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COPPA DELLE ALPI
Coppa delle Alpi, agosto 1921: un percorso di oltre 2300 km, da compiersi in cinque
tappe, attraverso passi e valichi dell'intero arco alpino italiano, quasi a volersi
riappropriare anche simbolicamente delle terre concesse all'Italia così di recente, con
l'armistizio di guerra (1918) e con il Trattato di Rapallo (1920). Una cavalcata furiosa,
dal Sestrières al Passo del Pordoi, con un regolamento complicato e apparentemente
severissimo, in un momento in cui l'intera industria nazionale risentiva ancora in pieno
dei nefasti effetti della guerra perduta e della necessità di riconversione alla produzione
di pace e il paese era squassato dai rivolgimenti e dalle angosce di una nazione
sconfitta. Eppure vi fu chi - precisamente l'U.C.A.M., l'Unione Ciclo Auto Moto di
Milano, capeggiata dal commendatore Ferrario, fra i maggiori industriali della
Lombardia - pensò ad una gara di regolarità che potesse rinnovare l'eco che ai loro
tempi avevano avuto il Primo Giro Automobilistico d'Italia, venti anni addietro, la
Coppa d'Oro ed altre lunghe gare di resistenza, organizzate per dimostrare al pubblico le
potenzialità del nuovo mezzo di locomozione. Occorreva un evento memorabile, di cui
si potesse parlare per mesi, per ridare fiato ad un mercato interno profondamente
fiaccato (la produzione nel 1921 scese dai 21.080 veicoli del 1920 a 15.230, con una
flessione del 28%; ne fu esportata il 68%, più dei due terzi). Un evento che sancisse "la
missione storica dell'automobile", la "nuova era di civiltà mondiale", come si esprimeva
l'organo ufficiale dell'ACI, la rivista "Motori Aero Cicli & Sports", in un articolo in cui
il direttore Morasso ricordava e sottolineava i ben undici milioni di veicoli ormai in
circolazione in tutto il mondo, prova tangibile dell'enorme progresso fatto, anche se poi
doveva subito riconoscere che di questi undici milioni negli Stati Uniti ne circolavano
più di nove (in Italia 57.500). Una gara, studiata in maniera che attraversasse paesini
sperduti e che sancisse la possibilità di raggiungere luoghi fino ad allora irraggiungibili
anche dalla ferrovia, era tra i più formidabili strumenti pubblicitari a disposizione,
grazie all'impatto che le eroiche gesta, il coraggio e l'ardimento nel superare ogni prova
e difficoltà da parte dei concorrenti avevano sulla fantasia e l'emotività della
popolazione: come già era stato il caso dell'incredibile raid del 1907, da Pechino a
Parigi, cioé attraverso paesi soltanto favoleggiati nella fantasia o simbolo della
ricchezza e della mondanità; e come sarà da lì a qualche anno, precisamente dal 1927,
con la Mille Miglia.
ll regolamento, disciplinato da quelle norme che l'ACI prevedeva per le gare di
regolarità, innanzitutto permetteva l'iscrizione soltanto a vetture rigorosamente di serie,
con carrozzeria da turismo a quattro posti, "parebrise", "capote", parafanghi e pedane.
