Semi di Luce - MANUART.ORG

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Semi di Luce
Racconti di Ibiza
IVO
v
posit
creat
(vivo – positivo – creativo)
36 Semi di Luce
© Ivo Hristov
Tutti diritti riservati
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Racconti di Ibiza
Autore:
Vivo
[email protected]
Titolo originale spagnolo:
“Semillas de luz – 36 cuentos de
Ibiza”
Traduzione dallo spagnolo:
Valentina Maffezzoni
[email protected]
2
Indice
Prefazione dell’autore: Racconti di Ibiza
.............................................................7
Prologo del compositore........................15
Racconti
1 Il seme della salvezza......................19
2 Cala Salada......................................24
3 Amore...............................................27
4 L’uccellino più bello........................29
5 Girello...............................................31
6 Arcangelo Michele...........................34
7 Il pastore..........................................37
8 Llanta Presta e Candil Pendil........41
9 Benirràs............................................45
10 Torta di carote.................................48
11 Una grande ferita scompare ma una
parola maligna non si dimentica....50
12 I denti bianchi e belli.......................52
13 I castelli............................................54
14 Valore...............................................58
15 Lui mi riconoscerà...........................64
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La saggezza del fannullone.............66
La formica........................................68
Han Kubrat......................................73
Comunione.......................................76
L’uccellino e il letame.....................78
Non fa niente, figlio mio..................79
Ah, figlia mia....................................84
Il meccanico.....................................86
L’asino e il bue.................................89
Sa Talaia de Sant Josep..................91
Il perdono.........................................93
Banca La Caixa...............................95
Chi è il mio prossimo.......................98
Las Dalias.......................................100
Guchi..............................................104
Tre anni, tre candeline nei miei occhi
.........................................................108
Dolci (Morenas).............................111
Tu non diventerai mai una persona
.........................................................113
Gli anziani sono saggi e dobbiamo
rispettarli........................................117
I semi di girasole............................121
4
36 Il pappagallo grigio.......................123
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Racconti di IBIZA
Ringrazio di cuore tutte le persone che
mi hanno aiutato, e anche quelle che mi
hanno ostacolato, per l’esistenza di
questo libro.
NELLA QUINTA DIMENSIONE C’E’
SOLO UNA LEGGE: SIAMO TUTTI
UNO, INSIEME SIAMO UNO, UNITI
COME UNO.
EIVISSA 03.01.2012
vIVO positIVO creatIVO – UN
ESERE LIBERO tre volte
WWW.MANUART.ORG
L’AUTORE SI SCUSA SE, PER CASO,
NOMI E SITUAZIONI SOMIGLIANO
ALLA REALTA’. TUTTO I RACCONTI SONO UNA COLLEZIONE
CHE L’AUTORE HA COMPRATO
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FACENDO L’ELEMOSINA AI POVERI NELLE CITTA’ NEL CORSO DELLA SUA VITA. TUTTE LE STORIE
SONO STATE RACCONTATE DA
PERSONE INCONTRATE DALL’AUTORE PER LE STRADE D’EUROPA,
PER LE QUALI HA VIAGGIATO IN
CERCA DEL PROPRIO CAMMINO,
DELLA VERITA’ E DELLA VITA.
Per quello che mi riguarda, ho trovato
quello che cercavo e mi auguro che
ognuno lo trovi quando arrivi il
Momento.
Per me, la verità della vita è che NOI
SIAMO UNA FAMIGLIA, non dobbiamo dimenticarci che tutti gli esseri
sono nostri fratelli e sorelle, così come gli
animali, insetti, piante, alberi… tutte le
creature fanno parte di una grande famiglia. Per questo il mondo continua a
soffrire, perché non sa che, se danneggia
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qualcosa, in realtà danneggia la propria
famiglia. Parlo di vera non-violenza,
perché abbiamo tutti una sola radice;
alla fine non conta se discendiamo dalla
scimmia o da Adamo ed Eva, questo non
ha importanza, ciò che conta è che
SIAMO UNA FAMIGLIA e abbiamo
una radice e questa realtà è talmente
grande che nessuno la può cambiare.
Io sono la voce di questa Famiglia.
IL PARADISO E’ DENTRO DI TE, SE
LO SCOPRI, SI PROIETTERA’ INTORNO A TE.
SE IN QUESTA VITA VUOI AVERE
QUALCOSA CHE NON HAI MAI
AVUTO, DEVI FARE QUALCOSA
CHE NON HAI MAI FATTO.
SE DAVVERO VUOI QUALCOSA IN
QUESTA VITA, TROVERAI IL
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MODO DI OTTENERLO, E SE NON
LO VUOI, TROVERAI MILLE SCUSE, RAGIONI E GIUSTIFICAZIONI
PER NON FARLO.
SE UN PROBLEMA HA SOLUZIONE,
NON BISOGNA SOFFRIRE, BISOGNA RISOLVERLO. SE UN PROBLEMA NON HA SOLUZIONE NON BISOGNA SOFFRIRE, BISOGNA DIMENTICARLO.
GRAZIE A LUI, IO SONO VIVO
CHI E’ LUI? SCOPRILO DA TE
LA TUA REALTA’ DIPENDE SOLO
DA TE E DALLE TUE DECISIONI.
IO NON SONO VENUTO AL MONDO
PER RACCOGLIERE DISCEPOLI;
SONO VENUTO PER SVEGLIARE
MAESTRI.
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PORTIAMO IL SEME DELLA VITA
DENTRO DI NOI. L’UNICA COSA
CHE DOBBIAMO FARE ADESSO E’
DARGLI L’OPORTUNITA’ DI RICEVERE LUCE E DI CRESCERE FINCHE’ DARA’ I SUOI FRUTTI.
L’ALBERO DELLA VITA CRESCERA’ IN OGNUNO DI NOI SE LO UNTRIAMO CON COSCIENZA; COSI’
FACENDO POTREMO NUTRIRCI
DELLE ESPERIENZE, LIBERI DA
RELIGIONI, DOGMI E FILOSOFIE,
ESSENDO SEMPLICI TESTIMONI
DELLA REALTA’ DELLA VITA.
