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"(…) La creatività nasce dall'angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che
sorge l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso. Chi
attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e disagi, inibisce il proprio talento e dà più valore ai problemi
che alle soluzioni. La vera crisi è l'incompetenza. Il più grande inconveniente delle persone e delle
nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita ai propri problemi (…)"
Albert Einstein
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L'albero della speranza
La crisi imperante aveva creato una schiera infinita di disoccupati e di disperati, tratteggiando
scenari degni delle più cupe pagine del grande Dickens.
Ogni cosa, dal paesaggio immobile ai volti inespressivi e spenti della gente per strada, recava i tratti
della disperazione.
Nemmeno le poche luci natalizie che agghindavano le vetrine dei negozi o che s'intravedevano dalle
finestre delle case, riuscivano ad accendere un vago barlume di speranza che scaldasse il cuore in
quell'inverno buio, dal freddo stringente, in cui era piombata la società.
Mai come allora, era apparso chiaro a Rossella il bisogno di fare qualcosa, non solo per se stessa
(apparteneva anche lei alla categoria dei disoccupati) ma per l'intera comunità, perché tutti
potessero rimettere in moto gli ingranaggi inceppati, agendo e interagendo come maglie della stessa
rete, a beneficio di tutti.
Così, dopo avere chiesto e ottenuto un finanziamento per la costituzione di una cooperativa di
servizi, rispolverando le doti manageriali maturate nella neofallita azienda del padre, Rossella
chiama a raccolta la famiglia, un marito e due figli adolescenti, per tenere un briefing tra le mura
domestiche.
Li invita a sedere attorno al tavolo della cucina, allettandoli con una tazza di cioccolata e una torta
di mele fatta in casa (da vera regina dei fornelli), iniziando a illustrare il quadro della situazione,
seguito poi dalle misure da implementare per far fronte comune contro la crisi.
Naturalmente, la donna si guarda bene dall'usare paroloni e tecnicismi all'ordine del giorno nel
mondo del business; il messaggio, infatti, deve giungere forte e chiaro per essere efficace e spronare
i familiari a dare il meglio lavorando in team.
Chiarito l'obiettivo da perseguire, cioè uscire dall'immobilismo creando una realtà cui partecipino a
vario titolo intere famiglie del quartiere, la distribuzione dei compiti è presto fatta.
Il capofamiglia in gonnella (Gigi, marito di Rossella, si era infatti arreso all'evidenza che i tempi
fossero cambiati, cedendole con sportività il ruolo di "direttore dei lavori" domestici e non), si
sarebbe quindi occupato di scegliere il locale dove impiantare il quartier generale che, nell'arco di
poco, avrebbe visto sfornare importanti iniziative nate dalla partecipazione collettiva.
Si sarebbero messe al vaglio le risorse a disposizione e il grado di fattibilità dei progetti,
coordinando poi le attività necessarie a far decollare quelle proposte unanimemente ritenute più
valide.
Una meticolosa assegnazione delle mansioni ai vari aderenti al piano, avrebbe inoltre evitato un
inutile spreco di tempo ed energie, grazie alla discesa in campo di chi, ferri del mestiere in mano,
sarebbe stato in grado di confezionare un prodotto di alta qualità in qualunque campo di
applicazione.
Naturalmente, in un'ottica rivolta al futuro e alla trasmissione dei saperi, le competenze dei
"maestri" avrebbero poi trovato continuità nei giovani discepoli desiderosi di apprendere un
mestiere che garantisse loro un'indipendenza economica futura.
Le possibilità di scelta del luogo che sarebbe diventato la sede operativa erano piuttosto ampie:
varie persone del vicinato si erano dette, infatti, disponibili ad adibire a ufficio una parte di qualche
cantina o garage di loro proprietà, a costo zero e con mobili usati e risistemati.
Le spese di luce e telefono sarebbero state invece coperte dai proventi della vendita di prodotti
coltivati nell'orto urbano, accessibile a tutti e a gestione condivisa.
