careri 2

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ENRICO CARERI
interviene di nuovo in «forte» nel rapido intervallo, appena un respiro, lasciato
vuoto dal canto. Qualcosa di simile accade nell’aria dell’ottava scena, «Se l’acquisto di quel soglio», dove rapidi passaggi orchestrali in «forte» preparano i
virtuosismi di Damira (battute 17 e 38), e nell’aria dell’undicesima scena, «I lacci
tende» (battute 39, 42 e 45).
È chiaro che quanto appena descritto è degno di nota solo in relazione al fatto
che eccezionalmente ne La verità in cimento Vivaldi prescrive contrasti dinamici
dove generalmente il livello dinamico è mantenuto stabile, in particolar modo
nelle sezioni di canto. L’imitazione musicale del singhiozzo di per sé non ha
niente di eccezionale. Ciò che la rende interessante è l’insolita indicazione dinamica che per una volta contraddice il pregiudizio che allora incombeva sul
melodramma italiano a proposito della scarsa coerenza tra testo e musica (può
essere utile ricordare che nel Teatro alla moda Benedetto Marcello prende di mira
proprio La verità in cimento).5
L’introduzione strumentale del terzetto della nona scena, «Aure placide e
serene», è costituita da una fitta successione di effetti d’eco. Se in passaggi in cui
il contrasto dinamico appare scontato Vivaldi indica accuratamente le «f» e le
«p», è lecito immaginare che l’avrebbe fatto anche altrove nell’opera se solo
l’avesse voluto. L’abuso ingiustificato di effetti d’eco priva di interesse l’effetto
stesso.
Nel secondo e nel terzo atto l’utilizzo dei segni dinamici è grosso modo lo
stesso di quello fin qui descritto. L’unica cosa degna di nota si trova all’inizio
dell’aria della quarta scena del secondo atto, «Un tenero affetto», dove si legge
«Tutti gli strumenti piano». Ciò sembra confermare la norma secondo cui l’introduzione strumentale è sempre in «forte» anche se non indicato in partitura.
Si tratterebbe in questo caso della eccezione che conferma la regola.
Si è già accennato al fatto che le arie sostitutive sono del tutto prive di segni
dinamici e che la probabile ragione sia la fretta. Situazione analoga sembra essere quella del Tito Manlio (RV 738), dove però i segni dinamici mancano nell’intera partitura. La spiegazione sembra indicata a c. 172r del manoscritto, dove si
legge «Musica del Viualdi fatta in 5 giorni». Se davvero la composizione è stata
realizzata in tempi così ristretti, come evidentemente l’autore tiene a sottolineare, è comprensibile immaginare che i primi a farne le spese fossero i segni di routine. Anche in questo caso è preferibile non eccedere con le variazioni dinamiche
ed avere ad esempio altre opere vivaldiane in cui i segni sono regolarmente indicati, come L’Olimpiade o Griselda. Caso a sé è invece l’Orlando finto pazzo (RV 727),
dove l’assenza di segni dinamici nell’intero manoscritto è al momento inspiegabile. Vivaldi non poteva permettersi di scrivere in fretta, perché si presentava
per la prima volta a Venezia in veste di operista. Per l’esordio al Teatro S.
Angelo, nell’autunno del 1714, immaginiamo che non abbia risparmiato fatica.
Si possono tentare diverse spiegazioni, ad esempio l’eccellenza dei suoi musiciSi veda ENRICO CARERI, Sulla ripresa moderna del melodramma italiano del primo ‘700. Il caso de «La
verità in cimento» di Antonio Vivaldi, «Studi vivaldiani», 2, 2002, p. 75.
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sti che avrebbe reso inutili i segni dinamici, ma alla luce degli altri manoscritti
vivaldiani che ho potuto esaminare – dove gli effetti dinamici sono accuratamente riportati – è forse più giusto astenersi da qualsiasi spiegazione e lasciare
per ora irrisolta la questione.
