LA GARA IN SALITA SUSA-MONCENISIO

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LA GARA IN SALITA SUSA-MONCENISIO
LA GARA IN SALITA SUSA-MONCENISIO
Che il 1900 si sarebbe rivelato come il secolo dell’automobile, lo si capì fin
dai primi anni. Voler per esempio far entrare a tutti i costi una rassegna
automobilistica nella grande "Esposizione di Arte Decorativa”, prevista a
Torino nel 1902, non era impresa da poco: eppure così fu, grazie alla
determinazione della Società Promotrice dell’industria Nazionale.
Nonostante l’evidente mancanza di nesso tematico con ciò che doveva
segnare l’ingresso dell’arte liberty in Italia, la benemerita Direzione di
questa Società già nel febbraio 1901 convocava “i più noti e ferventi cultori
del motorismo”, tra cui gli immancabili Damevino, Goria Gatti, Biscaretti,
Marchesi, Storero, Alessio, Lanza, Rosselli, Racca ecc. In questa storica
adunanza fu approvata, all’unanimità, l’idea di organizzare una
“esposizione internazionale di automobili, possibilmente anche con un
concorso di automobili pesanti (poids lourds), congresso automobilistico,
gare varie ecc”. D’altra parte non difettavano i fondi, se è vero, come ci
racconta “L’automobile”, che il Comitato Generale disponeva ancora di un
residuo dall’Esposizione 1898 di oltre seicentomila lire.
Il programma dell’esposizione era sfarzoso. Comprendeva la presentazione
di automobili complete, cicli, parti staccate, carrozzeria, abbigliamenti,
pubblicazioni; l’organizzazione di concorsi speciali (per motori termici, per
motori elettrici, per freni, per biciclette portatili), e soprattutto gare: di
velocità, di consumo, di carri di trasporto.
Il successo, inizialmente, non mancò. “Le Case costruttrici ed i
rappresentanti hanno risposto in modo veramente insperato all’appello del
Comitato organizzatore…Non ostante i prezzi discretamente elevati, le
principali Case, specialmente estere, fecero domande di spazi molto vasti,
ciò che fa arguire siano per essere molto numerose e varie le macchine che
saranno esposte”, racconta “L’Automobile” il 1° ottobre dello stesso anno.
E per quanto riguarda le gare, un altro periodico, La Stampa Sportiva,
indiceva la “Gara di Salita Susa-Moncenisio”, “per dimostrare con una
gara seria e non facile la praticità e il grado di perfezionamento delle
odierne automobili”. Ottenuto l’Alto Patronato della Principessa Letizia di
Savoia Napoleone, ne fu decisa la data per domenica 27 luglio 1902, giorno
della chiusura dell’ Esposizione Internazionale dell’Automobile.
In realtà, da uno dei tanti eventi previsti a contorno dell’esposizione, la
corsa si trasformò nell’unica iniziativa andata in porto, con successo di
partecipanti e di pubblico. Ecco cosa accadde per tutto il resto (dalla
Stampa Sportiva del 20 luglio 1902, una settimana prima della gara e della
chiusura della rassegna): “Doveva trattarsi di una grande mostra
internazionale da aprirsi in maggio, nella quale gli espositori avrebbero
avuto a disposizione una pista per la prova delle vetture, in cui vi
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sarebbero svolti festeggiamenti, gare, riunioni: insomma, una serie di
miraggi atti a far sperare lauti affari agli espositori, ai quali in compenso
si chiedevano altissimi prezzi per l’occupazione del posto.
E gli espositori vennero (fortunatamente non molti), accettarono gli
impegni e attesero invano che i fatti seguissero alle promesse. Solo ai primi
di giugno…si apriva quasi clandestinamente la mostra cicloautomobilistica. La promessa pista non solo era sfumata, ma agli
automobili veniva negata la circolazione e difficoltato in mille modi
l’ingresso alla mostra. Solo dopo minacce e proteste… si è potuto ottenere
che la mostra si illuminasse e quindi fosse aperta la sera. Solo alla fine di
luglio e quindi alla vigilia della chiusura, si inaugura la tanto attesa
facciata con 10.000 lampadine a colori”. Insomma, una vergogna,
aggravata dal fatto che il Comitato organizzatore pretese una percentuale di
vendita sui (pochi) affari stipulati dagli espositori e si rifiutò di rendere
noto il risultato dei concorsi alle case che non fossero in regola con il
pagamento delle quote.
L’unica perla, in tutto questo, fu l’organizzazione della corsa, che per
fortuna sua e dei partecipanti visse di vita propria e non fu condizionata da
vicende estranee. Anzi, prese slancio da due eventi che si erano svolti nelle
settimane precedenti, la Coppa della Consuma e la Sassi – Superga, che
dovevano diventare delle classiche gare in salita.
