Albani-Astrua/La dottrina di San Giovanni della Croce/Estratto

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Albani-Astrua/La dottrina di San Giovanni della Croce/Estratto
Estratto da ANGELO ALBANI & MASSIMO ASTRUA, LA DOTTRINA SPIRITUALE DI S. GIOVANNI DELLA CROCE
IL CAMMINO DELL’UNIONE: NADA Y TODO
Quando s. Giovanni della Croce era superiore del convento del Calvario, disegnò uno schizzo
simboleggiante il «Monte della perfezione» che, ricopiato in diversi esemplari, distribuiva alle anime da lui
dirette perché avessero una panoramica del cammino che conduce all’unione con Dio.
Alcuni incisori contemporanei del Santo resero più veristico il Monte, disegnandoci le rocce, le piante e i
sentieri.
Per rendere più comprensibile ai nostri lettori questo prezioso sussidio, ci siamo permessi di
semplificarlo ulteriormente, pur restando fedeli al suo contenuto essenziale.
Esso rende possibile abbracciare con un solo sguardo le strutture fondamentali della Dottrina Spirituale
di san Giovanni della Croce, come spiegheremo qui di seguito.
LA VETTA del Monte simboleggia la dimora di Dio: è questa la mèta alla quale l’anima anela e che mai
dovrà essere persa di vista, specialmente quando la salita richiederà i sacrifici più duri.
Dalla base del Monte si dipartano TRE VIE:
1) Quella di destra è la via di chi ama i beni della terra: essa non raggiunge la vetta, ma si perde fuori
del Monte. Due scritte costeggiano la via; la prima dice: «Quanto più li cercavo, tanto meno ne
ebbi»; e la seconda ammonisce: «Non potrà salire al Monte per questo cammino».
2) Quella di sinistra è la via di chi ama i beni del cielo ed essa pure non raggiunge la vetta del Monte,
ma si ferma contro alcune rocce insormontabili. Anche qui due scritte ammoniscono che chi cerca e
si compiace delle gioie dello spirito, non raggiungerà mai la vetta del puro amore di Dio, cioè
dell’unione con Lui.
3) Quella di centro è la via di chi non ama NULLA all’infuori di Dio solo: è la via stretta della perfezione
di cui parla Gesù (Mt 7,13). Il suo percorso è lastricato col «nulla» di ogni cosa che non sia il puro
amore di Dio: né onore, né riposo, né gusto, né libertà, né scienza, né gloria, né sicurezza, né gioia,
né conforto, né sapere… ma conduce direttamente alla vetta del Monte sul quale, più ancora che
lungo la via, l’anima sarà immersa nel «nulla».
Eppure è proprio in questo NULLA che l’anima si ritrova ricchissima di Dio: «Poiché non volli aver
nulla, mi è stato dato tutto senza che lo chiedessi». E questo TUTTO è Dio.
Qui la strada del «nulla» perde i propri confini col Monte: «Qui non vi è più strada, perché per l’uomo
che ama Dio non vi è legge: egli è legge a se stesso». L’anima è ormai abbandonata all’azione di Dio e guidata
solo dall’amore per Lui.
Da questo momento è Dio che fa tutto; che purifica fin le ultime scorie e che divinizza fin le ultime fibre
dell’anima con le sue stesse Virtù e con i suoi Doni.
Allora, vedendola bellissima e amandola come sua sposa, la introduce nell’Eterno Convito dove regna il
silenzio divino e la divina sapienza, trasformandola in Sé.
Ai piedi del Monte, per stimolare l’anima a prendere con coraggio la strada del «nulla» i lSanto aveva
posto alcuni versetti:
«Per giungere a gustare il Tutto
non cercare gusto in niente.
Per giungere a possedere il Tutto
non volere possedere niente.
Per giungere ad essere Tutto
Non voler essere niente…».
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Nell’anima che si è incamminata verso la vetta dell’unione con Dio avviene intanto, man mano che sale,
una progressiva trasformazione in Lui.
All’inizio del cammino (A) in essa c’è il massimo grado di «io» e una presenza di Dio (dovuta al Battesimo)
sostanziale, ma relegata al margine dell’attività dell’anima; man mano che l’anima, con l’esercizio delle Virtù
teologali, progredisce nel far dentro di sé il vuoto di ogni attaccamento alle creature, Dio riempie questo vuoto
(B) finché, giunta al completo nulla di sé, ella si ritrova tutta riempita di Dio e trasformata in Lui (C).
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Ora comprendiamo perché s. Giovanni della Croce è il Dottore del «Nulla e del Tutto» del «Nada y
Todo».
L’anima che vuole giungere a possedere il Tutto, che è Dio, ha solo una cosa da fare: ridurre al nulla
l’amore per le creature, specialmente per se stessa; il resto lo farà Dio.
«Dio come il sole, - dice il Santo – sta sopra l’anima, per donarsi a lei» e se trova l’anima vuota e
purificata «entrerà nell’anima e la riempirà dei suoi beni» (F 3,46-47).