Solamente le vetture con motori inferiori ai 2000 cmc potevano avere una carrozzeria a
due posti. Si disponeva che il criterio di classifica fosse basato sulla media oraria
stabilita in 48 km/h. I concorrenti che fossero passati dai controlli con una media
superiore ai 50 km sarebbero stati penalizzati di tanti minuti quanti quelli di anticipo al
controllo (uno per tappa). L'eventuale infrazione della piombatura al cofano in una delle
tappe avrebbe comportato la penalizzazione di venti minuti, da aggiungersi al tempo
impiegato a percorrere la tappa. Era affrontata in dettaglio anche la delicata materia
degli ex - equo, che in una recente gara, la Coppa del Garda, aveva dato origine a
discussioni e malumori. Il regolamento della Coppa delle Alpi prevedeva che in caso di
pari merito, ossia di medesima media oraria di 48 km, o di uguale scarto da essa
(altrimenti avrebbe vinto il concorrente con la mdia di scarto minore), sarebbe stato
premiato chi ancora a cofano piombato e, se ancora a pari merito, la macchina di minor
cilindrata. Molto dettagliate anche le istruzioni riguardo ai parchi chiusi. Al termine di
ogni tappa le automobili sarebbero state ricoverate in un parco chiuso. Nella giornata di
sosta tra una tappa e l'altra al concorrente sarebbe stata concessa un'ora sola per le
operazioni di normale rifornimento e controllo, dopodiché il cofano sarebbe stato
nuovamente piombato. E veniamo al percorso. Cinque tappe, come già detto. La prima,
da Milano a Torino, passando da Ovada, Pinerolo, Sestrières (2030 metri di altitudine),
Susa, per 427 km; seconda tappa, da Torino a Merano, via Passo della Serra, Gallarate,
Lecco, Sondrio, Bormio, Giogo dello Stelvio (2756 metri di altitudine), Trafoi, per 490
km. Terza tappa, da Merano a Trieste, via Toblacco, Albergo Misurina, Auronzo, Passo
della Mauria, Ampezzo, Tarvis, Gorizia, per 480 km (considerato il tratto più
accidentato). Quarta tappa, da Trieste a Trento, via Treviso, Belluno, Passo di Falzarego
(2117 m), Passo del Pordoi (2242 m), Ora, Lavis, per 508 km. Quinta ed ultima tappa,
da Trento a Milano, via Riva di Trento, Dimaro, Passo del Tonale (1884), Edolo, Iseo,
Brescia, per 401 km. Lunghezza complessiva: 2316 km. Percorso dunque tutto italiano,
di una bellezza struggente, attraverso l'intero arco alpino, otto passi di altitudine
compresa tra i 1800 e i 2700 metri, rasente a luoghi ancora dolorosamente vivi nella
memoria della guerra appena conclusa.
Si iscrissero (la gara era internazionale) macchine e uomini raggruppabili in quattro
squadre: l'Alfa Romeo con il modello E.S. sport, reduce dalla vittoria al Circuito del
Mugello, piloti Antonio Ascari, Giuseppe Campari, Ugo Sivocci, Enzo Ferrari (sì,
proprio lui), Giulio Masetti; l'Itala, con il modello 51 sport, piloti Giovanni Caremi,
Giuseppe Rebuffo, Claudio Sandonnino, Antonio Moriondo; la Ceirano, con Ernesto
Ceirano, Alceo Verza, Umberto Mario Patti, T. Saccomanni; la Mercedes, con
Ferdinando Minoia, Max Sailer, Alfredo Fischer. Partirono anche: Vichy Giommi, su
Zust; Marco Boroli su Lancia; Cornara su Buick; Mario Chiarini su Nazzaro, Gustavo
Gysler e G. Berarducci su OM; G. Zambelli su Laurin Klément; Napoleone Galassi su
SPA. Tutti su vetture a quattro cilindri, tranne le Mercedes e la Buick a sei, con
cilindrate che oscillavano tra i 7250 cmc della Mercedes, i 6120 cmc della Zust, i 4200
delle Alfa Romeo, i 2800 delle Itala e i 2500 delle Ceirano, le vetture più leggere.
Proprio in rispetto di tanta disparità di potenza, erano state previste dal regolamento
varie categorie: 1500, 2000 (che non videro iscrizioni), 3000, 4500, oltre 4500 cmc.
E finalmente, domenica 7 agosto alle cinque di mattina, la gara prese il via. Si verificò
subito quello che si sarebbe verificato per tutta la gara: chi copriva il percorso troppo
velocemente, si fermava a pochi metri dal controllo in modo da passarlo, cronometro
alla mano, al momento giusto nel rispetto della media oraria di 48 km/h. Ben dieci
concorrenti, e precisamente Saccomanni, Verza, Moriondo, Sandonnino, Rebuffo,
Ascari, Galassi, Boroli, Minoia e Sailer, arrivarono ex equo dopo otto ore e 54 minuti.
Undicesimo Ferrari, con otto ore, 54 minuti, 8 secondi, e via via tutti gli altri. Di questi
Patti, Ceirano, Ferrari, Sivocci e Fischer furono penalizzati per essere giunti in anticipo.
