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Le sfide del disarmo e della non-proliferazione - Un sincero ringraziamento anzitutto al Presidente dell’ISPI, Amb. Boris Biancheri, per aver organizzato questa Conferenza. E’ una iniziativa che dimostra la qualità della collaborazione tra ISPI e Farnesina, insieme radicata nel tempo e di forte aggancio con l’attualità internazionale. - Disarmo e non proliferazione costituiscono un impegno prioritario nell’azione di Governo. E’ il motivo che ha portato il Ministero degli Esteri a proporre l’odierna Conferenza. Ed è in questo spirito che il Vice Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, mi ha chiesto di portare il suo caloroso saluto ai partecipanti. - Disarmo e non proliferazione delle armi di distruzione di massa sono più che mai al centro delle preoccupazioni dell’opinione pubblica. Nei sedici anni trascorsi dalla fine della Guerra Fredda vi è stata una fase iniziale di concreti progressi nell’eliminazione e nel controllo di questi armamenti: con riduzione degli arsenali strategici; rafforzamento dei meccanismi di verifica; nuovi regimi convenzionali nel settore chimico; revisione delle dottrine militari in senso drasticamente limitativo; garanzie negative di sicurezza da parte delle potenze militarmente nucleari. Attorno alla metà degli Anni Novanta si poteva così ritenere che la diminuzione degli armamenti strategici, il loro “decommissioning”, e l’enfasi sulle salvaguardie monetizzassero quel “peace dividend” auspicato da tutti al momento del crollo del muro di Berlino. - Purtroppo, da diversi anni si assiste ad una tendenza involutiva: emergono prove di programmi segreti, si materializzano sospetti, si arenano le trattative tra la Comunità internazionale ed i “Paesi a rischio”. Comportamenti virtuosi non sono certo mancati; ad esempio nello spazio ex sovietico; in Africa; in America Latina. Ma la scoperta del “network” del dr. Kahn in Pakistan, del programma nucleare iraniano non dichiarato e di quello nord- coreano hanno ridimensionato molti ottimismi. - Così, non è certo un caso se la preoccupazione del pubblico per il programma iraniano campeggia al primissimo posto nelle valutazioni di rischio individuate dai “Transatlantic Trends” del George Marshall Fund: con simmetria rara tra le due sponde dell’Atlantico, il 75% degli Americani e il 58% degli Europei considera “estremamente grave” la minaccia che l’Iran si doti di armi nucleari; e il 79% degli americani insieme all’84% degli europei pensa che si debba fare ogni sforzo per impedirlo. All’interno di queste elevate percentuali vi è persino, e lo trovo sinceramente sorprendente, un 53% di americani e un 45% di europei che considererebbero un intervento militare l“estrema ratio” per risolvere il problema. 1 - Venendo più direttamente all’Italia, anche se non dispongo di statistiche attendibili sulla “esposizione” che le tematiche della proliferazione hanno recentemente avuto nei nostri media, Iran e Corea del Nord monopolizzano da tempo le analisi ed i resoconti di politica internazionale. Il trimestrale “Affari Esteri” di questa estate conteneva ben dieci articoli su un totale di venti dedicati a questo tema. - Terrei in questa sede a menzionare tre aspetti: I. il contesto multilaterale; II. il ruolo del nostro Paese; III. le opzioni che abbiamo di fronte: I. Il contesto multilaterale. - In campo nucleare, problema dei problemi, possiamo bene dire che nei 35 anni dall’entrata in vigore, il TNP ha contribuito in modo decisivo alla pace e alla sicurezza. Il Trattato non è immune da lacune; per alcuni suoi aspetti, è obsoleto; ma resta l’architrave del sistema di garanzie; un suo scardinamento lascerebbe il vuoto o meglio si passerebbe inevitabilmente da un sistema multilaterale e tendenzialmente universale ad una parcellizzazione regionale della legalità e delle garanzie. - E’ opinione diffusa che manchino oggi le condizioni per ricostruire “ab imis” qualcosa di più affidabile. Ricordiamoci quanto fosche fossero le predizioni che avevano portato a negoziarlo: agli inizi degli anni ’60 Kennedy aveva stimato che ben trentacinque Paesi avrebbero superato rapidamente la soglia nucleare. Mezzo secolo dopo, ciò non è ancora avvenuto. Il TNP ha quindi avuto certamente un “effetto contenimento”; e