Cap. XXII - Il vescovo santo nei Miserabili di V. Hugo

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Cap. XXII - Il vescovo santo nei Miserabili di V. Hugo
SECONDA PARTE
TESTI A CONFRONTO
cap. XXII
Il vescovo santo nei Miserabili di V. Hugo
Federigo, santo intellettuale
Il cardinal Federigo Borromeo è presentato da Manzoni come un personaggio estremamente positivo, in
cui si incarnano tutti i valori e le virtù. Il cardinale è insomma, ancor più di fra Cristoforo, il modello
positivo che l’autore propone ai suoi lettori.
Quella incarnata da Federigo è però una santità tutta intellettuale: non a caso, il capolavoro del cardinale
è, secondo Manzoni, la fondazione della Biblioteca Ambrosiana, che lo scrittore esalta come centro di
ricerca intellettuale e come polo di diffusione democratica del sapere.
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La santità evangelica di monsignor Myriel
Nella seconda metà dell’Ottocento, il principale esponente del romanticismo francese, Victor Hugo, nel
suo capolavoro I miserabili propone un modello di santità che è utile confrontare con quello manzoniano.
Il personaggio che la incarna è un vescovo di provincia, monsignor Myriel.
Apparentemente, egli ha le stesse virtù del cardinal Federigo: è animato da un grande spirito di carità e
mette in atto concretamente i principi del Vangelo, conducendo una vita povera e aiutando come può i
poveri e gli infelici.
In realtà, i due personaggi presentano numerose e importanti differenze.
Realtà storica e finzione letteraria
La prima differenza è che Federigo è un personaggio storico reale, che Manzoni inserisce nel suo
romanzo, conservando però tutti gli elementi della realtà storica.
Monsignor Myriel è invece un personaggio d’invenzione, che Hugo crea rispettando le regole della
verosimiglianza, ma con la massima libertà.
Il rapporto con i libri
La seconda differenza fra Federigo e Myrial è legata al loro rapporto con la cultura scritta.
Federigo è un intellettuale, uno scrittore, un fondatore di biblioteche.
Myriel, al contrario, non viene mai descritto immerso nello studio, nella lettura, ma sempre impegnato in
azioni concrete, in visite, in colloqui.
Hugo conclude il ritratto del personaggio sottolineando la sua natura non intellettuale (citiamo dalla
traduzione di M. Picchi, ed. Einaudi):
Monsignor Bienvenu era semplicemente un uomo che accettava dal di fuori i misteriosi quesiti senza
scrutarli, senza agitarli e senza turbare con essi la sua mente, e che aveva nell’anima il grave rispetto
dell’ombra. (tomo I, parte I, libro I, cap. 14)
Centro e provincia
La terza differenza tra Federigo e Myriel è legata al luogo in cui vivono e operano.
Federigo è arcivescovo di Milano, una grande città, e governa una diocesi molto vasta. Ha a disposizione
molte persone e dispone di grandi mezzi.
Myriel vive in una cittadina di provincia, di scarsa importanza, in compagnia della sorella nubile e di una
burbera cuoca. I suoi mezzi sono limitatissimi.
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La conversione
Sia il cardinal Federigo, sia monsignor Myriel devono la loro importanza all’interno dei rispettivi romanzi
a una conversione.
Nel Promessi sposi, l’episodio fondamentale di cui Federigo è protagonista è il colloquio con
l’innominato.
La conversione interiore dell’innominato è già avvenuta, in parte per le sue riflessioni sulla morte, in
parte per l’incontro con Lucia. Il colloquio con Federigo “formalizza” questa conversione e riporta
definitivamente l’innominato nell’ambito della Chiesa.
Nei Miserabili, l’episodio fondamentale di cui è protagonista monsignor Myriel è l’incontro con Jean
Valjean, un povero ex-carcerato ingiustamente condannato e ora rifiutato da tutti, a cui il vescovo offre
ospitalità per la notte.
Jean Valjean è colpito dall’atteggiamento caritatevole del vescovo, ma è pieno di rancore per l’umanità
intera: egli ruba dunque le posate e i piatti d’argento che, insieme a due preziosi candelabri, costituiscono
l’unica ricchezza del suo benefattore. La mattina dopo, quando Jean Valjean viene arrestato, monsignor
Myriel ha già capito ciò che è accaduto - e il suo atteggiamento provoca in Jean Valjean un profondo
cambiamento interiore.
Si aperse la porta. Apparve sulla soglia un gruppo strano e violento. Tre uomini ne reggevano un quarto
per il bavero. I tre uomini erano gendarmi; l’altro era Jean Valjean.
Un brigadiere dei gendarmi, che pareva il capo del gruppo, era vicino alla porta. Entrò e andò verso il
vescovo facendo il saluto militare. (...) Intanto monsignor Bienvenu si era avvicinato con quanta
prontezza gli consentiva la sua tarda età.
- Ah, eccovi! - esclamò guardando Jean Valjean. - Sono contento di vedervi. Come sarebbe? Vi avevo
dato anche i candelieri, che sono d’argento come il resto e dai quali potete ricavare duecento franchi!
Perché non li avete presi insieme con le posate?
Jean Valjean sgranò gli occhi e guardò il venerabile vescovo con un’espressione che nessuna lingua
umana potrebbe descrivere. (...)
- Dunque - riprese il brigadiere, - possiamo lasciarlo andare?
- Senza dubbio - rispose il vescovo.
I gendarmi lasciarono Jean Valjean, che indietreggiò.
- È vero che mi lasciano libero? - disse con voce quasi indistinta, come se parlasse nel sonno.
- Sì, sei libero, non capisci? - disse un gendarme.
- Amico mio - disse il vescovo, - prima di andarvene ecco qua i vostri candelieri. Prendeteli. (...) A
proposito, quando tornerete, amico mio, è inutile passare dal giardino. Potete sempre entrare e uscire
dalla porta di strada. È chiusa soltanto col saliscendi, giorno e notte. (...)
Jean Valjean era come uno che stia sul punto di svenire. (tomo I, parte I, libro II, cap. 12)
Due diverse concezioni del cristianesimo
Il confronto fra i due episodi rivela la diversa concezione del cristianesimo dei due autori.
La religiosità di Manzoni è una religiosità intellettuale, un’adesione filosofica, più che sentimentale, al
messaggio cristiano e soprattutto alla Chiesa. La riflessione notturna dell’innominato e l’incontro con
Lucia non sarebbe sufficiente, senza quello con Federigo, a convertire definitivamente il “selvaggio
signore”.
La religiosità di Hugo è più legata al sentimento che all’intelletto, più vicina alla sensibilità del popolo
che a quella delle persone colte e benestanti. E la conversione del “selvaggio” Jean Valjean non ha
bisogno di riti, discorsi, momenti teatrali - non avviene attraverso un lungo percorso intellettuale, ma
attraverso una illuminazione improvvisa, istantanea e misteriosa.
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