dione crisostomo

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dione crisostomo
 1 DIONE CRISOSTOMO
Orazione n. 14
SULLA SCHIAVITU’ E LA LIBERTA’ I
(1) Gli uomini, sopra ogni altra cosa, smaniano d’essere liberi ed affermano che la libertà è il sommo dei
beni, mentre la schiavitù è la più vergognosa e peggior fortuna che possa capitare; e però non sanno
proprio questo, ossia cos’è ‘essere libero’ o cos’è ‘essere schiavo’. Pertanto essi neppure fanno mai
qualcosa per sfuggire, come si dice, ciò ch’è vergognoso ed infesto, ossia la schiavitù; o per acquisire ciò
che reputano di gran valore, ossia la libertà. Anzi, tutt’al contrario essi effettuano quelle azioni la pratica
delle quali di necessità li costringe poi a passare tutto il tempo in stato di schiavitù ed a non centrare
mai la libertà. (2) Ma forse non vale neppure la pena di stupirsi se costoro non possono né impadronirsi
di né proteggersi da ciò che sono nella condizione di ignorare. Se essi, ad esempio, si trovassero davanti
una pecora e un lupo ed ignorassero qual è l’uno e qual è l’altra, e però fossero al corrente che uno dei
due è di giovamento e buono da possedere mentre l’altro è dannoso ed inutile, non ci sarebbe da
stupirsi se a volte essi avessero paura e fuggissero la pecora come se fosse un lupo ed invece si
avvicinassero al lupo e lo aspettassero ritenendolo una pecora. Giacché l’ignoranza ha effetti di questo
genere su coloro che non sanno, e li costringe a fuggire e ad inseguire cose contrarie a quel che
vogliono ed a ciò che è loro utile. (3) Orbene, analizziamo se i più sanno con chiarezza cosa siano la
libertà e la schiavitù; giacché forse noi li accusiamo senza ragione, quando essi, invece, queste cose le
sanno benissimo. (4) Se dunque qualcuno chiedesse loro cosa significa essere libero, essi forse
affermerebbero che significa non ascoltare nessuno e fare semplicemente quel che ci pare. Se però uno
ponesse a chi ha risposto così questa seconda domanda, ossia se crede che agisca bene e che sia un
uomo libero colui che da corista in un coro non presta attenzione al capocoro e non lo ascolta, ma
canta in tono e fuori tono come gli salta in mente; e se ritenga vergognoso e degno di uno schiavo il
comportamento opposto, cioè il prestare attenzione ed obbedire al capocoro cominciando e smettendo
di cantare quando quello lo comanda: ebbene, io credo che egli non si direbbe d’accordo. (5) Credo
anche che egli non si direbbe d’accordo quando gli si domandasse se ritiene che per chi naviga sia un
comportamento da uomo libero quello di non preoccuparsi del pilota e di non fare qualunque cosa
questi dica di fare. Per esempio, restare in piedi sulla nave, soltanto perché questo gli è saltato in testa,
quando invece il pilota ordina di sedersi. E credo che neppure chiamerebbe libero e degno
d’emulazione l’uomo che, quando il pilota comanda di buttare fuori dalla nave l’acqua accumulatasi
nella sentina o di tirare giù le vele, invece né svuota la sentina né mette mano alle funi perché in questo
modo lui fa quel che gli pare. (6) Di certo, poi, uno non chiamerebbe schiavi i soldati perché ascoltano
il generale, perché si levano in piedi quando egli ne dà l’ordine, perché consumano il cibo, prendono le
armi, si dispongono in formazione, attaccano e si ritirano non altrimenti che come e quando il generale
lo comanda. E quando obbediscono ai medici, gli ammalati non diranno certo di essere per questo degli
schiavi. (7) Eppure essi obbediscono loro in cose né spicciole né facili, giacché i medici ingiungono a
volte di digiunare e di astenersi da qualunque bevanda. Quando poi il medico ritenga di dover legare il
paziente, ecco che immediatamente egli è legato; e se ritiene di dover operare un taglio e di cauterizzare,
ecco che egli sarà tagliato e cauterizzato per quanto pare al medico. Se invece il paziente non obbedisce,
tutti i presenti in casa fanno da assistenti al medico; e non soltanto gli uomini liberi ma spesso i
domestici stessi dell’ammalato legano strettamente il padrone, recano il fuoco così egli possa essere
cauterizzato e si prestano per tutti gli altri servizi. (8) Non diresti dunque che quest’uomo, il quale
sopporta molte cose spiacevoli per ordine di un altro, è un uomo libero? Certamente non diresti che
non era un uomo libero Dario, il gran re dei Persiani, poiché, essendo caduto da cavallo nel corso di
una battuta di caccia ed essendosi slogato una caviglia, diede ascolto ai medici, ed erano medici che
venivano dall’Egitto, i quali gli tiravano e torcevano il piede per rimettere a posto l’articolazione. A sua
volta, non diresti che non era un uomo libero Serse, quando, ritirandosi dalla Grecia e colto da una
tempesta mentre era in nave, obbedì in tutto e per tutto al pilota e non si permise né di fare un cenno
col capo né di cambiare posto contro il parere del pilota. Pertanto non si affermerà più che la libertà
2 consiste nel non dare alcun ascolto ad altre persone o nel fare qualunque cosa si voglia. (9) Ma forse i
più diranno che questi individui ascoltano gli ordini perché sono ordini che mirano al loro utile, com’è
il caso dei passeggeri col pilota della nave. Ed è per questo motivo che i soldati obbediscono al generale
ed i pazienti al medico, giacché costoro null’altro ingiungono se non ciò ch’è utile a chi esegue i loro
ordini.