A ingrossare queste entrate ci avrebbero pensato, poi, le confetture e torte alla frutta preparate in
casa e vendute nei negozi gastronomici della zona, nonché le originali creazioni a maglia e
all'uncinetto proposte nei negozi di abbigliamento e, per concludere la carrellata, i piccoli lavori
artigianali venduti negli esercizi commerciali specializzati in oggettistica e bomboniere.
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Gigi, ingegnere per una ditta, avrebbe costituito, e seguito nel tempo libero, un gruppo di riparatori
di oggetti tecnologici ed elettrodomestici, oltre a un gruppo di creativi dotati di una buona manualità
per dare nuova linfa a vari materiali di scarto, tutti raccolti dalla comunità.
Come dire: da una parte si riparava un computer o un tostapane, dall'altra si costruiva un'altalena
variopinta per tutti i bambini del quartiere, partendo dalla gomma malandata di un'auto.
Valeria e Stefano, figli di Rossella e Gigi, avevano anche loro un ruolo ben delineato.
La ragazza, sedicenne, aveva studiato pianoforte fin da bambina e, vista l'imminenza delle feste
natalizie, aveva pensato di accompagnare con questo strumento i canti intonati dai giovani del
quartiere per lo spettacolo in allestimento per la sera della vigilia.
Stefano, quattordicenne con lo scoutismo nel sangue, si sarebbe occupato invece di organizzare le
attività ludiche, mettendoci una buona dose di fantasia e intelligenza per accontentare i gusti di tutti
e, dove possibile, istruire divertendo.
Rossella, emozionata come non mai, aveva convinto dell'importanza di quella sua iniziativa sia i
suoi familiari sia i componenti della comunità che, mossi da un entusiasmo inusitato per l'attuale
congiuntura economica, erano pronti a tornare operativi riaccendendo il fuoco del talento che
covava sotto la cenere da molto, troppo tempo.
Naturalmente, i servizi contemplavano anche un aiuto concreto agli anziani, come
l'accompagnamento alle visite mediche o il rifornimento di provviste, e ai bambini, con programmi
di baby-sitting a domicilio e organizzazione di eventi ludico-ricreativi.
I meccanismi erano ben rodati e la solidarietà che univa le persone era palpabile in ogni attività in
cui s'impegnavano.
Non esisteva disposizione d'animo migliore per salutare l'arrivo imminente del Natale.
L'idea che aveva avuto Rossella non era innovativa, certo, perché esistevano già realtà come quella
descritta, ma aveva il pregio di proporsi come tentativo concreto di liberarsi dal pantano della crisi,
credendo con forza nel ruolo centrale e dominante della donna e nella sua capacità di multitasking,
dote incontestabile dell'universo femminile.
La cooperativa, che data l'alta percentuale di mamme di famiglia coinvolte nell'iniziativa, era stata
battezzata "Mondorosa", si proponeva di istituire in futuro anche un centro d'ascolto per le donne
vittime della violenza, sperando così di dare un piccolo contributo nella lotta al triste e dilagante
fenomeno dell'omicidio di genere.
Al pari di un organismo vivente, dunque, la realtà messa in piedi da Rossella, con la collaborazione
attiva di tutti i partecipanti al progetto, tendeva a crescere e svilupparsi per rispondere a esigenze
sempre diverse.
Solo per una cosa si era scelto di comune accordo di restare nel solco della tradizione: la
realizzazione dell'albero di Natale.
Ogni anno, se ne affittava uno reale (per rispettare l'ambiente), si addobbava con i manufatti della
cooperativa e luci a risparmio energetico e si accendeva tutti insieme il giorno e l'ora prestabiliti,
come accadeva per l'albero del Rockfeller Center di New York.
Già, sia perché la cooperativa ragionava in grande sia perché, per citare il motto adottato dalla
stessa, senza i grandi sogni non esisterebbero le grandi realtà!
Così, lo scintillante albero di "Mondorosa" dava forma e respiro alle grandi ambizioni ed emozioni
di ogni persona della comunità.
Ma la più grande emozione di tutte, si trovava proprio lì, sul puntale dell'albero: era la speranza,
forte e indistruttibile, che presto o tardi si sarebbe sconfitta quella crisi che era partita proprio dalla
grande metropoli d'oltreoceano.
