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SOSTITUZIONE DELLA VISION DOMINANTE E PROPOSTA DI PROSSIMITÀ
Questo studio è nato da una domanda di ricerca precisa e circoscritta: quali sono le proposte di disegno
urbano emerse negli ultimi anni negli Stati Uniti per la costruzione e la trasformazione delle “edge cities”? La
curiosità verso edge city è nata dalla lettura del libro di Giandomenico Amendola La città postmoderna, magie e
paure della metropoli contemporanea: che cosa fosse e che importanza potesse avere questa forma di
agglomerazione per la comprensione della realtà urbana italiana aveva provocato dubbi e suggestioni. La
convinzione che fosse possibile e forse opportuno studiare un fenomeno apparentemente diverso e
geograficamente lontano dalla realtà che frequento ha trovato un inatteso sostegno nel consiglio di Richard
Ingersoll: “Studia quello che meno ti piace e meno ti convince: imparerai per contrasto e dovrai reagire”. Non so
se Richard abbia spesso messo alla prova questo consiglio, ma in effetti non molto mi convinceva di edge city, a
cominciare dal nome. Gli incontri con Margaret Crawford hanno confermato che è decisamente opportuno
condurre ricerche su questo materiale, in primo luogo perchè il fenomeno edge city è quanto sta succedendo alle
nostre città, “nostre” da entrambe le parti dell’oceano, in secondo luogo perchè non molti lo stanno facendo,
forse perchè non credono nel consiglio di Ingersoll.
Studiando questo tema è risultato progressivamente evidente da un lato, senza sorpresa, che la storia della
costruzione di questi complessi è legata quasi esclusivamente all’azione degli speculatori e che, nonostante il
sistema insediativo delle minicities sia molto criticato per le pratiche che impone e per l’impatto ambientale,
poche soluzioni di intervento o idee provocatorie o immaginazioni creative sono state proposte dai progettisti –
dagli architetti colti come da quelli meno colti – per trasformare i casi specifici, come sta succedendo anche in
Italia, dall’altro che negli Stati Uniti si sta cercando di mettere insieme e di realizzare un new development
paradigm, un insieme di principi che possano guidare la costruzione o la trasformazione dell’intera regione
metropolitana e contribuire a risolvere un complesso di questioni ecologiche, sociali, economiche ed estetiche.
Questo paradigma, portato avanti da qualcosa che assomiglia ad una comunità epistemica allargata, si pone
esplicitamente in contrapposizione con quanto ha guidato la pianificazione dal secondo dopoguerra e con la prassi
consolidata che ha prodotto il modello doughnut. Smart growth è sia un insieme di politiche e strumenti per
declinare la costruzione della metropoli del futuro in una realtà caratterizzata da un grande aumento della
popolazione, sia un approccio mentale alla città ed all’uso del territorio.
Smart growth è un fenomeno notevole per tre motivi: ha effetti di sostanza – ha cominciato infatti ad
incidere sul valore dei suoli, sulla forma fisica dei nuovi insediamenti, sulle scelte pubbliche tanto che è stata
introdotta in alcuni stati una legislazione per il controllo dell’espansione delle aree urbanizzate, qualche
municipalità ha cambiato lo zoning, sono stati adottati piani e tecniche specifiche per risolvere questioni puntuali
–; ha effetti sul processo di pianificazione e sul giudizio espresso in merito alle possibilità della pianificazione: si
cerca di collegare lo zoning alle scelte del piano e si promuovono processi di pianificazione comprehensive e
grassroot, cioè che si occupino di tutte le questioni legate alla gestione del territorio e delle necessità dei suoi
abitanti, normalmente condotte in modo settoriale e che vedano collaborare nella definizione delle direttive di
intervento il settore pubblico, il settore privato, i cittadini; ha effetti, o almeno si sta applicando per avere effetti,
sull’attitudine verso il modello insediativo e le forme dell’abitare, sull’immaginario, cioè cerca di far leva sulla
generale insoddisfazione verso lo stato di fatto per persuadere che altre forme e altre compatibilità sono possibili
e garantiscono una migliore qualità di vita.