- Invece i padroni non ordinano ai loro schiavi ciò che sarà utile a questi ultimi, bensì ciò che i padroni
credono (10) essere vantaggioso per loro stessi.
- Ma che dici? È forse utile al padrone che il suo domestico muoia o che si ammali o che sia un schiavo
malvagio? Nessuno direbbe questo. Ben al contrario, io credo, è utile al padrone che il domestico viva,
sia in salute e sia un buon servo. Queste stesse cose parranno utili anche al domestico; sicché il
padrone, se è assennato, ingiungerà di fare ciò che è non meno utile al servo, giacché queste sono le
cose che paiono utili anche al padrone stesso.
- (11) Ma l’uomo, chiunque sia, per il cui acquisto uno abbia versato del denaro, è necessariamente uno
schiavo.
- Eppure molti non hanno forse pagato del denaro per tanti uomini che erano liberi cittadini, alcuni
dando il prezzo del riscatto ai nemici, altri ai briganti? E altri ancora non hanno forse pagato il prezzo
del loro riscatto ai padroni? E questi padroni non sono di certo schiavi di se stessi.
- (12) Però qualora uno abbia la potestà di frustare un altro, di metterlo in catene, di eliminarlo o di fare
di lui qualunque altra cosa voglia, allora quest’individuo è schiavo di quello.
- Che dici? I briganti non hanno la potestà di fare ciò a coloro che hanno catturato? E nondimeno
questi prigionieri non sono degli schiavi. E allora? I giudici non hanno la potestà di comminare il
carcere, la morte o qualunque altra pena vorranno a molti dei giudicati? E costoro non sono certo degli
schiavi. E se anche lo fossero per un giorno, quello nel quale ciascuno di loro è giudicato, ciò non
significherebbe nulla; giacché chi ha mai sentito dire che un uomo è stato schiavo per un giorno solo?
- (13) Ma invero bisogna pur dichiarare, per dirlo in poche parole, che chiunque ha la potestà di fare ciò
che vuole è un uomo libero, mentre invece chi non ha questa potestà è uno schiavo.
- No, tu non potrai dire questo di chi naviga, né degli ammalati, né di chi è impegnato in una campagna
militare, né di quanti stanno imparando le lettere, o a suonare la cetra, o i movimenti della lotta, o
qualche altra arte. A costoro, infatti, è concesso di effettuare non le azioni che vogliono, bensì quelle
che comandano il pilota, il medico o l’insegnante. E neppure gli altri uomini hanno la potestà di fare
quel che vogliono, giacché chi effettuerà qualcosa che va contro le leggi in vigore sarà punito.
- (14) Dunque, chi ha la potestà di effettuare oppure no, e come vuole lui, quanto è compreso entro
l’ambito di ciò che è stato né proibito né ordinato dalle leggi è un uomo libero; mentre chi, al contrario,
non ha questa potestà è uno schiavo.
- Che dici? Credi tu di avere la potestà di effettuare tutto ciò che non è espressamente proibito dalle
leggi ma che peraltro gli uomini reputano vergognoso e fuori luogo: intendo, per esempio, fare
l’esattore d’imposte, il tenutario di un bordello o altre attività simili?
- No, per Zeus. Io direi anzi che siffatte attività non sono neanche concesse a chi è libero, giacché esse
comportano quale pena d’essere odiati ed abominati dagli uomini.
- (15) E allora? Nel caso degli spudorati, quanto costoro fanno a causa della loro impudenza; nel caso
dei dissennati, quanto costoro fanno a causa della loro sconsideratezza, trascurando le loro sostanze o il
loro corpo o trattando gli altri uomini ingiustamente e scriteriatamente: ebbene, tutte queste cose non
sono altrettante penalità per coloro che le fanno? Infatti essi ne vengono danneggiati o nel corpo o
nelle sostanze o, penalità più grande di tutte, nel loro animo.
- Questo che dici è vero.
- Pertanto neppure è lecito effettuare queste cose.
- Certo che no.
- (16) In una parola, non è lecito effettuare azioni viziose, assurde e inutili; mentre è d’uopo affermare
che è conveniente e lecito effettuare quelle giuste, utili e virtuose?
