualche candela, le sue povere cose e, arrotolato in un lembo di tela cerata, l'orrendo segreto che portava con sé. Non per timore che andasse perduto, ma perché non cadesse nelle mani della Bestia che la inseguiva in quei luoghi santi: un assassino senza volto che, notte dopo notte, aveva massacrato le tredici suore della sua © MONDOLIBRI S.P.A. – PIVA: 12853650153 PAG. 2 congregazione.... Un monaco o qualcosa di innominabile che si era intrufolato sotto il sacro saio. Tredici notti. Tredici omicidi rituali. Tredici religiose crocifisse. Dal crepuscolo in cui si era impossessata del convento di Bolzano, la Bestia si nutriva della carne e dell'anima delle serve del Signore. Madre Yseult è sul punto di assopirsi quando sente risuonare dei passi sulla scala che conduce alle fondamenta. Smette di respirare e tende l'orecchio. Una voce lontana riecheggia nelle tenebre, una vocetta infantile, tremula, che la chiama dalla cima delle scale. La religiosa comincia a battere i denti nell'umidità. È la voce di sorella Bragance, la novizia più giovane. Supplica madre Yseult di dirle dove si è nascosta e la implora di lasciare che la raggiunga per sfuggire all'assassino che si avvicina. Con la voce rotta dai singhiozzi, ripete che non vuole morire. Sorella Bragance, che madre Yseult ha seppellito quella stessa mattina nella terra molle del cimitero: un misero sacco di tela contenente quello che restava del suo cadavere massacrato dalla Bestia. Allora, mentre grosse lacrime di terrore e di pena le scivolano lungo le guance, la religiosa si tappa le orecchie per non sentire i pianti di Bragance. Poi chiude gli occhi e supplica Dio di richiamarla a sé. 2 Tutto era cominciato qualche settimana prima, quando si erano diffuse voci a proposito del fatto che a Venezia le acque stavano salendo e che migliaia di ratti si rovesciavano nei canali della città. Si diceva che i roditori, resi pazzi da qualche male misterioso, se la prendessero con gli uomini e coi cani. Un esercito di artigli e di zanne che, dalla Giudecca all'isola di San Michele, fuoriusciva dalla laguna e si riversava nelle calli. Visto che i primi casi di peste erano stati segnalati nei quartieri poveri, il vecchio doge di Venezia aveva fatto sbarrare i ponti e sventrare le imbarcazioni che mettevano in collegamento con la terraferma. Poi aveva disposto la sua guardia alle porte della città e inviato cavalieri ad allertare i signori dei dintorni circa il pericolo che covava nella laguna. Purtroppo, tredici giorni dopo l'innalzamento delle acque, a Venezia erano stati accesi i primi roghi e gondole cariche di cadaveri avevano solcato i canali per ripescare i bambini morti, gettati dalle finestre da giovani madri in lacrime. Alla fine di quell'infausta settimana, le autorità di Venezia avevano ordinato d'intervenire contro le guardie del doge che occupavano ancora i ponti. La stessa notte, un forte vento venuto dal mare aveva nascosto al fiuto dei cani i fuggiaschi che scappavano attraverso i campi. I signori di Mestre e Padova avevano allora spedito centinaia di arcieri e di balestrieri per contenere la fiumana di moribondi che si riversava sulla terraferma. Ma la pioggia di frecce e di dardi non aveva impedito che il flagello si propagasse nel Veneto come un fuoco di sterpaglie. Si era cominciato allora a incendiare i villaggi e a gettare gli agonizzanti nei bracieri. Città intere erano state messe in quarantena per contenere l'epidemia. Si erano sparse manciate di sale grosso sui campi e riempiti i pozzi di calcinacci. I granai erano stati aspersi di acqua benedetta e migliaia di civette vive erano state inchiodate sulle porte delle case. Erano anche stati bruciati uomini con labbri leporini, bambini deformi, streghe e qualche gobbo. Purtroppo la Morte Nera aveva cominciato a trasmettersi agli animali e ben presto mute di cani e nugoli di corvi avevano aggredito le colonne di fuggiaschi che si allungavano sulle strade. Probabilmente trasmesso dai piccioni veneziani che avevano abbandonato la città fantasma, il male si era propagato agli altri uccelli: colombacci, tordi, caprimulghi, passeri... Le loro ossa rimbalzavano a terra e sui tetti delle case. Poi migliaia di volpi, di furetti, di topi © MONDOLIBRI S.P.A. – PIVA: 12853650153 PAG. 3 campagnoli e di toporagni erano fuggite dai boschi e si erano unite agli eserciti di ratti che davano l'assalto alle città. Tanto che, nell'arco di un mese, un silenzio di tomba era caduto sul Nord Italia: il male si diffondeva ancor più in fretta delle voci che lo precedevano, dal momento che esse si spegnevano a poco a poco. In breve tempo, non erano rimasti nemmeno un mormorio, un'eco, un piccione viaggiatore o un cavaliere per avvertire del flagello in arrivo. Così, durante quel funesto inverno che si annunciava come il