L`ADOLESCENZA – Percorso filmografico CATERINA VA IN CITTA

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L`ADOLESCENZA – Percorso filmografico CATERINA VA IN CITTA
L’ADOLESCENZA – Percorso filmografico
CATERINA VA IN CITTA’
di Paolo Virzì
Italia, 2003
Caterina, 13 anni, trasloca con la famiglia da un piccolo paese della provincia laziale a
Roma. Pressata dalle ambizioni del padre, insegnante frustrato in cerca di rivalsa,
Caterina entra in contatto con gli adolescenti viziati dell’alta borghesia romana, solo
apparentemente divisi tra “destra” e “sinistra” . Attratta e al contempo stordita dalla
nuova realtà, riesce tuttavia a mantenere uno sguardo semplice, e a comprendere,
infine, che cosa è davvero importante per la sua vita.
Nella giungla sconosciuta della città, tanto seducente quanto spietata, ciò che rende
Caterina diversa dagli altri, adulti e teen ager, tutti disillusi, cinici o già “saputi” è uno
sguardo curioso e ingenuo, libero da pregiudizi, lo sguardo di chi deve ancora
imparare tutto. Forse è proprio questa aria indifesa e sincera a catalizzare su Caterina
le ambizioni altrui: quella del padre, che la usa per entrare in contatto con la Roma
che conta, quelle delle compagne di classe, che cercano di attirarla tra “zecche” o
“pariolini”, etichette che celano di fatto una sola realtà, quella di viziati figli di papà.
Eppure, a determinare la maturazione di Caterina, contrariamente a quanto accade
solitamente nelle storie di formazione, non sarà il superamento delle origini, quanto,
invece, la loro consapevole riscoperta. Caterina diventerà grande nel momento in cui
rifiuterà di essere imbrigliata in un’etichetta, e deciderà di restare fedele a quella
semplicità di sguardo che le ha insegnato il mondo da cui proviene, restare fedele alle
sue passioni (il canto), restare fedele alla solare “normalità” dei rapporti nel suo paese
d’origine.
Satira agrodolce di un’Italia divisa tra “destre” e sinistre” ugualmente assetate di
potere, questo film di Paolo Virzì merita attenzione anche per la delicatezza e
l’originalità con cui tratteggia la crescita di una ragazzina che, da spettatrice
passiva e neutrale, impara a diventare protagonista della sua vita.
SPIDER-MAN UNO E DUE
di Sam Raimi
Usa, 2002/2004
Peter Parker, un timido adolescente, viene morso da un ragno modificato
geneticamente e scopre di avere poteri straordinari. Peter accetta la nuova identità di
supereroe e travestito da “Uomo Ragno” comincia a combattere i cattivi della città. Nel
secondo episodio, l’antagonista di Spider-Man è uno scienziato pazzo: ma il vero
nemico, a ben vedere, è il desiderio, che comincia a insinuarsi in Peter, di una vita
“normale”, in cui ci sia spazio finalmente anche per l’amore…
Blockbuster avvincenti, ricchissimi di azione ed effetti speciali, i due episodi di Spiderman possono essere letti anche come profondi drammi di identità.
Nel primo, uno studente un po’ goffo e impacciato si trova a fare i conti con improvvisi
“superpoteri” - non richiesti! - che potrebbero cambiargli la vita: per Peter, il nucleo
del dramma risiede nella consapevolezza che “da un grande potere deriva una grande
responsabilità”. Essere eroi significa non solo avere particolari doti, ma anche metterle
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a disposizione del bene comune, accettando le conseguenze del proprio ruolo, di
fronte al mondo.
Nel secondo episodio, ancora più avvincente e più profondo nella costruzione delle
psicologie, Peter scopre il prezzo che comporta assumersi questa responsabilità.
Ovvero sacrifici su sacrifici: rinuncia a una vita normale, rinuncia all’amore, rinuncia
alla carriera, rinuncia ai propri desideri!.
Forse, però, non accettare le responsabilità di essere super-eroe equivale a non
accettare la responsabilità di essere uomo…
Due film altamente spettacolari che offrono, in filigrana, una profonda parabola sul
talento e la scoperta delle propria “vocazione”.
