Percorsi fra le carte - Religious orders and civil society in Piedmont

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Percorsi fra le carte - Religious orders and civil society in Piedmont
 Lurgo, Percorsi fra le carte Paper-­‐Convegno CRESO 2014 Titolo:
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Percorsi fra le carte: le fonti per una storia dei monasteri femminili nel Piemonte di età moderna (sec.
XVI-XIX)
Elisabetta Lurgo
2015
Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 License
E. Lurgo, Percorsi fra le carte: le fonti per una storia dei monasteri femminili nel Piemonte di età
moderna (sec. XVI-XIX). Discusso in occasione del convegno CRESO: Ordini Regolari e società civile
in Piemonte fra XVI e XIX secolo | Torino, 3-5 Luglio 2014 [http://www.religious-orderspiedmont.polito.it/news.html]
Lurgo, Percorsi fra le carte Paper-­‐Convegno CRESO 2014 Percorsi fra le carte: le fonti per una storia dei monasteri femminili nel Piemonte di età moderna (sec. XVI-­‐XIX)
(Elisabetta Lurgo)
1. Premessa
2. Gli Archivi di Stato
3. Gli archivi diocesani
4. Gli archivi centrali e provinciali degli ordini regolari
5. Gli archivi dei monasteri
6. Ipotesi di ricerca
7. Fonti e Bibliografia
Allegato
Premessa
A partire dalla fine degli anni Sessanta, la storia dei monasteri femminili, in età tardomedievale e moderna, è diventata parte integrante dello studio dell’urbanistica e delle istituzioni cittadine. Il legame fra monasteri e città, su cui hanno insistito gli studi sullo sviluppo urbano e sulla religione civica nell’Italia moderna, ha ispirato numerose ricerche sulla storia socio-­‐istituzionale di istituti regolari femminili in contesto cittadino. Tuttavia, gli studi sulla presenza monastica femminile nella vita civica si sono concentrati meno sui monasteri, in quanto oggetti istituzionali complessi, che sulle monache, in quanto membri delle oligarchie cittadine, attraverso l’analisi delle strategie familiari che guidavano le monacazioni e delle relazioni che badesse aristocratiche intrattenevano con i centri del potere politico sovralocale. La vita quotidiana dei monasteri, intesa non come produzione culturale o spirituale, ma come attività economica, amministrativa e finanziaria, è rimasta in gran parte trascurata: ma è proprio quest’ultima a dare origine alla gran parte del materiale d’archivio prodotto dai monasteri, restituendone il carattere di soggetti patrimoniali e giurisdizionali all’interno di comunità locali.
Per quel che riguarda i monasteri femminili del Piemonte sabaudo in epoca moderna, essi sono rimasti alquanto in ombra nel dibattito storiografico.
Gli istituti femminili cistercensi nel Piemonte medievale sono stati ampiamente studiati; i più antichi cartari di alcuni importanti monasteri femminili piemontesi sono da tempo editi. Pressoché ignorate restano invece, anche da parte dei medievisti, le monache associate agli Lurgo, Percorsi fra le carte Paper-­‐Convegno CRESO 2014 ordini mendicanti, con rarissime eccezioni; mentre i monasteri femminili fra XV e XVIII secolo sono stati studiati quasi esclusivamente in ambito architettonico e artistico, concentrandosi meno sugli edifici monastici che sulle chiese e i loro arredi. Manca del tutto uno studio complessivo sul monachesimo femminile nel Piemonte di età moderna; la storia dei singoli monasteri resta affidata alla produzione storiografica interna agli ordini regolari, che ha finora dedicato alle monache uno spazio assai limitato, e più spesso a ricerche di carattere locale, non di rado curate dagli stessi monasteri, senza escludere risultati scientificamente interessanti.
L’esiguo spazio storiografico riservato agli istituti regolari femminili, nel Piemonte moderno, e la scarsa attenzione riservata alle monache, negli studi dedicati alle varie province degli ordini regolari, sono dovuti fondamentalmente a due ragioni.
La prima è legata alla situazione peculiare della storia monastica femminile nello Stato sabaudo: vi mancano figure d’eccezione, che costituiscano un elemento imprescindibile per lo sviluppo storico e spirituale dell’ordine a cui erano associate. La fioritura mistica di età barocca non sembra aver lasciato tracce rilevanti; la produzione culturale dei monasteri sabaudi non è stata ancora adeguatamente studiata e soltanto molto recentemente si sono individuate alcune figure di mistiche, il cui itinerario spirituale non è sempre ricostruibile in modo coerente.
L’altra ragione è di carattere più generale: in molti casi, il legame istituzionale con il ramo maschile risulta storicamente piuttosto debole. L’indipendenza dei monasteri femminili nei confronti delle province territoriali in cui si suddividono i rispettivi rami maschili ha impedito loro di entrare a pieno titolo nelle opere degli storiografi degli ordini: i monasteri femminili, infatti, sottoposti quasi sempre alla diretta giurisdizione papale, erano generalmente amministrati dall’ordinario diocesano ma, di fatto, ogni istituto era sui iuris, dotato di notevole autonomia.
Per tentare di fare un po’ di luce, almeno sul territorio piemontese, nell’oscurità da cui resta avvolta la presenza regolare femminile, con il suo patrimonio, ho ritenuto necessario, in via preliminare, un censimento archivistico della documentazione prodotta dai monasteri, all’interno dei confini amministrativi del Piemonte, nell’arco di tempo che va dalla seconda metà del XVI secolo all’inizio dell’Ottocento.
I problemi fondamentali davanti a cui si trova lo studioso intenzionato a ricostruire una storia dei monasteri femminili, per il Piemonte di età moderna, sono due. Il primo è la sostanziale mancanza di edizioni di fonti, fra quelle prodotte dai monasteri o relative alla loro conduzione e Lurgo, Percorsi fra le carte Paper-­‐Convegno CRESO 2014 amministrazione. Il secondo problema è lo stato di disordine in cui si trova una gran parte dei fondi archivistici e la non uniforme analiticità degli inventari, per le serie con datazione posteriore alla fine del XV secolo.
La documentazione più antica, in particolare i fondi diplomatici, è stata, in genere, oggetto di schedatura puntuale e di edizioni; i fondi moderni, invece, sono spesso sommariamente o solo parzialmente inventariati, o ancora in via di riordino: gli strumenti di corredo, quali i repertori, i regesti, gli indici, sono quasi sempre a uso interno, inediti o incompleti. Tale problema si riscontra in ogni tipologia di archivio: da quelli diocesani agli archivi di Stato, dagli archivi degli ordini a quelli interni ai monasteri. Le soppressioni delle corporazioni religiose, tra la seconda metà del Settecento e la seconda metà dell’Ottocento, hanno avuto come conseguenza la disgregazione della struttura amministrativa degli ordini regolari a livello locale: essa è all’origine della dispersione di buona parte delle fonti prodotte da conventi e monasteri. Allo stesso modo, i numerosi smembramenti e accorpamenti di diocesi, sul territorio che oggi corrisponde al Piemonte, hanno comportato molteplici dispersioni del patrimonio archivistico ecclesiastico.