Il movimento smart growth intende portare in evidenza la città ed il territorio come uno dei temi più
importanti che gli Stati Uniti devono affrontare, perchè sono stati sottovalutati gli effetti del loro sfruttamento;
intende sottolineare come debba chiudersi la fase della dispersione e propone una forma insediativa ibrida fra
suburbio e città, qualcosa che ricorda le città giardino, ma non ne ha la stessa precisa concettualizzazione e la
stessa forza progettuale perché pragmaticamente vuole incidere nel contesto realizzato e fare riferimento alle
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condizioni del mercato: un complesso moderatamente compatto e denso nelle sue parti distinte fatte di piccoli
centri e di frammenti circoscritti (affiora la tentazione di ricostruire in nuovi termini l’antica netta divisione tra
città e campagna) che vorrebbero diventare unità con identità ed autonomia come town o village, che torna ad
offrire ai suoi abitanti i vantaggi di una urbanità capillare.
Che ci sia un’idea complessiva di città, che venga proposto un diverso scenario da contrapporre a quello
convenzionale, un orizzonte di senso più vasto del singolo intervento specifico in uno sforzo che cerca di essere
corale credo non sia da sottovalutare, anche se l’estetica che finora lo ha accompagnato è distante dalla nostra
sensibilità e pare non tenti di esprimere lo Zeitgeist, per lo meno non quello giusto, anche se si richiama ad un
mondo di relazioni e di comportamenti per certi aspetti anacronistico e caratterizzato da una evidente nostalgia
per i rapporti di vicinato, che alcuni vorrebbero interpretare come legati al legame sociale pre-industriale e quindi
superflui per la contemporaneità caratterizzata da relazioni determinate dalla cultura telematica, mentre nel
contesto smart growth raramente si prende in considerazione l’impatto delle cosiddette “nuove tecnologie” sugli
aspetti spaziali, come se nella parte del mondo dove queste sono più diffuse ed accessibili si fosse già
definitivamente verificato che la necessità della comunità non viene messa in discussione per le nuove
possibilità; questi aspetti contribuiscono al contrario a rendere opportuno lo studio di questo scenario.
Credo infatti, come ho già detto nel capitolo sull’urban design, che questa costruzione di immagini che
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dovrebbero essere condivise può essere messa in relazione con quanto ha constatato Cristina Bianchetti , cioè
che sta emergendo un approccio all’urbanistica che recupera la capacità di costruire immagini rilevanti (rilevanti
perchè comunicate con successo e condivise) rappresentando i tratti del futuro in modo sintetico e quindi
sfumando la distinzione fra le diverse scale di intervento, grossomodo come abbiamo visto avvenire ad Atlanta. È
leggibile anche nel contesto americano, appunto in smart growth, lo sforzo a ripensare strategie consolidate per
dare forma e ordine alla nebulosa metropolitana e a mettere in relazione la riflessione in campo architettonico in
senso lato con le istanze più urgenti in campo ambientale e sociale, che sembrano affliggere o interessare - a
seconda delle interpretazioni più o meno radicali sulla crisi della città - la città americana. La parola Vision, così
ricorrente nella pianificazione della città nordamericana, è spia della necessità di trovare una nuova immagine di
futuro urbano, nuove strategie di sviluppo.
Poiché produce “grandi immagini” smart growth è una nuova ideologia o una forma di realismo? Si può dire
che sia entrambe le cose, oscillando fra un polo e l’altro, certamente con una componente di speranza o illusione
sulla composizione dei contrasti e sulla realizzabilità del progetto per ristrutturare la metropoli che la fa tendere
verso l’ideologia. Nella filosofia della crescita intelligente si fondono due atteggiamenti di progetto: quello che
prospetta una qualità di vita migliore e quello che individua soluzioni concrete con operatori concreti: vengono
ripensati l’edificato, lo spazio aperto, la possibilità di trasporto e le loro relazioni reciproche, gli strumenti
operativi e le relazioni fra tecnici e cittadini. Cosa viene salvato della composizione e della morfologia di suburbia,
infatti, nel progetto smart? I materiali che compongono le aree suburbane e le loro relazioni - i mall, gli office
park, le edge cities, le autostrade di collegamento urbano, le case isolate, le gated communities non trovano
posto nel progetto smart (o almeno non dovrebbero trovare posto...); il disegno del New Jersey “come potrebbe
essere” che propone l’RPA vuole far immaginare un territorio completamente diverso da quello esistente; il
contrasto fra il paesaggio delle edge cities e quello proposto dai sostenitori di smart growth è evidente. Si tratta
per questo di un progetto radicale? Allo stesso modo i comportamenti dei suburbanites vengono sottoposti a
giudizio e sostanzialmente reimpostati: smart growth propone un cambiamento nella vita quotidiana
1
Cristina Bianchetti, Città, politiche e piani, Rassegna 75 1998. Secondo Bianchetti la pratica dello scenario può essere letta
come un ribaltamento della logica molecolare e dell’atteggiamento che rivolge l’attenzione esclusivamente al microcosmo, ma
Bianchetti invita ad assumere un atteggiamento critico nei confronti di questi esercizi di prefigurazione, principalmente per il
rischio di banalizzazione della nozione dello spazio considerato indefinitamente malleabile all’immagine e all’azione e per la
(camminare, rispettare l’ambiente, accettare restrizioni sull’uso della proprietà, fidarsi della comunità,
condividere responsabilità, condividere lo spazio pubblico…).