ALLA RICERCA DI NEMO
di Andrew Stanton
Usa, 2003
Marlin, un pesce pagliaccio che vive nella barriera corallina, deve avventurarsi in mare
aperto per ritrovare il figlio Nemo, rapito da un pescatore subacqueo e poi veduto
come pesce d’acquario. Non sarà facile evitare le pericolose insidie dell’oceano, con
l’unico aiuto di una pesciolina smemorata…
Anche se Nemo è un pesciolino giovane e ancora inesperto della vita, il vero
protagonista del film, colui che dovrà cambiare e “maturare”, è in realtà suo padre
Marlin. Rimasto precocemente vedovo e legatissimo al figlioletto, Marlin vorrebbe
tenere Nemo al riparo dai pericoli, dall’ignoto, dall’imprevisto, insomma dalla vita
stessa. Nemo invece, come tutti i giovani, ha sete di vedere, conoscere, sperimentare.
Infatti il rapporto tra i due è commovente ma anche conflittuale: così, dopo un litigio,
il pesciolino grida il suo odio al padre e scappa via. Questo fatto, accaduto senza
preavviso, costringerà Marlin a vincere tutte le sue paure. Sarà proprio lui, così
prudente e pessimista, a buttarsi a capofitto nel rischio, abbandonando l’ambiente
protetto della barriera, affrontando le profondità dell’oceano in un viaggio lunghissimo,
pur di trovarlo e riportarlo a casa. “Gli avevo promesso che non gli sarebbe successo
mai niente” confida Marlin alla sua compagna di ricerche, Dori. “Un po’ bislacca come
promessa” gli risponde saggiamente la simpatica pesciolina smemorata, che condivide
con lui la grande avventura del viaggio e il “miracolo” del cambiamento.
Il film, divertentissimo e visivamente affascinante, è anche e soprattutto una
riflessione profonda sul rapporto tra padre e figlio: Marlin ritrova suo figlio
quando accetta di “perderlo”, cioè quando riconosce che non può trattarlo come cosa
sua, né sostituirsi a lui nel suo percorso di crescita.
MASTER AND COMMANDER
di Peter Weir
Usa, 2003
Oceano Atlantico, 1805. Guerre napoleoniche. Il vascello britannico H.M.S. Surprise,
capitanato dal carismatico Jack Aubrey detto “il fortunato”, ha l’ordine di raggiungere
e distruggere la fregata corsara francese Acheron, di stazza e armamento molto più
potente. Il duello porta le due navi fino a capo Horn e oltre, in un estenuante
inseguimento che culminerà nell’epica battaglia finale.
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Master and Commander è un grande film epico, oltre che una rigorosa e suggestiva
ricostruzione della vita in mare all'inizio dell'800. Ma è anche la storia di una intensa
amicizia, che lega due uomini diversissimi per carattere, stile, convinzioni. Il primo, il
capitano Jack Aubrey, impulsivo e passionale, è un condottiero autorevole, che guida i
suoi uomini con decisione e carisma, a volte con durezza, ma riuscendo sempre a
valorizzarne i talenti. Suo “antagonista” e coscienza critica è il medico di bordo,
Stephen Maturin, più riflessivo e razionale, che non ha nulla in comune con lui se non
una profonda sensibilità umana. Questa affinità di “spirito” diviene esplicita quando,
alla fine della giornata, i due si ritrovano a suonare insieme sottocoperta. Però, per il
resto non potrebbero essere più diversi: Jack è un uomo d’armi immerso nella
mentalità del suo tempo, Stephen vorrebbe punizioni meno dure verso i marinai che
sbagliano, e contesta l’accanimento di Jack nell’inseguire la Acheron, a prezzo di vite
umane. Il loro rapporto vive di un continuo e sincero confronto, che a volte diventa
aperto dissidio; però entrambi, in nome del loro legame, saranno disposti a fare un
passo indietro, e a sacrificare la propria personale “ossessione” (per Jack la caccia alla
Acheron, per Stephen lo studio della natura). Attorno a questa amicizia cresce e si
rafforza anche il rapporto tra gli altri membri dell’equipaggio, che senza alcun
sentimentalismo arrivano a rappresentare una sorta di famiglia.
SAVE THE LAST DANCE
di Thomas Carter
Usa, 2001
Sara sogna di diventare ballerina di danza classica e di entrare in una prestigiosa
compagnia di balletto, ma la morte improvvisa della madre e il trasferimento in un
sobborgo popolare di Chicago sembrano spezzare il suo sogno. Nella nuova città,
però, l’incontro con l’afroamericano Derek, aspirante medico e ottimo ballerino hip
hop, le fa riscoprire l’antica passione per la danza. L’amore che nasce tra i due giovani
dovrà fare i conti non soltanto con le differenze razziali e culturali, ma anche con
l'opposizione di amici e parenti.