si è affermato come “regime universale”, essendone esclusi solo India, Pakistan, Israele e Corea del Nord. - Abbiamo ratificato il Trattato nel ’75, dopo un dibattito caratterizzato da “visioni” critiche, che prefiguravano le inadeguatezze alle quali ho accennato. Roberto Gaja, in un famoso articolo sulla Stampa del giugno ’74, scritto dopo il primo test nucleare indiano, ipotizzava già modifiche sostanziali al TNP; sia perché il Trattato così com’era non aveva impedito all’India di tramutare un reattore a tecnologia Candu in uno strumento per fare la bomba; sia perché lo “status di potenza militarmente nucleare” riconosciuto ai Cinque Grandi penalizzava il processo di integrazione europea, e ancor peggio, sanciva l’inferiorità strategica di Germania e Italia rispetto a Francia e Gran Bretagna. - Queste obiezioni furono superate nel prosieguo del dibattito, e si giunse giustamente – alla ratifica. Ma le considerazioni di Gaja mantengono, lucide com’erano, una impressionante vitalità: trentadue anni dopo continuiamo a dover fare i conti, da un lato, con l’esigenza di rafforzare l’efficacia del sistema; dall’altro dobbiamo continuare a fare i conti con la difficoltà che comporta uno squilibrio intrinseco all’Unione Europea: lo “status privilegiato” 2 di Gran Bretagna e Francia rispetto a tutti gli altri partners europei. Uno status che consente a questi due Paesi di essere arbitri di ogni “geometria variabile” si voglia o si debba creare nel gestire crisi di primaria grandezza, come quella iraniana, o di promuovere la creazione di gruppi ristretti aventi finalità negoziale o di altra natura. II. Il ruolo dell’Italia. - L’insoddisfacente conclusione della Conferenza di Riesame del TNP nel maggio 2005, e le sfide poste da Iran e Corea del Nord sono due aspetti che la diplomazia italiana ha seguito con estremo impegno. - Per la conferenza di Riesame del TNP, avevamo sottolineato l’assoluta esigenza di progressi paralleli in tutte le tre componenti del Trattato: nella non proliferazione (attraverso un rafforzamento delle salvaguardie); nel disarmo (con un salto di qualità nell’attuare gli impegni, ritenuti dai Paesi non nucleari del tutto insufficienti); nell’uso pacifico dell’energia nucleare (riconoscendo in modo più circostanziato i diritti che vi si ricollegano, come quelli che riguardano il ciclo del combustibile). - La Conferenza di Riesame si è tradotta in una situazione di stallo proprio perché il “trade off” tra nuovi impegni di disarmo e nuove limitazioni nell’uso pacifico del nucleare è mancato; e quell’ampia coalizione di Paesi, i G77, che fanno leva prioritariamente sul secondo aspetto, hanno osteggiato qualsivoglia passo avanti sul primo. Ciò ha anche impedito un accordo sull’ultimo documento del Vertice ONU 2005, così da far dire a Kofi Annan che si rischia una “proliferazione a cascata”. - Ha recentemente ricordato Hans Blix su Herald Tribune, che la credibilità della battaglia contro la proliferazione è politicamente molto indebolita dai mancati progressi nella riduzione di circa 27000 armi atomiche, tuttora presenti negli arsenali. A ciò si aggiungano i programmi di ammodernamento, poco compatibili con le richieste di riduzione e di totale eliminazione di queste armi. - Noi riteniamo che debbano essere rispettati tutti e tre i pilastri; al tempo stesso che controlli e salvaguardie debbano essere molto più efficaci. Riteniamo anche che la facoltà di recesso prevista dall’art.X del TNP necessiti di un’interpretazione più restrittiva; la cooperazione internazionale nella eliminazione delle armi di distruzione di massa debba essere accresciuta; che occorrano nuove regole per disciplinare il ciclo del combustibile; che si delimiti seriamente l’accesso a tali tecnologie. Merita anche di essere esplicitato in modo più impegnativo il diritto previsto all’art.IV, riguardante l’energia nucleare civile. 