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Il parco giochi
Quanta vita scorre in questo luogo. Sì, proprio intorno allo scivolo, all'altalena, ai tanti giochi
multicolori che popolano gli spazi verdi dedicati all'infanzia, rendendosi testimoni involontari di
momenti di allegra vivacità e spensieratezza.
Sensazioni che si vorrebbe sottrarre alla morsa del tempo fuggevole e custodire in una teca di vetro,
per ricordare ciò che si è stati da giovani.
Un'umanità variegata calca le scene di questo "palcoscenico open air" che, allestito in una cornice
naturale, ospita ogni giorno uno spettacolo sempre diverso e, per certi versi, sempre uguale.
Gli interpreti sono tanti. C'è la nonna anziana che accudisce i nipotini, accantonando per qualche
ora il triste senso di inutilità che le serra la gola ogni giorno al risveglio, e lo studente universitario
che tra una lettura e un'altra si domanda se brillerà ai prossimi esami, onorando i sacrifici dei suoi e
ottenendo l'agognata laurea. C'è la quarantenne single e in carriera che, vinta da un prorompente
desiderio di maternità, mentre osserva i bambini degli altri correre su e giù, fantastica sul
cambiamento positivo che la sua vita avrebbe se il desiderio diventasse realtà. Poi, un po' più
lontano dai riflettori, c'è lui, il disoccupato schivo che crede di aver perso tutto ed è completamente
spento. Si reca al parco, infatti, per respirare la vita che palpita tra le vibranti risate dei bimbi,
sperando che il seme delle opportunità germogli per magia anche per lui e gli offra una possibilità
di ripresa e di riscatto, come uomo e come lavoratore.
Sa essere munifica la vita, dopotutto, si ripete di continuo come un mantra per darsi coraggio e
andare avanti.
Se un unico fumetto catturasse tutte queste solitudini, sopra le teste degli "interpreti" di questo
spettacolo si formerebbe una nuvoletta collettiva affollata di punti interrogativi, destinati però a non
trovare risposta.
Madre natura, forse in virtù di quell'appellativo assegnatole nella notte dei tempi, sembra così
solidale con quella fetta di umanità che vive e si muove sotto i suoi occhi, da comporre in tempo
reale la colonna sonora di questa "rappresentazione". Lo stormire delle foglie, il sibilo del vento, il
gorgoglio dell'acqua che fluisce dalle fontane disseminate nel parco, il cinguettio degli uccelli, lo
starnazzare delle oche che, come in regale corteo, sfilano fiere e impettite sulla passerella color
argento che è il laghetto. Un insieme corale che, verso dopo verso, suono dopo suono, crea una
pastorale degna di un artista.
Magari la vita fosse "solo" questo, senza dissonanze né distorsioni, solo piacevoli variazioni tra una
melodia e un'altra. Ma non è esattamente così. La vita è piuttosto un percorso variegato fatto di
alternanze improvvise tra dolci colline, ardue salite, discese impervie, profonde scarpate.
Passando dalla felicità più intensa al dolore più acuto, si è tutti ostaggi degli eventi.
Alla fine del giorno, i giochi del parco, in contrasto con la loro natura di oggetti inanimati, si
immalinconiscono davanti al calare del sole, quell'abile pittore che tinteggia il cielo di sfumature
rosso-arancio e stende poi una spennellata che vira verso porpora, un vero tocco da maestro per
emulare il colore dei sipari che chiudono un'altra giornata.
L'indomani, altro spettacolo, altra storia, altro finale. I veri protagonisti, però, a ben guardare, sono
in realtà loro, i giochi, che non meritano di essere relegati a meri oggetti di scena.
Senza di loro, che motivo avrebbe quella piccola comunità di gente a confluire in quel luogo ogni
giorno? È intorno ai giochi che i bimbi corrono per contendersi il posto. È davanti a loro che
genitori, nonni e tate si radunano in attesa che la parentesi ludica della giornata si compia
adeguatamente come se fosse un rito sacro. È vicino a loro che nascono amicizie tra passanti che,
incuriositi, si fermano a guardare i bimbi che si divertono come matti, abbozzando di riflesso un
sorriso e aprendosi spontaneamente verso gli altri. Bastano poche chiacchiere, che domani
potrebbero anche tramutarsi in discorsi.
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È proprio lì, magari perché il parco giochi si trova sotto casa, che si ferma il pensionato prima di
andare a giocare a bocce, per cogliere gli attimi di spensieratezza vissuti dagli altri e farli propri,
respirando sì un'amara nostalgia all'inizio, ma un senso di gratitudine poi, per il solo fatto di trovarsi
all'aria aperta, in grado di reggersi sulle proprie gambe e di poter assistere a uno scorcio di vita
goduta in tutta pienezza.
Ed è sempre lì che, nel tempo libero magari, si sosta tra una camminata e un'altra per vedere un po'
di gente reale e di allegria autentica, lontano dai frastuoni mediatici degli schermi televisivi o dai
"vuoti e freddi"schermi dei computer, dove scorre - o forse si dovrebbe dire corre - un'altra realtà,
tutta virtuale. Lontani da "incontri fatui" in piazze finte, come le chat e i social network più
disparati, capaci di durare anche ore, divorando, come grandi fauci, il tempo dei turisti dell'etere per
dare loro in cambio un appagamento temporaneo e un incredibile senso di solitudine diluito nel
tempo.
Il fascino esercitato dai giochi dei parchi è innegabile. Sarà forse per le forme strane e i colori
sgargianti, o perché sono una metafora della vita che, a colpi di slalom, si snoda tra scivoloni e
rialzi con vorticosi giri a velocità inebrianti alternati a ritmi più pacati.
Sarà perché in quel contesto anche l'adulto può tornare bambino senza paura di essere giudicato,
sentendosi libero dagli impegni e dai doveri, anche solo per la breve durata di un giro in giostra.
Come se potesse librarsi in aria per un attimo, ad esempio sui seggiolini volanti, e scaricare tutte le
zavorre che nel quotidiano lo costringono con i piedi ben saldi in terra, libero di ridere
sfrenatamente e divertirsi contagiando chi gli sta intorno.
Sarà anche perché, in un vissuto quotidiano all'insegna di tecnodipendenza e Internet dipendenza,
ritagliare una finestra temporale e scegliere la modalità unplugged, scollegati da tutto, per di più
non tra le mura domestiche ma in un'area verde, è come mettersi finalmente in standby, ritrovare un
habitat più congeniale e riassaporare la libertà dalla tecnologia stessa, di cui spesso si diventa
schiavi. I centri di recupero sorti in ogni dove ne sono la prova.
Così, come in una nota novella di Pirandello o un noto film della Disney, questi mirabolanti oggetti
chiamati giostre sembrano animarsi per chiedere attenzione, come se avessero un messaggio da
recapitare.
Diversi per dimensione, struttura e funzione, sono infatti accomunati non solo dall'aspetto
accattivante ma anche dal duplice ruolo che giocano: "pubblica utilità" e intrattenimento.
Il messaggio che lanciano alla platea di "spettatori" che popolano ogni giorno lo spazio intorno a
loro, è agire nel quotidiano come tasselli di un puzzle che, uniti, diano vita a un progetto.
Creare una realtà vivibile, fatta di relazioni umane ed emozioni vere.
Opporre colore e sfaccettature al grigiore da cui si rischia altrimenti di essere inghiottiti.
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Federico, l'informatico
Giungle di cavi aggrovigliati, torri di fogli impilati, file di monitor schierati come plotoni su
scrivanie traboccanti di carte. Profili di grattacieli cupi e tristi che s'intravedevano appena da poche
finestre piccole e con i vetri incrostati di smog. Questo era il luogo di lavoro di Federico.
Informatico poco più che trentenne di Milano, Federico aveva trascorso gli ultimi dieci anni della
sua vita ingabbiato nel cubicolo di un ufficio per occuparsi prettamente di numeri.
Unico spiraglio d'aria, le foto che ritraevano en plein air fantastici luoghi esotici, esposte
ordinatamente sull'inspiration wall che fronteggiava la sua postazione… luoghi che avrebbe visto
solo nei sogni più remoti se non si risvegliava da quello stato letargico che lo avrebbe portato fino al
traguardo degli anta.
Un bel giorno di primavera, stagione più che mai significativa, lo scossone finalmente arrivò.
Federico si guardò allo specchio e il suo corpo trasudava un livello di stress tale da farlo apparire
molto più vecchio della sua età. Si sentì la testa pesante e fu invaso da un opprimente senso di
frustrazione e di totale insoddisfazione.
Anche Rossana, celebre nome di rostandiana memoria, trentenne di professione archeologa e
compagna di Federico da qualche anno, aveva avuto il sentore che qualcosa non filasse più per il
verso giusto: nelle ultime settimane il suo partner appariva spento, svogliato, spossato, come se
nulla più gli importasse veramente.
S'imponeva un rimedio. Determinata a stendere un piano d'attacco efficace e articolato, la donna
iniziò a pensare a cosa fare in concreto per risvegliare in Federico l'appetito per la vita. Compilò,
così, una lista di voci per individuare il nocciolo del problema e la relativa soluzione.
Ora, osservando la lista con simulato distacco, a Rossana parve che una di queste voci in particolare
vivesse di vita propria e, animata da una trascinante forza cinetica, sembrava balzasse fuori
dall'elenco per evadere dalla pagina e fuggire via lontano.
Non a caso, era la voce "Viaggi".
Già, ma che parolona… si faceva presto a pronunciarla, ma si doveva anche caricarla di significato.
Quale destinazione avrebbe veramente potuto scuotere nel profondo il torpore di cui era preda
Federico? Una Malaga qualunque o una qualche isola esotica non erano certo appropriate allo
scopo… si doveva trovare un luogo quasi spirituale, un pozzo da cui attingere energie positive
altamente rinvigorenti, in grado di annientare quell'apatia divenuta ormai l'ombra di Federico…
Doveva essere un luogo carico di storia, ricco di ispirazioni, che riportasse in superficie la vera
natura di quell'uomo che, regalandole emozioni straordinarie le aveva fatto palpitare il cuore, un
uomo sprofondato in una prostrazione fisica e morale che non poteva portare nulla di buono.
Le possibilità erano tante, ma un'idea cominciava a farsi largo con prepotenza: visitare posti che
fossero legati alla cultura celtica, cultura cui Federico aveva deciso di accostarsi qualche anno
prima con vari testi sull'argomento, puntualmente riposti in libreria una volta estinta la fiammella
della curiosità.
Rossana si era ricordata dell'ingordigia con cui il compagno aveva inizialmente divorato a sazietà il
contenuto di quei testi ed era rimasta piuttosto male quando aveva visto che anche quella passione si
era poi smorzata, risucchiata nella voragine del pauroso vuoto insediatosi in Federico.
Così, la donna aveva deciso di provare a rinfocolare l'interesse rispolverando quei vecchi testi,
consultando il materiale di un'agenzia di viaggi e studiando un percorso ad hoc personalizzato.
La coppia, infatti, in vista di un futuro insieme, poteva contare su qualche risorsa economica in più,
che in tempi di magra come quelli che stavano vivendo, poteva tornare di grande aiuto, così,
facendo qualche conto qua e la, Rossana aveva pensato che entrambe potessero prendersi un anno
sabatico per compiere quel viaggio con tutta calma, toccando le destinazioni prescelte e, perché no,
realizzando un bel reportage per uso personale da custodire tra i ricordi più cari.
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Seduta sulla poltrona preferita di casa con una tazza di tè fumante in mano, la donna iniziò dunque a
tracciare itinerari ben precisi che rispondessero appieno alle curiosità intellettuali dei due, mentre
Federico, all'oscuro di tutto, continuava a sedere immobile alla grigia postazione di lavoro, posando
lo sguardo erratico ora sui vetri segnati da una pioggia tamburellante, ora sul viso dei colleghi.
Cercava segni di vitalità che potessero ispirarlo. Magari, riusciva a scorgervi un po' di solidarietà.
Era solo lui a sentirsi così incredibilmente spento, inutile e fuori contesto, si chiedeva, o questa
sorte non risparmiava nessuno e, più semplicemente, c'era chi fingeva di star bene sia con se stesso
che con gli altri? Bella domanda, pensava, eppure fiumi e fiumi di inchiostro erano stati versati
sull'argomento da fior di scrittori. Tacere la verità sul disagio provato era, comunque, una scelta
condivisa da molti, probabilmente perché comoda.
I giorni intanto passavano. Lenti e uguali.
Dopo aver affinato sempre più la sua ricerca, Rossana aveva tracciato l'itinerario definitivo,
decidendo così di illustrare il progetto a Federico.
Al di là delle più rosee previsioni della donna, il compagno le rivelò che non avrebbe potuto fargli
regalo più grande!
Federico accettò entusiasta di partire, felice e sollevato che qualcuno avesse già preparato tutto al
posto suo: non avrebbe mai trovato le energie mentali e fisiche per realizzare questo progetto pur
così allettante.
Così, dopo aver regolato ogni cosa sul lavoro e a casa, un bel giorno di primavera i due partirono
alla volta dell'isola di smeraldo, per quella che si annunciava essere per Federico una grande
avventura on the road alla ricerca del sé perduto.
Giunti in Irlanda, grazie alla formula già testata del fly and drive, i due si trovarono presto alla
guida di una strana auto color carta di zucchero e, dopo aver riso non poco per le inevitabili
difficoltà causate dalla guida a sinistra, giunsero senza particolari intoppi alla prima meta, un B&B
nei pressi di un grande sito archeologico di cui faceva parte la tomba a corridoio di Newgrange.
Sì, quel luogo affascinante costituiva la prima tappa dello smile-raising tour: così Rossana aveva
ribattezzato il loro viaggio pensando all'obiettivo che lo muoveva.
Per prepararsi al meglio a quella visita importante, la donna si era armata di guide turistiche
aggiornate, lette e rilette fino alla noia anche la sera prima del grande incontro con quel celebre
lascito di una civiltà preceltica dal fascino immortale. Le celebrazioni di riti solari che
verosimilmente si tenevano presso quel complesso funerario, infatti, e che rendevano Newgrange un
luogo simbolo dell'archeoastronomia, erano solo alcune delle tante peculiarità che
contraddistinguevano una località ricca di storia e dal sapore inconfondibilmente magico.
La tomba a corridoio, costruita in maniera sorprendente con un insieme di pietre, alcune delle quali
decorate, colpiva lo sguardo presentandosi come l'imponente custode di un conturbante segreto.
Una volta all'interno del monumento, la guida spiegava che vi era una piccola apertura praticata
sulla porta d'ingresso e che all'alba del solstizio d'inverno, nel giorno più corto dell'anno, il 21
dicembre, come pure alcuni giorni prima e dopo quella data, un raggio di sole attraversava
quest'apertura e raggiungeva persino l'estremità più remota della camera, un evento che aveva del
prodigioso. Il fenomeno veniva probabilmente interpretato dai contadini neolitici come un segno di
rinascita, la qual cosa destava in Federico un interesse del tutto particolare, inducendolo a
ripromettersi di approfondire l'argomento in futuro. C'era in tutto ciò dell'incredibile: lui,
informatico, fautore del progresso e della tecnologia, intendeva affacciarsi a un passato molto,
molto arcaico…
E percorrendo per insolite strade l'isola color smeraldo, avvistando qua e la nutriti gruppi di pecore,
la coppia si fermava ogni tanto ad ammirare rovine di monasteri e castelli, a tratti unici esempi di
attività umane nel raggio di chilometri. Ed era proprio questo a rendere accattivanti questi ruderi,
oltre alla loro oggettiva bellezza: la comunione perfetta con la natura circostante.
Il paesaggio si faceva teatro d'elezione per rappresentare le creazioni dell'artista. Niente intralciava
questa sua funzione privilegiata. Non c'erano elementi disturbanti come orde di turisti scalpitanti
alla ricerca del selfie perfetto con monumento sullo sfondo. Né video ispirati da caricare
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prontamente su YouTube dopo aver sapientemente abbinato, con molta originalità, un brano di
Enya. Non c'erano venditori ambulanti travolti dall'estenuante affanno di rifilare a forza carabattole
d'ogni ordine e grado, spacciandole per prodotti artigianali. Né, tantomeno, allettanti cibarie per
improvvisati banchetti, in aperto contrasto con la sacralità del luogo.
No, quello in cui si trovava la coppia era una sorta di guscio protetto dalle masse, dove la pace
regnava sovrana e i ritmi cadenzati del respiro intonavano una dolce melodia all'unisono col vento.
Un luogo che, nella sua semplicità sconcertante e rurale, racchiudeva una bellezza sublime, recando
in sé qualcosa di atavico che risvegliava in Rossana le stesse emozioni provate grazie all'opera di
Matisse "La joie de vivre", un inno alla vita in perfetta sintonia con la natura.
Certo, il dipinto dell'artista che la donna amava tanto, risplendeva di colori ben diversi da quelli
dell'Irlanda, ma il quadro reale che la donna aveva davanti a sé non aveva nulla da invidiare, quanto
a intensità emotiva, all'opera su tela: erano entrambe un'imponente sinfonia tradotta in immagini.
Il quadro sembrava trasudare energia e vitalità, gli stessi impulsi evocati in Rossana dal suolo
irlandese, bagnato dalla pioggia e con un piacevole odore di terra umida che rimanda alla speranza.
Sì, perché l'acqua che dissetava con cura e costanza il terreno irlandese, agli occhi di Rossana
riproduceva ogni volta l'idea stessa della vita che si rigenera e si rinnova: un fenomeno naturale,
assumeva i contorni del rito celebrativo della ri-creazione.
Quale humus migliore di quel territorio, dunque, poteva mai rinvigorire i pensieri e risvegliare
istinti e pulsioni sopiti?
Quel luogo avrebbe fatto prodigi per Federico, operando un miracolo che avrebbe prevalso su
psicofarmaci e altri "veleni" per il corpo… il suo organismo, prima ancora della sua anima, doveva
disintossicarsi e alleggerirsi di tutte le zavorre che lo ancoravano alla maledetta routine di tutti i
giorni… quel tran tran che lo stava lentamente consumando…
D'altra parte, non poteva essere un caso che, proprio in un luogo che sprigionava tanta armonia ed
energia, i Celti avessero sviluppato una passione ardente per il mondo naturale, al punto da farne
luogo d'elezione per i riti religiosi, celebrandoli nei boschi.
Il culto che questo popolo antico coltivava per Anu, come veniva chiamata la Grande Madre Terra
in uno dei tanti dialetti celtici, affondava le radici in tempi remoti e, a parere di Rossana e Federico,
trovava la sua massima espressione proprio nel complesso funerario di Newgrange. Un complesso
che, costruito per accogliere la morte e il buio eterno, rimandava incredibilmente all'idea di vita,
rinascita, luce. Era questa la sua enorme forza.
Come era enorme il rapporto simbiotico creatosi con l'ambiente, incentrato sul massimo rispetto per
le risorse della terra. Un tipo di legame cui si tendeva a ritornare in tempi di profonda crisi
economica, sociale, culturale.
Sarà stato per l'imminenza della data in cui, secondo i Maya, ci sarebbe stata la fine del mondo, sarà
stato per la penuria di modelli di crescita cui ispirarsi una volta esploratili tutti, ma era in atto un
ripensamento globale che coinvolgeva tutte le sfere del vivere e del sapere.
Come per un tardivo pentirsi dell'umanità per i danni causati al pianeta, proliferavano ora i buoni
propositi: dall'invito al praticare il baratto come in origine, con la fioritura dei swap shop, al riciclo
della carta regalo come insegnato dai giapponesi con il fukurishi, all'invito a fare poca teoria e
molta pratica ad esempio piantando alberi, un'azione promossa e diffusa persino da un premio
Nobel per la pace come Wangari Maathai e da una campagna che recitava Stop Talking. Start
Planting.