più freddo del secolo, non era stato acceso nessun fuoco per respingere l'esercito dei ratti che risaliva verso nord, non era stato ammassato nessun esercito di contadini intorno alle città per brandire torce e falci, e non erano stati precettati uo· mini validi per spostare i sacchi di sementi nei granai fortificati dei castelli. Avanzando alla velocità del vento e senza incontrare resistenza, la peste era straripata oltralpe, raggiungendo i focolai che devastavano la Provenza. Si diceva che a Tolosa e Carcassonne folle rabbiose linciassero i mucosi e i raffreddati. Ad Arles, i malati erano sotterrati in ampie fosse; a Marsiglia venivano bruciati vivi con olio e pece; a Grasse e a Gardanne si incendiavano i campi di lavanda per liberare il cielo dei suoi cattivi umori. A Grange, alle porte di Lione, gli eserciti del re avevano sparato cannonate sull'oceano di ratti in avvicinamento. Una marea così furente e affamata che la si sentiva mordere le pietre e graffiare i tronchi d'albero. Sbaragliata la cavalleria a Màcon, il male era risalito poi verso Parigi e la Germania, dove aveva decimato città intere. Ben presto c'erano stati così tanti cadaveri e tante lacrime, da una parte e dall'altra del Reno, da far credere che il flagello avesse raggiunto il cielo e che Dio in persona stesse morendo di peste. 3 Soffocando nel suo bugigattolo, madre Yseult si ricorda del malaugurato cavaliere spuntato dalla nebbia undici giorni dopo l'incendio di Venezia. Avvicinandosi al convento, l'uomo aveva soffiato nel corno e lei era salita sui bastioni per ascoltare cosa avesse da dire. Il cavaliere nascondeva il volto sotto un farsetto sudicio. Una tosse catarrosa gli riempiva i bronchi e proiettava schizzi di sangue sul tessuto grigio. L'uomo aveva messo le mani a coppa e cominciato a urlare per coprire il frastuono del vento: « Ehi, voi dei bastioni! Sono incaricato dal vescovo di mettere in allerta i monasteri e i conventi della nera sciagura che si avvicina. La peste ha raggiunto Bergamo e Milano. Il male si estende anche verso sud: a Ravenna, a Pisa e a Firenze sono stati accesi roghi di allarme ». «Avete notizie da Parma? » «Ahimè, no, madre. Ma ho visto oceani di torce in strada per incendiare la vicinissima Cremona e processioni che si avvicinavano alle mura di Bologna. Ho poi aggirato Padova, il cui braciere purificatore illuminava la notte, come anche a Verona. Lì, alcuni dei superstiti mi hanno riferito che gli sciagurati, non essendo riusciti a fuggire, si erano ridotti a contendere ai cani i cadaveri ammucchiati nelle strade. Da giorni, ormai, passo a fianco di carnai e fosse piene, che gli scavatori non hanno neanche la forza di richiudere.» «E Avignone? Che ne è di Avignone e del palazzo di Sua Santità? » «Avignone non dà più cenno di vita. Come Arles e Nìmes. So soltanto che ovunque si incendiano villaggi, si abbattono greggi e si fanno celebrare messe per disperdere le nuvole © MONDOLIBRI S.P.A. – PIVA: 12853650153 PAG. 4 di mosche che infestano il cielo. Ovunque si fanno bruciare spezie e piante per fermare i miasmi portati dal vento. Ovunque, ahimè, si muore e migliaia di cadaveri folgorati dal male e dalle frecce dei soldati si ammucchiano sulle strade.» Dopo un momento di silenzio, le religiose avevano supplicato madre Yseult di lasciar entrare lo sventurato. Lei le aveva messe a tacere con un gesto, quindi si era di nuovo chinata sopra i bastioni. «Da quale vescovo avete detto di essere stato mandato?» «Da Sua Eccellenza monsignor Benvenuto Torricelli, vescovo di Modena, di Ferrara e di Padova. » Yseult era stata percorsa da un brivido e la sua voce aveva preso a vibrare nell'aria glaciale. «Messere, sono spiacente di comunicarvi che monsignor Torricelli è morto la scorsa estate per un incidente in carrozza. Vi chiederò dunque di passare oltre. Ma prima, avete bisogno che vi lanci dei viveri? Magari un unguento per frizionarvi il petto?» Dai bastioni si erano levate grida di stupore quando il cavaliere, togliendosi il farsetto, aveva svelato il viso gonfio per la peste. «Dio è morto a Bergamo, madre! Quali unguenti per quelle piaghe? Quali preghiere? Apri piuttosto le porte, vecchia troia, perché possa diffondere il mio pus nel ventre delle tue novizie! » Era seguito un altro silenzio, turbato appena dal sibilo del vento. Poi il cavaliere aveva fatto marcia indietro e, spronando a sangue ilcavallo, era scomparso, come inghiottito dalla foresta. Da allora, dandosi il cambio sui bastioni, madre Yseult e le altre sorelle non avevano più scorto anima viva. Fino al giorno mille volte maledetto in cui un carro di provviste si era presentato alla porta del convento. 4 Era Gaspard a condurre quel carretto trainato da quattro miserabili mule, il cui pelo zuppo di sudore fumava nell'aria gelida. Il buon contadino aveva affrontato sofferenze indicibili per portare alle religiose gli ultimi viveri dell'autunno: mele e uva della Toscana, fichi del Piemonte, orci d'olio d'oliva e una pila di sacchi contenenti la spessa farina dei mulini umbri, dalla quale le suore di Bolzano ricavavano il loro pane, sostanzioso e granuloso. Fiero come un mugnaio, Gaspard aveva anche esibito due caraffe di un'acquavite di prugne da lui stesso distillata, un liquore del diavolo che arrossava le guance e faceva bestemmiare. Madre Yseult l'aveva strapazzato per mera formalità, troppo felice all'idea di frizionarsi le articolazioni. Poi, chinandosi per raccogliere un sacco di fave, aveva scorto la magra figura raggomitolata in fondo al carro: un'anziana suora, di un ordine sconosciuto, che Gaspard aveva trovato agonizzante a qualche lega dal convento. I piedi e le mani della donna erano ricoperti di stracci e il viso era nascosto sotto un velo di garza. Portava una veste bianca sciupata dai rovi e dal fango del sentiero, oltre a una cappa di velluto rosso ornata di uno scudo ricamato. China su di lei sul retro del carro, madre Yseult aveva pulito la polvere che ricopriva lo stemma. Le dita si erano immobilizzate per lo spavento: quattro bracci ricamati in oro su fon do blu! La croce delle Recluse del Cervino! Suore che vivevano ritirate e silenziose tra le cime che dominavano il villaggio di Zermatt, in una fortezza così isolata che occorreva utilizzare cesti e corde per approvvigionarla. Le custodi del mondo. Nessuno aveva mai visto i loro volti né sentito iI suono delle loro voci, cosicché si diceva che quelle suore di clausura fossero più brutte e cattive del diavolo, che bevessero sangue © MONDOLIBRI S.P.A. – PIVA: 12853650153 PAG. 5 umano e che si nutrissero di brodaglie ripugnanti, intese a conferir loro il dono dell'oracolo e quello della preveggenza. Secondo altre voci, erano streghe e procuravano aborti ed erano state condannate a vita tra quelle mura per aver commesso l'orrendo crimine dell'antropofagia. Altre ancora affermavano addirittura che fossero morte da secoli e che, trasformandosi in vampiri ogni plenilunio, aleggiassero sopra le Alpi per divorare i viaggiatori smarriti. Leggende che i montanari narravano durante le veglie, facendo le corna per scacciare il malocchio. Dalla Val d'Aosta alle Dolomiti, la semplice evocazione del loro nome bastava a far chiudere le porte col catenaccio e ad abbaiare i cani. Nessuno sapeva come quell'ordine misterioso rinnovasse le sue serve. Tutt'al più, gli abitanti di Zermatt avevano finito per notare che, quando una di loro moriva, le Recluse liberavano uno stormo di piccioni viaggiatori che, dopo aver volteggiato per un po' sopra le alte torri del convento, prendeva la direzione di Roma. Qualche settimana più tardi, un carrocella scortato da dodici cavalieri appariva sul sentiero che portava a Zermatt. Un carro dotato di campanacci per avvertire i dintorni; ogni volta che sentivano quel suono di battola, gli abitanti sbattevano le imposte e spegnevano le candele. Poi, stretti gli uni agli altri nella fredda penombra, aspettavano che il pesante tiro imboccasse le mulattiere che conducevano ai piedi del Cervino. Una volta lì, i cavalieri del Vaticano soffiavano nelle trombe. A quel segnale, con un cigolio di carrucole, veniva calata una fune. All'estremità, c'era un'imbracatura di cuoio, alla quale gli uomini legavano la nuova Reclusa prima di tirare quattro volte la corda, a significare che erano pronti. Sospesa all'altra estremità della fune, la bara contenente la defunta scendeva lentamente, mentre la nuova Reclusa si alzava su per la parete. Quindi la viva che saliva al convento incrociava a metà strada la morta che ne discendeva. Una volta caricata la defunta sul carro per seppellirla in segreto, i cavalieri ~prendevano la strada per Zermatt, i cui abitanti avevano capIto, sentendo allontanarsi quell'esercito di fantasmi, che non esisteva altro modo di lasciare il convento. E che le sciagurate che vi entravano non ne sarebbero più uscite. 5 Sollevando il velo dalla bocca della Reclusa, ma non oltre, per non profanarne il viso, madre Yseult avvicinò uno specchio alle labbra contratte per la sofferenza. Un'aureola di vapore si formò in superficie, segno che la religiosa respirava ancora. Dai rantoli dell'agonia che le sollevavano appena il petto e dalle rughe che le solcavano il collo, Yseult comprese che la Reclusa era troppo magra e vecchia per sperare di sopravvivere al suo sfinimento e che, ponendo malauguratamente termine a una tradizione immutata nei secoli, la sciagurata sarebbe morta fuori dalle mura della propria congregazione. […] Aggiornata il martedì 5 agosto 2008 Edizione Mondolibri S.p.A., Milano www.mondolibri.it © MONDOLIBRI S.P.A. – PIVA: 12853650153 PAG. 6