L’allegro iniziale della Sinfonia dell’Olimpiade (RV 725) è un primo gustoso
assaggio dell’uso cospicuo di segni dinamici presente nell’intera partitura. Fin
dalle prime note assistiamo al rapido alternarsi di forti e piani, di effetti d’eco
sulle veloci figurazioni affidate ai violini:
Esempio 3. L’Olimpiade, Sinfonia, Allegro, battute 1-6
Contrasti dinamici sono presenti in tutto il brano, talvolta molto serrati
come alle battute 17 e 31, dove le prime due battute dell’Allegro vengono contratte in una:
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Esempio 4. L’Olimpiade, Sinfonia, Allegro, battuta 17
Questo brano è un buon esempio della piena coscienza che il compositore
aveva degli effetti che poteva ottenere con mezzi tutto sommato elementari. La
contrazione alle battute 17 e 31 gli permette di raddoppiare la velocità già considerevole della composizione, resa particolarmente palese proprio dal rapido
susseguirsi di forti e piani. È una scarica elettrica che dalle prime note accelera
lo scorrere del tempo preparando l’ascoltatore ai tempi diversi del melodramma. Si tenga presente che gli Allegri iniziali dell’Olimpiade e della Verità in cimento si basano sullo stesso principio vivaldiano della ripetizione vorticosa di cellule ritmico-melodiche elementari, ma che solo nell’Allegro dell’Olimpiade il compositore prescrive gli effetti d’eco, segno questo che lo stesso principio compositivo non implica necessariamente le stesse modalità esecutive.
Contrasti dinamici molto serrati si trovano anche nell’introduzione strumentale dell’aria di Aminta nella terza scena del primo atto, «Il fidarsi della spene»,
in particolare nella terza e quarta battuta, dove si alternano coppie di semicrome
in forte e in piano. Rapido alternarsi di forti e piani anche nell’introduzione strumentale dell’aria di Aristea «Sta piangendo la tortorella», nella terza scena del
secondo atto, soprattutto alle battute 11 e 12. L’indicazione «forte» è talvolta presente nelle parti strumentali nelle note conclusive delle sezioni cantate, sia in A
(alla fine delle due intonazioni dei versi) che alla fine di B. Ne sono esempi, nel
primo atto dell’Olimpiade, le arie della quinta e sesta scena del primo atto, «Del
destin non vi lagnate» (battute 42-43 e 81-82) e «È troppo spietato» (battute 29-33,
70-74 e 99-101), rispettivamente di Clistene e Aristea. Esempi simili si trovano
anche in molte altre arie dell’opera, tra le quali nel secondo atto quelle della quarta, quinta e decima scena, «Per que’ tanti suoi sospiri» (battute 51-53), «Siam navi
all’onde algenti» (battute 50-51) e «Se cerca, se dice», rispettivamente di Argene,
Aminta e Megacle. Da notare che spesso gli archi suonano in «forte» all’unisono
la stessa linea del canto. Nell’aria di Megacle, «Se cerca, se dice», gli strumenti
sottolineano in «forte» le parole più tragiche del testo metastasiano, «rispondi
morì» (battute 9-11 e 32-34) e «piangendo partì» (battute 49-51).
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Interventi in «forte» dell’orchestra nelle sezioni cantate si trovano anche nei
luoghi in cui il compositore vuole enfatizzare singole parole o interiezioni, come
nel duetto di Megacle e Aristea, «Ne’ giorni tuoi felici», nella decima scena del
primo atto. A battuta 34 (e più avanti a battuta 63) l’interiezione «Ah» è sottolineata dall’improvviso «forte» degli archi, che prima tacevano e che subito dopo
riprendono in «piano» (v. esempio 5). L’orchestra interviene in «forte» anche per
dare particolare enfasi alle parole «tu mi trafiggi il cor» (battute 38-41), «ah che
tacendo, o Dio» (battute 77-79), e «chi mai provò di questo affanno più funesto,
più barbaro dolor» (battute 104-112, 115-117). Lo stesso accade nell’aria di
Alcandro «Se tu sprezzar pretendi», nella seconda scena del secondo atto, alle
parole «ingiusta è la mercede» (battute 39-41 e 64-66) e «hai troppo ingrato il
cor» (battute 46-50 e 74-78).