La questione che resta aperta è dunque la radicalità del progetto smart: si può dire che nel contesto nordamericano anche una moderata continuità di cose e persone e la ri-urbanizzazione del suburbio è una proposta
radicale e che quindi il possibile invito ad un maggior coraggio, a passare dalla vision che con cautela scopre
l’ovvio ad un contributo innovativo non comprende la situazione e il pragmatismo di un progetto che vuole essere
incrementale oppure si deve concludere che quanto viene prefigurato non può riuscire ad influenzare in modo
significativo la realtà dello sprawl, non è sufficiente per risolvere l’exclusionary zoning, non è quello che serve per
ricreare il senso della comunità, non parla dell’uomo contemporaneo se non addirittura è reazionario e
nostalgico, come sostiene ad esempio l’Everyday Urbanism?
La questione resta ambigua, come abbiamo visto lo scenario appare radicale, le realizzazioni no. Secondo
D.J.Waldie, ad esempio, il New Urbanism è rivolto solo al consumatore sofisticato che inserisce nei beni da avere
per il suo benessere anche il luogo-place e rischia di ridurre le sincere aspirazioni smart a un “static NIMBYism:
No more housing subdivisions! No more shopping centers! No more office parks! No more highways!
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Neighborhoods or nothing!” ; il consumatore non è però abbastanza sofisticato da cercare l’autenticità dei luoghi
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o da apprezzare l’estetica del suburbio metropolitano . È anche vero, come sostiene il costruttore di Kentlands,
che persino il modesto incremento di densità proposto nelle realizzazioni del New Urbanism non trova accoglienza
favorevole da parte di una consistente fetta di popolazione e che quindi questa proposta risulta per molti
radicale.
A questo proposito bisogna riconoscere al movimento lo sforzo ad operare sull’immaginario e
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sull’atteggiamento mentale : il lavoro di persuasione per cambiare l’attitudine verso le preferenze dell’abitare,
l’importanza della questione ambientale, l’attitudine al riuso delle aree dismesse, tanto industriali come
residenziali, e l’attenzione all’equità e all’uso del prelievo fiscale - operato sui responsabili politici, sugli
amministratori locali, sui cittadini e soprattutto sugli operatori privati -, devono essere considerati fattori
fondamentali se effettivamente si giudica la situazione esistente critica e il sogno suburbano logoro. Smart
growth sembra operare per qualcosa di simile alla svolta culturale e spaziale di cui parla Edward Soja in Moving
beyond equality politics, che non annulla le differenze ma le sostiene nella consapevolezza delle inter-relazioni
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fra spazio e potere. Si potrebbe interpretare la costruzione dell’immagine concettuale e generica della carta
programmatica in modo strumentale, cioè come elemento che serve a provocare ed è in grado di stimolare il
passo successivo della realizzazione. L’immagine, così, diventa creatrice di nuove realtà: saranno gli abitanti ad
assumere, decidere, fare e trasformare, anche in modo parziale.
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Forse smart growth si può inserire fra quelle figure che Bernardo Secchi ha definito “figure dello sguardo“ ,
cioè progetti che non solo descrivono lo spazio contemporaneo, ma si propongono di rinnovare contenendo “in
nuce un’utopia, una rappresentazione della società e dei suoi possibili itinerari”. In questo senso, se lo si
interpreta come un progetto radicale, smart growth intende sostituirsi alla vision dominante, e ai valori legati al
semplificazione che viene applicata al processo decisionale, che viene ridotto ad una sommatoria di preferenze che si crede
garantisca la realizzazione del progetto.
2
Donald J.Waldie, The ties that bind, LA Times February 27, 2000, a commento dell’ultimo libro di A.Duany, E.Plater-Zyberk, Jeff
Speck, Suburban Nation, the rise of sprawl and the decline of the american dream, New York, North Point Press 2000 .
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Si veda a questo proposito il commento di Edward Soja al concetto di simulacro di Baudrillard in Postmetropolis, critical studies
of cities and regions, Blackwell 2000.
4
Questa attitudine può essere ricondotta alla riflessione sulla “architecture of democracy” degli anni ’60, quando architetti e
pianificatori tentavano di portare la gente a preoccuparsi della costruzione della città, a vantaggio non solo dei più svantaggiati.
5
6
Edward Soja ibidem.
Bernardo Secchi, Figure del rinnovo urbano, Casabella 614 1994.
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territorio che ne stanno alla base che hanno portato alla costruzione dell’american dreamscape; questo è tanto
più vero se si crede – è una delle questioni di fondo del discorso - che anche i suburbi sono diventati
anacronistici, come lo è diventato a suo tempo downtown.
Se invece si intende smart growth come un insieme di suggerimenti moderati allora viene proposto un
aggiustamento della rotta per re-direct the american dream, che è comunque un percorso di cambiamento. Oggi
non siamo di fronte ad una epocale rivoluzione di valori e di significati, ma certo di fronte ad un tentativo di
guidare lo sviluppo: se il modello suburbano era a new human landscape reso possibile da un insieme di fattori
(aumentata possibilità economica, evoluzione tecnologica, affermazione politica della middle class) oggi non si
riscontrano elementi paragonabili che possano far pensare ad una trasformazione radicale. La proposta manca
inoltre di figure di astrazione, di un profondo senso critico verso il presente, manca di iconoclastia, che forse
sarebbe necessaria nell’obiettivo di riformare e rifondare, e sembra essere troppo votata al pragmatismo per
rivolgere attenzione alla produzione fantastica. Per quanto riguarda l’apparato figurativo conservatore e neo
tradizionale che accompagna smart growth forse i progettisti dovrebbero sperimentare la possibilità di esprimere
la contemporaneità con lo stesso materiale iconografico conservatore che stanno usando o trovare un modo per
usare questi materiali in termini moderni, senza necessariamente essere modernisti, guardando per esempio alle
proposte degli architetti che abbiamo visto nel terzo capitolo.
Resta comunque il fatto che secondo la maggioranza degli autori, appartenenti a smart growth o meno, la
fase della dispersione deve chiudersi e si sta diffondendo la convinzione che per far questo “we need to bring
greater critical awareness to the suburban vision as embodied in the single family detached house, we need to
attempt to try alternative form to the american dream” (Roger Sherman), trova sempre più sostenitori l’idea
della necessità di costruire un nuovo immaginario per poter realizzare una città diversa e superare il modello
doughnut, per indirizzare i milioni di immigrati/americani che continueranno ad arrivare. Credo anche che
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l’affermazione di Baudrillard : "Il principio dell'utopia realizzata [il sogno americano della libertà e del benessere,
della proprietà della casa isolata, automobile, televisione, elettrodomestici… avveratosi per la middle class]
spiega l'assenza e l'inutilità della metafisica e dell'immaginario nella vita americana” possa essere aggiornata con
un po’ di leggerezza ed ironia almeno per la sua parte suburbana, poichè il sogno è logoro: la realtà è lontana dal
desiderio, le città non hanno continuato attraverso gli anni e le mutazioni a offrire la loro forma ai desideri dei
cittadini.
Bisogna però sottolineare che se il movimento smart si è impegnato ad illustrare con dovizia di dati ed analisi
la città esistente, esso propone un progetto unico per il futuro della città talvolta presentato in forma
assiomatica, una sola alternativa semplice, anche se non rigida, mentre una marcata ridondanza di elaborazioni
progettuali sarebbe indispensabile alla sua migliore sopravvivenza perchè amplifica le possibilità di scelta. Il
progetto è unico perchè c’è una notevole sicurezza che quelli indicati siano i provvedimenti di cui c’è bisogno, che
disegnino lo spazio più adatto, per articolazione spaziale e funzionale, alla società americana contemporanea e
che la città come prefigurata sia quella desiderata dai cittadini, dalla maggioranza dei cittadini poichè il progetto
si fa interprete dell’interesse di diversi gruppi sociali.
Una delle chiavi fondamentali per interpretare le politiche della carta programmatica smart come anche le
proposte progettuali di urban design negli Stati Uniti oggi può essere individuata nel progetto della prossimità,
cioè nel fatto che la costruzione di nuovi scenari implica un ripensamento di compatibilità ed incompatibilità, di
distanze e di compresenze. Con il concetto di prossimità intendo riassumere l’atteggiamento progettuale che
vuole costruire insediamenti caratterizzati da maggiore densità e minore distanza fra gli oggetti,
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Jean Baudrillard, L’America, Milano, Feltrinelli 1987.
mescolanza di funzioni, diversità come compresenza e simultaneità di classi sociali e culture diverse o
instaurare il processo per ottenere tali caratteristiche. Nelle immagini-guida di smart growth per la
trasformazione del modello insediativo o nelle proposte di urban design la dimensione della prossimità è centrale,
anche se il tema solo raramente viene trattato in modo esplicito. Sono chiari esempi di costruzione di prossimità
gli sforzi operati nella pratica della Vision per sviluppare un processo partecipativo e avvicinare i diversi gruppi
economici, etnici e culturali per farli lavorare insieme, ri-conoscersi come comunità con una identità e costruire
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un progetto condiviso.
L’idea della prossimità, come vicinanza e compresenza e simultaneità che smart growth veicola è quella
di un valore positivo da adoperare pragmaticamente per sfruttare l’ambientale in modo sostenibile (si deve
vivere più vicini per limitare l’uso del suolo e delle risorse e diminuire il processo di accumulazione di nuovi
oggetti sparsi nel territorio), per trasformare l’offerta abitativa e dare un contributo alla risoluzione della
questione sociale (si può vivere più vicini accettando un modesto disordine ed elementi di diversità nella vita
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quotidiana, partecipando a costruire compromessi e si può contribuire a costruire il welfare delle classi
disagiate), per migliorare le qualità di vita e recuperare il capitale sociale della comunità (la quality of life è
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strettamente connessa al legame sociale e alle opportunità di interazione , che significano senso di fratellanza e
calore umano, e con la presenza di spazi pubblici e luoghi di incontro che permettono il mantenimento della
comunità base della democrazia; la qualità che lo spazio fisico offre è legata alla qualità delle relazioni sociali che
permette, in questo senso la prossimità fisica è legata al concetto di comunità e di pubblico nell’accezione di
Dewey).
I presupposti per il progetto della prossimità, l’obiettivo più ambizioso del movimento smart, sono il
contenuto morale e la questione sociale. Il progetto smart ha un contenuto morale che si esprime
nell’accettazione delle responsabilità collettive per amministrare in modo sostenibile l’eredità ambientale e nella
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responsabilità socio-politica di adattare in modo equo le diversità degli stili di vita e i livelli di benessere.
La
costruzione fisica dello spazio attraverso un progetto che non sia parziale, limitato e puntuale deve
accompagnare il progetto sociale, affermando un moderato e legittimo determinismo spaziale. La prossimità è
possibilità di condizionare rapporti e relazioni sociali attraverso l'intervento sulle forme fisiche.
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Smart growth non precisa un progetto sociale, difficilmente potrebbe riuscire a farlo , ma ha ben presente la
questione sociale, che attraversa le proposte del movimento. Smart growth fa riferimento ad un ideale non tanto
di composizione dei contrasti con l’obiettivo di una reductio ad unum, quanto di generica armonia e di
convivenza, di interazione se non di integrazione fra abitanti diversi e per i suoi sostenitori vale quanto affermato
da Marc Augè: “Crediamo che non basti trasformare lo spazio per cambiare i rapporti sociali, ma sappiamo anche
che questi si iscrivono nello spazio e lo fanno in modo molto concreto.”
13
È evidente il richiamo alla dimensione
etica delle politiche e il ritorno alla riflessione sui temi di solidarietà e comunità. A questo proposito smart growth
recupera in primo luogo il tema dell’housing – un non-tema nel tempo del prevalere della casa isolata su lotto - e
8
L’individuazione di un obiettivo comune, come la tutela del paesaggio e dell’ambiente naturale, e l’impegno per raggiungere
l’obiettivo viene interpretato da molti come un fattore in grado di aggregare e formare la comunità. Ad esempio si veda Robert
Fishman, Megalopolis unbound, The Wilson Quarterly, winter 1990.
9
Smart growth non propone la radicale compresenza di diversità sociale che propone per esempio Richard Sennett ne Usi del
disordine, identità personale e vita nella metropoli, Costa & Nolan 1992, che sostiene che è auspicabile amare l’alterità, imparare
a sopportare l’ambiguità dolorosa e l’incertezza, far crescere il bisogno di ignoto e il sentimento di incompletezza, di conoscersi
reciprocamente per poter sopravvivere.
10
Richard Sennett op.cit. sostiene che le interazioni non possono limitarsi in modo riduttivo al desiderio di coerenza con l’identità
comune progettata che prescinde, anzi evita, l’esperienza dell’interazione.
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12
Patsy Healey, Strategie cooperative per le regioni urbane, Urbanistica 106 giugno 1996.
Bernardo Secchi, La costruzione del progetto urbanistico, Casabella 528 ottobre 1986.
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intende trasformare l’offerta abitativa della metropoli dominata dalla single-family-detached-house troppo poco
articolata rispetto alla realtà sociale e famigliare pluralista e frammentata che deve alloggiare. In questo senso il
progetto smart vuole essere una via d’uscita dalla mancanza di alternative del suburban dream e una
riabilitazione di tipi edilizi considerati di serie B per privacy e prestazioni e pertanto adatti solo ai “perdenti”
esclusi dal sogno. I tipi edilizi che non siano la villa obbligano alla prossimità e alla condivisione di un muro, una
scala, un fronte, un’area parcheggio, un marciapiede.
L’aspetto sociale della densità, quello economico della concentrazione e quello formale della dimensione
sono recuperati (Condensing american dream ha detto Calthorpe) anche se in effetti non si riesce a formulare
una precisa definizione della misura appropriata, poiché i vantaggi della densità sono considerati auto-evidenti.
Per Howard, Wirth, Mumford la densità e concentrazione delle grandi città significavano compressione,
promiscuità, incompatibilità, massa indistinta, oggi la bassissima densità e frammentazione di exurbia significano
spreco delle risorse, danni ambientali, perdita dei legami sociali. Nel progetto smart il concetto di densità viene
riabilitato – una densità nei fatti molto moderata, che fino ad ora si è attestata su valori in molti casi più bassi di
quelli delle città giardino applicati da Unwin – perché significa possibilità di risparmio delle risorse, urbanità e
community, individualismo sicuro; la densità viene presentata agli abitanti come commodity - bene di consumo.
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Densità e concentrazione non suscitano più timori, se viene contemporaneamente garantita la sicurezza .
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Si potrebbe dire che Jane strikes back, che Jane Jacobs
un tempo considerata reazionaria ha vinto sul
lungo periodo e che la sua “urbanistica del marciapiede”, ragione di sicurezza, di contatto come interazione, di
assimilazione delle diversità, di compresenza e simultaneità e concentrazione, è quello che serve all’America
exurbana: oggi paradossalmente i suoi argomenti sono apprezzati e richiamati da gruppi che sostengono tesi
progettuali antitetiche, il New Urbanism e l’Everyday Urbanism. I marciapiedi e la strada, in generale gli spazi
aperti, vengono recuperati come luoghi collettori della prossimità e quindi di possibilità e sono assunti come
materiali urbani per eccellenza, simbolo di un nuovo modo di vivere la quotidianità.
Smart growth vuole recuperare l’urbanità sotto forma di eterogeneità sociale, complessità culturale e massa
di concentrazione di attività diverse per non arretrare nello sviluppo culturale e sociale, per non perdere quanto
continua a credere che sia il motore indispensabile di una “crescita di qualità”, soprattutto per innescare il
processo di riscatto delle classi meno benestanti. Talvolta sembra di poter leggere nelle intenzioni dei sostenitori
di smart grotwh la volontà di ricostruire il nesso fra libertà e comunità, come scrive Jean Luc Nancy: io sono solo
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perchè sono un essere-in-comune.
L’urbanità resta legata alla forma, ad una città ordinatamente disordinata, anche se le affermazioni per
sostenere il modello insediativo proposto danno talvolta l’impressione di concedere un po’ troppo al senso
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comune, all’osservazione frammentaria e ad intuizioni personali.
Sembra che spesso, specialmente in merito
all’uso del suolo, delle risorse energetiche e alla possibilità di costruzione della comunità, si faccia ricorso al
principio di precauzione visto che non è possibile stabilire una esatta relazione fra causa ed effetto e l’effettivo
danno nel proseguimento dei comportamenti in atto.
La connessione tra l’idea di comunità densa, diversa, solidale e quella di limite di forma che questa
comunità deve avere rimane sfumata, vaga. Come abbiamo visto non c’è evidenza di una chiara
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14
Marc Augè, Disneyland e altri non luoghi, Bollati Boringhieri, 1999.
Si ricordi la visione apocalittica di Mike Davis in City of Quarz 1990, poi ribadita in Ecology of Fear 1998.
15
Oggi Jane Jacobs si dichiara oggi sostenitrice del movimento New Urbanism, si veda l’ntervista rilasciata a James H.Kunstler il
6 settembre 2000 in www.kunstler.com/mags_jacobs1.htm: Jane Jacobs: I’m very glad that New Urbanism is educating America.
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17
Jean Luc Nancy, L’esperienza della libertà, Einaudi 2000 (1988).
Michele Sernini, La città disfatta, Franco Angeli 1988.
concettualizzazione del quartiere come principio progettuale che combini la visione funzionale per la fornitura dei
servizi con l’individuazione di una unità sociologica. Questa ambiguità probabilmente deriva dalla piena
consapevolezza della compresenza di locale e globale, di relazioni faccia a faccia e della società delle reti che
rende sfumato l’obiettivo della costruzione di un quartiere, ma anche da un approccio pragmatico che impone di
adattarsi alla contingenza dell’intervento e quindi di non proporre un modello.
La sostituzione della vision dominante, la proposta della prossimità che possibilità hanno di riuscire ed
essere efficaci? I tentativi effettuati ad oggi per costruire la prossimità in development based on fairly small
neighborhood units, each combining homes and jobs opportunities and services hall hanno fallito. Fallirà anche
questo? Certo l’immagine della regione metropolitana smart come prefigurata dall’RPA difficilmente diventerà
realtà, si possono però fare alcune considerazioni.
Una spinta al cambiamento potrebbe diventare la competizione fra i diversi suburbi e le diverse aree, che
sono soggette a veloce obsolescenza sia come strutture che come immagine: per esempio vicino a Tyson Corner,
la edge city in Virginia, stanno costruendo un centro ispirato ai principi del New Urbanism e questo porterà
competizione fra le due aree, perchè secondo Garreau la gente cerca emotional connection, secondo Amendola
l’effetto città, secondo Sennett una alternativa alla noia e una vita più ricca e matura, secondo molti altri senso di
fratellanza e calore umano; come abbiamo visto questi aspetti fanno parte del pacchetto che viene venduto
insieme alla casa nei complessi New Urbanist; potrebbe cominciare a diventare realtà. Generalmente più cubi
vengono costruiti maggiore è il guadagno dei costruttori e se i developers ottengono maggior profitto dalla
vendita di una vision “densa” e di uno stile di vita piuttosto che dalla costruzione solo di un insieme di case, così
come è accaduto a Celebration, forse si tratterà di un passo avanti e gli alloggi isolati e dispersi perderanno di
valore.
Un’altra spinta al cambiamento potrebbe venire dal potere elettorale dei sostenitori delle politiche smart e
quindi dall’adozione di norme a livello statale e federale che stabiliscano alcuni standard minimi di densità. Per
ottenere questo serve però lo sviluppo di una maggiore coscienza ambientale e responsabilità civile (si veda ad
esempio il fallimento dei progetti per costruire trasporti pubblici in aree suburbane).