Il cammino dell’unione si sviluppa quindi in un progressivo annientamento del proprio «io» al quale
corrisponde, da parte di Dio, una progressiva presa di possesso dell’anima, finché, «quando ella si sarà ridotta
al niente, Dio stesso compirà l’unione spirituale tra Lui e l’anima, unione che costituisce il più grande e più
alto stato a cui si possa pervenire in questa vita» (2S 7,11).
LE TAPPE DEL CAMMINO
Questo itinerario che ci conduce a Dio, proprio perché è evangelico, è per tutti, ed ognuno di noi troverà
in esso una guida sicura. Tuttavia, poiché Dio opera nelle singole anime come a Lui piace, ognuno di noi si
accorgerà che i modi e i tempi della propria santificazione divergeranno alquanto da quelli tracciati dal Santo,
come lui stesso ci avverte dicendoci ch «Dio conduce ciascuna anima per una propria via, talché difficilmente se
ne troverà una che nel modo di procedere convenga sol a metà con un’altra».
IL PUNTO DI PARTENZA
Il punto di partenza per la scalata al Monte della Santità è una volontà già distaccata dal peccato anche
veniale e decisa a condurre fino in fono, costi quel che costi, la grande impresa della propria trasformazione in
Dio.
Con ciò non è detto che quest’anima non possa ancora cadere in peccato: ciò che qui esige è una volontà
decisamente staccata dal peccato e decisamente rivolta verso Dio.
Come già sappiamo «i passi dell’anima» per avanzare in questo cammino sono la purificazione e
l’orazione. Esse hanno caratteristiche comuni, delle quali elenchiamo qui le principali:
1) Progrediscono parallelamente cosicché – come vedremo – a un certo «grado» di purificazione
corrisponde un certo «tipo» di orazione.
2) Si influenzano a vicenda: un aumento (o un calo) di purificazione produce inevitabilmente un
aumento (o un calo) di orazione, e viceversa.
3) L’una e l’altra sono (come già abbiamo detto) attive quando l’attività preponderante è quella
dell’anima; passive quando l’attività preponderante è quella di Dio, mentre l’anima resta passiva. La passività
dell’anima non è tuttavia sinonimo di «ozio», ma di «docilità» all’azione divina, il che comporta attività
spirituale somma, benché solo ricettiva.
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LA PURIFICAZIONE ATTIVA DEI SENSI
Il traguardo da raggiungere in questa prima tappa è «il rifiuto di ogni gusto e di ogni compiacimento di
sé»; infatti «non sono le cose di questo mondo che danneggiano e trattengono l’anima… ma il desiderio e il
gusto di queste cose» (1S 1,4)
Perciò l’anima si purifica non tanto con il distacco dalle cose create, quanto con il distacco della volontà
dal desiderio e dal gusto di esse.
In un primo tempo il Santo, per facilitare il distacco dei sensi dal gusto delle cose materiali e terrene,
suggerisce di applicare i sensi a gustare le cose spirituali; «così le anime, mediante il gusto delle cose sante, più
facilmente lasciano tutti gli altri gusti; come facciamo con i bambini ai quali, se vogliamo togliere una cosa, ne
diamo un’altra, affinché non restino a mani vuote e non piangano» (2S 29,1).
Perciò chi ancora cerca le sue soddisfazioni nel mangiare bene, nel vivere comodamente, nel passar
tempo con gli amici, o al bar, o davanti al televisore, o, peggio ancora, nei piaceri sessuali, dovrà per prima cosa
elevare i propri gusti a livelli più spirituali e più degni dell’uomo, come quelli derivanti dal compimento del
proprio dovere, da opere di carità, dalla preghiera, dalla meditazione, dalla lettura di libri santi ed anche da
qualche penitenza corporale che soddisfi la sua sete di generosità.
Allora sperimenterà che ci sono delle gioie sensibili più alte di quelle che aveva gustate fin qui, e gli
parrà tempo sciupato quello trascorso nella ricerca delle soddisfazioni terrene.
In tal modo la sua sensibilità «nutrita con il sapore dei beni spirituali si distaccherà da quello dei beni
materiali, riuscendo ad abbandonare anche tutte le cose del mondo» (F 3,32).
Ma questo primo risultato (che all’anima ancora imperfetta sembra già una grande conquista) deve
essere ben presto superato da un secondo e più decisivo passo in avanti: la totale mortificazione del gusto
sensibile in ogni campo, anche in quello spirituale.
Ed è a questo punto che comincia la notte attiva dei sensi.
Purtroppo moltissime anime, anche religiose, non osano sottoporsi a questo esercizio purificatore, e
finiscono col trascorrere tutta la vita da persone sì oneste ed anche buone, ma in perpetuo parcheggio di attesa,
senza mai decidersi a intraprendere la divina avventura dell’unione con Dio.
L’anima generosa invece dice a se stessa:
«I sensi sono facoltà rozze e materiali e perciò incapaci di farmi raggiungere Dio che è purissimo Spirito.
Al più essi possono facilitarmi il cammino per avvicinarmi a Lui, ma non potranno mai farmeLo incontrare…
Perciò io li userò, ma senza soffermarmi in essi, cioè senza volerne gustare il diletto: passerò su di essi con
indifferenza, come si passa su un ponte che va lasciato dietro le spalle, col cuore teso unicamente all’Amore
infinito che mi attende al di là della via».