Il percorso della Susa - Moncenisio (inizialmente la partenza doveva essere
Torino, poi si decise per una “libera” andata fino a Susa) misurava
esattamente 22,5 chilometri, con partenza alle porte di Susa ed arrivo al
traguardo posto sul rettilineo precedente l’Ospizio, subito dopo la “scala”
detta “della Gran Croce”. Il dislivello raggiungeva i 1605 metri, e la
pendenza media del 12%. La parte più impegnativa era sicuramente quella
finale, le cosiddette “scale”, con una cinquantina di tornanti stretti, allora
chiamati “tourniquets”. I concorrenti, cinquanta iscritti, 38 partenti, 37
arrivati, furono preventivamente divisi nelle due classi “Velocità” (numero
dei posti e assetto della carrozzeria libera) e “Turisti” (carrozzeria completa
da viaggio e posti occupati). All’interno di ogni classe, vi erano le
categorie: motocicli, vetturelle (da 450 a 600 kg); vetture leggere (da 600 a
800 kg); vetture pesanti (da 800 a 1000 kg).
Per ognuno dei primi tre arrivati, in alcuni casi anche per il quarto e il
quinto, in ambedue le classi, per tutte le categorie, era previsto un premio:
dalla medaglia d’argento all’oggetto artistico, al diploma, a premi in
denaro, alle coppe vere e proprie: per un totale di 32 premi. 32 premi per 38
partenti, non è male! Troneggiava, tra questi, la Coppa Internazionale
Principe Amedeo, offerta dalla Principessa Letizia in nome del suo
compianto consorte, e realizzata dallo scultore Calandra. Era destinata al
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più veloce dei piloti, che ne sarebbe diventato proprietario soltanto dopo tre
vittorie consecutive.
Ma evidentemente non bastava. Perché venne anche istituita, all’interno
della stessa gara, la Gran Coppa Nazionale, destinata alla vettura di
fabbricazione nazionale che avesse compiuto il percorso in minor tempo.
Anche in questo caso se ne poteva inizialmente diventare solo detentori; chi
l’avesse vinta tre volte, per giunta consecutive, ne diventava proprietario.
Inoltre la Michelin si riprometteva di consegnare tre oggetti artistici ai due
“terzi classificati” della categoria con maggior numero di iscritti e al terzo
o quarto della categoria più numerosa (la distinzione è nebulosa). E non
vogliamo deliziare le signore, con un premio a sorteggio tra di loro, che
sono magari restate in piedi ad aspettare la comparsa dei concorrenti sotto
un sole implacabile? Certo che sì, e a questo ci pensò la Carrozzeria
Alessio, che ben sapeva che ingraziarsi le mogli poteva rivelarsi
un’azzeccata forma di marketing nei confronti dei mariti.
Sommersi da questo profluvio di premi, i participanti si sarebbero quindi
trovati a festeggiare al ristorante del Cenisio (quota lire 5), la qual cosa
deve aver urtato la sensibilità del Ristorante Molinari dell’Esposizione;
infatti, da par suo, destinò una cassa di 12 bottiglie di Champagne Moet
Chandon al vincitore della corsa categoria velocità.
Fu Vincenzo Lancia, su Fiat 24 HP, ad aggiudicarsi la bellissima Coppa
Principe Amedeo offerta dalla Principessa Letizia (e le dodici bottiglie).
Compì il percorso in 30 minuti e dieci secondi, alla media strepitosa di 44
km/h. E nel dire strepitosa non si vuole fare della facile ironia: era una
media davvero incredibile, confrontata con quella tenuta dalla normale
diligenza a cavalli che impiegava 7 ore a superare lo stesso percorso (alla
media dunque di 3,2 km/h, inferiore a quella di un uomo a piedi).