Esempio 5. L’Olimpiade, «Ne’ giorni tuoi felici», battute 32-41
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Nell’Orlando furioso (RV 728) e nel Giustino (RV 717) si nota un uso piuttosto
contenuto dei segni dinamici, sempre limitato alla routine. Unica eccezione nel
Giustino l’aria di Amanzio «Candida fedeltà» nella decima scena del secondo
atto, dove in tutta la sezione A violini e oboi sottolineano in «forte» le sillabe
finali dei singoli versi. Diverso il caso di Griselda (RV 718), dove Vivaldi non
risparmia forti e piani. Ne sono esempio le arie della terza, quarta e quinta scena
del primo atto, «Se ria procella», «Brami le mie catene» e «Vede orgogliosa l’onda», rispettivamente di Gualtiero, Griselda e Ottone, tutte introdotte da sezioni
strumentali caratterizzate dal rapido alternarsi di forti e piani. Lo stesso avviene nelle arie della prima e seconda scena del secondo atto e della settima scena
del terzo. Non è raro che Vivaldi utilizzi gli strumenti in «forte» nelle sezioni di
canto, come nella parte conclusiva di A della già citata «Vede orgogliosa l’onda»
su un arpeggio ostinato di settima di dominante:
Esempio 6. Griselda, «Vede orgogliosa l’onda», battute 31-32
Nell’aria di Costanza della settima scena del primo atto, «Ritorna a lusingarmi», Vivaldi dimostra un’attenzione davvero particolare per la dinamica. Alle
battute 35-37 gli archi accompagnano l’effetto d’eco del canto alternando piani
e pianissimi:
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Esempio 7. Griselda, «Ritorna a lusingarmi», battute 34-37
Interventi in «forte» dell’orchestra nelle sezioni di canto si trovano nell’aria di Griselda della dodicesima scena del primo atto, «Ho il cor già lacero»
(battute 41-42), nel terzetto della quattordicesima scena del secondo atto,
«Non più regina» (battute 7-9, esempio 8), nell’aria di Griselda della terza
scena del terzo atto, «Son infelice» («forte» degli archi sulla parola «morte»
alle battute 26, 33, 49, 60, 67), nell’aria di Griselda della sesta scena del terzo
atto, «Dopo un’orrida procella» (battute 11, 13, 16, 31, 40, 44, 60). Nell’aria di
Gualtiero della settima scena del terzo atto, «Sento che l’alma teme», come
nell’aria «Ne’ giorni tuoi felici» dell’Olimpiade, il «forte» degli archi serve a
porre in rilievo l’interiezione «Ah» (battute 16 e 29) e le parole «pena» (battute 24 e 31) e «amore» (battute 25 e 32).
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Esempio 8. Griselda, «Non più regina», battute 7-9
Anche ne La fida ninfa (RV 741) Vivaldi indica con precisione dove suonare
forte e piano, soprattutto nelle sezioni strumentali che precedono il canto,
come nel primo atto nell’aria di Morasto della seconda scena, «Dolce fiamma»
(battute 1-4) e nell’aria di Oralto della decima scena, «Cor ritroso» (battute 1620), e nel secondo atto nell’aria di Morasto della decima scena, «Destin avaro»
(battute 8-11). Ma l’aria che più di qualsiasi altra dovrebbe servir da monito ad
evitare variazioni dinamiche arbitrarie è quella di Licori nella quarta scena del
primo atto, «Selve annose», dove il serrato contrasto dinamico non si limita
alla sezione iniziale affidata agli archi, ma prosegue oltre per tutta la durata
dell’aria:
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Esempio 9. La fida ninfa, «Selve annose»
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Un rapido cenno, per concludere, ad alcune note raccolte strumentali a
stampa. Nell’Estro armonico op. III Vivaldi prescrive di regola il «piano» e il
«pianissimo» nelle parti di sostegno al violino principale o ai violini concertanti, come in 2/iv (battuta 171), 3/iii (battuta 111), 8/ii (battuta 98), 8/iii (battuta
224) e 11/ii (battuta 3).6 Piuttosto frequenti gli effetti d’eco, anche se molto
meno di quanto siamo abituati a dover ascoltare. Il fatto che una frase o anche
un breve inciso sia ripetuto uguale non significa che si debba eseguire prima
forte e poi piano (o viceversa). Ancor più che nelle partiture autografe dei melodrammi Vivaldi indica i livelli dinamici con la stessa precisione degli altri segni
notazionali.