Innamorarsi spesso significa lasciarsi cambiare da un evento imprevisto, che scombina
i propri progetti e pregiudizi e obbliga a mettersi in discussione. Così accade a Sara:
dopo la morte della madre rinuncia alla danza, la sua grande passione, e si chiude in
una corazza. Il brusco trasferimento a Chicago sembra aggravare la sua solitudine: il
padre è poco più di un estraneo e a scuola è ghettizzata in quanto unica ragazza
bianca. L’incontro con Derek è l’occasione per Sara di abbassare le difese, togliere la
corazza e ricominciare a mettersi in gioco. Al ritmo trascinante dell’ hip hop, la sua
rigidità, fisica e mentale, si scioglie a poco a poco; stando con Derek, Sara ricomincia
a rischiare, fino a tornare a guardare in faccia i propri sogni. L’innamoramento
coincide spesso con una sorprendente riscoperta, attraverso gli occhi dell’altro, di se
stessi e dei propri desideri più veri, che, condivisi con la persona amata, diventano
reali, cioè possibili. Ma innamorarsi significa anche scegliersi, e lottare per difendere il
proprio amore, come dovranno fare Sara e Derek di fronte all’ostilità e al pregiudizio
di amici e parenti.
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50 VOLTE IL PRIMO BACIO
di Peter Segal
Usa, 2004
Henry Roth lavora in un acquario alle Hawaii e flirta con tutte le turiste di passaggio
perché sa di non doversi impegnare. Ma un giorno rimane folgorato da Lucy, che a
causa di un trauma provocato da un incidente d’auto, tutte le mattine si sveglia
convinta che sia il 16 ottobre, e non ricorda niente di quello che è successo dopo. Una
bella sfida, per Henry, che ogni giorno deve presentarsi a Lucy come se fosse la prima
volta…
In un certo senso Lucy è la ragazza perfetta per un uomo che non si vuole impegnare
come Henry: dopo un giorno trascorso insieme, lei non si ricorda nulla! Il che significa
niente telefonate, niente pretese, niente progetti. Ma stavolta per Henry è diverso,
perché si è innamorato davvero. Per questo non può più accontentarsi di una sola
giornata, o di poche ore insieme; per questo proprio lui, il maestro della “toccata e
fuga”, viene educato da Lucy - e dal suo strano handicap - a un corteggiamento
continuo, fatto di pazienza, attesa, rispetto; per questo, sarà lui a prendersi il rischio
di portare nella vita di Lucy la verità, per quanto dolorosa potrà essere, superando la
barriera protettiva costruita dal padre e dal fratello di lei.
Una commedia godibile, divertente, tuttavia non banale, che ci ricorda come lo
sguardo di chi è innamorato non dà mai nulla per scontato, ma si spalanca ogni
giorno, di fronte alla persona amata, come se fosse la prima volta. Non solo: il film
sembra anche suggerire, tra le righe, che il segreto perché l’amore duri è mantenere
questo sguardo nel tempo, coltivandolo giorno dopo giorno, attraverso un lavoro che
non è mai finito.
L’UOMO SENZA VOLTO
di Mel Gibson
Usa, 1993
L’ex professore Justin Mcleod, dal volto sfregiato, vive completamente isolato, oggetto
delle chiacchiere di un piccolo villaggio. La sua solitudine viene rotta dall’irrompere di
Chuck, un dodicenne bisognoso di ripetizioni e di considerazione, che si sente
emarginato quanto lui. Il loro incontro genera una profonda amicizia, che aiuterà
ciascuno dei due a scoprire (o ritrovare) il proprio “volto”.
Justin Mcleod, ex insegnante dal volto sfigurato, e Chuck Norstadt, ragazzino
incompreso, sono molto diversi per età, condizione, istruzione ma hanno in comune
qualcosa di importante: un grande vuoto. È come se entrambi, al fondo, sentissero di
non avere un volto: le cicatrici di Justin sono, in questo senso, la metafora
emblematica di una comune situazione esistenziale.
A Justin è stata strappata l’identità di insegnante, a causa di calunniose maldicenze.
Chuck chiede soltanto di essere riconosciuto e amato, ma il mondo intorno non sa fare
altro che etichettarlo come “problema”. Forse non è un caso che viva in una famiglia
di sole donne, e che la madre abbia avuto i suoi figli da tre uomini diversi: quello che
manca nella vita di Chuck, a ben vedere, è un padre. Qualcuno che lo tiri fuori dal
vuoto e lo instradi nella vita, guardandolo nella sua interezza di persona. Spingendosi
oltre la maschera ripugnante su cui si bloccano la distrazione e il pregiudizio degli
altri, Chuck trova nel professor Mcleod qualcosa di simile, ovvero – innanzitutto - una
possibilità per sé.