Dopo la caduta del governo sabaudo, nel dicembre del 1798, con la francesizzazione dell’apparato statale, il territorio piemontese fu diviso in quattro dipartimenti: Eridano, con capoluogo Torino; Sesia, facente capo a Vercelli; Stura, il cui capoluogo era Mondovì, e Tanaro, con capoluogo Alessandria. Nel 1802, con il nuovo governo consolare, il dipartimento di Eridano fu denominato dipartimento del Po, mentre nel 1805 fu creato il dipartimento della Dora; quello del Tanaro fu suddiviso fra il nuovo dipartimento di Marengo e quello di Stura. La suddivisione in dipartimenti è fondamentale per individuare la documentazione sui monasteri femminili in Piemonte: le carte relative alle soppressioni di primo Ottocento, e in qualche caso i fondi pervenuti dai monasteri soppressi, sono ancora oggi ordinati secondo la struttura dipartimentale napoleonica.
Nell’agosto del 1802 fu decisa la soppressione di tutte le congregazioni regolari e ordini monastici in Piemonte, i cui beni dovevano essere incamerati dalla Nazione: erano risparmiati i monasteri e conventi dediti all’educazione e all’assistenza dei malati, insieme a quelli della congregazione delle Suore di Carità di S. Vincenzo de’ Paoli. Alcuni istituti, invece, sfuggirono alle soppressioni, in quanto destinati ad accogliere le religiose e i religiosi, di età superiore ai sessant’anni, che avessero rifiutato di abbandonare l’abito. I monasteri selezionati per ospitare le monache furono quello francescano di S. Chiara a Torino, il monastero domenicano di S. Caterina Lurgo, Percorsi fra le carte Paper-­‐Convegno CRESO 2014 a Casale, il monastero francescano del Santissimo Nome di Gesù ad Asti, il monastero agostiniano di S. Monica e S. Spirito a Savigliano, il monastero domenicano di S. Margherita e quello celestino della Santissima Annunziata a Vercelli. Il monastero cistercense di S. Maria e S. Michele a Ivrea, in un primo tempo salvato dalla soppressione, fu poi sostituito da quello francescano di S. Chiara a Chivasso.
In seguito al crollo della dominazione napoleonica, numerosi conventi e monasteri furono riattivati, fino al successivo riordinamento legislativo in materia, intervenuto fra il 1855 e il 1873. Nel maggio 1855 furono soppressi tutti gli ordini regolari nel Regno di Sardegna, fatta eccezione per quelli dediti alla predicazione, all’educazione e all’assistenza. Nel luglio 1866, infine, tutte le corporazioni religiose furono soppresse e i loro beni, con l’eccezione delle chiese e dei loro annessi, furono devoluti allo Stato, dietro la corresponsione di una rendita, pari al loro valore, al Fondo per il Culto.
Gli Archivi di Stato
A seguito della lunga serie di soppressioni, gli archivi di conventi e monasteri subirono consistenti perdite e smembramenti; molti di essi furono, in un primo tempo, ospitati presso gli archivi diocesani. Nel 1873 fu decretato il versamento negli archivi di Stato della documentazione prodotta dalle corporazioni religiose soppresse. Una disposizione legislativa che richiese tempi organizzativi piuttosto lunghi e che non fu applicata con uniformità, tanto che presso alcuni archivi diocesani è ancora possibile reperire spezzoni di archivi di istituti regolari: è il caso, per esempio, dell’archivio vescovile di Mondovì, che conserva uno spezzone dell’archivio del convento domenicano di S. Vincenzo a Garessio, versato nell’Archivio di Stato di Torino.
I fondi provenienti dai conventi regolari piemontesi, compresi i monasteri femminili, non furono mai reintegrati nell’istituto di provenienza, anche nel caso in cui quest’ultimo fosse stato riattivato dopo le soppressioni: essi si trovano dunque, oggi, negli archivi di Stato delle varie Province. Tra gli archivi di Stato piemontesi, fa eccezione quello di Asti, che non conserva alcun fondo relativo agli ordini regolari, a parte un esiguo corpus prodotto dal monastero benedettino della Santissima Annunziata a Nizza Monferrato.
Si tratta di fondi in cui non è sempre facile orientarsi. Essi si presentano, di solito, riuniti in sezioni denominate genericamente «corporazioni religiose» o «corporazioni religiose soppresse». Lurgo, Percorsi fra le carte Paper-­‐Convegno CRESO 2014 La loro complessità strutturale è evidenziata da un’organizzazione archivistica non uniforme, per cui è difficile dare conto delle progressive stratificazioni della documentazione, delle variazioni nelle intitolazioni dei singoli istituti, del passaggio da una regola monastica a un’altra, del succedersi di più ordini nella gestione dello stesso ente.
Queste difficoltà sono ancora più evidenti nell’esame della documentazione archivistica relativa ai monasteri femminili. Mentre gli istituti maschili sono sempre inventariati sotto l’ordine di appartenenza, non raramente i monasteri femminili sono raggruppati sotto generiche categorie, in cui la regola adottata dalle monache si confonde con l’intitolazione della chiesa o del monastero, e quest’ultima si sovrappone spesso all’ordine di riferimento, che a sua volta non coincide sempre con la regola adottata.
I documenti sopravvissuti sono in larga maggioranza di carattere finanziario: registri dei conti di singoli monasteri, contratti di compravendita, carteggi con creditori, debitori e fornitori dell’istituto.
Molto raramente si trova documentazione relativa ai rapporti fra i monasteri e i Comuni: essa è costituita essenzialmente da atti di lite, a volte da copia degli ordinati comunali in cui è registrata la discussione sull’opportunità di accettare la nuova fondazione, accompagnata dalla disposizione con cui si dà l’assenso allo stabilimento di un nuovo soggetto ecclesiastico nella comunità. E’ possibile, infine, trovare una brevissima storia del monastero, che ne ripercorre molto sinteticamente le vicende, a partire dalla fondazione: un’analisi grafica e stilistica di questo tipo di testi suggerisce che essi stiano stati redatti, forse dal procuratore del monastero, nei primi decenni del Settecento, per dimostrare l’antichità dell’istituto e dei suoi privilegi, ottenendo, in questo modo, l’esenzione dai carichi. Nell’archivio di Stato di Torino, capitale dello Stato sabaudo, sono conservati i registri dei consegnamenti effettuati dagli enti, secolari e regolari, sottoposti al pagamento del sussidio ecclesiastico: essi rappresentano una fonte preziosa per individuare la consistenza patrimoniale di ciascun ente ecclesiastico e per localizzarne le proprietà fondiarie e gli immobili. Sono particolarmente importanti i consegnamenti per il sussidio effettuati fra il 1748 e il 1749: questi ultimi fotografano dettagliatamente, per così dire, il patrimonio, in beni immobili, proprietà fondiarie e rendite finanziarie, degli ordini regolari nel Piemonte sabaudo, prima delle soppressioni e confische verificatesi tra la fine del Settecento e l’inizio del secolo successivo.
