Giovanni Mannino

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Giovanni Mannino
FAVIGNANA: ricognizioni archeologiche nelle grotte del Faraglione
Giovanni Mannino
Il Faraglione detto anche il Grosso è quella piccola rupe situata nell’estremità Nord
dell’isola, separata dal canale Giunta dalla Montagna Grande. Improprio è certamente il nome di
Faraglione non trovandosi nel mare. Il rilievo è quasi da ogni parte inaccessibile, orlato da falesie
modellate dal mare che vi ha scavato anfratti e grotte e che hanno spianata la sommità, forse nel
Tirreniano (Malatesta, p.170). Culmina alla quota di m 69 s.l.m.1.
Chi osserva il rilievo anche sulla carta topografica, meglio se dalla costa, osservata la
morfologia e la vicinanza dal mare, è indotto a pensare ancor prima di salirvi che data la sua
posizione naturalmente fortificata lassù doveva trovarsi un piccolo villaggio preistorico.
Certamente il Meli, l’assistente della Soprintendenza che nel 1952 fu incaricato dalla Bovio
Marconi di compiere esplorazioni, salì lassù con questa aspettativa e fu anche la nostra, due anni
dopo ancora imberbi d’archeologia ma interessati alle grotte e più tardi nel 1970, a conoscenza dei
precedenti risultati salimmo convinti.
Sul rilievo la forte erosione e le capre dell’isole di cui fu famosa, hanno praticamente raso al
suolo qualsiasi struttura esistente lasciando uno spettacolo di desolazione. Il materiale che
raccogliemmo e quasi insignificante: frammenti d'ossidiana e qualche scaglia di selce ed un piccolo
frammento di macina in pietra lavica che non lascia intravedere la forma dell’utensile
(escluderemmo che sia preistorica). Con molta pazienza si trova anche qualche minuscolo
frammento di ceramica brunastra che, presi dalla suggestione del sito forte, ci fa pensare ad un
abitato fortificato della media età del Bronzo.
Più abbondante e significativo il materiale raccolto dal Meli di cui da notizia la Bovio
Marconi (1952): “Tutto codesto piano è abbondantemente cosparso di frammenti grandi e piccoli
di ossidiana nera, pezzacci per lo più, rarissimi gli strumenti. Se ne raccolgono un centinaio di
pezzi, e inoltre qualche scheggia di selce, che è rara, ciottoli di roccia micacea, cocci d’impasto
grezzo. E’ facile dedurne l’esistenza di un centro abitato” ( pag.198).
Nella falesia esposta a settentrione e più esattamente a Nord Nord-Ovest sono scavate alcune
grotte ma quelle da prendere in considerazione sono soltanto tre che si aprono all’incirca alla quota
di m 30 s.l.m.2
Per chi guarda il Faraglione dalla Cala Verde gli si presentano quattro cavità.
Da sinistra verso destra sono:
1) piccola cavità di nessun interesse 3.
2) la Grotta dell’Ucceria si apre subito dopo un piccolo sperone roccioso 4
3) la Grotta delle Pecore o del cervo.
4) La Grotta della Madonna o Grotta delle Stalattiti Quest’ultima è stata chiusa da
un piccolo cancello.
___________
1
La quota è letta nella tavoletta dell’IGM. Il rilievo della SAS riporta m 68. La Bovio Marconi (1952) indica m 100.
2
La quota è ricavata dalla tavoletta dell’IGM e dalla carta della SAS 1:5000; concordiamo col Malatesta (p.170) mentre dissentiamo
dal Dalla Rosa (p.13) che le pone a m 20 s.l.m. e la Bovio Marconi le porta a 50-60 metri (p.197).
3
E’ posta alla quota di circa m 40, più alta delle altre. La menziona il Dalla Rosa (p.14): “La prima che si presenta salendo gli
scogli, non ha alcuna importanza ed è un antro pressoché riempito di massi caduti dall’alto”.
4
Il Dalla Rosa riporta erroneamente Ucciria malgrado spieghi il significato che nell’idioma siciliano esprime
beccheria, macelleria; dunque Ucceria.
1 LA GROTTA DELL’UCCERIA
La cavità presenta due ingressi. Uno guarda a Nord Est ed è chiuso parzialmente da un
grosso muro a secco, l’altro guarda a Nord.