Altro luogo dove talvolta sono presenti contrasti dinamici è la sezione finale, come in 2/ii (battute 77-83), 3/iii (battute 219-248) e 9/iii (battute182-191),
per dare particolare enfasi alle battute conclusive. Ci sono poi interi movimenti
basati sull’alternanza di piani e forti, come 2/iii, o in cui comunque Vivaldi prescrive segni dinamici che vanno oltre la normale routine, come 4/ii (battute 5965) e soprattutto 8/iii (battute 195-202), dove i diversi livelli dinamici sono separati e sottolineati da pause. All’inizio di 9/iii Vivaldi prescrive il «piano» per
creare un forte contrasto tra la prima frase affidata al violino principale e ai
primi e secondi violini e la violenta risposta orchestrale, e prepara in tal modo
le sezioni virtuosistiche del solista. Casi come questo, dove la scrittura orchestrale suggerisce in modo apparentemente inequivocabile i livelli dinamici,
devono far riflettere. Se il compositore si preoccupa di precisare piani e forti
dove appare scontato vuol dire che così scontato non è. L’interprete potrebbe
infatti seguire la norma, che all’inizio prevede il «forte». In sostanza Vivaldi
interviene dove immagina possibile che l’esecutore non capisca le sue intenzioni, che in questo caso non sono solo quelle di realizzare un contrasto soli-tutti
ma qualcosa di più marcato.
Nel Cimento dell’armonia e dell’inventione op. VIII ci si potrebbe aspettare un
uso forse più esteso dei segni dinamici, se non altro perché molti concerti rappresentano scene e situazioni della vita reale. Se si eccettuano i luoghi abituali
già visti nell’op. III, Vivaldi se ne serve invece in poche occasioni. Un buon
esempio di utilizzo della dinamica ad uso «imitativo» o «rappresentativo» è il
primo movimento dell’Autunno, dove la graduale diminuzione del volume dal
piano, al più piano, al pianissimo e infine al silenzio serve al compositore per
imitare l’ubriaco che pian piano, finita l’euforia, si addormenta.
Le altre composizioni strumentali e vocali che ho potuto consultare confermano la tesi di fondo di questo studio: l’assenza di segni dinamici nei luoghi
non abituali non è imprecisione o dimenticanza né autorizza l’arbitrio. L’analisi
sistematica di apparenti dettagli fornisce ulteriori prove – se ce ne fosse bisogno – che la musica è il frutto di un’azione intelligente che richiede intelligenza. Seguire il proprio istinto giustificandosi con presunte imprecisioni notazio-
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Il numero arabo indica il concerto, quello romano minuscolo il movimento.
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nali è errato proprio perché offende l’intelligenza del compositore. Negli ultimi
anni della sua vita, Schubert si è servito spesso delle pause per realizzare quella che Newman ha definito «freedom of time», ossia una libertà temporale che
è nella musica stessa e che l’interprete realizza eseguendo con precisione quanto indicato in partitura.7 Ignorare le pause, ossia accorciarle o eliminarle, significa pensare che il compositore si sia sbagliato, che Schubert si sia sbagliato,
non uno qualunque. Non si è sbagliato, né si sbaglia, Vivaldi, «dimenticando»
tre «p» nella prima battuta della Sinfonia de La verità in cimento e tre «f» nella
battuta seguente.
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WILLIAM NEWMAN, Freedom of Time in Schubert’s Instrumental Music, «Musical Quarterly», 41,
1975, pp. 528-545.
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