A queste anime generose il Santo Dottore propone le seguenti «norme di purificazione» che, «se saranno
abbracciate di cuore… e praticate generosamente, faranno entrare l’anima nella notte del senso» (1S 13,7-8).
Le raccogliamo sotto quattro punti:
1) Per imitare Gesù Cristo.
«In primo luogo l’anima abbia un costante desiderio di imitare Gesù Cristo… e mediti sulla sua vita per
comportarsi in ogni sua azione come Gesù Cristo si comporterebbe» (1S 13,3).
Queste parole del Santo sono fondamentali: se infatti nell’anima mancasse l’amore per Gesù e il
desiderio di essere come Lui, tutte le norme esposte nei punti seguenti diventerebbero insopportabili; ma se
nell’anima arde la fiamma dell’amore per Lui, allora anche il sacrificio più pesane diventerà «leggero» e la
rinuncia più dolorosa per la natura, diventerà «soave» (Mt 11,30).
Il Santo Dottore esige che il desiderio di imitare Gesù sia «costante» e presente «in ogni azione» che
l’anima compie. Non basta perciò la cosiddetta «offerta della giornata» o la semplice «intenzione abituale»: è
l’amore «attuale», rinnovato di volta in volta, che rende possibile la rinuncia e che le conferisce il suo vero
valore.
2) La purificazione dei sensi.
L’amore per Gesù deve innanzi tutto orientare la nostra volontà alla rinuncia di ogni piacere sensibile:
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«In secondo luogo l’anima rinunzi a qualunque piacere sensibile che non sia puramente a onore e
gloria di Dio, e ciò per amore di Gesù Cristo, il quale in questa vita non ebbe e non volle altro piacere che
quello di fare la volontà del Padre» (1S 13,4).
E qui il Santo dà due consigli di grande saggezza e praticità:
a) «Se le si offre il piacere di ascoltare o vedere o possedere o fare cose che non hanno importanza per
il servizio e la gloria di Dio o che non servono ad avvicinarla a Lui, quando è possibili, eviti di ascoltarle,
divederle, di possederle o di farle» (1S 13,4 passim).
b) «Se ciò non le sarà possibile, basta che ella non assapori il gusto delle cose che non può «evitare»
(1S 13,4).
3) La purificazione delle passioni
Alla purificazione dei sensi l’anima deve far seguire la purificazione delle passioni, orientando
positivamente la propria volontà verso ciò che più spiace alla natura.
Le passioni infatti ci spingono ad aderire a ciò che piace ai sensi, e per neutralizzarle non è sufficiente
neutralizzarne le richieste, ma è necessario passare al contrattacco, volendo positivamente i contrario.
Perciò il Santo dichiara:
«Per mortificare le passioni…
l’anima cerchi sempre di inclinarsi:
non al più facile ma al più difficile;
non al più saporoso, ma al più insipido;
non a quello che piace di più,
ma a quello che piace di meno;
non al riposo, ma alla fatica;
non a ciò che consola, ma ciò che sconforta;
non al più, ma al meno;
non alle cose più nobili e preziose, ma a quelle vili e spregevoli;
non alla ricerca di qualche cosa,
ma a non desiderare niente;
non alla ricerca del lato migliore delle cose create,
ma al peggiore;
e a desiderare nudità, privazioni e povertà
di quanto vi è nel mondo,
per amore di Gesù Cristo» (1S 13,5-6).
4) La purificazione dell’amor proprio
Infine il Santo esige la distruzione dell’«amor proprio», cioè di quella sottile compiacenza di se stessi
che penetra le pieghe dell’anima e che, se non viene eliminata, rende impossibile l’unione con Dio. Infatti, nella
misura in cui stimiamo ed amiamo noi stessi, corriamo il serio pericolo di sottrarre a Dio parte di quella stima e
di quell’amore che si deve a Lui solo.
Per raggiungere la vittoria sull’amore di se stessi, il nostro Santo suggerisce tre norme:
«Per prima cosa l’anima procuri di essere disprezzata e desideri che anche gli altri facciano lo stesso
verso di lei. Cerchi poi di parlare in proprio disprezzo e desiderare che anche gli altri parino male di lei.
Cerchi infine di pensare bassamente di sé, disprezzandosi, e desideri che tutti pensino altrettanto di lei» (1S
13,9).
Il tutto – sia ben chiaro – deve essere fatto senza ricorrere a parole e atteggiamenti strani o che attirino
l’attenzione degli altri , perché ciò sarebbe sommamente contrario all’umiltà.
Al termine della purificazione dei sensi l’anima si ritroverà, con sua meraviglia e somma gioia,
indifferente verso tutti i gusti e le cose create; e mentre prima gli altri ostacoli sensibili, come mastice cosparso
sulle suole, le impedivano di muovere i passi incontro al suo Dio, ora che quegli attacchi sono stati distrutti, ella
è libera di correre, anzi «di volare alla vera libertà per godere l’unione con l’Amato» (1S 15,2).
j.m.j.
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