Resoconto

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“Pianificazione della politica spaziale italiana e della programmazione in ambito europeo”
ANDREA GIBELLI, Presidente della Commissione attività produttive e delegato
al coordinamento delle attività del Comitato VAST.
Do ora la parola all’amministratore delegato di Telespazio, il professor Giuseppe
Veredice, per la seconda relazione.
GIUSEPPE VEREDICE, Amministratore delegato Telespazio. Signor presidente,
la ringrazio dell’invito.
Ormai parlare di spazio è diventato un piacere per tutti noi, perché è un bel
momento per lo spazio, a livello mondiale, ed è un ottimo momento, oserei dire, a
livello nazionale. Speriamo che duri, anche perché mi pare che le premesse
necessarie ci siano tutte.
Dobbiamo, però, fare un po’ i conti, anche in vista di una pianificazione delle
attività future a livello nazionale, in raccordo con l’ESA (che è nelle mani
dell’ingegner Saggese, quindi ci penserà lui). Perlomeno, dobbiamo avere la
consapevolezza di quello che il Paese dovrebbe fare, in base a quello che può fare.
Dicevo prima che è un piacere parlare di spazio, perché se facciamo una
riflessione su tre numeri, ci rendiamo conto che effettivamente ci sono delle cose da
fare e che abbiamo delle ottime prospettive.
Lo spazio, a livello mondiale, è una macchina che macina circa 65-70 miliardi di
euro – parliamo di una somma ingente, quindi – e su questo numero, a mio giudizio,
dobbiamo fare due riflessioni, da due punti di vista diversi, che ci porteranno poi a
definire quello che dovremmo fare come Paese, ma che in parte stiamo già attuando.
Di quei 65 milioni, una quarantina vengono spesi per la cosiddetta manifattura,
quindi per realizzare infrastrutture satellitari; un’altra decina circa vengono spesi
dalle agenzia per il funzionamento (abbiamo visto prima la struttura dei costi
dell’ASI, che l’ingegner Saggese ci ha rappresentato: questa voce c’è); e una
quindicina sono per i servizi spaziali, teoricamente, quindi, per servizi che
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“Pianificazione della politica spaziale italiana e della programmazione in ambito europeo”
dovrebbero essere realizzati grazie ad un’infrastruttura che annualmente assorbe un
giro di affari di 40 milioni.
Questa era una prima riflessione, vediamo poi a cosa ci serve leggere i numeri
secondo questa chiave di lettura.
C’è poi l’altra chiave, quella geografica. Di questa somma, più di 40 milioni –
oserei dire 45 – sono spesi dagli Stati Uniti; 14-15 dall’Europa e poco più di 1 è
speso dall’Italia.
Svolgerò riflessioni di due diversi tipi. Nel primo caso, viene da dire che c’è stato
un sottoutilizzo di quello che riusciamo ad esprimere e, quindi, che dobbiamo essere
più bravi e più svelti nello sviluppare le applicazioni che rendono produttivi gli
investimenti in infrastrutture, anche dal punto di vista del ritorno economico e, come
si usa dire, della qualità della vita.
Dovremmo, quindi, usare meglio e di più tutte le infrastrutture che siamo in grado
di realizzare.
Per quanto riguarda la capacità di realizzare queste strutture, noi siamo
sicuramente tra coloro che sono in grado di farlo, anche se spendiamo non più di 1,5
miliardi di euro, degli oltre 60-65 che vengono spesi a livello mondiale.
È chiaro, quindi, che delineare una strategia per una realtà come quella italiana
diventa particolarmente stimolante, e impegnativo, direi.
Come facciamo a tirar fuori prodotti come COSMO-SkyMed, che è il fiore
all’occhiello non solo dell’Italia, ma dell’Europa nel mondo oggi, con 1-1,5 miliardi
di investimento complessivo? Evidentemente, c’è una base culturale, scientifica,
tecnologica e industriale che ci permette di fare questo.
Il Paese è riuscito, con COSMO-SkyMed, a dare un fortissimo scrollone, in
termini di politica industriale: fare politica industriale significa questo!
Dal Paese ci aspettiamo che faccia politica industriale, indirizzando le scarse
risorse sulle cose grosse, sulle cose che possono fare la differenza.
Noi non possiamo permetterci il lusso, per la sola limitatezza delle risorse, di fare
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attività industrialmente non valida, a rimorchio o alla rincorsa delle cose che fanno
gli altri: questo è un approccio perdente.
Questo perché siamo più cari rispetto ai Paesi che stanno nascendo adesso, che si
stanno affacciando alla scena mondiale, per quanto riguarda lo spazio, con prodotti a
basso costo, che però non sempre garantiscono l’affidabilità richiesta in questo tipo
di settore.
Saremmo così perdenti nei loro confronti e continueremmo a perdere terreno nei
confronti di chi è più avanzato di noi.
A mio avviso, quindi, la scelta di puntare su grossi programmi nazionali è una
scelta irrinunciabile. D’altra parte, laddove ci fossero stati ancora dubbi su questo
tipo di approccio, penso che COSMO-SkyMed li abbia definitivamente fugati.
Questo per quanto riguarda un programma come COSMO-SkyMed che,
nell’immaginario collettivo, viene letto come un programma di tipo civile e
commerciale, anche se ha un’importantissima valenza duale.
Sulle telecomunicazioni accade esattamente la stessa cosa, con una differenza:
che oggi, nelle telecomunicazioni, è il militare ad avere in mano il pallino.
Quella che sta ormai diventando l’unica di famiglia di satelliti di
telecomunicazioni è quella militare: SICRAL; ci sarà SICRAL 2B, speriamo, nel
giro di qualche mese; ci dovrebbe essere SICRAL 2, in una logica di cooperazione
con la Francia. Insomma, stiamo mettendo in chiaro che l’Italia ci vuole essere,
perché ha delle proprie infrastrutture sullo spazio.
Probabilmente questo non sarà sufficiente, perché c’è un grosso buco che
riguarda le istituzioni, ma che, per di più, crea anche i presupposti per uno sviluppo
commerciale dell’attività spaziale in Italia, sia dal lato manifattura sia, soprattutto,
dal lato dei servizi.
Il nostro Paese, nel panorama europeo, è l’unico a non avere un satellite di
telecomunicazioni proprietario, se si eccettua la famiglia dei satelliti militari.
Noi non abbiamo più nulla, né in termini di assetto proprietario e strategico per il
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Paese, né in termini di partecipazione all’azionariato di un qualsiasi operatore
satellitare internazionale che possieda più satelliti.
Da un punto di vista della competitività del sistema, che si deve basare sullo
sviluppo delle applicazioni, noi abbiamo una debolezza intrinseca: siamo soggetti a
qualcun altro che ci deve vendere la capacità satellitare che ci permetta di esprimere
la nostra capacità di sviluppare applicazioni.
Questo stato di cose è molto grave e penalizza non solo lo sviluppo delle
applicazioni, ma anche la nostra presenza in altri Paesi, dove veniamo apprezzati per
quello che sappiamo fare.
Ciò significa che il Paese deve dotarsi di infrastrutture satellitari, perché sono
strategiche per la crescita del suo sistema industriale e perché danno di per sé un
apporto in termini di sicurezza, per quanto afferisce alla sovranità nazionale.
Ripeto che questo manca, nel nostro Paese, e che, secondo me, andrebbe fatto.
Si dice che non ci sono i soldi. Faccio notare che Enrico Saggese ha appena detto
che l’ASI è fortemente orientata a valutare tutte le possibilità di partnership
pubblico-privato, come hanno fatto tutti gli altri prima di noi.
Forse non tutti le hanno fatte con lo stesso successo e con la stessa meticolosità
con cui stiamo cercando di farlo noi. Lo stiamo facendo con COSMO-SkyMed, per
rendere questa iniziativa significativa anche commercialmente; essa non si riferisce
a un mercato commerciale così largo da giustificare un investimento così grosso,
però noi abbiamo le carte in regola per dimostrare che in quei settori esistono tassi di
crescita assolutamente invidiabili.
e-Geos, la società a cui accennava Arnaldo Capuzi prima, è tipica di una scelta
strategica pubblico-privata che mette a frutto quello che il pubblico investe con
quello che il privato è riuscito a mettere da parte e a coinvestire, per una crescita
complessiva.
Dobbiamo
fare
la
stessa
cosa
anche
nel
settore
delle
telecomunicazioni.
Noi l’abbiamo fatto con i militari per SICRAL 2B e dobbiamo continuare a farlo,
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“Pianificazione della politica spaziale italiana e della programmazione in ambito europeo”
insieme ad ASI e alle istituzioni, per un satellite che copra i fabbisogni istituzionali
del Paese, in piena autonomia e indipendenza, a salvaguardia della sovranità
nazionale.
Il digital divide non è solo uno slogan, infatti, ma qualcosa che può realmente
fare la differenza, soprattutto in alcune aree del Paese a cui noi teniamo di più e
laddove noi abbiamo gli insediamenti. Mi riferisco a quelle aree che ci chiedono
investimenti, dichiarando di essere pronte. Noi dobbiamo essere pronti a realizzarli.
Concludo riassumendo, se è possibile, le indicazioni che, a mio avviso, dobbiamo
fornire a chi deve mettere in piedi un piano per lo sviluppo del settore spazio in
questo Paese.
In primo luogo, è importantissimo l’aggancio ai programmi internazionali, che va
fatto soprattutto mettendo sul tavolo quello che già abbiamo realizzato in casa
nostra. Io sono profondamente contrario a un aggancio ai programmi internazionali
solo ed esclusivamente attraverso un contributo in termini di fondi, perché ciò non
paga o non paga appieno.
Ci ritroveremmo, altrimenti, a fare i conti che faceva l’ingegner Saggese prima –
l’ho citato per la terza volta, ma prometto di non citarlo più – avendo un sottoritorno
significativo, in alcune aree.
Sviluppiamo i programmi nazionali significativi, allora; compiamo delle scelte;
puntiamo sui grossi programmi e, quando si tratta di realizzare programmi
sopranazionali, prima di tutto mettiamo sul tavolo il nostro contributo in kind, come
si usa dire, che valorizzi cioè quanto abbiamo fatto. Poi occorrono i soldi e ce li
mettiamo. L’approccio, però, va adottato in modo integrato.
Questo ci permetterà, da un lato, di coinvolgere le piccole aziende – dal momento
che i grandi programmi ci offrono l’opportunità di coinvolgerle e che gli spezzatini
non fanno bene alle piccole aziende, né servono a noi – e, dall’altro, di agganciarci
ai programmi internazionali.
Ci occorre una mano da parte delle istituzioni per sviluppare una domanda
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“Pianificazione della politica spaziale italiana e della programmazione in ambito europeo”
qualificata e intelligente di servizi, perché questo ci aiuta a riaffermare anche quel
poco che sappiamo fare nello sviluppo dei servizi. Grazie a tutti.
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