La grotta ha pianta approssimativamente a L capovolta ed invertita piuttosto ampia e lunga.
Sul piano di calpestio affiora in parte il fondo roccioso segno evidente che non si deve essere
lontani dall’estinzione del deposito antropozoico. In parte il fondo è cosparso di letame e non
possiamo sapere se copra il fondo roccioso o residui dell’antico riempimento. Sulla parete Ovest, a
destra entrando e nell’appendice, si osservano diversi testimoni dell’antico deposito antropozoico
ricco di Helix, Patelle ferruginee, Patelle sp., frantumi d’ossa di mammiferi (cervus, bos) e
rarissimi frammenti di selce. Il riempimento doveva avere, in questo punto, uno spessore di almeno
m 0,50. Altri testimoni si osservano nell’appendice ove lo spessore del riempimento sembrerebbe
maggiore, forse raggiungeva il metro.
Le nostre osservazioni non si discostano molto da quelle riportate dalla Bovio Marconi
(p.198). Appaiono più modeste di quelle riferite da Dalla Rosa di circa un secolo precedente. Lo
studioso ebbe la possibilità di fare delle osservazioni oggi irripetibili: ”…e scopersi che tutto il
deposito costituente il primi strato della grotta era stato levato, e solo ne esisteva una parte
all’altezza di circa un metro dal suolo nel punto estremo di essa. Ve ne erano circa due metri
superficiali, sostenuti a mo’ di una tavola da un sol piede. Con ripetuti colpi potei gran parte
infrangerne ed ottenere così conchiglie ed ossa., e alcuni denti di animali e selci perfettamente
taglienti, a forma di coltelli, di raschiatoi e di frecce” (p.15).
Il Malatesta esplorò la grotta dopo la Bovio Marconi, tra il 1955 ed il 1956. Osserva: “ Nel
complesso dalla grotta debbono essere stati asportati non meno di due metri di riempimento. Tale
riempimento risulta formato uno strato inferiore di sabbia gialla fine, che doveva far parte di una
duna addossata al pendio sottostante, dalla breccia detritica e da un crostone stalagmitico che copre
in parte anche le pareti. Ove queste sono rimaste scoperte appaiono i fori di litodomi. Nella breccia
sono presenti Patella ferruginea, gusci spuntati di Monodonta turbinata e di Murex trunculus, ossa
di mammiferi e selci lavorate. Nel talus di questa grotta, tra i blocchi di breccia sparsi, ho raccolto
denti di Equus (Asinus) hidruntoinus Regalia, Bos prinigenius Bojanus, e Cervus elaphus Linneo”
(pp.174-176).
I reperti contenuti nella breccia di cui si è parlato, per quanto riguarda l’industria litica il
Malatesta ha dato anche dei disegni, s’inquadrano tranquillamente al Paleolitico superiore.
GROTTA DELL’UCCERIA IIa
ANCHE GROTTA DEL CERVO E GROTTA DELLE PECORE.
Si apre immediatamente sulla destra della precedente, verso Ovest, ed è più ampia delle
precedente. Consta di un solo ambiente a pianta irregolare , grosso modo ellittica, con due
appendici. Il suolo è sempre cosparso da letame tuttavia ci si rende conto che non v’è più deposito
antropozoico. Fanno fede dello svuotamento due constatazioni: 1) un lembo di breccia ad oltre un
metro dal suolo sulla parete destra. Essa conteneva una bella punta a dorso che lasciammo
(erroneamente) nel locale antiquarium, tipico dell’Epipaleolitico. 2) alcune colonne stalagmitiche
sono sospese alla volta e mostrano nella parte inferiore una espansione segno che essa poggiava sul
deposito quanto questo raggiungeva quella quota, di alcuni metri più alta dell’attuale.
Questa grotta non è spesso menzionata perché ritenuta parte integrante della precedente con
la quale condivide l’ingresso.
2 GROTTA DELLA MADONNA E GROTTA DELLE STALATTITI
La cavità consta di due parti ben distinte: l’antegrotta che gli archeologi chiamano riparo, e
la grotta propriamente detta; l’una e l’altra sono divise da una strettoia chiusa da un piccolo
cancello.
Il riparo ha pianta triangolare con un vertice verso l’interno e la stessa forma presenta la
sezione verticale dell’ingresso dal momento che trattasi di una cavità modellata dall’erosione
marina. Questo fenomeno è ricordato dal Malatesta che segnala: una fascia di fori di Litodomi assai
evidente ed ampia (p.172). Esso è largo ed alto una decina di metri e profondo circa m 15 ed i
sedimenti antropozoici sembrerebbero del tutto o quasi asportati. Piccole porzioni dell’antico
riempimento, per quanto riguarda la frequentazione dell’uomo, si conservano i frammenti di
paleosuoli, su entrambi le pareti, ad un' altezza tra tre e quattro metri. Contengono frammenti di
Patella ferruginea, Monodonta, Helix, frammenti d’ossa di mammiferi (Cervus, Bos). Questi
presentano le medesime caratteristiche di altri suoli datati al Paleolitico superiore.
Il piano di calpestio, ampiamente coperto di letame, dovrebbe essere di “terra rossa” con
fauna calda del Preistocene superiore (Elephas, ecc.).
Anche la cavità interna, con piccolo sviluppo di tipo a meandro, mostra i segni d’erosione
marina ed ha un interramento a “terra rossa” cosparso di tane di conigli.
L’uomo non vide mai questa parte della grotta perché il passaggio al suo tempo si trovava
interrato. Il passaggio è venuto alla luce dopo l’asportazione di un paio di metri di sedimenti a “terra
rossa”.
Di parere discorde dal nostro, o per meglio dire mi sembra confuso, quello riportato dalla
Bovio Marconi. “Sia nel riparo che nella grotta affiora la terra rossa e sembri manchi l’humus con
deposito archeologico. Infatti resti d’industria umana ed avanzi di pasti si sono raccolti solo nel
cunicolo e nel talus (p.197)”. L’errore sta proprio nel cunicolo che l’uomo non poté conoscere
perché, come abbiamo già detto, si trovava interrato con “terra rossa”. La presenza di reperti
archeologici nel talus, cioè lungo il pendio attistante la grotta, è un fenomeno molto comune
prodotto dal dilavamento e dalle periodiche puliture dell’ambiente.
La Bisi pubblicando il risultato delle mie ricognizioni, attingendo dalle mie relazioni, non
conoscendo i luoghi e spesso anche la materia, da delle interpretazioni personali che alterano a mio
modo la realtà o comunque il mio giudizio. Riporto integralmente (p.332): “Le testimonianze
preistoriche di Favignana sono quasi tutte concentrate sul piccolo promontorio detto “il Grosso”
figg.1, 34) e sono rappresentati da rarissimi frammenti di selce e di ossidiana che si raccolgono
davanti alle grotte del promontorio e dai residui organici, ancor più rari, all’interno di alcune
grotte, che documentano in esse l’esistenza di un deposito antropico armai scomparso, contenenti
selci, ossa e molluschi marini e terrestri. Le tracce più significative si rinvengono nella Grotta della
Madonna e delle Stalattiti (figg.30-31); l’intersezione delle frecce della fig.31 segna i resti del
deposito antropico) e nelle due grotte dell’Ucceria. La Grotta della Madonna deve sicuramente
identificarsi con la Grotta delle Pecore della relazione Marconi (pp.197-198). Essa si apre, come le
altre due cavità che appresso descriveremo, nella parte del “Grosso” esposta a N-NE. Consta di
due parti ben distinte, un’antegrotta ed una cavità interna, che restano divise da uno stretto
cunicolo di una decina di metri. L’antegrotta a pianta a sezione triangolare (questa forma è tipica
degli antri d'origine marina), è alta una decina di metri e profonda circa 15. I resti del deposito si
rinvengono ad un’altezza compresa fra tre e quattro metri dell’attuali livello del suolo, sia nella
parte sinistra che su quella destra (sulla fig.31 i punti d'intersezione delle frecce indicano la
3 posizione dei piccoli lembi di depositi paleolitici); si tratti di testimoni del riempimento antropico
della grotta, in cui si rinvengono molluschi terrestri (Turbine?) sulla parete di destra, ed
abbondanti Elix, Trochus, Patella ferruginea e cerulea su quella di sinistra (ma anche in un punto
della parete destra ad un’altezza di quattro metri circa dal piano di calpestio odierno). Non è stata
notata presenza d’industria.
Nella relazione della Marconi (p.197) si afferma giustamente la presenza di terra rossa
sterile sia nel riparo sia nella grotta, ma poi, in apparente contraddizione con la prima asserzione, si
parla di resti d’industria nel cunicolo. La nuova ricognizione dell’Assistente Mannino ha permesso
di accertare che in effetti, sia nell’antegrotta o riparo, oggi affiora, come senza dubbio nel 1952,
solo terra rossa sterile. L’uomo paleolitico non vide mai né il cunicolo né la grotta perché entrambi
erano sepolti da millenni dal deposito alluvionale di terra rossa. Quest’ultimo, nel paleolitico, era
sicuramente più alto di circa tre metri del piano di calpestio attuale.
La scoperta della cavità interna della grotta è avvenuta in epoca abbastanza recente, dopo lo
svuotamento del deposito, e pertanto non è assolutamente possibile raccogliervi alcun elemento
paletnologico a meno che questo non vi sia stato trasportato di recente.” La Bisi conclude
descrivendo la grotta dell’Ucceria I e II che noi abbiamo chiamato: la prima Grotta dell’Ucceria, la
seconda Grotta dell’Ucceria IIa, Grotta delle Pecore, Grotta del Cervo (pp.332-334).
Completo le conoscenza intorno questa cavità ricordando uno scavo, per meglio dire una
razzia, effettuata da tale Carmelo Petroni che mi dicono conservatore del Museo Geologico
Romano, e compagni. Il personaggio è aduso a questi lavori che pare compia annualmente senza
alcuna autorizzazione della Soprintendenza e facendosi scudo con amicizie …L’assalto di
Favignana non è né il solo né il primo bensì il terzo, dopo la Grotta della Cannita di Misilmeri e la
Grotta dei Puntali di Carini. In quest’ultima non solo ha depredato quintali di fossili ma ha anche
lasciato la trincea aperta cosicché i danni si sono moltiplicati. Quando ho saputo che ai Puntali era
stato fatto uno scavo ho subito effettuato un sopralluogo venendo a conoscenza che il Petronio
aveva assoldato come operai i figli del pecoraio della grotta e che il gruppo di criminali aveva preso
alloggio all’albergo Azzolina presso Villagrazia di Carini. La denunzia che ho fatto non è andata
avanti perché è stata ritirata !
I risultati del saccheggio hanno trovato sede nel “Il Naturalista Siciliano” ed è vergognoso.
Non sprecherò altro tempo a confutare la validità scientifica di uno scavo che è consistito
nella raccolta di ossami come si usava oltre un secolo fa.
GROTTA GIUNTA
La cavità è ubicata nel lato meridionale del “Grosso” alla quota di circa m 40 s.l.m.. Quando
la visitammo era piena di fascine e di letame e non ci sembrò avesse interesse archeologico.
Sostanzialmente dello stesso parere si mostra la Bovio Marconi che riferisce: “All’interno affiora la
terra rossa sotto uno strato di pietrisco di sfaldamento e nulla d’interesse archeologico si trova.
Alcuni elementi, invece, si trovano nello spazio davanti all’ingresso, e cioè: alcune schegge di
ossidiana, di selci e di molluschi” (p.198).
Palermo 1990
4 BIBLIOGRAFIA
BISI A. M., 1969 – Favignana e Marittimo (Isole Egadi) –Ricognizione archeologica.
“Notizie degli Scavi di Antichità”, Roma,pp.316-345.
BOVIO MARCONI J., 1952 – “Notizie degli Scavi di Antichità”, Roma, pp. 185-199.
CAPASSO BARBATO L., MINÌERI M.N., PETRONIO C., 1988 – Resti di Mammiferi endemici
nelle grotte del Faraglione di Favignana (Egadi, Trapani), “Il Naturalista Siciliano” XII, 3-4, pp.99105.
DALLA ROSA G., 1870 –Ricerche paleotnologiche nel litorale di Trapani, Parma
MALATESTA A., 1957 – Terreni, faune e industrie quaternarie nell’arcipelago delle Egadi.
“Quaternaria”, IV, Roma.
Il Faraglione detto il "Grosso"
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