Rossana e Federico, da sempre sensibili ai temi ambientali, stavano al passo con le novità in materia,
seguendo da vicino l'avanzare delle nuove tendenze.
Ai quattro angoli del mondo risuonava quindi un messaggio unico, rilanciato anche dal principio
giapponese del mottainai: "niente si spreca".
L'immagine che meglio di tutte poteva racchiudere e rappresentare la sensazione che si provava, era
quella di una strada commerciale in cui, in pieno periodo natalizio, si sentiva diffondere la parabola
dagli altoparlanti dei negozi in sostituzione dei canti; come per porgere il saluto ufficiale all'alba di
una nuova religione universale, nata per scongiurare il tramonto del genere umano.
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Era infatti scoppiata la sindrome del pianeta perduto, anche perché era vero che, parafrasando
Gandhi, la Terra dispone sì delle risorse per soddisfare le necessità dei suoi abitanti, ma non per
soddisfarne la cupidigia.
Convinti fautori di questa massima, Rossana e Federico avevano deciso di onorarla nel quotidiano,
cercando di vivere in modo ecosostenibile. Riducevano al minimo i consumi, riutilizzavano gli
scarti e rispettavano l'ambiente come meglio possibile, documentandosi a dovere sulle pratiche
virtuose da adottare.
Così, forti delle conoscenze acquisite e consolidate, nonché del prezioso bagaglio culturale con cui
si era concluso il rinvigorente viaggio in Irlanda, Federico e Rossana, colti da una grande
rivelazione, dopo aver sistemato le situazioni sospese in Italia, decidono di cambiare radicalmente
vita e andare a vivere nella yurta di un ecovillaggio nelle campagne inglesi.
Scelta drastica, la loro, ma ben ponderata. Il nuovo stile di vita verso cui si erano orientati incarnava
il loro ideale: vivere a contatto con la natura e nel pieno rispetto dell'ambiente.
Ciò implicava l'autosufficienza energetica, l'autoproduzione, la vita in condivisione con persone
appartenenti magari a diverse culture e religioni.
Era un universo nuovo per la coppia, che fino ad allora aveva visto le yurte solo su Internet, ma in
qualche modo rappresentava quello che i due avevano sempre cercato.
Affascinati dall'idea che quell'abitazione era stata ispirata dalle popolazioni nomadi delle steppe
mongole, la vedevano come simbolo per antonomasia del cambiamento.
Cambiamento voleva dire spostarsi dalla proprie posizioni, fisiche e mentali, andare oltre, misurarsi
con nuovi confini e nuove sfide, affrontare le proprie paure, vivere la vita per l'avventura che
effettivamente è.
Esattamente l'opposto di quel che avevano fatto a Milano, vivendo una vita completamente distante
da quella che si prospettava immergendosi in una nuova, inebriante esperienza.
La stessa Rossana, che inizialmente aveva innescato un meccanismo di ripresa psicologica solo per
aiutare Federico, aveva inaspettatamente trovato il suo equilibrio, che non sapeva neppure di aver
perso.
I due, messisi a lavorare come freelance grazie ai computer alimentati da fonti di energia rinnovabili,
vivevano ora immersi nella natura, per riscoprirne i ritmi come nei tempi antichi, e in socialità,
partecipando a varie attività con gli altri membri del villaggio, dalla preparazione dei pasti alla
proiezione di film e tanti altri momenti ricreativi.
Gli stimoli che giungevano da più parti e il nuovo tenore di vita, improntato su valori diversi da
quelli abbracciati un tempo, avevano temprato la coppia, ora composta da due individui sereni e
pieni di aspettative per il futuro.
La terra verde smeraldo, da cui tutto era partito, li aveva ispirati: Andrea, il loro primogenito, aveva
visto la luce in uno splendido mattino d'autunno.
La sua nascita segnava un nuovo, meraviglioso inizio per l'archeologa e il geek che, passando da un
claustrofobico cubicolo a un'ariosa yurta, aveva ritrovato la gioia di vivere.
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