Cioé in definitiva, beati gli ultimi se i primi sono onesti...ottimo precetto evangelico, ma
di difficile digestione in una gara dove l'istinto prevalente é, necessariamente, arrivare
per primo. Non per nulla in segno di protesta per la classifica della prima tappa si ritirò
l'intera squadra della Ceirano, tranne Saccomanni che gareggiava per conto suo. Era
obiettivamente difficile fare accettare il principio secondo cui chi arrivava primo
perdeva, ma il regolamento parlava chiaro. Ancora dopo la seconda tappa si ritrovavano
a pari merito Moriondo su Itala, Sandonnino su Itala, Sailer su Mercedes, Minoia su
Mercedes, Rebuffo su Itala, Ascari su Alfa Romeo, Sivocci su Alfa Romeo. Per la
classifica generale, primi ex equo risultavano Moriondo, Sandonnino, Sailer, Minoia,
Rebuffo, Ascari, perciò tre Itala, due Mercedes, una Alfa Romeo. Seguivano Boroli,
Saccomanni, Sivocci, Ferrari, Caremi, Galassi, Gysler. La terza tappa registrò una
variazione di percorso, causata da una frana: si attraversò infatti il passo di Jaufen ,
2130 metri di altitudine. Poco dopo Gorizia avvenne l'incidente che tolse a Moriondo,
tra i favoriti, la possibilità di vittoria: per evitare un carro si getta da un lato, la
macchina precipita in una scarpata. Con uno sforzo titanico il pilota con i compagni la
rimette in carreggiata e prosegue, ma ormai ha perso un'ora. Tra l'altro questo incidente
fu la quasi identica ripetizione dell'incidente capitatogli al Grand Prix di Francia sul
circuito di Amiens nel 1913: anche in quell'occasione la sua grossa Itala si rovesciò ma
egli, insieme al meccanico Foresti, riuscì a rimetterla in strada e a continuare la gara per
altri 13 giri. Alla quarta tappa, a prendere il via sono soltanto in 15, e a classificarsi
primi sono ancora Sandonnino, Rebuffo, Ascari e Minoia. Dieci superstiti prendono il
via alla quinta tappa. Ascari, appartenente al quartetto dei pari merito, riesce a non
vedere una segnalazione, e sbaglia strada. Accortosi dell'errore dopo parecchi
chilometri, ritorna precipitosamente indietro, ma ormai ha perso tempo prezioso. Pur di
ricuperare lo svantaggio, si da' ad uno spericolato inseguimento degli avversari, finché
un carro non gli si para davanti, e la macchina non finisce fuori strada, sbalzando fuori
pilota e viaggiatori. Tutti illesi, fortunatamente, ma la gara é perduta. I tre a pari merito
rimasti si classificheranno nello stesso ordine dei giorni precedenti: primo assoluto
Sandonnino, secondo Rebuffo, terzo Minoia, due Itala ed una Mercedes, tutti senza aver
subito alcuna penalizzazione. In realtà sono da considerarsi tre primi posti a pari merito,
avendo tutti e tre compiuto l'intero percorso alla media di 48 orari in 48 ore e 2': la
Mercedes passa al terzo posto soltanto perché di maggiore cilindrata, come da
regolamento. Quindi Sivocci, Sailer (che si autoescluse dalla classifica perché non si
presentò alla verifica dei commissari), Ferrari, Boroli, Moriondo e Gysler. In definitiva,
nove macchine su 24 riuscivano nell'impresa di percorrere 2300 km di montagna, sei di
queste senza aprire il cofano un sola volta. Se si ricorda che le vetture erano di tipo
"commerciale", ossia di serie, il risultato appare ancora più sorprendente. Con il
linguaggio dell'epoca, un po' barocco a dire il vero, si scrisse: "Non erano pochi gli
scettici alla vigilia della prova. Oggi il dubbio scettico si tramuta in fiducia
entusiastica. Da tutte le scintillanti vette italiane superate si esprime un luminoso
messaggio di vittoria all'automobile, che come i selvaggi destrieri delle figlie di
Wotan*, balza infrenabile dall'una all'altra cima, ed ogni vetta domata dal cocchio
meccanico é come una strofa del rilodante epicinicio** che dall'inclita gesta compiuta
oggi si eleva in lode dell'automobile". (M.A.C.S., 15 agosto 1921).