- A me sembra che sia così.
- Dunque, per nessuno è senza punizione il fare azioni viziose e sconvenienti, sia egli greco o barbaro
…. e neppure se ha pagato un prezzo in denaro per l’acquisto di chiunque?
3 - Certo che no.
- A tutti è però similmente accordata la possibilità di fare il contrario, e coloro che effettuano queste
azioni trascorrono la vita senza punizione alcuna, mentre coloro che effettuano le azioni vietate sono
puniti. (17) A te sembra che quanti effettuano le azioni lecite siano diversi da coloro che hanno scienza
di esse, e che quanti effettuano le azioni contrarie siano diversi dagli ignoranti?
- In nessun modo diversi da costoro.
- Pertanto tutto ciò che gli uomini saggi decidono di effettuare è loro lecito. Invece tutto ciò che le
persone stolte decidono, non è lecito a chi mette mano ad effettuarlo. Cosicché è necessario che i saggi
siano uomini liberi e che sia loro lecito fare ciò che dispongono, mentre è invece necessario che i
dissennati siano individui schiavi e che facciano proprio ciò ch’è loro non lecito.
- Forse è così.
- (18) Dunque è d’uopo anche chiamare la libertà scienza delle cose che è accordato effettuare e di
quelle che è impedito effettuare; e chiamare la schiavitù ignoranza delle cose lecite e di quelle illecite.
Da questo discorso discende la conclusione che nulla impedirebbe che il Gran Re, pur portando sulla
testa una grandissima tiara, sia uno schiavo e che non gli sia lecito effettuare nessuna delle cose che fa,
giacché quelle che effettua comportano per lui altrettante penalità e sono tutte altrettanto inutili. Se ne
conclude anche che invece un altro individuo, che sembra uno schiavo e che così è chiamato; che è
stato venduto non una volta sola ma, se così capita, molte volte; che, se così dovesse avvenire, porta
pesantissimi ceppi, è più libero del Gran Re.
- (19) A me sembra del tutto assurdo che un uomo il quale porta dei ceppi, che è marchiato o che fa
girare la macina in un mulino, sia più libero del Gran Re.
- Che dici? Sei mai stato in Tracia?
- Io sì, certo.
- Dunque là hai visto le donne di condizione libera piene di marchi, e con un numero di simili tatuaggi
tanto maggiore e tanto più vari quanto più esse sono nobili e di nobile casata.
- E cosa significa questo?
- (20) Significa che nulla impedisce, com’è verosimile, che la regina sia marchiata. Credi tu di poter
impedire un re? Tu quindi non hai sentito parlare di quel popolo presso il quale il re è custodito in
un’altissima torre ed a cui non è lecito scendere dalla torre? Se ne avessi sentito parlare, sapresti che è
possibile essere re anche se si è tenuti in completo isolamento. E se tu narrassi loro del Re dei Persiani,
caso mai sentiresti quegli uomini manifestare grande stupore e non credere affatto che possa esistere un
re che se ne va in giro su un carro e che va dove vuole.
- Però tu non potrai dimostrare che uno in catene è un re.
- Forse un re degli uomini, no. Ma il re degli Dei, il primo e più antico re è stato, come si racconta,
messo in catene; almeno se bisogna credere ad Esiodo, ad Omero e ad altri uomini sapienti i quali
questo dicono di Crono. E fu incatenato, per Zeus, non ingiustamente ad opera di un suo nemico
personale; ma subì questo trattamento da parte del suo figlio più caro, il quale stava manifestamente
riservando al padre un trattamento regale e a lui conveniente. (22) Però gli uomini ignorano questi fatti
e non crederebbero mai che un poveraccio, qualcuno in catene o una persona screditata possa essere un
re; seppure sentano raccontare che Odisseo, quand’era un poveraccio e un postulante presso i
pretendenti, era nondimeno il re e il padrone di casa; mentre Antinoo ed Eurimaco, che Omero
denominava re, erano persone meschine e preda della malasorte. Questi fatti, come dicevo, gli uomini li
ignorano e si cingono, quali segni regali, di tiare, di scettri e di diademi, affinché non sfugga a nessuno
che essi sono dei re; come, io credo, fanno i padroni quando marchiano il bestiame affinché esso sia
facilmente distinguibile. (23) È appunto per questo che il re dei Persiani si preoccupava di essere l’unico
a portare la tiara diritta; e se qualcun altro lo faceva, subito il re ordinava di mandarlo a morte, come se
fosse né bene né utile che tra tante decine di migliaia di uomini ce ne fossero due che portavano in capo
la tiara diritta. E però non gli importava un bel nulla di avere retta l’intelligenza e che (24) nessun altro
avesse una mente più saggia della sua. Io dunque non vorrei che come esistevano allora siffatti segni del
potere regale, dovessero esistere anche oggi simboli del genere per la libertà; e che si dovesse incedere
portando in testa un berretto di feltro, perché altrimenti non potremo riconoscere l’uomo libero dallo
schiavo.