LE NAZIONALITA’ E LE RELIGIONI
SEPARANO GLI ESSERI UMANI;
PER QUESTO MOTIVO CONTINUANO AD ESSERCI LE GUERRE.
CI SIAMO DIMENTICATI DI ESSERE UNA FAMIGLIA. CHI E’ CHE
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VUOLE FARE DEL MALE AL PROPRIO FRATELLO O ALLA PROPRIA
SORELLA?
CIO’ CHE UNISCE LA GENTE E’
L’ARIA CHE RESPIRANO QUANDO
STANNO INSIEME: L’ARIA DI UNA
PERSONA ESCE DAI SUOI POLMONI E, QUANDO L’ALTRO LA
RESPIRA, RAGGIUNGE IL SUO SANGUE E, QUANDO ESCE DALLA SUA
BOCCA E DAL SUO NASO, ARRIVA
POI NEI POLMONI DI QUALCUN
ALTRO E COSI’ PASSA DA TUTTI.
L’ARIA NON SI VEDE, MA E’ UNA
REALTA’. NONOSTANTE NON SI
POSSA TOCCARE NE’ PRENDERE,
SENZ’ ARIA LA NOSTRA VITA DURA SOLO QUALCHE MINUTO.
IL PASSATO ESISTE SOLO NELLA
TESTA; VA RICONOSCIUTO, ANALIZZATO E LIBERATO. LE PREOC12
CUPAZIONI DEL FUTURO SPARIRANNO NEL MOMENTO IN CUI LIBEREREMO IL PASSATO E LA VITA
INIZIERA’ A FLUIRE NEL PRESENTE, CHE E’ DOVE APPARTIENE
DAVVERO.
SENTIRE, OSSERVARE A BOCCA
APERTA ED ASCOLTARE IL PRESENTE.
LA CHIAVE E’ L’ARMONIA
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Prologo del compositore
La vita si riflette in racconti,
l’amore si riflette in poemi.
Ricchezze qua e là da molte fonti
che danno molti semi
e trattan molti temi.
Ha fatto una bella collezione
l’amico conosciuto come “Vivo”,
ci mostra vari luoghi e persone,
un uomo creativo
con cuore positivo.
Ibiza è un’isola d’artisti,
che danno molte storie e canzoni.
Se tre o quattro prodi restan tristi,
se non li abbandoni,
tu crei soluzioni.
La voce della gente può mostrare
saggezza ed età d’un mondo colto.
Adesso devo io ascoltare.
Così imparo molto
se taccio ed ascolto.
Gereon Janzing
www.gereon.es
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Ed ecco i racconti…
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1. Il seme della salvezza
Un Essere Illuminato chiamato Alfredo
era venuto a vivere per qualche tempo a
Ibiza e durante la sua permanenza a
Dalt Vila conobbe una ragazza chiamata
Cara. Vedendo che anche lei aveva abbastanza luce nel proprio cuore, decise
di regalarle un seme molto speciale che
aveva conservato, dicendole: “Guarda,
se semini questo seme, spunterà un
albero alto nove metri e i suoi frutti
saranno enormi, come palloni da calcio.
Se gli esseri umani lo mangeranno, si
salveranno e il mondo avrà l’immortalità, la salute, l’armonia e il paradiso
assoluto”. Cara fu molto felice di sentirlo, era contentissima del regalo che
Alfredo le aveva appena fatto. Con gratitudine, prese cautamente il seme e
andò a Sant Rafel per mostrarlo ai suoi
amici. “Adesso che abbiamo il seme,
interrandolo spunterà un albero alto
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nove metri, con frutti grandi come palloni, e se gli esseri umani lo mangeranno
si salveranno e otterranno la pace nel
mondo, l’immortalità, la salute e il
paradiso assoluto…”, disse loro molto
felice. Sentendo questo, anche gli abitanti di Sant Rafel si rallegrarono e,
prendendo il seme, dissero: “Ora
andiamo ad annunciare ai vicini di Santa Eulària che abbiamo il seme della salvezza”, e così fecero. La gente di Santa
Eulària allora propose: “Andiamo a
dirlo a tutti gli abitanti di Sant Carles”.
Dopo poco tempo la notizia si diffuse anche a Sant Joan e Sant Vicent e presto fu
informata tutta l’isola. Finché tutti a
Ibiza seppero che esisteva un seme capace di trasformarsi in un albero alto nove
metri con frutti grandi come palloni da
calcio. Meravigliati per quel magico potere del seme di portare pace e armonia
nel mondo e dare l’immortalità, fu deciso che alcuni abitanti partissero come
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messaggeri per Maiorca, per Formentera e per Minorca, portando a turno il
seme, affinché tutte le Baleari lo vedessero. Dopo aver completato la missione e
aver diffuso la notizia in tutte le isole,
continuarono lungo la Penisola Iberica,
dopodiché la notizia viaggiò per tutto il
mondo e per tutti gli angoli del Pianeta e
poi il seme viaggiò in tutto il mondo, e in
tutti gli angoli del Pianeta si parlò di
quel paradiso possibile che sarebbe potuto sorgere se un giorno fosse stato seminato il seme, facendo spuntare il
mitico albero di nove metri che dava i
frutti della Salvezza. Se ne parlò tanto,
che alcune persone iniziarono a scrivere
la storia del seme e poco dopo fu dichiarato sacro, nessuno poteva toccarlo
ed era costantemente vigilato, in un
tempio che era stato costruito per adorarlo. Così iniziarono a celebrare culti e
riti intorno al seme – o ad immagini e
riproduzioni di questo, giacché presto i
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fedeli vollero averne una per ogni tempio –. In questo modo si creò una vera e
propria religione intorno a un seme mai
seminato; finché un giorno si accorsero
di avere perso il seme originale. Nessuno
lo aveva interrato, ne avevano solo parlato, ma preferirono ignorare questa
realtà e continuare ad adorare immagini
del seme della salvezza e a scrivere leggende. E’ per questo motivo che il mondo è ancora così. Questo seme perduto si
nasconde dentro al nostro cuore, in attesa di essere seminato…
Per trovare il Paradiso in terra, basta
che ognuno di noi guardi dentro se stesso: continui a camminare con un seme in
mano, parlando di cosa accadrà se lo
semini, oppure l’hai seminato, innaffiandolo ogni giorno? Basta parlare! Applica
per primo la tua teoria, portala alla
pratica nella tua vita e, se funziona e
spuntano i frutti del Paradiso, potrai
nutrire tutti intorno a te con i frutti delle
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tue parole, invece di girare con libri che
raccontano che se seminerai questo
seme…
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2. Cala Salada
Un giorno, un ragazzo di nome Tom
andò a Cala Salada a fare un giro in
barca col suo amico Vasilio. Questi voleva insegnargli a navigare e, quando
montarono sulla barchetta, gli affidò i
remi. Tom, che non sapeva da dove cominciare, iniziò per prima cosa a remare
solo col remo sinistro e la barca iniziò a
girare verso sinistra senza fermarsi; poi
remò col remo destro e la barca iniziò a
girare verso destra. Vasilio guardò Tom
e gli disse, divertito: Dunque, come vedi,
così non funziona… ti viene in mente
come potremmo fare per avanzare in
una sola direzione, senza girare in tondo?”. Tom ci pensò un momento e allora
gli venne in mente che, remando con i
due remi allo stesso tempo, la barca
avrebbe iniziato a muoversi dritto in una
direzione. Vasilio annuì e gli chiese cosa
intendesse fare affinché la barca girasse
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dove lui voleva, quando fosse necessario.