Il linguaggio epico ed arzigogolato nascondeva però un generale scontento, di cui si
fece interprete l'autorevole Lando Ferretti, noto giornalista sportivo, sulla "Gazzetta
dello Sport" e la redazione della "Stampa Sportiva" di Torino. Si accusò innanzitutto la
debolezza di un regolamento che imponeva la media oraria di 48 km, applicata a vetture
in grado di marciare a 100 o anche a 120 km/h. Si ridicolizzò la prescrizione del cofano
piombato, tanto da scrivere su "Motori Aero Cicli & Sports": "E' come proporsi di
salire sul Monte Bianco senza sbottonarsi la giacca. Non é comodo ma non é
impossibile. Cosa dimostra però?". Si ricordarono le file delle vetture partecipanti alla
gara, ferme prime del traguardo o del controllo, in attesa che il cronometro permettesse
loro di ripartire, senza penalizzazioni. E queste stesse penalizzazioni comminate più
frequentemente per un errore di cronometraggio che per una deficienza di prestazione,
come successe per le Alfa Romeo di Sivocci e di Ferrari. Soprattutto scoraggiò e deluse
la possibilità di ammettere parecchi vincitori: quando sono in tanti a vincere, in realtà
non vince nessuno. Si invocò la necessità di adottare un criterio assoluto e preciso che
non lasciasse adito a dubbi, un criterio esclusivo che escludesse sin dall'inizio la
necessità di una seconda cernita, come quello, inoppugnabile, della velocità.
Ma comunque gli organizzatori, nel bene o nel male, erano riusciti nel loro intento.
Dimostrare cioé che con l'automobile si poteva arrivare dappertutto con le vetture
normalmente messe in commercio. Si dice sempre, di ogni epoca o momento storico,
che si trattò di un periodo di transizione. Ma il 1921, di nuovo nel bene e nel male (e
non solo in campo automobilistico), lo fu davvero. Si chiudeva un periodo apertosi nel
1911-1912, con una vettura caratterizzata dall'avvento del motore monoblocco e dalla
generalizzazione della trasmissione a cardano, e che la guerra aveva in un certo senso
"congelato" fino al 1919-1920. Ora l'automobile più rappresentativa di questa nuova
fase appariva essere la Isotta Fraschini presentata al Salon di Parigi del 1921, a otto
cilindri in linea con motore frizione e cambio in blocco, i freni sulle quattro ruote, il
completo equipaggiamento elettrico, la nuova sagomatura e struttura del radiatore, del
cofano e del cruscotto e le sospensioni a cantilever. Una vettura che fece scrivere a
Morasso, sulla sua rivista: "L'automobile procede trionfante: chi potrebbe mai
arrestarne la marcia?".
UOMINI
Una delle peculiarità di questa gara fu la mescolanza di piloti dilettanti, o novellini,
accanto a piloti professionisti ed affermati. Vinse un gentleman-driver, il Conte
Sandonnino,(FOTO 1)che si impose di fronte a piloti del calibro di Ascari, la cui stella
sarà uguagliata soltanto da quella del figlio Alberto, Campari, che aveva appena vinto il
Circuito del Mugello, Minoia, Masetti, reduce dal trionfo in Targa Florio. Di due
dilettanti, Rebuffo (FOTO 2) e Moriondo, é curioso ricostruirne la storia, per quel che
si sa. Il primo entrò a sedici anni nella Ditta Quagliotti, una piccola e poco conosciuta
azienda torinese di cicli e motocicli, e più tardi anche di automobili. Quindi fu assunto
all'Itala, dove rimase, salvo una breve parentesi alla Lancia, dal 1905 al 1928. Alla
chiusura dell'Itala, ne acquistò l'agenzia di Genova, trasformandola nell'Officina
Carrozzeria Autorebuffo, in via Pisacane 17. Quando partecipò alla Coppa delle Alpi,
nel 1921 e poi di nuovo nel 1922 (arrivò terzo), era in tutto e per tutto un dipendente
dell'Itala, con mansioni di collaudatore, pilota all'occorrenza, ispettore per le agenzie
all'estero dal 1924. E non fu poca la fama che acquisì, se la "Stampa Sportiva" gli
dedicava nel 1922 un pezzo intitolato: "Gli assi del volante: Pinot Rebuffo",
definendolo un "re della strada". Dipendente della Itala fu anche, già dal 1904,
Moriondo, con una biografia molto simile a quella del coéquipier Rebuffo, ma più
anziano: infatti iniziò a lavorare nel 1896 alle dipendenze di Giovanni Ceirano,
nell'ormai famoso cortile di corso Vittorio Emanuele 9 a Torino. Nel 1906 divenne
meccanico di Cagno e dal 1913 il salto di qualità: pilota egli stesso, sempre però alle
dipendenze dell'Itala, che non abbandonò mai. "Animato dalla grande passione che é
per noi fede ed amore" disse di se stesso.