L’anno successivo, ad aprile, La Stampa Sportiva scriveva: “La conferma
che anche quest’anno avremo questa seria prova internazionale…ha
sciolto le riserve dei cultori dell’automobilismo e delle fabbriche che
attendevano la parola d’ordine per prepararsi a questa riunione che è
ormai la massima, e forse l’unica, dello sport motoristico italiano”. A
giugno qualcuno osò affermare che la riunione era stata proibita
dall’autorità prefettizia, attirandosi la risentita reazione della Stampa
Sportiva. “Non sappiamo dove sia stata attinta questa informazione, ma
quello che sappiamo è che è completamente infondata”. Infatti, era tanto
infondata che la corsa non si tenne: nella solita maniera confusa, ambigua,
e deludente che contrassegna molte vicende italiane. Il fatto era che in
maggio si era svolta la disgraziatissima Parigi-Madrid, sospesa alla prima
tappa per il sucedersi senza soste di incidenti mortali. La Stampa Sportiva
si schierò subito contro le gare su strada, ma rivendicò l’assoluta sicurezza
di questa, sia per le modeste velocità toccate, sia per la ripidezza della
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salita, che certamente non la rendeva tra le strade più frequentate dalla
popolazione italiana. “La mattina del 5 luglio prossimo per la grande e
pittoresca strada di Napoleone si disputerà, ormai è fissato e nessun
ostacolo è sorto, la gran Coppa Challenge Principe Amedeo offerta da
S.A.I.R.Principessa Letizia di Savoia”, scriveva la Stampa Sportiva il 28
giugno. E non c’era in programma soltanto la Coppa del Principe: ma
anche la Coppa nazionale (destinata, come l’anno precedente, alle vetture
di fabbricazione italiana), la Coppa Berteaux (disputata nella categoria
turisti fra coloro che fossero soci da almeno sei mesi di un Club
Automobilistico Italiano), la Coppa Stampa Sportiva, per le motociclette.
Avvicinandosi però la data, arrivò irremovibile il no da parte del Marchese
Guiccioli, Prefetto di Torino; e a nulla valse il parere favorevole allo
svolgimento della gara espresso dal Ministero dei Lavori Pubblici.
Rimandata al 12 nella speranza che il no diventasse sì, fu ristabilita il 5 per
una … mangiata al Cenisio, e decisa al 26 per la prova delle motociclette.
“Gli altri camminano sulla via del progresso industriale ed economico; noi
restiamo gli eterni cultori dei sogni e delle chimere, le eterne vittime di una
burocrazia chiusa e reazionaria che uccide e spegne le forze migliori e più
vive dell’iniziativa individuale” fu il commento sconsolato della Stampa
Sportiva.
Nel 1904 il Club Automobilisti d’Italia non perse tempo: e, ancora prima
che ai dettagli dell’organizzazione, pensò a procurarsi l’autorizzazione
prefettizia. Fu un grande successo: di partecipanti, circa quaranta, e
soprattutto di pubblico, perché si inerpicarono sulla salita del Moncenisio
più di un centinaio di vetture, appartenenti al fior fiore dell’aristocrazia
industriale e nobiliare, dal barone Mazzonis alla contessa di Pettenengo, dal
Marchese di Bagnasco al conte Barbaroux…e via sciorinando, come ad un
ballo reale. Non restarono delusi: se vinse infatti, come nel 1902, il solito
Lancia su Fiat, le velocità furono ben diverse, e testimoniarono
dell’indubbio, marcato progresso dell’automobilismo sportivo e turistico
compiuto in appena due anni. La media del vincitore si attestò sui 60 km/, e
il percorso fu compiuto in appena 22 minuti, otto in meno rispetto al 1902;
ventotto minuti impiegò Matteo Ceirano, sull’esordiente Itala, vincitore
della categoria vetture leggere; trentuno Cesare Scacchi, su Fiat, primo
classificato della classe turistica vetture pesanti; un minuto in meno Ollion,
su Rochet – Schneider, vincitore della categoria vetture leggere. Scarti
dunque minimi, nonostante forti differenze di cilindrata e potenza. Anche
in questa edizione però qualche attrito con l’Autorità costituita ci fu, e
diede origine all’incomprensibile divieto di scattare fotografie. L’Autorità
Militare di Torino infatti negò il permesso di eseguire fotografie durante lo
svolgimento della corsa, a salvaguardia dell’integrità dello Stato. Il buffo fu
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che questo divieto colpì gli organizzatori ufficiali, quali per esempio il
periodico Stampa Sportiva, ma non gli spettatori, che poterono in tutta
libertà fare le fotografie desiderate. E venderle ai periodici.
Fu finalmente messa in palio la Coppa Berteaux, così chiamata in onore del
motorista francese dell’A.C.di Francia che l’aveva offerta in dono. Si
trattava di una magnifica scultura di Celestino Fumagalli, allievo di
Leonardo Bistolfi, originariamente prevista per il primo arrivato nella
categoria turisti fra i soci degli Automobili Club d’Italia; in realtà se la
portò via Lancia, portando a tre le vittorie della Fiat in questa competizione
(Coppa Principe Amedeo, Coppa Nazionale, Coppa Berteaux). Un altro
ambito premio era la grande medaglia d’argento dorato offerta dal
Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio. Se la meritò la Matteo
Ceirano & C. per il brillante debutto della neonata marca Itala nella
categoria vetture leggere. In realtà il riconoscimento più gradito per la Itala
fu il fulmineo acquisto delle due vetture in gara da parte di due spettatori,
Raffaele Parodi e Gian Battista Raggio di Genova.
E poiché queste Coppe e questi premi parevano pochi, per l’edizione del
1905, la più sfolgorante della serie, si mise in palio anche la Coppa Conte
di Bricherasio. Offerta dalla contessa di Bricherasio, in memoria di suo
figlio prematuramente scomparso nel settembre dell’anno prima, doveva
disputarsi tra i proprietari di vetture leggere (tra 450 e 650 kg). Il
regolamento fu ferreamente stilato anche per questa competizione, come
per tutto il resto; e che ci si attennesse rigidamente fu provato dal fatto che
ad iscrizioni chiuse arrivò la domanda di partecipazione di Vincenzo
Florio e del barone Henry de Rotschild, due fulgidi nomi del firmamento
automobilistico. Non furono accettati, caso davvero unico.
La mobilitazione fu oltremodo notevole. Ne era cosciente il proprietario del
ristorante Molinari di Torino, nostra vecchia conoscenza, che apprestò i
cestini da colazione al prezzo fisso di cinque lire; e il proprietario
dell’Albergo dell’Ospizio, che preparò cinquecento pasti à la carte.
Neanche tanti, se si pensa che furono contati 12.000 spettatori, tra
automobilisti, ciclisti e pedoni. Un gran successo, anche se mancò la
suspense della gara, in quanto vinse ancora una volta, la terza, la Fiat e
dunque finalmente poté considerarsi proprietaria della Coppa. L’unica sua
concorrente valida era l’Itala, che ebbe la sfortuna di danneggiarsi in una
prova d’allenamento. Per una volta però non vinse Lancia, vittima della
“guigne”, bensì Nazzaro, chiamato in tutte le cronache del tempo,
inesorabilmente, Nazzari, seguito da Cagno, ancora su Fiat, e da Héméry,
su Darracq. La Coppa Bricherasio andò a Raggio, su Itala, la Coppa
Berteaux a Weill-Schott su Fiat; la Coppa Stampa Sportiva al primo tra i
motociclisti, Riva. Premi di consolazione: un servizio per liquori in argento
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e cristallo a Guido Bigio su Itala; un servizio per fumatori in cristallo ed
argento a Rolla, su Itala; un altro servizio per liquori a Gregorio
Vercellone, su Clément Bayard; un vaso d’argento e cristallo a Giovanni
Picena, su Peugeot.
Ma in definitiva a che servono le corse? Domanda che si è ripetuta per tutto
il secolo appena trascorso, e che risuonò vivace all’indomani della SusaMoncenisio. A niente; a tutto. A far vendere i giornali all’indomani; a
migliorare le prestazioni delle vetture; a divertire…”La corsa del
Cenisio…ha detto, a chi voleva intendere, che ormai l’industria
automobilistica è evoluta e progredita, che una piccola e modesta
vetturella di 6 HP si arrampica comodamente ora da Susa al Cenisio,
percorrendo in meno di un’ora quei 23 km che costano 6 lunghe ore di
viaggio in diligenza. E il prezzo di questa automobile non è di molto
superiore a quello dei tre cavalli che rimorchiano faticosamente la vettura
postale”, rispose la Stampa Sportiva nel luglio dello stesso anno. Ma
evidentemente questa convenienza delle automobili sui cavalli non
convinse molto, perché nel 1906 le Autorità, che per la Susa Moncenisio
avevano un occhio di riguardo, posero nuovamente il veto, con la
giustificazione che mancava la ncecessaria sorveglianza della strada. Nel
1907 si trovò qualche poliziotto per garantire la sicurezza, ma in compenso
non si trovarono concorrenti, stufi di dover ogni volta trepidare
sull’autorizzazione concessa o no. Nel 1908, 1909, 1910 non se ne parlò
nemmeno. Nel 1911 la corsa fu riesumata dall’Automobile Club, che
riallacciò i rapporti con le Autorità, trovò i concorrenti, organizzò tutto…e
si trovò di fronte alla irriducibile resistenza delle fabbriche, animate dalla
convinzione che le corse nuocessero all’interesse generale dell’industria.
Era troppo, anche per una corsa così tenacemente voluta dai suoi
organizzatori. Se ne sarebbe parlato ancora soltanto dieci anni più tardi, nel
1920.
Donatella Biffignandi
Centro di Documentazione del Museo Nazionale dell’Automobile di
Torino
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