I consegnamenti sono effettuati da tutti i monasteri dello Stato, con l’eccezione delle monache Lurgo, Percorsi fra le carte Paper-­‐Convegno CRESO 2014 cappuccine, alle quali la regola imponeva di mantenersi solo attraverso la questua. Per ciascun monastero la superiora, o più raramente il procuratore, compilava un prospetto più o meno dettagliato sullo stato patrimoniale dell’ente. I prospetti indicano la localizzazione delle proprietà fondiarie e immobiliari, le rendite finanziarie, i debiti e i crediti del monastero; in molti casi, per le proprietà fondiarie, sono presenti i prodotti ricavati dalle coltivazioni, con le rispettive rendite. Ugualmente omogenea si presenta la documentazione prodotta dai monasteri nel corso delle soppressioni napoleoniche. In vista della soppressione, ogni monastero era tenuto a esibire, in genere attraverso il procuratore, l’elenco nominativo delle monache che vivevano nell’istituto, con le rispettive provenienze, funzioni e, in molti casi, età. L’elenco, detto «stato degli individui», si trova allegato al verbale di apposizione dei sigilli, redatto dal funzionario civile, contenente la descrizione degli oggetti rinvenuti nella chiesa esterna e nei locali del monastero, compresi l’archivio e la biblioteca. La descrizione degli altari e degli arredi liturgici è solitamente molto generica: gli inventari degli archivi, invece, sono abbastanza dettagliati per quanto riguarda la documentazione finanziaria, mentre quelli della biblioteca, al contrario degli inventari allegati agli stati dei conventi maschili, sono generalmente molto sommari. In rarissimi casi si trova, allegata allo stato degli individui, una pianta del monastero.
Gli archivi diocesani
La sostanziale indipendenza giuridica dei monasteri femminili, rispetto alle province territoriali regolari, è all’origine della scarsa e discontinua presenza di fondi prodotti dai monasteri negli archivi generali e provinciali degli ordini. Negli archivi diocesani, invece, è facile trovare documentazione relativa all’amministrazione dei monasteri, che erano generalmente sottoposti alla giurisdizione del vescovo.
Per i monasteri femminili del Piemonte, fra la seconda metà del Cinquecento e l’inizio del XIX secolo, occorre prendere in considerazione gli archivi di sedici diocesi. In primo luogo Torino; poi le antiche diocesi di Acqui, Alba, Alessandria, Asti, Ivrea, Novara, Tortona e Vercelli; Casale Monferrato, eretta nel 1474; Saluzzo, istituita nel 1511; Mondovì, attiva dal 1388; infine, le più recenti diocesi di Fossano, eretta nel 1592, Pinerolo, istituita nel 1747, Susa e Biella, erette entrambe nel 1772. A queste si deve aggiungere la diocesi di Cuneo, istituita nel 1817, incorporando parte delle diocesi di Fossano, Saluzzo e Asti.
Lurgo, Percorsi fra le carte Paper-­‐Convegno CRESO 2014 Negli archivi diocesani si trova, naturalmente, documentazione relativa ai rapporti dei singoli monasteri con l’ordinario diocesano: le carte relative alla fondazione, permessi di costruzione, autorizzazioni alla compravendita di terreni per l’erigendo monastero, carteggi fra la curia e la badessa o priora, provvedimenti disciplinari.
Non raramente si trovano spezzoni di carteggi di singole monache, oltre agli atti dei processi informativi per la beatificazione di personaggi legati al monastero.
E’ possibile che un archivio diocesano conservi anche documentazione relativa a monasteri sottoposti alla giurisdizione di una diversa diocesi, in ogni caso di minima consistenza.
Una fonte utilizzabile per la storia dei monasteri femminili, custodita in proporzioni cospicue negli archivi diocesani, è rappresentata dalle visite, pastorali e apostoliche.
Si tratta di una documentazione che diventa abbastanza omogenea negli anni successivi al concilio di Trento, perché segue norme giuridiche e redazionali precise. Proprio per il loro carattere formalizzato, le visite sono un soggetto storiografico che ha conosciuto grande fortuna, come fonte per lo studio culturale e sociologico del fenomeno religioso nel cattolicesimo post-­‐
tridentino. Esse, incluse quelle di ambito piemontese, sono state interpretate soprattutto come espressione fondamentale del processo di disciplinamento e di confessionalizzazione improntato alla pastorale tridentina. E’ invece rimasta in ombra la matrice giurisdizionale della visita, che emerge dall’analisi delle tensioni che presiedono alla stesura del documento, così come non si è prestata un’adeguata attenzione alla retorica che soggiace alla redazione di quest’ultimo. In particolare, non si sono messi sufficientemente in luce i conflitti tra le configurazioni locali del potere, che emergono dagli atti di visita, e le loro interferenze con l’azione pastorale del vescovo.
L’attenzione degli storici si è, fra l’altro, concentrata sulla visita alle istituzioni del clero secolare, in particolare alle parrocchie: assai meno si sono prese in considerazione le visite dei vescovi alle chiese parrocchiali esenti e ai benefici ecclesiastici con cura d’anime, sotto la giurisdizione dei regolari.
Le visite ai monasteri femminili hanno costituito, invece, un tema storiografico più frequentato, almeno fino a pochi decenni fa. Nel loro studio, tuttavia, è ancora più esplicita la tendenza a concentrarsi sull’azione disciplinare e repressiva del vescovo, che sovrintende all’osservanza dell’istituto claustrale. Tale prospettiva è giustificata dal fatto che il diritto di visita era riconosciuto al vescovo, anche nei monasteri direttamente soggetti alla giurisdizione dei regolari, con l’obiettivo primario di preservare la clausura e accertarsi che i precetti in materia fossero Lurgo, Percorsi fra le carte Paper-­‐Convegno CRESO 2014 meticolosamente osservati. A partire dal 1623, inoltre, la sovrintendenza sulla clausura fu estesa alla concessione delle licenze di ingresso agli estranei e al controllo sulla gestione patrimoniale dei monasteri. Nelle visite, in effetti, non viene descritto tutto ciò che il visitatore vede in un luogo, ma soltanto quello che si vuole controllare: nel caso dei monasteri femminili, dunque, si menziona tutto ciò che interessa, più o meno direttamente, l’osservanza dell’istituto claustrale.
L’interesse per la struttura interna della chiesa conventuale è, in genere, assai scarso. Gli altari non sono mai descritti dettagliatamente, spesso non vengono menzionati tutti e nella grande maggioranza dei casi non ne è riferita l’intitolazione.
Negli atti visitali è raramente registrata un’indagine sullo stato patrimoniale del monastero: in alcuni decreti di visita l’ordinario si limita a disporre che il procuratore del monastero – di solito il confessore ordinario delle monache -­‐ esibisca ai delegati episcopali i registri dei conti e uno stato dei redditi, per un successivo, eventuale esame.
Il segretario della curia diocesana di Mondovì ci ha lasciato un elenco dettagliato dei documenti che il vescovo Michele Beggiamo poteva pretendere fossero esibiti dai procuratori dei monasteri, dopo la visita pastorale effettuata fra il 1658 e il 1661. In testa alla lista, figurano i documenti relativi alla fondazione, gli strumenti di dote, i registri dei beni stabili, dei diritti e dei redditi, gli stati degli oneri, dei debiti e dei crediti: tuttavia, durante le visite i vescovi non menzionano quasi mai tali documenti, concentrandosi sulla struttura dell’edificio monastico e di quelli che lo circondano, oltre che sul numero di individui ospitati dal monastero.
Gli atti visitali del vescovo Cesare Speciano in diocesi di Novara, fra il 1590 e il 1591, seguono uno schema uniforme. La visita si apre con una generica descrizione della chiesa e dell’edificio conventuale; seguono l’elenco nominativo dei confessori ordinari assegnati al monastero, il numero delle monache e converse in esso ospitate, infine gli ordini e le disposizioni del visitatore. Negli anni successivi le relazioni di visita nella diocesi novarese si fanno appena più dettagliate; eccezionalmente accurate sono le visite ai monasteri femminili effettuate dal vescovo Carlo Bascapé, nel 1595. Alla descrizione della chiesa, che resta comunque generica, seguono la descrizione del monastero, l’elenco nominativo di monache, converse ed educande, tutte indicate con il nome di famiglia, la lista delle doti portate da ciascuna monaca, l’elenco delle entrate del monastero e di coloro che pagano fitti, livelli e censi, infine la lista delle proprietà fondiarie, con l’indicazione dei luoghi in cui esse sono ubicate e i prodotti che se ne ricavano.
Nel 1644, durante la visita pastorale in diocesi di Saluzzo, il vescovo Francesco Agostino Della Lurgo, Percorsi fra le carte Paper-­‐Convegno CRESO 2014 Chiesa fu molto più sbrigativo di Bascapé. Nonostante il suo itinerario segua una struttura precisa e sia accompagnato da uno studiato rituale, la visita al monastero domenicano di Santa Maria Nuova a Revello, sottoposto alla diretta giurisdizione vescovile, si limita al controllo dell’osservanza della clausura, sebbene le monache lamentino disastrate condizioni materiali ed economiche.
Non molto diversi si presentano gli atti della visita ai monasteri femminili della stessa diocesi, effettuata dal vescovo Michele Casati, fra il 1755 e il 1759. Per ogni monastero è riportato il numero delle monache, coriste e converse, e delle educande; non si fa alcuna menzione dello stato patrimoniale. Per alcuni monasteri si riscontra un’attenzione maggiore del solito agli altari delle chiese, che non sono dettagliatamente descritti, ma di cui si riporta l’intitolazione, e si menzionano le reliquie conservate.
Una maggiore ricchezza di dettagli, e un più attento esame dello stato patrimoniale dei monasteri, si ritrova, generalmente, nelle visite apostoliche.
Analizzando la visita apostolica che Girolamo Scarampi effettuò in diocesi di Mondovì, fra il 1582 e il 1583, si rilevano immediatamente le somiglianze con le visite pastorali, ma anche evidenti differenze. Come nelle visite pastorali, il delegato papale controlla lo stato della chiesa ed esamina ogni parte dell’edificio conventuale, compresi l’orto e il giardino, per accertare l’osservanza della clausura. Le diverse sezioni del monastero sono, in genere, descritte con abbondanza di dettagli, comprese le camere in cui dormono le monache, a volte in compagnia delle educande; viene riportato con esattezza il numero di coloro che vivono o lavorano nel monastero, non raramente si trascrivono i loro nomi. Il visitatore indaga sul modo in cui le monache si mantengono, su quanto ammontano i loro redditi e su chi li amministra.
Negli atti della visita del delegato apostolico Gerolamo Scarampi al monastero delle terziarie francescane di S. Chiara a Cuneo, dopo una descrizione abbastanza dettagliata della chiesa e dei suoi arredi, si passa all’esame delle camere, dove dormono sei monache professe e tre novizie: la badessa dorme, invece, in una camera separata. Ugualmente dettagliati sono gli atti della visita Scarampi al monastero cistercense di S. Maria Maddalena di Cellanova, fondato come monastero benedettino all’inizio del XII secolo, dipendente dall’abbazia di Staffarda: le intitolazioni delle cappelle e degli altari continuano, però, a mancare. Meno approfondita è la visita a monasteri direttamente dipendenti dal ramo regolare maschile, come quello francescano della Santissima Annunziata a Cuneo: tuttavia, negli atti della visita al monastero delle terziarie francescane di S. Lurgo, Percorsi fra le carte Paper-­‐Convegno CRESO 2014 Chiara, a Mondovì, siamo informati sull’ammontare dei suoi redditi, nonostante siano amministrati dai frati minori della stessa città. Un altro monastero accuratamente visitato da Scarampi è quello delle monache cistercensi di S. Maria della Carità di Pogliola, località presso Rocca de’ Baldi. La visita comincia nel dicembre 1582, ma il delegato apostolico torna più volte, fino al settembre dell’anno successivo, perché le monache si oppongono alla progettata soppressione del monastero, che deve essere unito a quello delle terziarie francescane di Mondovì e al monastero di S. Maria Maddalena di Cellanova. Scarampi procede, quindi, a interpellare le monache in due momenti diversi: dapprima quasi tutte si dichiarano contrarie, ma, trascorso circa un anno, si rassegnano a obbedire.
Gli atti della visita di Angelo Peruzzi, delegato apostolico nelle diocesi sabaude “di qua dai monti”, fra il 1584 e il 1585, non si discostano, formalmente, da quelli della visita Scarampi, interrotta per la morte di quest’ultimo. Anche qui, la descrizione della chiesa conventuale e dei suoi arredi resta molto superficiale e non si menzionano quasi mai le intitolazioni di cappelle e altari; non sono quasi mai nominate le monache viventi nel monastero, mentre si dà sempre qualche notizia sullo stato patrimoniale e, in qualche caso, sulla gestione dei redditi.
In conclusione, si può affermare che le visite ai monasteri femminili costituiscono una fonte importante per ricostruire la diffusione territoriale di questi ultimi, per seguire le fasi di adeguamento architettonico alle esigenze della clausura e per tracciare un quadro del numero di individui che vivevano in ciascun edificio e delle loro attività. Apparentemente, esse riescono a dirci assai meno sulla condizione patrimoniale dei monasteri, sulla gestione e localizzazione delle loro fonti di reddito, sulle origini sociali delle monache, sulle reti di relazioni che esse intrecciavano con le comunità locali. Tuttavia, si dovrebbe forse concentrare maggiormente l’attenzione sulle resistenze dei monasteri femminili contro l’autorità episcopale, che furono particolarmente tenaci e spesso violente. Il controllo vescovile sui monasteri sottoposti ai rami regolari maschili si rivelò estremamente difficoltoso: i conflitti si verificavano ripetutamente, anche nei numerosi casi in cui la giurisdizione del ramo maschile si limitava, in realtà, a una generica cura spiritualis delle monache. Le monache furono, in un primo tempo, le più tenaci nel contestare il diritto di visita dei vescovi: in seguito, nel corso del Seicento e per tutto il Settecento, gli ordini vescovili emanati dopo le visite risultano costantemente disattesi o trascurati. E’ stato ipotizzato che tali resistenze si verificassero perché le autorità cittadine non volevano che fossero rivelate all’esterno le indiscipline monastiche, mettendo così in pericolo l’onore delle famiglie. In Lurgo, Percorsi fra le carte Paper-­‐Convegno CRESO 2014 realtà, credo che le ragioni di tale ostilità debbano ancora essere adeguatamente studiate: tanto più che lo svolgimento della visita ai monasteri femminili, rimasto pressoché identico fino alla fine del XVIII secolo, è sempre molto superficiale, rispetto alle visite nelle istituzioni ecclesiastiche secolari e a quelle nei conventi di regolari.
Gli archivi provinciali e centrali degli ordini regolari
Una prima dispersione della documentazione conservata presso gli archivi dei regolari si verificò a seguito delle soppressioni dei cosiddetti “conventini”, decretata da Innocenzo X nel 1649. L’inchiesta innocenziana e le conseguenti soppressioni non riguardarono, tuttavia, i monasteri femminili, i cui archivi rimasero, pertanto, intatti, almeno fino agli interventi dell’ultimo scorcio del Settecento.
La difficile assimilazione degli istituti femminili nelle circoscrizioni degli ordini regolari, e, in alcuni casi, la totale indipendenza dei monasteri dalla giurisdizione territoriale di questi ultimi, si riflettono nella discontinua presenza di documentazione relativa alle monache negli archivi provinciali e centrali degli ordini. Naturalmente, quanto più i rapporti fra il ramo maschile e quello femminile erano stretti, tanto più sarà quantitativamente importante la presenza dei monasteri negli archivi dell’ordine di appartenenza.
Negli archivi provinciali la presenza femminile è pressoché nulla. Negli archivi centrali, invece, i fondi sui monasteri femminili sono spesso presenti, ma evidenziano numerose e consistenti lacune: tanto da domandarsi se non ci fosse, effettivamente, una minore attenzione, da parte delle autorità centrali, verso gli istituti femminili, rispetto al clero regolare maschile.
Gli archivi centrali conservano scarsa documentazione relativa ai rapporti fra i singoli monasteri e le autorità superiori: permessi di fondazione, provvedimenti disciplinari, nomine di confessori e di visitatori, lasciti pii e donazioni pro anima a favore dei singoli monasteri. Sempre presenti sono i fascicoli con la documentazione relativa alle varie fasi di processi di beatificazione e canonizzazione di monache appartenenti all’ordine.
Un’altra tipologia documentaria, reperibile negli archivi centrali, databile in genere a partire dalla metà del Seicento, è rappresentata dalle relazioni delle visite effettuate dai visitatori provinciali nei singoli istituti. Esse sono quasi sempre molto sintetiche, sia per i conventi maschili che per i monasteri femminili, e si limitano a lodare i religiosi se hanno un comportamento esemplare, Lurgo, Percorsi fra le carte Paper-­‐Convegno CRESO 2014 formulando, eventualmente, generiche indicazioni disciplinari. Rispetto alle visite pastorali e apostoliche, tuttavia, in quelle provinciali ai monasteri femminili, reperibili a partire dalla prima metà del XVIII secolo, si riscontra un interesse molto maggiore per le proprietà fondiarie e le rendite finanziarie di ogni monastero. Il fascicolo di visita si apre con lo stato attivo e passivo di ciascun istituto: seguono un dettagliato elenco degli introiti e rendite su cui le monache possono contare, con l’indicazione della produzione agricola derivante dalle proprietà fondiarie, e una tabella delle fondazioni di messe, con il numero di quelle effettivamente celebrate. E’ interessante notare che le monache risultano sempre in debito di messe, celebrandone meno di quante dovrebbero: un tema, quello delle fondazioni e dell’effettiva celebrazione di messe, sul quale non si è ancora lavorato abbastanza.
Nel caso delle carmelitane scalze, i fascicoli delle visite ai monasteri possono essere letti parallelamente ai registri di fondazioni di messe, che vanno dalla prima metà del XVII secolo alla prima metà del XVIII, con numerose lacune: si tratta, per ciascun monastero, di un elenco di persone che, tramite legati pii, hanno disposto la perpetua celebrazione di messe in loro memoria. Esso è seguito dalle note apposte progressivamente dai vari procuratori del monastero, che indicano in quale modo è stato effettivamente utilizzato il lascito nel corso degli anni: ne risulta che i legati pii per la fondazione di messe venivano spesso dirottati, integralmente o in parte, a finanziare le necessità contingenti del monastero. Gli archivi dei monasteri
Rimane ancora da prendere in considerazione un’altra tipologia, fra gli archivi dei religiosi: quelli sopravvissuti in loco presso i singoli istituti. Per quanto riguarda i monasteri femminili, i loro archivi sono senza dubbio i più interessanti dal punto di vista della storia culturale e sociale dell’istituto.
Fra la documentazione letteraria custodita presso i monasteri, le cronache o annali possono utilmente integrare il limitatissimo spazio riservato alle monache dagli storiografi degli ordini.
Il dibattito sulla clausura, sul quale si è per lunghi anni concentrata la storiografia sui monasteri femminili di età moderna, ha ispirato un proficuo filone di studi sui monasteri come centri di cultura, luoghi in cui l’individualità delle monache poteva esprimersi in forme parzialmente autonome. Evidenziando la produzione culturale e l’attività sociale dei monasteri, si è tentato, Lurgo, Percorsi fra le carte Paper-­‐Convegno CRESO 2014 soprattutto, di ridimensionare l’imposizione della clausura come punto di svolta per la vita monastica femminile in età post-­‐tridentina. La storiografia americana ha aperto la strada al riconoscimento del ruolo non trascurabile dei monasteri femminili nei più svariati ambiti della vita culturale, dalla medicina alla produzione artistica, musicale e letteraria; dagli anni Ottanta si sono moltiplicate, inoltre, le ricerche sull’attività educativa delle monache, soprattutto per l’epoca rinascimentale. Questa idea della vita religiosa come possibile fattore di autonomia individuale caratterizza anche gli studi sulle scritture monastiche, dalla poesia all’agiografia alla cronaca, che hanno conosciuto uno sviluppo imponente, a partire dall’Italia. In questo campo, un’attenzione particolare è stata riservata alla produzione mistica di monache carismatiche, nella cui scrittura si è voluto mettere in luce, a partire almeno dalla fine del Quattrocento, un carattere di autorialità diretta. L’imposizione della clausura non impediva, in effetti, produzioni culturali e forme di socialità in cui potevano occasionalmente esprimersi individualità femminili; peraltro, almeno per alcuni ordini regolari, la vita claustrale non costituiva una novità ed era, anzi, una componente fondamentale dell’identità religiosa delle monache. Tuttavia, l’interesse verso le attività culturali promosse dai monasteri ha condotto troppo spesso a trascurare che l’intento primario della produzione culturale delle monache restava sempre l’edificazione morale e spirituale; la prevalente attenzione verso esperienze mistiche di eccezionale intensità ha, inoltre, suggerito conclusioni forse troppo ottimistiche sui monasteri come centri in cui l’individualità femminile trovava libera espressione. Essi, infatti, nella normativa disciplinare, restavano primariamente luoghi di segregazione, e come tali erano percepiti, dalle comunità locali e dalle stesse monache. I continui ammonimenti da parte delle autorità ecclesiastiche, così come le sempre più rigide misure, disciplinari e architettoniche, adottate per preservare l’istituzione claustrale, dimostrano come quest’ultima faticasse a imporsi uniformemente nella socialità locale. E’ possibile -­‐ ma è un’ipotesi che andrà verificata -­‐ che proprio un’acuta coscienza della segregazione sia all’origine tanto delle resistenze delle monache verso le autorità diocesane, quanto del loro attivismo nel creare reti di relazioni locali sempre più fitte.
Le cronache dei monasteri femminili, a differenza di quanto spesso accade per quelle dei conventi maschili, non risultano quasi mai scritte su commissione dei superiori. Esse si presentano come testi redatti dalle stesse monache, quasi sempre anonime, dai toni celebrativi o agiografici, e includono al loro interno le leggende agiografiche delle fondatrici. Si tratta di opere che mirano a costruire e legittimare l’identità collettiva del monastero, mediante l’intervento successivo di più Lurgo, Percorsi fra le carte Paper-­‐Convegno CRESO 2014 autrici che, senza rinunciare all’anonimato, continuano l’opera di chi le ha precedute. Le monache sono attente soprattutto a delineare lo sviluppo del loro istituto, attraverso un’elaborazione storico-­‐letteraria che parte dalle vicende di fondazione, le cui vicissitudini sono inserite in un contesto storico dagli accentuati caratteri agiografici: in esso assume un ruolo centrale l’azione carismatica delle fondatrici, strumento della provvidenza divina. Quest’ultima continua a manifestare la propria benevolenza verso il monastero attraverso i benefattori, che si avvicendano negli anni successivi alla fondazione, permettendo alle monache di superare difficoltà economiche e conflitti.
Per tali motivi, si è spesso evidenziata, in questo tipo di testi, un’autorialità sovra-­‐individuale e collettiva, che si contrapporrebbe alle opere mistiche e devozionali, in cui si esprimerebbe, invece, la sola individualità delle monache. In realtà, nei testi mistici l’orizzonte collettivo del monastero è sempre presente, anche quando essi sembrano esprimere un esasperato individualismo. Un’attenta analisi suggerisce, infatti, che l’individualità si estrinsechi proprio nel conflitto con la comunità monastica, senza la quale, a sua volta, l’opera mistica non potrebbe esistere: in questo modo, anche un trattato mistico finisce per diventare un monumento alla memoria del monastero, in quanto soggetto collettivo.
Tanto le opere mistiche quanto le cronache, spesso redatte sotto forma di annali, finiscono, più o meno consapevolmente, per creare una memoria cultuale, utilizzata per negoziare e certificare prerogative rituali e giurisdizionali, in forme dialettiche che devono essere interpretate. Rispetto alle opere storiografiche prodotte dai regolari maschili, quelle scritte dalle monache risultano, anzi, ancora più legate alla necessità di rivendicare diritti su un piano locale. L’appartenenza delle autrici al monastero di cui scrivono la storia è ribadita con forza, nel tentativo di creare una continuità storica che giustifichi la stessa esistenza del monastero e dei suoi diritti. Nello stesso tempo, le individualità non scompaiono, ma sono continuamente ricreate e ribadite attraverso il riconoscimento del lavoro svolto da chi, nel tempo contribuisce alla costruzione del monastero come istituzione: dalle fondatrici fino alle autrici delle cronache, le quali si celebrano reciprocamente. Un esempio è la cronaca del monastero della Visitazione di Torino: alla biografia delle fondatrici e alla storia dei primi anni di vita del monastero, scritte da un’anonima monaca, segue la biografia della stessa monaca, celebrata da chi si è assunta il compito di portarne a compimento l’opera, restando a sua volta anonima.
I “libri del monastero”, che si ritrovano in molti archivi dei monasteri, contengono i registri delle Lurgo, Percorsi fra le carte Paper-­‐Convegno CRESO 2014 monacazioni, i nomi delle badesse con gli anni di carica, gli elenchi dei confessori ordinari, gli strumenti di dote, i lasciti pii, gli acquisti effettuati dal monastero, infine i registri dei decessi, con brevi biografie di ogni monaca deceduta.
Nell’archivio di un monastero è possibile, infine, trovare carteggi di singole monache; la sezione antica delle biblioteche, invece, risulta sempre dispersa.
Salvo rare eccezioni, questa documentazione non è archivisticamente ordinata. Ipotesi di ricerca
La seconda fase della ricerca prevede la stesura, attualmente in corso, di una monografia sui monasteri femminili, nei territori piemontesi che entrarono progressivamente a far parte dello Stato sabaudo, fra la seconda metà del XVI secolo e la fine del Settecento, prima delle soppressioni degli istituti regolari decretate sotto la dominazione napoleonica.
Il potere dei regolari faceva capo a una rete organizzativa e a un sistema di relazioni disomogenei rispetto alle istituzioni territoriali: esso rispondeva, infatti, a un potere centrale che aveva sede in realtà territoriali diverse da quelle in si collocavano monasteri e conventi, un’autorità centrale il cui peso era fortemente eterogeneo, a seconda dei diversi contesti locali. L’obiettivo della ricerca è quello di provare a comprendere come un monastero femminile si collochi in un tale ordinamento, in cui si intrecciano molteplici ambiti di potere e sistemi di relazioni.
In anni abbastanza recenti, alcuni pionieristici studi hanno suggerito di esplorare i rapporti fra istituzioni ecclesiastiche e istituzioni laiche come dialettica fra pratiche politico-­‐territoriali e pratiche devozionali. Tuttavia, il legame fra costituzione di un patrimonio territoriale e investimento nelle devozioni, con le sue conseguenze sugli equilibri politico-­‐sociali nelle comunità locali, continua a rimanere, per l’età moderna, un ambito di indagine largamente minoritario, soprattutto per quel che i patrimoni gestiti dai regolari.
Per quanto riguarda i monasteri oggetto del mio studio, ho scelto di soffermarmi sulle vicende relative alla fondazione del monastero e agli anni immediatamente successivi. Queste ultime, infatti, consentono di individuare quali forze entrano in gioco quando si decide di fondare un istituto regolare, con quali interlocutori entrano in contatto le diverse istituzioni coinvolte e quali rapporti di forza si instaurano, in seguito all’insediamento fra il monastero, gli altri istituti regolari presenti sullo stesso territorio e le autorità locali e centrali, ecclesiastiche e civili. Ho Lurgo, Percorsi fra le carte Paper-­‐Convegno CRESO 2014 selezionato i casi-­‐studio con l’intento primario di evidenziare le pratiche messe in atto dai singoli monasteri, nel rapporto con le istituzioni locali e sovralocali, nella dialettica con altri monasteri di diversa osservanza o afferenti a un altro ordine regolare, infine nel confronto con le istituzioni ecclesiastiche diocesane.
Oggetto di analisi puntuale saranno le fondazioni di due istituti regolari: il monastero delle carmelitane scalze di San Giuseppe della Madre di Dio, a Moncalieri, e il monastero cappuccino di Santa Maria della Consolazione, a Mondovì. Legati a queste due fondazioni sono il monastero delle carmelitane scalze di Santa Cristina e quello cappuccino della Madonna del Suffragio a Torino: l’insediamento delle carmelitane scalze a Moncalieri è patrocinato, infatti, dal monastero di Santa Cristina, mentre il monastero cappuccino di Mondovì è fondato grazie all’arrivo di tre monache da Torino. Su questi quattro monasteri possediamo fondi abbastanza consistenti: le vicende della loro fondazione possono essere ricostruite, parallelamente, attraverso fonti documentarie e fonti letterarie, seguendo quindi differenti trascrizioni di una stessa azione.
Attraverso l’analisi dell’attività di un monastero su scala locale, vorrei cercare di evidenziare come esso rappresenti un investimento devozionale nella comunità locale: quando, infatti, un individuo o un soggetto istituzionale destinano un lascito a uno specifico soggetto devozionale, la loro scelta influisce non solo sulla promozione di carriere familiari e sull’organizzazione politico-­‐
sociale, ma anche sulla produzione e l’uso di beni immobili, sull'accumulazione e dissoluzione di patrimoni.
L’introduzione della sfera dell’azione e della giurisdizione nell’ambito religioso, portando in primo piano i molteplici soggetti che operano a livello locale, non implica la negazione del potenziale simbolico ed emotivo del sentimento religioso: quest’ultimo si arricchisce, anzi, di una complessità che deriva non soltanto dalla sua dimensione individuale ma anche, e forse soprattutto, dal suo carattere socio-­‐politico.
I monasteri presi in esame condividono, infine, una peculiare modalità di comunicazione socio-­‐
politica. Essi vedono il sistematico ricorso a un idioma estatico, che si esprime attraverso la visione e l’invasamento mistico, per favorire la nuova fondazione: negli anni immediatamente precedenti e successivi all’insediamento, infatti, assume un ruolo strategico la presenza di soggetti considerati portatori di carismi soprannaturali, che intervengono in sostegno del monastero.
Le donne che accompagnarono la fondazione di monasteri con il loro estatico misticismo Lurgo, Percorsi fra le carte Paper-­‐Convegno CRESO 2014 tradussero, non di rado, la loro esperienza spirituale in forme letterarie che si riallacciano a una lunga tradizione, nelle quali vibra l’eco di un’individualità femminile: ricostruire quest’ultima in un profilo coerente ci restituisce frammenti di un vissuto eccezionale, il cui tormento interiore non ignorava certamente, anche solo a livello inconscio, i conflitti di genere. Tuttavia, le azioni di queste donne, così come le loro parole, costruivano un contesto: in esso, l’identità individuale e collettiva si esprimeva attraverso una molteplicità di idiomi politici e nel contempo simbolici, costantemente sottoposti all’approvazione della comunità locale. Era quest’ultima a determinare comportamenti e a generare legittimità: occorre chiedersi, dunque, in che modo essa selezionava e integrava l’idioma mistico nell’economia della devozione, di cui gli ordini regolari erano attori fondamentali. L’esistenza di un modello mistico-­‐profetico radicato nella politica locale delle devozioni dovrebbe essere presa in considerazione allorché forme di autorità mistico-­‐carismatica intervengono, in funzione legittimante, nella dialettica fra istituzioni locali e sovralocali, fra specialisti del sacro e fedeli. E’ proprio questo il caso delle donne che, attraverso il carisma mistico riconosciuto loro dalle comunità locali, sono chiamate a promuovere la fondazione di un luogo di culto, gestito dagli ordini regolari o dal clero diocesano: esso rappresenta, infatti, un nuovo contesto locale, creato attraverso la sfera del rituale.
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ALLEGATO
Trascrizione di un fascicolo relativo alla soppressione di monasteri femminili, 1802-­‐1803
Archivio di Stato di Torino, Atti in Materia Finanziaria dell’Amministrazione Francese, art. 1, Conventi Soppressi, vol. B, mazzo 288, fasc. 1.
[Processo verbale di apposizione dei sigilli al monastero domenicano di Santa Margherita e Sant’Andrea in Alessandria]
Arredi della chiesa:
⁃ Un choeur en bois sculpté dans le haut
⁃ Un hautel (sic) en bois
⁃ Deux grilles en fer donnant sur l'église intérieure
⁃ Trois pannelles complets dans deux couleurs
⁃ Deux chemises avec leur cordon
⁃ Un catin en cuivre
⁃ Une cloche
⁃ Un autel en brique
⁃ Un contre autel en soie
⁃ Quatre chandelliers en bois et quatre vases de fleurs
⁃ Un crucifix en bois
⁃ Un tableau rappresentant sainte Marguerite
⁃ Un balaustre en marbre avec la grille de fer
⁃ Un autel en bois et un tableau rappresentant la Vierge
⁃ Deux tableaux rappresentants divers saints
⁃ Une pisside en marbre
Stato delle religiose componenti il monastero
Nome di famiglia : località di provenienza
Lurgo, Percorsi fra le carte Paper-­‐Convegno CRESO 2014 ⁃
⁃
⁃
⁃
⁃
⁃
⁃
⁃
⁃
⁃
⁃
⁃
⁃
⁃
⁃
Badessa:
Sappa : Alessandria
Coriste:
Lazari: Alessandria
Pellati: Alessandria
Cerruti: Alessandria
Maris: Valenza
Bolla: Alessandria
Carrara: Acqui
Piola: Valenza
Irola: Alessandria
Bassetti: Ceva
Inverardi: Frugarolo
Burgonzi: Alessandria
Converse:
Sburlati: Ricaldone
Avite: San Salvatore
Guazzoni: Castelletto
1. [Processo verbale di levata dei sigilli al monastero delle carmelitane scalze di Santa Teresa, Alessandria]
Inventario degli arredi della chiesa:
⁃ Un autel de bois avec quatre chandeliers en bois et un crucefix
⁃ Un tableau rappresentant la Sainte Vierge
⁃ Des bancs tous au tour du chœur
⁃ Une cloche
⁃ Un tableau en bois avec quatre chandeliers en bois et quatre vases de fleurs
⁃ Un grand tableau rappresentant saint Joseph et sainte Thérèse
⁃ Quatre petits tableaux ovales rappresentants deux sujets sur la vie de sainte Thérese
⁃ Un autel en brique avec deux chandeliers en bois
⁃ Quatre vases de fleurs
⁃ Un tableau rappresentant saint Jean de La Croix
⁃ Quatre petits tableaux rappresentants divers sujets
Stato delle religiose
Nome di famiglia : luogo di provenienza
Lurgo, Percorsi fra le carte Paper-­‐Convegno CRESO 2014 ⁃
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Badessa:
Perino : Torino
Coriste :
Signa : Piasco
Tedeschi : Alessandria
Nata : Casale
Amiot : Dole, Franche Comtée
Benedetti : Torino
Bolla : Alessandria
Vandermon : un pays en Fiandre
Pavaranza : Alessandria
Sambalino : Torino
Mardina : Torino
Barthod : Besançon
Richez : Torino
Vercellona : Torino
Converse :
Benevolo : Alessandria
Dogliotti : Torino
Crivelli : Alessandria
Noys : Montemagno
Pertum : Asti
Duso : Portocomaro
Lodi : Alessandria
1. [Moncalvo, monastero di Sant'Orsola]
Nota degli individui che formano il collegio di Sant'Orsola
Nome di famiglia: luogo di provenienza
Badessa:
⁃ Marchisio : Caraglio
⁃ Blegi : Acqui
⁃ Vercellino : Moncalieri
⁃ Borrelli . Cavallerleone
⁃ Novellone : Scandaluzza
⁃ Fabiani : Nizza Monferrato
⁃ Daneo : San Damiano
Lurgo, Percorsi fra le carte Paper-­‐Convegno CRESO 2014 ⁃
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Avogadro : Vercelli
Franchini : Moncalvo
Rampini : Casale
Massa : Asti
Scalamel : emigrata di Scalenghe in Savoia
Ronco : Moncalvo
Martini : Lu
Gatti : Asti
Rota : Mirabello
Martini [2] : Lu
Raitari : Mirabello
Barreoglio : Fabiano
Stato o sia descrizione sommaria degli effetti appartenenti al collegio delle vergini orsoline
4 banchi con suo sedile murato e predella esistenti nel coro
Altro banco ivi senza sedile
Un contr'altare con una predella
7 pianete di diverse stoffe e colori composte
6 contr'altari, tre di tela fiorata e tre di tela stampata
Tre camici e quattro amitti (?)
Un piviale di damasco bianco
Due cadregoni da braccio
Tre credenzoni grandi per riporre le robbe di sacrestia
Due ginochiatoi
Otto candelieri, cioè sei grossi e due piccoli
Due reliquiari
Un vaso di fiori posticci
Un tavolino col suo tapeto verde
Tre messali, due grandi ed un piccolo
Tre croci d'altare
Un concessionario
Tre bardelle
Una lampada d'ottone
Quattro pezzi di tappezzeria
Due groppi d'angeli e otto bocchetti di fiori
Tre altari cioè l'altare maggiore e due altari laterali, colle loro scalinate di legno
Nove carte glorie
Lurgo, Percorsi fra le carte Paper-­‐Convegno CRESO 2014 ⁃
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Una bussola ed una tribuna di sopra
Due letturini d'altare, una balaustra di noce avanti l'altare maggiore
Due banchini
Un calice d'ottone con coppa d'argento
Una scubeletta a tre gradini
Una pisside con coppa dorata
Un lavatoio di marmo infisso
Quattro borse
Tre tine
Due vascelle
Tre vascelletti
Tre quadri grandi rappresentanti la Beata Vergine del Rosario, santa Catterina e san Lorenzo
Un quadro rappresentante la Vergine, sant'Orsola, san Giuseppe e sant'Anna
Un quadro rappresentante san Luca
Un quadro rappresentante la natività di san Giovanni Battista
Un quadro rappresentante l'incoronazione di Gesù
Un quadro rappresentante Tobia con l'angelo
Un quadro rappresentante la Concezione di Maria Vergine, sant'Orsola e santa Cecilia
Altri quattro piccoli rappresentanti uno san Pietro, l'altro sant'Antonio da Padova, l'altro san Francesco e san Domenico, l'altro il ritratto di un cappuccino
Un pulpito con scalinata di legno
Un sedile con schienale di noce e predella in capo del refettorio
Un quadro rappresentante Gesù Cristo in croce con Maria Vergine e san Giovanni
Una piccola guardaroba che serve per archivio di detto collegio, in cui si trovano le scritture e documenti relativi alla fabrica e beni di detto collegio ed altre memorie.