Di tutt'altro stampo la vita di Minoia. Gli inizi sono simili: meccanico, collaudatore
presso la Isotta Fraschini e poi pilota. Dopo alcune lusinghiere affermazioni, nel 1919 é
protagonista di una delle più originali sfide di velocità: tra un aeroplano e un'automobile
(Fiat). Vince lui sulla Fiat. Corre anche per Mercedes, Om, Bugatti, Alfa Romeo, e
gareggia nelle più importanti competizioni di quegli anni: la Targa Florio, la Mille
Miglia (che vince insieme a Morandi nel 1927), i Grand Prix, il Circuito del Garda,
l'Aosta- ran San Bernardo. Su un'Alfa nel 1931 diventa Campione d'Europa. Muore nel
1940. Nella FOTO 3 é ritratto nell'edizione della Coppa delle Alpi del 1924, accanto
alla sua OM Superba (é quello al centro con gli occhialoni da gara).
ALFA ROMEO E.S. sport
Versione migliorata del modello 20-30 HP del 1920, in produzione dall'anno
successivo. Veniva considerevolmente aumentata la potenza, portata a 67 CV a 2600
giri/1', e la cilindrata, di 4250 cmc. Costruita in 124 esemplari, poteva essere richiesta
con carrozzeria torpedo o limousine, e costava, il telaio soltanto, £ 37.000. Con questa
vettura l'Alfa Romeo ottenne numerose affermazioni: 2° posto assoluto al Circuito del
Mugello 1921 con Enzo Ferrari, 1° posto assoluto della Baronessa Antonietta Avanzo
alla Coppa delle Dame, in occasione del Gran Premio Gentlemen di Brescia 1921; 1° di
categoria e 4° assoluto alla Targa Florio 1922 con Antonio Ascari.
ITALA 51 S Sport
Progettato dall'ing. Orasi, questo modello disponeva di un motore a quattro cilindri
verticali monoblocco, di dimensioni 83 x 130, pari ad una cilindrata totale di 2813,5. Fu
costruito tra il 1920 e il 1926. Oltre al successo nella Coppa delle Alpi, questa vetutra,
guidata da Giulio Foresti, si classificò al primo posto nella categoria 3000 alla Targa
Florio del 1922. A richiesta il modello, presentato con una velocità di crociera di oltre
100 km/h, poteva essere equipaggiato di freni sulle quattro ruote, anziché solo sulle due
posteriori.
CEIRANO C.I. 16/20 HP sport
La Società Anonima Fabbrica Automobili Ceirano, con sede a Torino in corso Lecce,
mise in vendita per il 1920 la "nuova vettura tipo unico per città e per turismo modello
C.I. HP 16/20 (75 x 130) messa in marcia ed illuminazione elettrica", come diceva una
pubblicità dell'epoca. Il tipo sport ebbe dimensioni leggermente maggiori (78 x 130).
Numerosi i piazzamenti nel 1921: alla Parma - Poggio di berceto (3° di categoria con
Ernesto Ceirano); alla Targa Florio (4° di categoria con Ernesto Ceirano); al Circuito
del Mugello (1° di categoria). Da notare che le categorie erano per vetture fino a 3000
cmc, mentre le vetture Ceirano ragglingevano una cilindrata di soli 2500 cmc.
MERCEDES 7 litri
Il debutto di questa vettura in corsa non fu alla Coppa delle Alpi, bensì alla Targa Florio
disputatasi due mesi prima. Era la prima volta dopo sette anni, precisamente dal Gran
Premio di Francia a Lione nel 1914, che la Mercedes non partecipava ad una corsa.
Pilotato da Sailer questo monumentale bolide di 7 litri di cilindrata arrivò al secondo
posto assoluto, preceduto dalla Fiat di Giulio Masetti. Vinse comunque la Coppa Florio
riservata alle vetture di serie.
Donatella Biffignandi
Centro di Documentazione del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino