Tragedia alla Dakar: è morto Meoni

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Tragedia alla Dakar: è morto Meoni
40
SPORT
MERCOLEDÌ 12 GENNAIO 2005
L’ECO DI BERGAMO
IL DRAMMA A 47 anni cercava il terzo successo per dire addio a una grande carriera in enduro. Inutili i soccorsi dell’elicottero
Tragedia alla Dakar: è morto Meoni
Il toscano, due volte vincitore del raid, deceduto in Mauritania per arresto cardiaco, dopo una caduta
KIFFA (MAURITANIA) Voleva vincere per dire addio.
Voleva ancora un successo alla Dakar per farae il
tris e poi mettere nel box
la sua enduro. Ma non ce
l’ha fatta: Fabrizio Meoni,
47 anni, il re incontrastato della Parigi-Dakar sulle due ruote, è morto ieri a
Kiffa, in Mauritania.
la causa ufficiale della
morte di Meoni, indicata
dagli organizzatori della
Dakar, è stata un arresto
cardiaco, ma questo è intervenuto in seguito a una
caduta.
«Meoni è caduto dopo il
secondo punto di passaggio della Speciale, alle
10,15 locali - ha precisato
il direttore dell’ organizzazione, Etienne Lavigne -.
Noi abbiamo subito inviato un elicottero, che è arrivato sul posto alle 10,36.
Lo abbiamo trovato in situazione di arresto cardiaco e purtroppo 45 minuti di massaggio cardiaco non gli hanno permesso di riprendersi». «Lo
amavamo profondamente
- ha detto ancora Lavigne
- perché era un personaggio entrato nella storia della Dakar. Era un tipo favoloso, un grande commediante, e adesso ci sentiamo profondamente addolorati per la sua scomparsa».
Meoni è la 22ª vittima
della Dakar dalla prima
edizione del raid, 27 anni
fa. Lunedì era morto il motociclista spagnolo Josè
Manuel Perez, 41 anni, per
le conseguenze di una caduta in cui era rimasto
coinvolto giovedì scorso.
Meoni, che fino a lunedì
i precedenti
È la 43ª vittima
Fabrizio Meoni è la 43ª
vittima della Dakar in 27
edizioni. Lunedì era morto lo spagnolo Perez. Nel
1986 persero la vita il
giapponese Yasuo Kaneko e l’inventore della
Dakar, il francese Thierry
Sabine. Il suo elicottero
precipitò e Sabine morì
con altre quattro persone. Sempre nel 1986
perse la vita Giampaolo
Marinoni. Due anni dopo la Dakar contò 5 vittime: il olandese von
Loevezijn, i francesi Huger e Canado, una donna e un bambino, questi
ultimi investiti da una
auto dell’organizzazione. Nel 1991 altra tragedia: Charles Cabane,
su un camion dell’organizzazione, venne ucciso a fucilate da militari
del Mali. L’anno dopo il
francese Lalay morì dopo che la sua moto si
era scontrata con una
vettura estranea alla gara. Nel 1996 perse la vita un altro camionista
dell’assistenza, il francese Guegnon.
era al secondo posto nella
classifica generale delle
moto dietro al francese Despres, aveva anche annunciato prima del via che
questa sarebbe stata la
sua ultima partecipazione
alla Dakar. E proprio lunedì, commentando la
morte di Perez, Meoni aveva detto che «queste notizie rappresentano il lato
brutto di questa gara. La
Dakar ha fascino, passio-
Una foto d’archivio di Fabrizio Meoni, morto ieri alla Dakar, che più volte aveva vinto anche il rally dei Faraoni (foto Ap)
ne, ma certe cose si vorrebbe che non succedessero mai».
Era la sua ragione di vita. Correre tra deserti e
dune dell’Africa come un
tutt’uno con la sua moto
per mettere alla prova se
stessi e sfidare la natura.
Da tutti era soprannominato l’Africano per la sua
indomabile passione per
la moto, per la sua abilità
su sterrati impossibili per
i comuni mortali. Nell’ambiente della Dakar era lui
il personaggio più famoso e più rispettato. Dopo
aver vinto due edizioni del
pericoloso e affascinante
Raid, Fabrizio Meoni quest’anno, alla veneranda età
di 47 anni, aveva deciso di
dire basta. Ma lo voleva fare a modo suo, cioè con un
successo. Toscano doc di
Castiglion Fiorentino, deciso, mai nessun pelo sul-
la lingua, Meoni è stato
anche in testa alla corsa
che si concluderà tra cinque giorni. Neanche una
penalizzazione lo aveva fermato. «E’ ingiusta - aveva
detto solo 48 ore fa, quando davanti a sè erano passati due giudici di gara Se trovo chi mi ha inflitto
la penalità gli dico che è
uno scemo». Dopo le spiegazioni del caso, penalità
ridotta da 10 a due minu-
Marinoni: bisogna saper dire basta
«Io metterei un limite di età, 38 anni». De Petri: «No, è solo una tragica fatalità»
«Sono estremamente
dispiaciuto, conoscevo
Fabrizio da almeno 25
anni». Andrea Marinoni
ha saputo della disgrazia sul Rifugio al Monte
Pora, che gestisce da
quando ha lasciato il
mondo delle competizioni. Marinoni, 49 anni, di
San Lorenzo di Rovetta,
è stato uno dei più grandi talenti espressi dal
motofuoristrada bergamasco e italiano. Tre volte campione europeo di
regolarità, alla Dakar ha
conquistato il quarto posto nell’85, il settimo
l’anno dopo e il nono
nell’89.
«Correvamo entrambi
con la Swm nell’enduro,
nella seconda metà degli
Anni Settanta, e lui veniva spesso a trovarmi prosegue -: a quei tempi
le mulattiere della Conca della Presolana, dove io abito, sedi delle mitiche Valli Bergamasche,
erano i luoghi ideali dove allenarsi e allora mi
capitava spesso di ospitarlo, si girava insieme e
si instaurò una bella
amicizia. Ultimamente ci
si incontrava meno ma
eravamo ugualmente legati».
«Secondo me a gare
così massacranti bisogna avere la forza di partecipare solo sino a una
certa età, io metterei il
tetto intorno ai 38 anni
- è il parere di Marinoni
-, dopo diventa troppo
pericoloso. I riflessi non
sono più gli stessi, le
reazioni del fisico imprevedibili. Lo stress di gare simili è elevatissimo,
la possibilità di recuperare energie ridotte al
lumicino. No, a mio parere Fabrizio doveva lasciar perdere già dopo la
sua seconda vittoria, nel
2002. Mi rendo conto
che la passione è sempre
tantissima, che la voglia
Andrea Marinoni
di riprovarci è irrefrenabile, che diventa difficile mettere da parte tutta
l’esperienza accumulata, ma è uno sforzo che
vale la pena fare. Io ci
sono riuscito e ne sono
felice: all’inizio sono ri-
masto nel mondo delle
corse per limitare il trauma del distacco, adesso
ho le mie montagne e la
nostalgia è passata».
Di parere diametralmente opposto Alessandro «Ciro» de Petri, pure quarantanovenne, di
Costa Volpino, altro
grande protagonista della maratona africana.
L’ha conclusa al terzo
posto nel ’90 e al quinto nell’86, detiene sempre il primato di vittorie
di tappa. Lui la morte
l’ha proprio vista in faccia, ma non alla Dakar,
bensì al Rally dei Faraoni, nel ’92, quando a
causa di una disastrosa
caduta causata dalla rottura della ruota anteriore rimase in coma per alcune settimane, a un
passo dal baratro.
«Non vorrei si indicasse nell’età di 47 anni di
Alessandro «Ciro» De Petri
Meoni la causa dell’incidente - afferma perentorio -. È stata solo una
tragica fatalità. Lui era
fisicamente integro, una
roccia, proprio un cinghiale come il suo appropriato soprannome.
Messner: «Il rischio non è una droga
ma la ricerca dei propri limiti»
«Dopo la Parigi-Dakar, Fabrizio Meoni avrebbe detto basta, voleva ritirarsi».
È la reazione di Alfredo Bevilacqua, manager del toscano. «Ieri (lunedì) ho parlato con lui e mi ha detto che il suo unico
pensiero era recuperare il tempo perso
negli ultimi giorni, soprattutto dopo la penalizzazione. Sentiva un po’ di pressione,
perché per lui questa era l’ultima gara,
aveva deciso di dedicarsi alla famiglia».
Esprime dolore anche Reinhold Messner, mitico alpinista «re degli ottomila»: «Non conoscevo Meoni, ma capisco
benissimo che non abbia abbandonato le
gare tempo fa. I motociclisti della Dakar
sono veri giganti. Non mi verrebbe mai in
mente di condannarli perché corrono un
rischio talmente alto. Il rischio appartiene insolubilmente al mondo degli sport
estremi. Correre con una moto nel deserto
e scalare un ottomila sono due cose diverse, in entrambi i casi però il minimo
errore può risultare fatale».
Messner, oggi 60 anni, si ritiene fortunato di aver conquistato il suo ultimo
ottomila a 42 anni. «È vero che nel 2000,
con 56 anni, avevo ancora tentato la seconda scalata del Nanga Parbat, ma non
ero arrivato in cima, anche l’attraversata
del deserto del Gobi l’anno scorso è stata molta rischiosa. Sono diventato più attento: ho dei figli e sono più impacciato
di un tempo. Sono sempre stato conscio
del pericolo a cui andavo incontro». Ma
cosa spinge gli atleti a cercare il pericolo? «Nella mia autobiografia - spiega Messner - lo definisco il piacere di vivere mettendo in gioco la propria vita. Il rischio
non è una droga ma la ricerca di se stessi e dei propri limiti. Il pericolo può facilmente essere evitato restando a casa.
L’arte è affrontarlo senza morire».
«La Parigi-Dakar è la corsa più pericolosa al mondo»: il direttore generale della Ferrari, Jean Todt, la conosce bene
avendola vinta per ben quattro volte negli anni ’80 da direttore sportivo della Peugeot. «Il miracolo è uscire illesi. In moto,
poi, è ancora più pericoloso: non è possibile pensare di fare un rally di questo
tipo senza cadere. Sono davvero molto,
molto dispiaciuto della morte di Meoni».
Si allenava otto ore al
giorno, era un fascio di
nervi, tutti i suoi allenamenti erano finalizzati
alla Dakar, secondo me
era il più preparato di
tutti i centauri al via.
Il fattore stanchezza,
però, può farsi sentire
anche per De Petri: «Dopo tanti chilometri, dopo
tanta fatica, si perde inevitabilmente lucidità e
tutti - chi più chi meno finiscono col finire rovinosamente più volte a
terra. Ecco che allora entra in campo il destino,
il fato. Qualcuno si rialza come nulla fosse,
qualcun altro no. L’altro
giorno è morto il concorrente spagnolo Perez per
un infortunio praticamente identico al mio. Io
ce l’ho fatta, lui no. Stessa sorte era capitata a
Gianpaolo
Marinoni
nell’86. Pure lui, quella
volta, non ce la fece. Insomma voglio dire che in
queste competizioni i pericoli non li provocano le
dune, la sabbia, le rocce, gli imprevisti, ma le
modalità di ogni impatto col terreno».
«E i pericoli non sono
neppure direttamente
proporzionali all’irruenza e alla velocità del pilota, delle sue caratteristiche di guida - aggiunge Ciro -: io ero forse
considerato un incosciente ma sia Richard
Sainct, il vincitore della
Dakar 2004, morto in ottobre al Rally in Egitto,
sia Meoni, erano considerati piloti che usavano
il cervello, che non brillavano per coraggio e
sconsideratezza ma piuttosto per abilità e saggezza. Neppure l’entità e
tempestività dei mezzi di
soccorso può fare la differenza, queste gare sono così, affascinanti e
crudeli».
Danilo Sechi
ti: Fabrizio passa in testa
alla Dakar. Ieri aveva perso la leadership ma era lì,
pronto a sbranare chi insidiava la sua meta. Voleva vincerla questa gara per
dire addio alla sua maniera e festeggiare per la terza volta. Il destino ieri gli
ha riservato un finale diverso. Una caduta, la tragica morte. A 14 anni Meoni inizia la sua carriera di
motociclista. Una passio-
ne per l’enduro, per le sfide estreme, quelle che più
si addicono alla sua personalità. Nel 1988 è già
campione italiano jr enduro, poi dà inizio a un ciclo di vittorie in giro per il
mondo. Nello stesso anno
sposa Elena, che gli darà
un figlio, Gioele. Nel 1990
vince il il Rally Incas e due
anni dopo, oltre a trionfare nella TransItalia Marathon e piazzarsi secondo nel Rally dei Faraoni, è
dodicesimo alla prima partecipazione alla ParigiDakar come ’privatò, pagandosi da solo le spese di
manutenzione. In questa
gara è terzo nel 1994,
quarto nel 1995, secondo
nel 1998. Nel ’99 è secondo in un raid in Senegal.
La KTM si accorge del suo
talento e mette a disposizione del toscano una moto ufficiale. Meoni si impone in tante corse africane, dalla Tunisia (1997,
2000, 2001 e 2003) all’Egitto (1999, 2000 e 2001),
dal Rally del Dubai (1999)
alla coppa del Mondo Tout
Terrain (2000). Al suo ricco palmares manca solo la
Dakar che fa sua nel 2001
e nel 2002 battendo uno
dei suoi rivali storici, il
francese Richard Sainct
(vincitore della Dakar nel
’99, 2000 e 2003) che, fatalità, ha perso la vita lo
scorso 29 settembre in un
incidente durante il Rally
dei Faraoni. Alla fine della Dakar 2003, Meoni aveva deciso di smettere: «Poi
però una volta a casa aveva detto il toscano - ho
capito che avevo ancora
voglia di correre. Questa
però è l’ultima, lo giuro».
MA LA CORSA
CONTINUA
SALA È 12°
AVEVA FATTO
COSTRUIRE
UNA SCUOLA
La tragica scomparsa di Fabrizio Meoni non ha fermato la
corsa della Barcellona-Dakar.
Tutti sotto choc i piloti per la
morte del toscano nel corso
dell’undicesima tappa del raid,
400 chilometri di prova speciale da Atar a Kiffa in Mauritania, che è stata vinta dallo
spagnolo Marc Coma su Ktm.
Secondo il francese Cyril Despres (KTM) a 1’12", terzo
Esteve Pujol a 3’57", 12° Sala a 15’41". In classifica generale Despres è in testa con
14’50" di vantaggio su Coma;
terzo Esteve Pujol a 22’23", Sala 7° a un’ora e 27’.
Nella categoria delle auto, invece, prima affermazione in
questa edizione per la tedesca
Jutta Kleinschmidt su Volkswagen che ha preceduto il
francese Luc Alphand su Mitsubishi con un distacco di
1’04". Terzo di tappa Stephane Peterhansel, sempre su Mitsubishi. Il francese è saldamente al comando della classifica generale con 19’50" di
vantaggio su Alphand e
1h08’3" sulla Kleinshmidt. Ma
questa, dopo la tragedia di ieri, è ormai una notizia che interessa davvero poco.
Tra i più colpiti dalla notizia della scomparsa di Meoni i compagni di squadra Cyril Despres
e Jean Brucy, già provati dalla
morte di Richard Sainct, tre
mesi e mezzo fa, durante il Rally dei Faraoni. I primi 20 motociclisti della classifica hanno chiesto agli organizzatori di
potersi raccogliere in una sala
appartata a Kiffa.
L’Africa per Fabrizio Meoni non era solo la Parigi-Dakar.
Da tempo ormai il campione
era impegnato in varie iniziative di solidarietà, aveva creato un’associazione, «In buone mani» ed era riuscito anche
a far costruire una scuola a
Dakar dove, terminato il rally,
lo avrebbe dovuto raggiungere padre Arturo Buresti, il suo
parroco da bambino, ora accanto alla moglie Elena, «sconvolta come tutti noi».
A riferirlo sono gli amici di Fabrizio, che, avuta notizia della morte, si sono recati a casa
del campione, a Castiglion Fiorentino, dove Meoni ha sempre vissuto e dove, sotto l’abitazione, c’è il negozio di moto che gestiva. In bella mostra
ci sono alcune delle Ktm con
cui ha vinto.
Sotto l’abitazione, dove il telefono squilla in continuazione, si sono raccolti gli amici.
Tanti quelli che provano a
confortare la moglie Elena che
però non ce la fa a parlare. E’
padre Buresti l’unico che riesce a scambiarci qualche parola. Il religioso, 84 anni, ex
missionario in Sud America e
in Africa, al quale Meoni bambino aveva fatto da chierichetto quando il sacerdote era
parroco a Rivaio, aveva già il
biglietto aereo in tasca per andare a Dakar. Avrebbe atteso
il suo Fabrizio vicino alla scuola «Amici di Italia» che proprio
Meoni aveva fatto costruire,
già frequentata da ragazzi africani e per la quale sono in corso lavori di ampliamento.