Un altro motivo di cambiamento potrebbe essere rappresentato dalla percentuale sempre più piccola della
popolazione americana che può permettersi una casa isolata su lotto nelle maggiori metropoli americane e alla
quale quindi dovrebbero essere offerte soluzioni alternative meno costose, non risparmiando nell’acquisto del
terreno (per questo motivo sempre più esterno alle aree urbanizzate), ma ricorrendo a tipi edilizi meno onerosi o
alla ristrutturazione del patrimonio esistente.
Una ulteriore prospettiva di cambiamento è la grande dinamica demografia degli Stati Uniti: le proiezioni del
Bureau of the Census prevedono che nel 2020 la popolazione degli Stati Uniti aumenterà del 21%. Altre stime
prevedono per il 2050 un incremento demografico del 45%, come dire che verranno aggiunti poco meno della
metà degli alloggi già presenti, cioè circa 50 milioni di unità. La vivace dinamica demografia è una delle
caratteristiche proprie della Nazione, ma forse oggi è possibile pensare che una attenta politica per dare una casa
alla popolazione futura possa portare ad una organizzazione spaziale dell’insieme del costruito che eviti gli errori
riconosciuti nel passato.
Però secondo la National Association of Home Builder la domanda di alloggio cerca ancora prevalentemente
single family detached houses e per questo si continua a costruire all’estrema periferia delle aree urbanizzate o
dove capita in modo discontinuo. Secondo Jon C.Teaford
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18
anche se le aree metropolitane sono andate
Jon C.Teaford, PostSuburbia, John Hopkins University Press, 1997.
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ristrutturandosi e oggi postsuburbia è una realtà consolidata l’attitudine mentale degli abitanti è rimasta
suburbana e vengono riaffermati gli elementi che compongono l’ideale di suburbia. Secondo i ricercatori del
Brookings Institute sono 5 fattori a determinare dove i finanziatori decidono di investire e dove i cittadini
decidono di andare a vivere (non la noia, l’effetto città, l’emotional connection, che finora sono entrati in gioco
19
quando si tratta di spazi ricreativi eccezionali rispetto alla vita quotidiana e all’abitare ):
-
buone scuole,
-
servizi efficienti,
-
quartieri sicuri,
-
tasse competitive,
-
un mercato immobiliare funzionante – possibilità di compravendita e di rivalutazione dell’immobile.
20
Secondo D.J. Waldie
allo stesso modo: “Regardless of race, income or current housing status, 75% to 80%
of Americans want to own a single-family house with a yard on a block of similar houses connected to a community in which the resources of an ordinary life (a school, a church, a store, a friend) can be found.” Inoltre
guardando agli aspetti più minuti è opinione comune ad esempio che gli americani accettano la pedestrianization
solo quando è un evento eccezionale e non se si tratta di un avvenimento quotidiano.
Per rispondere alla domanda sulla possibilità di successo del progetto della prossimità bisogna chiedersi
allora soprattutto perché le persone dovrebbero voler vivere in prossimità, perché gli uomini dovrebbero anche
solo in piccola parte rimodellare le loro esigenze: which are the contemporary values of proximity?
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Che valori
sono attribuibili oggi alla prossimità? Devono essere delle ragioni pratiche, altrimenti la proposta non avrà
seguito. I sostenitori di smart growth stanno provando a portare degli argomenti: in primo luogo maggior qualità
di vita per diminuzione del traffico e dell’inquinamento, presenza di spazi pubblici e di aree verdi, aumentata
sicurezza, maggior legame sociale, bellezza della città. Il raggiungimento di questi vantaggi attraverso la
prossimità è discutibile, come è discutibile il fatto che quanto proposto sia effettivamente quello di cui c’è
bisogno, ma smart growth rappresenta comunque una alternativa per la costruzione della città migliore di quanto
non sia la pratica convenzionale.
19
Anche se effettivamente l’effetto città di Celebration o di Kentlands è uno dei motivi principali nella campagna di
pubblicizzazione del prodotto.
20
21
Waldie op.cit.
Johannes Fiedler, Abstraction, brazilianization, convergence… themes and images of global urbanization, seminario del 19
giugno 2001, IUAV.