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Questo incontro, rivelerà Chuck a se stesso, facendogli scoprire dentro di sé dei talenti
che attendevano solo di essere risvegliati e fatti fiorire. Anche Justin rinasce nel
rapporto con Chuck, perché, recuperando il suo ruolo di “maestro”, la sua vita tornerà
ad essere feconda. Ma questo può accadere solo perché entrambe le parti decidono di
mettersi in gioco, e di guardare l’altro senza pregiudizi, senza pretese, senza paura
della fatica e del lavoro duro (all'inizio le lezioni sono molto severe, con l’insegnante
che quasi “sfida” l’alunno).
L’uomo senza volto è la splendida storia di un’amicizia che diventa generativa,
strappando dalla sterilità due vite apparentemente destinate all’emarginazione.
I RAGAZZI DEL CORO
di Christophe Barratier
Francia, Svizzera, Germania 2004
Francia, secondo dopoguerra. Clément Mathieu, compositore senza successo, trova
lavoro come sorvegliante in una scuola per ragazzi “difficili”, che in molti casi sono
orfani senza un posto dove andare. Nel collegio dominano metodi disciplinari
improntati alla severità e al terrore, imposti da un direttore arido e ambizioso. Mathieu
introduce nel rapporto coi ragazzi una umanità inaspettata e prova addirittura a
organizzarli in un coro....
Non è bello, non ha particolare carisma, e nella vita ha fallito. Ma ciò che rende
Mathieu un vero educatore è il modo “gratuito” con cui guarda i ragazzi. Mentre tutti,
intorno a lui, non si aspettano che il male da loro, lui li guarda per quello che sono:
giovani uomini colmi di domande e desideri (la prima cosa che chiede loro è cosa
vogliono fare da grandi), che nascondono, dietro agli atteggiamenti ribelli o
aggressivi, una grande voglia di libertà, affetto, bellezza. Senza mai sottrarsi al
rapporto con loro, Mathieu intuisce che non deve tenere nel cassetto la sua passione
per la musica, ma condividerla con questi piccoli cuori assetati di vita. E i ragazzi
rispondono. Cominciano ad ascoltarlo, a imitarlo, fino a diventare un vero e proprio
coro di voci indimenticabili, in grado di rendere bello persino uno squallido ricovero
per ragazzi senza futuro.
In questo senso Mathieu, celibe e senza figli, potrà dire di averne “sessanta”. La sua
pazienza, la sua passione e la sua gratuità hanno generato una seconda volta
questi ragazzini, restituendoli alla vita. E se magari qualcuno, da grande, non si
ricorderà nemmeno il suo nome, per qualcun altro Mathieu diventerà “padre” nel vero
senso del termine.
THE TRUMAN SHOW
di Peter Weir
Usa, 1998
Truman Burbank, rappresentante assicurativo, crede di essere una persona come
tante. La sua vita sembra perfetta: casetta con giardino, mogliettina graziosa, amabili
vicini di casa, lavoro tranquillo. Un giorno, però, una strana inquietudine porta Truman
a una scoperta scioccante: tutti quelli che lo circondano sono attori e il mondo in cui
vive da sempre è, in realtà, un enorme set televisivo. Da quando è nato, la sua vita va
in onda in tv 24 ore su 24 nella più grande soap opera del mondo, il “Truman Show”.
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Nell’epoca dei reality show e della spettacolarizzazione ad ogni costo, questo film,
realizzato da Peter Weir nel 1998, si rivela di un’attualità sorprendente.
In effetti più che una gigantesca “soap opera”, il mondo di Truman non è altro che un
reality show, una specie di Grande Fratello ante litteram, con l’unica differenza di un
protagonista inconsapevole. Ma il meccanismo mediatico alla base del Truman show
risponde al primo comandamento di un qualsiasi reality: dare in pasto agli spettatori
l’esistenza di qualcun altro, distogliendoli dalla fatica e dalla responsabilità di vivere la
propria.
In fondo, lo show regala al pubblico la possibilità di vivere esattamente come Truman:
ogni giorno gli stessi rituali rassicuranti, gli stessi gesti, le stesse facce. Un ottimo
palliativo a più drammatiche e faticose attività, come affrontare i problemi reali, vivere
intensamente il quotidiano, ricercare il senso dell’esistenza.
Ma sarà proprio Truman a sfondare le pareti della gabbia dorata, spinto dal desiderio
di una vita magari imperfetta, però libera e vera. Quella porticina aperta sul mondo,
nella scena finale, ancora oggi interroga tutti: quanti di noi, come Truman, sono
disposti ad accettare responsabilmente la sfida della realtà, senza accontentarsi di
surrogati mediatici?
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