4 Orazione n. 15
SULLA SCHIAVITU’ E LA LIBERTA’ II
(1) Poco tempo fa, posso assicurarvi, fui presente ad una lunghissima discussione tra due persone che
dibattevano circa la schiavitù e la libertà, non davanti a dei giudici né sulla pubblica piazza, ma in casa e
a loro agio, avendo ciascuno dalla sua parte non pochi degli astanti. Secondo me era capitato che in
precedenza essi avevano dibattuto altre questioni, e che uno dei due, trovatosi nel corso del dibattito
sconfitto e a corto di argomenti, s’era dato ad ingiuriare l’altro, come suole accadere spesso, e gli aveva
rinfacciato di non essere un uomo libero. Al che l’altro sorrise con grande mitezza e disse:
- (2) E da cosa sei in grado di dirlo? È possibile, mio caro, sapere chi è schiavo e chi è libero?
- Sì, per Zeus, rispose quello; io so bene di essere un uomo libero e che liberi sono tutti i presenti,
mentre tu con la libertà non c’entri proprio nulla.
Alcuni degli astanti risero, ma l’altro non provò punto vergogna. E come i galli da combattimento
davanti alla botta subita si scuotono e prendono coraggio, così lui pure, davanti all’ingiuria, si scosse e
prese coraggio, domandandogli donde gli veniva questa conoscenza riguardo a loro due.
- (3) Dal fatto che io so per certo che mio padre è Ateniese quant’altri mai, mentre il tuo è un servo
domestico del tale - e ne disse il nome.
- Se è così, disse allora l’altro, che cosa m’impedisce di fare gli esercizi ginnici e di ungermi d’olio nel
Cinosarge insieme ai figli bastardi, visto che mi capita d’essere nato da una madre di condizione libera, e
forse addirittura cittadina Ateniese, e dal padre di cui parli tu? Non è forse vero che molte cittadine
Ateniesi, a causa dell’isolamento e della penuria di maschi, sono rimaste incinte alcune ad opera di
stranieri ed altre di schiavi, alcune ignorando questo fatto ma altre anche ben sapendolo? Nessuno dei
figli generati così è schiavo, ma soltanto non è cittadino Ateniese.
- (4) Ma io so bene, disse quello, che anche tua madre è una serva domestica come tuo padre.
- E sia pure, rispose l’altro; ma tu sai chi è tua madre?
- Lo so benissimo: è cittadina Ateniese, figlia di Ateniesi e che ha anche portato al marito una bella
dote.
- Potresti tu affermare sotto giuramento di essere figlio dell’uomo che dice tua madre? Telemaco, come
sai, non riteneva affatto il caso di sostenere con tutte le sue forze, in difesa di Penelope figlia di Icario,
la quale era reputata una moglie della massima castigatezza di costumi, che ella dice la verità quando
dichiara che Odisseo è suo padre. Tu invece giureresti non soltanto in difesa tua e di tua madre, ma se
qualcuno te lo intimasse giureresti, a quanto pare, anche a proposito di non importa quale schiava,
come tu affermi essere mia madre, di sapere ad opera di chi rimase incinta. (5) Ti sembra impossibile
che ella sia rimasta incinta ad opera di un altro uomo, di un libero cittadino o del suo stesso padrone?
Non sono molti gli Ateniesi che hanno rapporti sessuali con le loro ancelle, alcuni di nascosto ma altri
anche apertamente? Tutti gli Ateniesi, infatti, non sono certo migliori di Eracle, il quale non stimò
indegno avere rapporti sessuali con la schiava di Iardano, dalla quale nacquero i re di Sardi. (6) Non ti
pare che Clitennestra, figlia di Tindareo e moglie di Agamennone, abbia avuto rapporti coniugali, com’è
verosimile, con suo marito Agamennone; e che quando questi se ne andò lontano abbia avuto rapporti
sessuali con Egisto? Non ti pare che Aerope, la moglie di Atreo, abbia accettato le profferte di Tieste; e
che molte altre mogli di uomini celebri e ricchi, sia anticamente che di questi tempi, abbiano avuto
rapporti sessuali con altri uomini, e che a volte abbiano avuto da essi dei figli? Tu invece sei sicuro che
l’ancella di cui parli abbia custodito la propria fedeltà a suo marito così precisamente da non avere
avuto rapporti sessuali con nessun altro. (7) Per di più tu garantisci, a tuo ed a mio riguardo, che
ciascuno di noi due è figlio di colei che sembra e si dice essere nostra madre. Eppure potresti dire il
nome di molti Ateniesi, e dei più conosciuti, dei quali fu in seguito acclarato non soltanto che non
erano figli del padre, ma neppure della madre che si diceva; trattandosi di bambini allevati da qualche
parte come figli suppositizi. Queste vicende le vedi mostrate e raccontate ogni volta dagli scrittori di
commedie e nelle tragedie; e tu nondimeno insisti egualmente a dire, a tuo ed a mio riguardo, di sapere
bene le circostanze della nostra nascita e da chi siamo nati. (8) Non sai, concluse, che la legge permette
5 di intentare un processo per calunnia contro colui che diffama qualcuno senza poter dimostrare
chiaramente nulla di ciò di cui parla?
- Io so bene, disse quello, che se non hanno figli perché non riescono a rimanere incinte, le donne di
condizione libera fanno spesso passare un figlio altrui come proprio; volendo ciascuna di esse tenersi
stretto il proprio marito e conservare la casa, e poiché nel contempo non mancano loro i mezzi coi
quali allevare i bambini. So anche che delle schiave, al contrario, alcune abortiscono; ed altre, se
possono tener ciò nascosto e a volte anche con la complicità dei mariti, uccidono il bambino dopo il
parto per non avere fastidi e non essere costrette, oltre al lavoro servile, anche ad allevare il neonato.
- (9) Sì, per Zeus, disse l’altro, se però si eccettua quella schiava di Oeneo, figlio bastardo, si diceva, di
Pandione. Infatti, il pastore di Oeneo e sua moglie, che vivevano ad Eleutere, non soltanto non
esponevano i figli da loro generati, ma raccoglievano anche neonati non loro che trovavano per strada,
senza sapere di chi fossero; li allevavano come figli loro e mai in seguito ammisero volontariamente che
fossero figli altrui. Tu invece forse copriresti d’ingiurie anche Zeto ed Anfione, prima che la loro
identità diventasse chiara; e circa dei figli di Zeus giureresti che sono degli schiavi.
- (10) Quello allora rise molto ironicamente e disse: ‘E tu chiami testimoni gli scrittori di tragedie?’
- Sì, disse l’altro, chiamo a testimoniare coloro nei quali i Greci hanno fiducia. Giacché quelli che i
tragediografi ci mostrano come eroi, ebbene è a costoro che i Greci offrono sacrifici come ad eroi; ed è
possibile vedere che i sacrari degli eroi sono stati edificati in loro onore. E fatti lo stesso concetto, se
vuoi, anche della schiava Frigia di Priamo, la quale, presolo dal marito che era un bovaro, allevò
Alessandro sul monte Ida come figlio suo, e portò innanzi l’allevamento del bambino senza esserne
affatto incomodata. I Greci raccontano anche che Telefo, il figlio di Auge e di Eracle, non fu allevato
da una donna ma da una cerva. E a te sembra che una cerva avrebbe più compassione di un neonato e
proverebbe più desiderio di allevarlo di un essere umano, pur se costui è una schiava? (11) Orsù, per gli
Dei! E se io pur ammettessi con te che i miei genitori sono quelli che tu dici, come fai tu a sapere che
sono degli schiavi? Oppure tu conoscevi con assoluta certezza anche i loro genitori, e sei pronto a
giurare a loro proposito che entrambi erano nati da genitori tutti e due schiavi, e che ciò vale anche per
le generazioni precedenti e così per tutti loro fin dal principio? È infatti manifesto che qualora un
membro della discendenza sia di condizione libera, non è più permesso né corretto legittimare i suoi
discendenti come schiavi. Ciò non è possibile, mio caro, perché è impossibile, come si dice, che da tutta
l’eternità esista una generazione di uomini nella quale non siano nati un numero sconfinato di individui
di condizione libera, e in numero non minore individui di condizione schiava; e poi che non vi siano
stati tiranni, re, prigionieri, schiavi marchiati, bottegai, calzolai e addetti a tutte quante le altre attività
umane: tutta gente passata attraverso ogni sorta di lavoro, ogni sorta di vita, ogni sorta di fortuna e di
guai. (12) Non sai che è questo il motivo per cui i poeti fanno risalire direttamente agli Dei la
discendenza dei cosiddetti eroi, di modo che non si possa indagare più oltre il personaggio? Essi
affermano anche che la maggior parte di tali eroi sono discendenti di Zeus, affinché i loro re, i loro
fondatori di città e i loro eroi eponimi non si imbattano in situazioni tali che agli uomini sembrano
essere vergognose e disonorevoli. Pertanto, se lo stato delle cose umane è questo che diciamo noi e che
dicono altri più sapienti di noi, quanto a discendenza a te non si converrebbe più libertà, ed a me più
schiavitù, di quanta ne convenga a chiunque di coloro che sembrano essere puri e semplici servi
domestici, a meno che anche tu non faccia in fretta risalire i tuoi progenitori a Zeus o a Poseidone o ad
Apollo.
- (13) Lasciamo dunque stare, disse quello, la faccenda della discendenza e degli antenati, poiché a te
sembra una questione così difficile da appurare e poiché forse ne risulterà addirittura che tu sei come
un Anfione, uno Zeto o come Alessandro, il figlio di Priamo. Quanto a te proprio, però, noi tutti
sappiamo che sei di condizione servile.
- Ma che dici? continuò l’altro. A te sembra che tutti gli individui di condizione servile siano degli
schiavi? Molti di essi non sono uomini liberi ingiustamente tenuti in schiavitù? Alcuni di questi, infatti,
hanno adito i tribunali ed hanno dimostrato di essere uomini liberi. Altri, invece, sopportano di restare
per sempre in stato servile poiché non hanno modo di dimostrare chiaramente la loro libertà, oppure
affinché i cosiddetti padroni non siano duri e violenti con loro. (14) Orsù, prendi Eumeo, figlio di
Ctesia, a sua volta figlio di Ormeno. Eumeo era figlio di un uomo assolutamente libero e ricco, eppure
6 non svolgeva forse mansioni servili ad Itaca, presso Odisseo e Laerte? E pur essendogli permesso di
navigare spesso verso casa, se così voleva, non ritenne mai il caso di farlo. E allora? Molti Ateniesi
catturati in Sicilia, pur essendo uomini liberi non rimasero come schiavi in Sicilia e nel Peloponneso? E
dei prigionieri di guerra catturati in molte altre battaglie, alcuni non rimasero schiavi per qualche tempo,
ossia fino a che non trovarono chi pagava il loro riscatto; mentre altri lo rimasero per sempre? (15)
Sembra che anche il figlio di Callia sia stato schiavo per lungo tempo in Tracia, dopo la battaglia nei
pressi di Acanto nella quale gli Ateniesi furono sconfitti. Sicché successivamente, essendo riuscito a
fuggire dalla prigionia ed a tornare a casa, egli avanzò pretese sull’eredità del padre e procurò molti
fastidi ai parenti. Quello era però, io credo, un falso figlio di Callia, in quanto non ne era il figlio ma lo
stalliere, simile soltanto di vista al figlio adolescente di Callia, cui invece era capitato di morire in
battaglia. Egli, inoltre, parlava greco correttamente e conosceva le lettere; (16) ma miriadi di altre
persone hanno sofferto vicende simili; poiché anche ora, di coloro che sono schiavi qui dove ci
troviamo io non disconosco che molti sono uomini liberi. Se infatti un libero cittadino Ateniese preso
prigioniero in guerra, sarà condotto in Persia oppure, per Zeus, portato in Tracia o in Sicilia e colà
venduto, noi non diremo che costui è uno schiavo. Se invece sarà portato qui un Trace o un Persino,
non soltanto nato colà da genitori di condizione libera ma pure figlio di qualche principe o di qualche
re, noi non ammetteremo che costui sia un uomo libero. (17) Non sai, continuò, che ad Atene e in
molti altri Stati, la legge non permette a chi è schiavo di partecipare dei diritti di cui godono i cittadini?
Nessuno invece avrebbe sollecitato di escludere dalla cittadinanza Ateniese il figlio di Callia, se davvero
egli si salvò dopo la cattura e giunse qui dalla Tracia dopo esservi vissuto per lunghi anni ed esservi
stato spesso frustato. Sicché in certi casi anche la legge afferma perentoriamente che quanti sono tenuti
ingiustamente in condizione servile non sono per questo diventati schiavi. (18) Per gli Dei, cosa sai tu
che io faccio o subisco, per affermare di sapere che io sono uno schiavo?
- Io so che tu sei nutrito dal tuo padrone, che lo segui, che fai qualunque cosa egli ti ingiunga; e che se
non la fai sei picchiato.
- Dicendo così, rispose l’altro, tu stai dichiarando che anche i figli sono schiavi dei loro padri. Infatti i
figli seguono i padri, soprattutto se poveri, e vanno con loro in palestra o a pranzo. Tutti i figli sono
nutriti dai padri, sono spesso da loro picchiati ed ubbidiscono a qualunque cosa i padri ingiungano loro
di fare. (19) E a motivo dell’ubbidire e del prendere botte, allora tu dirai che quanti imparano le lettere
sono servi domestici dei loro maestri di grammatica; e che gli istruttori di ginnastica o gli insegnanti di
qualcos'altro sono padroni dei loro allievi, giacché in effetti essi ingiungono loro certe cose e li battono
quando non ubbidiscono.
- Per Zeus, disse quello, così è; però né gli istruttori di ginnastica né gli altri insegnanti possono
imprigionare i loro allievi né venderli, e neppure possono sbatterli in un mulino a far girare la macina;
mentre tutte queste punizioni sono invece permesse ai padroni.
- (20) Forse tu non sai che in molti Stati retti da buonissime leggi, le cose che tu dici sono nella potestà
dei padri verso i figli. I padri, infatti, possono imprigionare i figli quando vogliono, possono venderli e,
cosa ancor più dura e violenta, possono ucciderli senza far loro un processo e senza neppure
incriminarli di qualcosa. Eppure nondimeno essi non sono gli schiavi dei padri, ma i figli. E se io pur
fossi uno schiavo quant’altri mai e giustamente schiavo fin dalla nascita; cosa impedisce, continuò
l’altro, che io sia adesso nondimeno un uomo libero e che tu a tua volta, pur se fossi nato da genitori
liberissimi, sia al contrario schiavo più di chiunque altro?
- (21) Io, disse quello, non vedo come potrò mai essere uno schiavo. Non è invece impossibile che tu
divenga un uomo libero se il tuo padrone ti emancipa.
- O carissimo, rispose l’altro, che dici mai? Davvero nessuno schiavo potrebbe diventare libero se non
per emancipazione dal proprio padrone?
- E come, se no? chiese quello.
- In questo modo: dopo la battaglia di Cheronea, gli Ateniesi decretarono che i servi domestici i quali
avessero in futuro preso parte alla guerra sarebbero diventati uomini liberi. Se dunque la guerra fosse
continuata e Filippo non avesse fatto pace con loro troppo presto, molti o praticamente tutti i servi
domestici Ateniesi sarebbero oggi uomini liberi, senza essere stati emancipati uno per uno dal loro
padrone.
7 - Sia pur così, se lo Stato ti libererà a sue spese.
- (22) Ma che dici? Ti pare che io non potrò liberarmi da solo?
- Sì, se verserai al tuo padrone il denaro che hai trovato da qualche parte.
- Non intendo in questo modo, ma nel modo in cui Ciro liberò non soltanto se stesso ma anche tutti i
Persiani, una folla così numerosa di persone, senza versare ad alcuno del denaro e senza essere liberato
dal proprio padrone. Non sai che Ciro era un vassallo di Astiage, e che quando poté e gli parve il
momento divenne libero e re dell’Asia intera?
- E sia. Ma come fai a dire che io potrei diventare schiavo?
- (23) Io dico che in effetti miriadi di uomini liberi vendono se stessi per lavorare come schiavi a
contratto, a volte a condizioni non solo inique ma durissime.
Fino a questo punto i presenti avevano prestato attenzione ai discorsi dei due come a cose dette non
tanto sul serio quanto per scherzo. Successivamente, però, i due entrarono in una seria disputa, giacché
sembrò loro assurdo che non si potesse invocare una prova certa grazie alla quale distinguere in modo
incontestabile lo schiavo dall’uomo libero; e che invece fosse facilmente possibile in qualunque caso
mettere in piedi una controversia ed obiettare polemicamente. (24) Lasciata pertanto cadere la
considerazione dello specifico caso della schiavitù o meno di uno dei due, essi presero a considerare chi
sia in generale lo schiavo. E parve ad essi che qualora uno entri in pieno e incondizionato possesso di
un essere umano, così com’è padrone assoluto di qualunque altro dei suoi beni o dei suoi capi di
bestiame, tanto da avere la potestà di servirsene come vuole, allora quest’essere umano può rettamente
essere chiamato, e di fatto è, schiavo del suo possessore.
Ma a questo punto quello cui era stato rinfacciato di essere uno schiavo mise di nuovo in piedi una
controversia, obiettando polemicamente di voler sapere cosa fosse il ‘pieno e incondizionato possesso’.
(25) Giacché, diceva, era già venuto chiaramente in luce come molti di coloro che da lungo tempo
possedevano una casa, un podere, un cavallo o un bue, e taluni avendoli ricevuti dai propri padri, non
godevano di tale possesso secondo giustizia; e pertanto, allo stesso modo, era possibile anche l’ingiusto
possesso di un essere umano. Infatti, come nel caso di tutti gli altri beni, tra i beni che si acquisiscono ci
sono anche i servi domestici, che alcuni padroni prendono da altri possessori o per cessione gratuita, o
per eredità, o per acquisto oneroso; mentre altri schiavi essi li possiedono fin dal principio, in quanto
sono stati generati presso gli stessi padroni e sono quelli che si chiamano schiavi nati in casa. Il terzo
modo di acquisire uno schiavo è quando si prenda qualcuno prigioniero in guerra, oppure lo si rapisca e
lo si riduca in schiavitù; modo, questo, che io credo sia il più antico di tutti. Non è infatti verosimile che
i primi individui diventati schiavi siano nati da uomini fin dal principio per natura schiavi, bensì che per
rapimento o per cattura in guerra alcuni individui siano poi stati costretti alla schiavitù da coloro che li
avevano catturati. (26) Dunque questo antichissimo modo dal quale tutti gli altri dipendono è, quanto a
giustizia, debolissimo e per nulla fondato; sicché qualora quegli schiavi possano fuggire, nulla impedisce
che essi siano di nuovo uomini liberi; e poiché erano ingiustamente schiavi ne consegue che essi non
erano schiavi neppure prima. A volte, poi, questi schiavi non soltanto fuggirono dalla schiavitù ma
ridussero in schiavitù i loro stessi padroni. Anche in questo caso, come si dice, a seconda di come cade
e si rivolta il coccio, tutto diventa il contrario di com’era prima. A questo punto uno dei presenti disse
che forse quelli non potrebbero essere chiamati schiavi in senso proprio, ma che ai loro figli e a quelli di
seconda e terza generazione potrebbe convenire in senso proprio il nome di schiavi.
- (27) Ma com’è possibile ciò? Se infatti a fare uno schiavo è la cattura, questo nome converrebbe a
coloro che sono stati catturati ben più che ai loro discendenti. Se invece a fare uno schiavo è la nascita
da genitori schiavi, poiché i catturati sono manifestamente degli uomini liberi, i loro discendenti non
potrebbero essere dei servi domestici. Noi ad esempio vediamo che dopo tanti anni i famosi Messeni
recuperarono non soltanto la libertà ma anche le loro terre. (28) Quando infatti gli Spartani furono
sconfitti a Leuttra dai Tebani, questi ultimi e i loro alleati entrarono militarmente nel Peloponneso,
costrinsero gli Spartani a cedere la Messenia e reinsediarono a Messene quanti erano originari di quella
regione, e che in precedenza erano tenuti in schiavitù dagli Spartani e chiamati Iloti. E nessuno afferma
che i Tebani abbiano compiuto queste imprese contro giustizia, bensì del tutto onorevolmente e
secondo giustizia. Se pertanto questo modo, dal quale tutti gli altri originano, di entrare in possesso di
8 un uomo non è giusto, si rischia che nessun altro lo sia, e dunque che effettivamente la parola ‘schiavo’
non sia pronunciata secondo verità. (29) Può tuttavia darsi che la parola ‘schiavo’ non sia stata da
principio pronunciata in questo senso, ossia a proposito di colui per il cui corpo qualcuno abbia versato
del denaro; oppure, come ritengono i più, che schiavo sia chi è nato da genitori schiavi; ma che il
termine ‘schiavo’ indicasse piuttosto chi è d’animo non libero ed incline al servilismo. Noi infatti
ammetteremo che dei cosiddetti schiavi molti sono certamente uomini d’animo libero, e che invece
molti dei cosiddetti uomini liberi sono persone del tutto inclini al servilismo. Ciò vale anche per le
persone ‘di nobile indole’ e ‘bennate’. Dapprima gli uomini chiamarono così coloro che mostravano
d’essere nati per la virtù, senza impicciarsi di sapere di chi fossero figli. Successivamente, però, i
discendenti di famiglie d’alta reputazione e d’antica ricchezza furono da alcuni chiamati ‘bennati’. (30)
Di ciò rimane un segno chiarissimo nel fatto che la designazione ‘di razza’, quale era stata applicata
anche agli uomini in tempi antichi, si è conservata nel caso dei galli, dei cavalli e dei cani. Chi infatti
vede un cavallo focoso, fiero, ben dotato per la corsa, senza cercare di sapere se il padre sia uno stallone
proveniente dall’Arcadia o dalla Media o dalla Tessaglia, lo giudica per le sue doti e dice che è un cavallo
‘di razza’. Similmente, se chi è esperto di cani vede una cagna veloce, piena di slancio e sagace nel
seguire le orme, non va a cercare se sia di un genere proveniente dalla Caria, dalla Laconia o da qualche
altra regione, ma dice che è una cagna ‘di razza’. La stessa cosa vale nel caso di un gallo e degli altri
animali. (31) È dunque manifesto che la faccenda starebbe in questi termini anche nel caso degli
uomini. Sicché chi sarà bennato per la virtù, costui conviene che sia chiamato di nobile indole, anche se
nessuno conosce i suoi genitori né i suoi antenati.
- Ma non è proprio possibile che uno sia ‘di nobile indole’ e che non sia ‘bennato’, né che sia ‘bennato’
e che non sia un uomo ‘libero’: sicché è anche del tutto necessario che chi è ‘ignobile’ sia uno ‘schiavo’.
Dunque s’intende che se ci fosse l’abitudine di parlare della libertà e della schiavitù come se ne parla nel
caso dei cavalli, dei galli e dei cani, noi non diremmo che alcuni sono ‘di razza’ ed altri invece sono
‘liberi’, né che alcuni sono ‘schiavi’ ed altri invece sono ‘ignobili’.
- (32) Allo stesso modo, anche nel caso degli uomini non è verosimile chiamare alcuni ‘di nobile indole’
e ‘bennati’ ed altri invece ‘liberi’, giacché deve trattarsi delle stesse identiche persone; e così pure è
inverosimile chiamare alcuni ‘ignobili’ e ‘servi nell’animo’ ed altri invece ‘schiavi’.
- Così il ragionamento rende palese che a fare un cattivo uso dei nomi non sono i filosofi bensì la
maggioranza degli uomini dissennati, per la loro inesperienza in materia.