3 - Il Direttore Generale dell’AIEA, El Baradei, ha avanzato proposte in questo senso. Esse rafforzano un approccio multilaterale allo sviluppo del ciclo del combustibile, una “internazionalizzare” dei servizi e delle tecnologie. Crediamo sia questa la strada giusta, senza ledere i principi e i diritti di nessuno. III. Prospettive per il futuro - Un Convegno come quello odierno significa, a mio avviso, proporre un percorso; stimolare risposte agli interrogativi che abbiamo di fronte. Dopo l’insuccesso della conferenza di Riesame del TNP, per parte italiana si è cercato di contribuire a una nuova dinamica, di coagulare il consenso su misure pratiche, in grado di rilanciare l’agenda del disarmo e della non proliferazione. Lo abbiamo fatto attraverso intense consultazioni con i principali partners europei, negli organismi multilaterali; abbiamo insistito affinché l’Unione Europea riacquisti un ruolo traente. - Quali misure pratiche? - Innanzitutto una applicazione universale dei Protocolli Aggiuntivi. Protocolli Aggiuntivi e Salvaguardie devono essere lo standard di riferimento per le verifiche dell’AIEA; ugualmente l’adesione ai Protocolli Aggiuntivi deve essere condizione inderogabile per ottenere materiali e tecnologie. - In secondo luogo, desideriamo che si adotti un Trattato che limiti la produzione di nuovo materiale fissile (il cosiddetto Fissile Material cut off Treaty). Vi sono molte resistenze su questo punto. Si tratta di far prevalere il buon senso: come si può far credere di volere veramente una riduzione delle armi nucleari, quando non ci si vuole impegnare a interrompere la produzione. - In terzo luogo, riteniamo che il bando sugli esperimenti nucleari debba vincolare tutti, con la ratifica generalizzata del relativo Trattato (Comprehensive Test Ban Treaty). Il bando deve assurgere a principio assoluto. Così come per la produzione del materiale fissile, l’obbligatorietà del bando sui test nucleari costituisce una fondamentale “misura di fiducia”. IV. Per concludere. - alla Farnesina restiamo convinti che il sistema generalizzato di salvaguardia contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa costituisca sempre lo strumento più efficace, attuale, e adattabile alle sfide che si profilano all’orizzonte. Ne siamo convinti non perché crediamo fideisticamente all’approccio multilaterale. Ma perché vediamo nel grado di legittimazione, di 4 equità, e di democraticità di questi accordi e di queste organizzazioni le condizioni essenziali per accrescere la credibilità della non proliferazione. - Certo, stiamo attraversando una stagione molto critica. Ulteriori brecce nel TNP, quale potrebbe essere un recesso iraniano, dopo il test nord-coreano, minere forse irreparabilmente il Trattato. Un ritorno a quanto scriveva Roberto Gaja? Non lo credo veramente. - Anche se gli scenari più negativi si avverassero la Comunità internazionale sta da tempo sperimentando, con un certo successo, cooperazioni più delimitate. Diverse e in un certo senso lontane da quel “multilateralismo puro” che aveva ispirato il TNP. Cooperazioni con finalità specifiche, caratterizzate dall’adesione volontaria, come la “Proliferation Security Iniziative”, o il “Missile Technology Control Regime”; basate su basi giuridico-istituzionali “leggere” e pragmatiche. - Si tratta di tendenze che, negli ultimi anni investono la sfera dei negoziati, oltre a quella dei controlli. Guardiamo alla Corea del Nord: i Six Party Talks hanno coinvolto le potenze interessate alla stabilità strategica regionale. Lo stesso vale, nonostante l’inaccettabile esclusione italiana, per il negoziato con l’Iran. - Strumenti di verifica “ad hoc”, e approccio regionale nei negoziati, sembrano rappresentare sempre più una strada integrativa, e non ancora alternativa al sistema multilaterale del TNP. - Tuttavia altri esempi, come gli accordi Bush – Singh stanno a dimostrare che una sorta di “divisibilità” della sicurezza strategica, anche nel campo delle armi di distruzione di massa, sta prendendo corpo. Diverse generazioni di studiosi e di diplomatici hanno operato in un assunto diverso: che gli enormi rischi connessi all’esistenza di tali armi potessero essere affrontati solo con sistemi globali. Ma può darsi che, in questa nuova era, la risposta debba essere diversa. Il superamento della soglia nucleare da parte della Corea del Nord, un Paese a forte rischio per la proliferazione, richiede un salto di qualità nella cooperazione anche a livello regionale. Poiché i fatti di questi giorni accrescono indubbiamente la minaccia del terrorismo nucleare, l’impegno nel contrastarlo deve consolidarsi a tutti i livelli. E anche su questo vale la pena discutere. 5