Tom gli rispose allora che, usando di più
uno dei due remi per navigare nella
direzione desiderata, la barca avrebbe
potuto girare. Allora Vasilio, notando
che Tom aveva appreso i fondamenti
della navigazione, gli spiegò che la vita è
come una barca: “Nel momento in cui
iniziamo a cercare solo la vita materiale
e i soldi, iniziamo a girare, come in un
cerchio magico, in una direzione –
spiegava – e quando iniziamo a cercare
solo cammini spirituali, facciamo cerchi
verso l’altra direzione… ma, con uno
solo dei due metodi, non arriviamo da
nessuna parte. Possiamo raggiungere
qualcosa solo quando iniziamo a
muoverci allo stesso tempo verso il
materiale e lo spirituale. Allo stesso
modo, quando vogliamo girare, usiamo
le leve materiali o spirituali a seconda di
dove vogliamo dirigerci”. Allora Tom
guardò Vasilio e gli chiese: “E cosa
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succede se ho un catamarano, senza
remi e che si muove con il vento?”. Vasilio gli rispose che, per quanto fosse una
barca molto grossa e la muovessero venti
poderosi, per guidarla funzionavano gli
stessi principi: erano sufficienti un timone e una buona bussola per orientarsi.
Molta gente vive con lo spirito in cielo e
con i piedi affondati nel fango; se sei
spiritualmente molto elevato ma non ti
curi degli aspetti materiali della tua
stessa vita (il tuo corpo, la tua situazione
economica…) non potrai avanzare e finisci come quelli che sono troppo materialisti e non tengono conto dello spirito.
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3. Amore
Conobbi una bambina che, a soli tre
anni di età, sapeva leggere l’intera Bibbia senza errori, nonostante sia molto
difficile alla sua età. Faceva così: prendeva la Bibbia con le due mani e piano
piano la baciava. Poi, aprendola e girando la prima pagina, iniziava a leggere: “Dio ama mio fratello”, quindi passava alla pagina successiva e diceva:
“Dio ama mia sorella”. Girava pagina e
diceva: “Dio ama mia madre” e alla
pagina seguente: “Dio ama mio padre” e
proseguiva girando i fogli: “Dio ama mio
cugino, Dio ama mia cugina. Dio ti ama,
Dio mi ama…”, così continuava pagina
dopo pagina, “Dio ama… Dio ama… Dio
ama…” e così via fino all’ultima pagina.
E questa bimba di soli tre anni aveva
proprio ragione: in tutta la Bibbia, la
cosa più importante è che Dio ama, il
messaggio di AMORE. E’ molto facile
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amare chi ti ama, ma noi siamo qui per
imparare ad amare anche i nostri
nemici. Grazie a questa bambina io ho
imparato a leggere meglio la Bibbia…
Dio ama…
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4. L’uccellino più bello
Un giorno, nel paese di Sant Llorenç, a
Ibiza, una pappagallina si avvicinò a un
corvo femmina e le chiese: “Corvo,
posso chiederti un favore?”. Il corvo
rispose: “Ma certo, dimmi, come posso
aiutarti?”. Allora la pappagallina disse:
“Domani devo costruire un nuovo nido,
più grande, perché mio figlio sta crescendo e in quello vecchio non c’è posto.
Mi chiedevo se, quando andrai all’asilo
per gli uccellini a dare il cibo al tuo
piccolo, tu ne possa dare un poco anche
al mio”. Bene – rispose il corvo femmina
– ma come riconoscerò il tuo pappagallino? Ci sono molti uccellini nell’asilo”.
“Oh, – rispose la pappagallina – è molto
semplice, quando entri nell’asilo, cerca
semplicemente il più bello e, quando lo
trovi, avrai trovato mio figlio e a lui
darai questo chicco di mais”. “Molto
bene” rispose il corvo femmina e pren29
dendo il chicco di mais se ne andò a lavorare. La sera del giorno seguente,
quando la pappagallina andò a prendere
suo figlio all’asilo, lo trovò in lacrime e
gli chiese cos’avesse. Il pappagallino rispose di non aver mangiato nulla per tutto il giorno e di sentirsi triste perché
pensava che la sua mamma si fosse
dimenticata di lui. La pappagallina si
arrabbiò molto e cercò il corvo per
chiederle come mai non avesse dato il
chicco di mais al pappagallino. Il corvo
disse: “Ma io gliel’ho dato!”. Allora la
pappagallina rimbeccò: “A chi l’hai dato?” e il corvo rispose: “A colui che tu
mi hai indicato, l’uccellino più bello che
avessi trovato nell’asilo… Quando sono
entrata ho osservato tutti gli uccellini e
non ne ho trovato nessuno più bello del
mio, così l’ho dato a lui…”.
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5. Girello
In Plaza del Parque, nella città di Ibiza,
una madre, Nobuko, portava ogni giorno suo figlio Go-Shin a passeggiare. Nobuko lo aveva sempre lasciato correre in
un girello, perché il bimbo non sapeva
ancora camminare e se fosse andato per
conto suo sarebbe potuto cadere. Col
tempo, Go-Shin iniziò a crescere, e poco
a poco imparò a camminare, finché un
giorno volle uscire dal girello e andare a
giocare coi suoi amici. Sentì subito una
voglia enorme di correre ed essere libero, non più limitato dall’attrezzo, del
quale non aveva già più bisogno. Sua
madre, notando che Go-Shin cercava di
uscire dal girello, si spaventò e lo obbligò a rientrarci, ma il bimbo riprovò a
uscire e, ogni volta che Nobuko ripiovava a metterlo nel girello, Go-Shin
scappava. Sua madre non si azzardava a
lasciarlo camminare da solo; aveva
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paura che si perdesse o che cadesse, facendosi del male. Non capiva che suo figlio aveva bisogno di liberarsi per
crescere e vivere la propria vita: tutti ne
abbiamo bisogno, fu così che Go-Shin
disobbedì a sua madre per la prima
volta.
Allo stesso modo, le droghe sono come
un girello: le usiamo finché non impariamo a camminare spiritualmente, ma,
se poi continuiamo ad utilizzarle, ci limitano. (Nonostante non siano in molti ad
avere bisogno di un “girello” come le
droghe per iniziare il proprio cammino
spirituale, è comunque molto più utile
scegliere un libro, un guru, una scuola,
una pratica di meditazione o una religione…) Ma qualunque sia questo appoggio iniziale, arriva un momento nelle
nostre vite in cui abbiamo bisogno di
“uscire dal girello” ed essere liberi. Nel
momento in cui iniziamo ad essere liberi,
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l’assuefazione agisce su di noi come una
madre possessiva: non vuole lasciarci
andare e allora diventiamo dipendenti
dalla sostanza. Tuttavia, non abbiamo
motivo di essere prigionieri dell’assuefazione e, se davvero desideriamo essere
liberi, finiamo per vincere la guerra e
uscirne. Se, anziché liberarci, preferiamo evitare lo sforzo di uscire dal girello, restiamo disabili per tutta la vita.
Quello che ci accadrà dipende solo dalle
nostre decisioni. Tutto ciò su cui ti appoggi nella vita è come questo girello: se
vuoi essere libero, devi uscirne, allora
andrai incontro ad una vita nuova illimitata, piena di soddisfazione, gratitudine, allegria e luce.
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6. Arcangelo Michele
Un giorno, Dio chiamò il suo Arcangelo
Michele e gli disse: “Ho una missione
per te: scendi sulla Terra e, quando tra
le Baleari trovi l’Isola di Ibiza, all’indirizzo Via Punica 1, fai visita a una donna che sta per morire. Voglio che tu
prenda la sua anima e la porti qui da
me”. Michele, senza perdere tempo, scese in Terra e trovò subito l’indirizzo, ma
arrivando dalla donna moribonda, udì
delle grida di bambini per strada. Guardò dalla finestra e si rese conto che
erano i figli. Allora si accorse che la casa
gli sembrava familiare, perché già l’anno precedente vi aveva fatto visita per
prendere l’anima del marito di quella
donna. All’improvviso, l’Arcangelo Michele si sentì male; gli venne in mente
che, se adesso avesse preso l’anima della
donna, i tre bambini sarebbero rimasti
soli, ed essendo così piccoli – di due,
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quattro e sei anni d’età – non sarebbero
potuti
sopravvivere
nel
mondo.
L’Arcangelo Michele iniziò a pensare
che magari Dio si fosse sbagliato o magari di non aver capito bene l’indirizzo e
la strada, gli vennero dei dubbi e allora
decise di tornare in cielo per chiedere a
Dio cosa fare. Quando si trovò di fronte
ai piedi di Dio, questi si alzò e gli disse:
“Vai nell’Oceano Indiano e infilati nella
fossa più profonda. Quando arriverai di
sotto troverai una grotta lunga tre
chilometri; in fondo alla grotta c’è una
grossa pietra che pesa sette tonnellate:
prendila e portamela immediatamente
qui”. L’Arcangelo Michele, molto umile,
volò nella direzione indicata e quando
trovò la fossa più profonda entrò
sott’acqua. Nella grotta lunga tre chilometri trovò la pietra di sette tonnellate,
la prese ed iniziò a volare, sudando dalla
fatica mentre rientrava a casa da Dio.
Una volta arrivato, posò cautamente la
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pietra davanti ai piedi di Dio. Lui lo
guardò e gli disse: “Adesso rompila a
metà”. L’Angelo la ruppe e vide che,
giusto al centro, in un buchetto, si muoveva un vermicello. “Allora Dio gli disse:
“Io sono onnipotente, sono l’Alfa e
l’Omega, sono il principio e la fine, il Dio
dell’Universo. Se so quello che succede a
un verme dentro una pietra nelle
profondità del mare e nella grotta più
recondita, allora so anche cosa accadrà a
questi bambini quando avrai preso l’anima della madre; per questo ti chiedo di
tornare a prendere l’anima di quella
donna, perché ne ho bisogno qui con
me”.
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7. Il pastore
C’era una volta, a Santa Gertrudis, un
bambino povero di nome José, che
portava a pascolare le pecore di suo
padre, andato in cielo l’anno precedente.
Sua madre era molto malata ed aveva
bisogno di soldi per pagare l’Ospedale di
Can Misses, ma siccome non aveva un
numero di Sicurezza Sociale, le toccava
pagare per poter restare in vita. José
lavorava ogni giorno con le pecore per
cercare di raccogliere i soldi, ma il
tempo passava in fretta e la madre era
ogni giorno più malata. Vedendola così,
un suo amico, Manolo, che portava le
capre a pascolare, gli disse: “Perché non
vai sulla montagna di Akoo e chiedi agli
hippie che ti prestino i soldi per salvare
tua madre? Poi, quando avrai risparmiato, li restituirai e la cosa sarà fatta…”. José fu felice di sapere che c’era
una via d’uscita per la sua situazione e
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andò correndo verso la montagna di
Akoo in cerca della comunità. Si presentò un martedì notte e gli hippie erano
impegnati in un raduno di talking stick –
raduno durante il quale si fa passare in
cerchio una bacchetta e chi la riceve ha
diritto di dire quello che vuole senza
essere interrotto. Quando questi ha
finito di parlare passa la bacchetta al
proprio vicino; in questo modo tutti
condividono il loro pensiero senza interrompersi l’un l’altro –. Erano tutti seduti in cerchio e al centro c’era un gran
focolare. José aveva solo 12 anni, ma
sapeva già molto della vita e nonostante
avessero un aspetto tribale, molto
diverso, non ebbe timore di avvicinarsi a
loro. Salutò il gruppo, chiese di Akoo e si
sedette in cerchio con tutta la famiglia
spirituale di hippie. Akoo osservò per un
momento il suo viso triste e allo stesso
tempo pieno di speranza e gli chiese:
“Cos’è che cerchi, José, che ti succede…
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Cosa ti serve?”. Allora José iniziò a
piangere e gli raccontò della lotta per la
vita di sua madre. Gli disse che aveva
bisogno di cinquemila euro per salvarla
e promise di risparmiare per restituirli
se solo lo avessero aiutato. Allora Akoo
propose di passare un cappello lungo
tutto il cerchio affinché ognuno ci mettesse quello che poteva, la restante somma l’avrebbe aggiunta lui stesso. Finito
il giro intorno al cerchio, il cappello era
pieno di banconote e Akoo contò i soldi e
aggiunse ciò che mancava per arrivare
ai cinquemila euro; poi lo consegnò a
José. Il bambino fu molto felice, era
talmente emozionato che scoppiò di
nuovo in lacrime, ma stavolta di felicità.
Quando si calmò ringraziò tutti quanti,
si tranquillizzò e iniziò a prepararsi una
sigaretta. Estraendo dalla sua tasca un
accendino, accese la sigaretta e iniziò a
fumare. Vedendo questo, Akoo cambiò
faccia e gli disse: “Per cortesia, José,
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puoi restituirmi i soldi per contarli
meglio? Ho l’impressione che questo o
non sia sufficiente o sia più di quanto ti
serva…”. José, molto felice, glielo restituì e Akoo, guardandolo negli occhi, mise nella sua borsa il cappello con i soldi.
All’inizio José pensò che fosse uno
scherzo e rise, ma dopo un po’, vedendo
che Akoo non glielo restituiva né contava il contenuto, iniziò a preoccuparsi.
“Akoo, che succede? – gli chiese –. Non
me li lasci i soldi nel cappello?”. Ma
Akoo rispose: “No. Al centro del cerchio
c’è un focolare enorme e tu usi l’accendino per accenderti la sigaretta; tu José,
non risparmierai mai per restituire ciò
che ti abbiamo dato”. Ma dopo un po’,
vedendo che José aveva capito la lezione,
Akoo gli restituì i soldi e gli disse di
andare ad aiutare sua madre. Da quel
giorno, José imparò la lezione: evitare
gli sprechi non è una promessa né un
sacrificio, è un modo di vivere.
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8. Llanta Presta e Candil
Pendil
A Sant Joan di Ibiza, c’era una madre di
nome Josefa che aveva due figlie: Llanta
Presta e Candil Pendil. Era vedova da
molti anni per lei era difficile mantenere
da sola le due figlie. Stavano già diventando grandi e aveva deciso di darle in
sposa perché potessero cavarsela da sole
e conoscere la felicità della famiglia.
Le due giovani erano talmente diverse
da non sembrare sorelle. Llanta Presta
era sempre veloce e poco perfezionista.
Per esempio, se lavava i piatti, li faceva
di fretta e senza impegnarsi molto, li
insaponava ed asciugava, a volte ne
rompeva diversi oppure non li puliva
bene, ma in soli dieci minuti finiva. Sua
sorella Candil Pendil, invece, era lenta e
perfezionista in tutto quello che faceva.
Quando lavava i piatti, ci metteva mezza
giornata per insaponarli uno ad uno,
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lentamente, e l’altra metà del giorno per
sciacquarli con l’acqua, sempre uno ad
uno. Non ne aveva mai rotto nessuno e li
rendeva sempre talmente puliti da farli
sembrare nuovi. Fino a questo punto
erano diverse le due figlie di Josefa…
Poco prima della festa di San Giovanni
(il santo del paese), la madre comprò
due pezzi di meraviglioso tessuto affinché ciascuna delle figlie si cucisse un
vestito per la sagra. Le feste attiravano
gente e turisti da tutta l’isola e il paese si
riempiva completamente; c’erano concerti e danze per tutto il giorno ed era
una buona opportunità per trovare
marito alle figlie. Fu così che Josefa le
chiamò entrambe e disse loro: “Figlie
mie, ecco qui del tessuto, con questo
potrete cucirvi i vestiti per la festa,
vediamo se così troverete marito”.
Llanta Presta, come d’abitudine, prese
immediatamente il tessuto e, senza
prendere misure né preparare cartamo42
delli, iniziò a tagliare via dei pezzi. Poi
cucì il vestito, come sempre faceva anche
col resto: velocemente e senza badare
troppo ai dettagli. Alla fine, il vestito
mancava di simmetria, con una manica
più lunga dell’altra e, in generale, con
molti difetti di cucitura. Poiché non le
piaceva, lo disfò e ricucì diverse volte,
finché alla fine ottenne qualcosa che
somigliava ad un vestito, benché ancora
imperfetto. Intanto Candil Pendil osservava il tessuto, prendeva le misure, preparava un disegno, poi un altro e ci
pensò su tre volte prima di tagliare. Poi,
dopo parecchio tempo, quando finalmente si decise a tagliare via dei pezzi,
iniziò a cucire con grande precisione e
professionalità. Arrivò la sera, la sagra
cominciò nella piazza del paese a Sant
Joan e tutti quanti iniziarono ad uscire
dalle loro case per unirsi alla festa.
Llanta Presta, sentendo la musica, indossò il proprio vestito con le maniche
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diverse e pieno di buchi (essendosi dimenticata di cucirne alcune parti), uscì
per strada e si unì alle danze. Nonostante il vestito fosse stato fatto male, nessuno se ne accorse, perché c’erano talmente tante persone e tanta musica che
nessuno badava ai dettagli. Intanto,
Candil Pendil non aveva ancora finito di
cucire il suo vestito; le mancava molto e
non avrebbe fatto in tempo ad andare al
ballo. Allora si avvicinò alla porta di
casa e vide sua sorella Lanta Presta, che,
col suo vestito cucito male ma finito,
danzava con i ragazzi. Capendo il suo
errore, generato dalla sua natura perfezionista, scoppiò in lacrime e pianse
talmente forte che alcune persone presenti alla scena iniziarono a commentare: “Lanta Presta è al ballo e Candil
Pendil in casa a piangere”.
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9. Benirràs
Ogni domenica, nella spiaggia di Benirràs, gli hippie si riunivano per suonare i loro tamburi al tramonto, godendo dell’estate piena e dell’armonia
dei loro ritmi. Uno di loro, di nome
Russ, era molto bravo a suonare il
tamburo, faceva divertire le persone al
suono dei suoi ritmi e tutti i turisti gli
scattavano foto e giravano video. Una
domenica, Russ accettò un pezzo di dolce da una ragazza che ne vendeva in
spiaggia per guadagnarsi il pane. Nessuno sa se il dolce contenesse qualche
allucinogeno o qualcosa che gli hippie
fumavano, ma, dopo averlo mangiato,
per un momento Russ perse coscienza e
si ritrovò in un mondo parallelo, chissà
dove, lui da solo e vide uno spirito che gli
disse: “Vieni con me, voglio che tu veda
cos’hai creato con la musica del tuo
tamburo” e lo condusse in un pianeta
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simile al nostro. A Russ piacque quello
che vedeva da lontano e chiese allo
spirito: “Chi ha creato questo pianeta?”.
Lo spirito gli spiegò che, mentre lui
suonava il suo tamburo, la musica si
materializzava in quel mondo e che tutto
quello che c’era lì non era altro che la
sua musica materializzata. Russ fu molto
felice di sentire questo e si avvicinò per
vedere nel dettaglio il frutto della sua
musica. Tuttavia, arrivando sul posto,
non trovò quello che si era aspettato:
quando iniziò a camminare per le strade
di quel mondo parallelo, si rese conto
che agli umani che lo abitavano
mancavano parti di sé, come se fossero
incompleti. Ad alcuni mancava un
occhio, ad altri mancavano le orecchie,
altri avevano solo una gamba… e vedendo questo si rattristò profondamente.
“Perché a tutte queste creature manca
qualcosa, perché sono tanto imperfette
nei dettagli?”. Lo spirito rispose:
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“Quando tu suonavi la tua musica col
tamburo, lo facevi solo per il mondo, per
la gente che ti vedeva ed ascoltava,
affinché i turisti ti riprendessero con le
videocamere e ti scattassero foto. Tu non
facevi musica per l’amore universale,
per questo il tuo lavoro è risultato
imperfetto, nonostante alle persone piacesse quel che tu suonavi col tuo tamburo. In realtà creavi preziosi ritmi
magici, è per questo che alla fine hai
materializzato un mondo parallelo partendo dalla tua musica, per quanto
imperfetto”. Realizzando questo, Russ si
svegliò e si rese conto di trovarsi nuovamente a Benirràs. Si accorse che era stata solo una visione, ma si ricordava del
messaggio, fu felice di quello che aveva
visto e da allora suonò per l’amore universale.
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10. Torta di carote
Un giorno un coniglio entrò da Croissant Show a Ibiza e chiese all’orso che
vendeva i dolci se avesse una torta di
carote. L’orso gli disse che non l’aveva,
allora il coniglio si rattristò e uscì dal
Croissant Show. Il giorno seguente entrò
di nuovo e chiese all’orso se avesse la
torta di carote. L’orso gli rispose: “Coniglio, quante volte devo dirti che non ho
la torta di carote?”. Il coniglio, triste,
uscì dal Croissant Show e l’orso si mise a
pensare. Dopo averci riflettuto un po’,
decise di preparare una torta di carote
per fare felice il coniglio e quando, il
giorno seguente, questi entrò da Croissant Show chiedendo come ogni giorno,
“Ciao orso, hai una torta di carote?”,
l’orso gli rispose: “Sì coniglio, ho la torta
di carote!”. Allora il coniglio lo guardò
con un sorriso furbo e gli disse: “Quella
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torta non è un gran che, vero?” e uscì
dal negozio.
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11. Una grande ferita
scompare ma una parola
maligna non si dimentica
Ogni giorno, un contadino chiamato
Pascal, che viveva vicino a Buscastell,
andava nel bosco in cerca di legna. Un
giorno, trovò un orso caduto in una
trappola e decise di liberarlo. L’orso fu
molto grato a Pascal per averlo aiutato e
da quella volta divennero grandi amici.
Ogni giorno Pascal camminava per il
bosco con l’orso, li univa un grande
amore e insieme si divertivano. Un
giorno l’orso chiese a Pascal di dargli un
bacio. Pascal gli rispose che lo amava
molto, ma che aveva la bocca maleodorante e proprio non gli riusciva di baciarlo. Allora l’orso si rattristò e gli
disse: “Prendi la tua ascia e dammi un
bel colpo in mezzo alla fronte”. Allora
Pascal si spaventò e gli disse: “Orso,
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cosa mi stai chiedendo? Non posso farti
del male, sei mio amico”. L’orso ripeté:
“Per favore, dammi un colpo in testa; se
non mi colpisci, ti morderò”. Pascal si
spaventò, perché l’orso era davvero
grande e anche piuttosto forte. Obbedendo, gli diede un colpo d’ascia secco in
mezzo alla fronte; dalla testa dell’orso
uscì molto sangue, poi l’animale se ne
andò senza dire una parola e Pascal non
lo vide più nel bosco. Ogni giorno usciva
in cerca dell’orso, ma non lo trovava e
iniziò a pensare di averlo ucciso. Fu
triste per molto tempo, fino a che un bel
giorno Pascal lo incontrò di nuovo.
Pieno di allegria lo chiamò: “Ciao orso!
Dove sei stato? Come stai? Mi sei
mancato, ti amo molto amico mio… Che
ne è stato della ferita che ti ho fatto?
Pensavo che fossi morto, ero molto
preoccupato… grazie al cielo sei ancora
vivo”. Allora l’orso gli si avvicinò e gli
disse: “Guarda la mia testa e vediamo se
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trovi la ferita che mi hai fatto”. Pascal
osservò da vicino e cercò a lungo tra i
peli, ma non la trovò”. Nonostante fosse
una ferita bella grande, puoi cercarla
quanto vuoi ora, ma non la troverai,
perché è scomparsa, e me ne ero perfino
dimenticato… ma ciò che mi hai detto
quello stesso giorno, che la mia bocca
era maleodorante, è stata una ferita
molto più grande, mi fa ancora male e
continuo a ricordarla”. E con queste
parole, l’orso tornò nel bosco e Pascal
imparò che la lingua non ha ossa, ma
che le ossa le può rompere.
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12. I denti belli e bianchi
In Benimussa, vicino ad un luogo
chiamato “13 lune” un giorno un
maestro decise di mettere alla prova i
suoi discepoli con un esame, per verificare se avessero imparato qualcosa dai
suoi insegnamenti, così li portò a camminare nel bosco. Dopo diverse ore di
cammino, il maestro fece apparire in
mezzo al sentiero un cane morto da
giorni e si appartò un poco, lasciando
passare i propri discepoli, per osservare
le loro reazioni. Quando passò il primo,
disse: “Bleah, che cattivo odore questo
cane morto”. Quando passò il secondo,
disse: “Sì e ha anche perso tutto il pelo,
che schifo…”. Il terzo aggiunse: “E non
ha nemmeno gli occhi, se li sono
mangiati le formiche, che cosa orribile…”, il quarto saltò su dicendo: “Ha
perfino i vermi…”, e così ciascun discepolo continuò a commentare tutte le cose
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disgustose che notava nel cane morto. Il
maestro, passando dietro di loro, sorrise,
si avvicinò per vedere meglio il cadavere
e disse loro: “Avete trovato tutti gli aspetti negativi di questo cane morto, ma
nessuno di voi ha notato i suoi bei denti
bianchi…”. E così dicendo il maestro
scomparve, dopo aver dato loro l’ultima
lezione ed esame, lasciando ai suoi discepoli il compito di imparare a trovare il
bello della vita.
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13. I castelli
(dedicato a Marzena)
Un giorno, un uomo molto ricco e potente, sentendo ormai la vita scivolargli tra
le dita, chiamò suo figlio e gli disse:
“Figlio, prendi dai miei risparmi tutto il
denaro che ti serve, poi percorri tutta
l’isola di Ibiza, recati in ogni paese e
costruisci castelli per te stesso, così
quando arriveranno i tempi difficili, tu
avrai un posto per nasconderti, stare al
sicuro e vivere bene, senza alcuna preoccupazione”. Il figlio fu molto felice di
ascoltare le parole del padre, così prese
la carta di credito del padre e percorse
tutta l’isola comprando terreni e costruendo “castelli” (ville di lusso con tanto di
garage, piscine e grandi giardini). Quando Ibiza fu piena di castelli di sua
proprietà, tornò da suo padre e gli riferì
con orgoglio: “Padre, ho ascoltato il tuo
consiglio e costruito case per tutta l’iso55
la; ti piacerebbero, così belle e lussuose,
con piscine, garage e giardini… dei veri
‘castelli’! D’ora in poi avrò sempre un
posto di mia proprietà…”. All’inizio, suo
padre lo guardò, perplesso, poi sembrò
capire e disse a suo figlio: “No figlio mio,
mi hai frainteso… quello che desideravo
tu facessi era di girare per i paesi di
Ibiza, vestito di abiti comuni, visitare gli
abitanti dei paesi e i contadini e aiutarli
nelle loro necessità e diventare loro
amico… Se avessi fatto così, ora tu
avresti un posto dove stare, nelle loro
case e in tempi difficili avresti trovato
rifugio e aiuto e non saresti mai stato
solo. Tuttavia ora, quando le cose si
faranno difficili e i tuoi nemici ti staranno cercando, tu sarai sempre solo e
tu potrai star certo che il primo posto in
cui verranno a cercarti sarà in una delle
tue lussuose ville… Sono triste che tu
abbia speso il mio denaro senza saggezza, ma hai ancora tempo, puoi
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lasciare le tue case alla gente povera, in
questo modo rimedierai ai tuoi errori”.
Il giovane, quando udì le parole del
padre, pensò che fosse diventato pazzo,
per via dell’età molto avanzata e non gli
fece caso. Non comprese le parole di suo
padre fino a quando non diventò
anch’egli anziano e ripeté le stesse parole a suo figlio.
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14. Valore
Ad es Cubells c’era un uomo molto ricco
che, sentendosi vecchio e sapendo che
presto sarebbe morto, chiamò suo figlio
e gli disse: “Presto morirò e tu sei il mio
unico erede; sai che tutto ciò che possiedo sarà tuo… Ma se prima non mi dimostrerai di saperti guadagnare il pane
con le tue forze, ti avverto che non avrai
nemmeno un centesimo, perché tutti i
miei soldi e la casa verranno destinati
alla Caritas affinché vengano distribuiti
tra la gente povera”. Il figlio si preoccupò molto, perché sapeva che suo padre
non stava scherzando e corse da sua
madre a raccontare l’accaduto. “Mamma, papà mi ha detto che, se non gli
dimostro che so guadagnarmi i miei soldi, quando morirà lascerà tutto alla Caritas e ci lascerà in mezzo alla strada…
Come facciamo, mamma? Io non ho mai
lavorato…”. La madre, dopo averci
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pensato un po’, gli disse: “Guarda,
figliolo, ho un’idea: prendi cinquanta
euro ed esci a divertirti con i tuoi amici.
Non spenderli tutti; quando torni porta
venti euro a tuo padre e digli che li hai
guadagnati lavorando”. Il figlio sorrise,
l’idea di sua madre gli sembrava geniale
e, prendendo la banconota da cinquanta
euro, uscì con i suoi amici.
Una volta rientrato, entrò nella stanza
del padre e gli diede i 20 euro, dicendogli
che quel giorno aveva lavorato molto;
ma con sua grande sorpresa, il padre
prese la banconota e la gettò tra le
fiamme del camino, dicendo: “Mi hai
mentito, non hai lavorato affatto”. Il
figlio si spaventò; non capiva come
avesse fatto suo padre a capire la verità
e andò da sua madre a raccontarle l’accaduto.
La madre, sentendo la storia, sorrise.
“Ma certo, figlio mio; – disse – tuo padre
è molto intelligente, per questo motivo è
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arrivato a fare tanti soldi. Ma ho un’altra idea: ti darò altri cinquanta euro e
domani uscirai di nuovo con i tuoi amici,
ma prima di tornare a casa è meglio che
tu corra per un’ora, così rientrerai in
casa stanco e sudato. Vedendoti così, tuo
padre ti crederà quando gli dirai che hai
lavorato”. Il figlio, contento, seguì il consiglio di sua madre e il giorno seguente,
dopo essere uscito con gli amici, prima
di rientrare in casa andò a correre fino a
non poterne più. Affannato e sudato,
ritornò nella stanza del padre portandogli i venti euro e dicendo: “Guarda,
papà, oggi ho lavorato molto, sono molto
stanco, prendi i soldi che ho guadagnato,
io vado a dormire…”. Il padre, guardandolo direttamente negli occhi, prese
la banconota e di nuovo la gettò nel
fuoco dicendo: “Figlio mio, non hai lavorato affatto, ti conviene imparare presto
a badare a te stesso, perché non mi resta
molto da vivere e se non lo farai lascerò
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tutto alla Caritas”. Il figlio si spaventò e
corse a raccontare a sua madre quello
che era accaduto, sempre più confuso.
Come faceva suo padre a sapere che lui
non aveva lavorato? La madre dopo
averci pensato su gli disse: “Vedi, figlio
mio, pare proprio che non riusciamo a
ingannare tuo padre. La cosa migliore è
che domani tu vada a bussare dai vicini
per chiedere se hanno del lavoro per te,
anche solo per piccole commissioni e
pochi soldi… Così faremo felice tuo
padre per quel poco che gli resta da
vivere e non finiremo in mezzo alla
strada; forza, figliolo, fai uno sforzo…”.
Al figlio, che voleva solo uscire e
divertirsi, l’idea non piacque per niente,
ma non avendo alternativa, diede retta a
sua madre e il giorno dopo visitò casa
dopo casa in cerca di lavoro. Passò la
giornata occupato in ogni tipo di faccende: tagliò legna, pulì bagni, cucinò…
e ciascuno dei vicini gli pagò quello che
61
poteva: uno cinquanta centesimi, un
altro trentacinque centesimi, un altro un
euro… Alla fine della giornata aveva
raccolto quasi nove euro in moneta.
Molto stanco, ma anche molto soddisfatto di sé per aver guadagnato quei soldi con le proprie forze, tornò correndo
da suo padre. “Guarda, padre, – gli
disse fiero – oggi ho lavorato tutto il
giorno e ho radunato quasi nove euro…
Spero che tu sia felice come lo sono io”.
Ma il padre, senza scomporsi, guardandolo negli occhi gli disse che non aveva
lavorato e gettò le monete nel camino. Il
figlio, assistendo alla scena, reagì subito,
buttandosi disperato in mezzo al fuoco
per recuperare le monete, senza preoccuparsi di scottarsi le mani. “Cosa ti
succede, padre? – gli disse furioso – Sei
impazzito? Perché getti i soldi tra le
fiamme? Ho lavorato tutto il giorno e ho
dolori dovunque, tutto per guadagnare
queste quattro monete e ora tu le butti?
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Com’è possibile?”. Allora il padre sorrise. “Figlio mio – disse soddisfatto – come
sono felice, vedo che alla fine hai lavorato”. Il figlio era sempre più confuso:
“Come fai a sapere che stavolta ho
lavorato davvero?” gli chiese. “Le prime
due volte, quando ho gettato i venti euro,
non te ne sei curato, così ho capito che
non avevi lavorato e ne ho la conferma
adesso, che ti sei buttato in mezzo al
fuoco per salvare le monetine perché te
le sei sudate. Adesso sono sicuro che tu
abbia lavorato davvero e che finalmente
abbia capito quanto mi dispiacesse
lasciarti tutto quello che avevo guadagnato in una vita, sapendo che tu lo
avresti gettato tra le fiamme solo perché
non conoscevi il valore dei soldi e quanto
lavoro costa guadagnarli. Adesso so di
potermene andare tranquillo ed essere
sicuro che quello che ti lascio lo salverai
dal fuoco e non lo spenderai senza pensare”.
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15. Lui mi riconoscerà
A Ibiza, nella chiesa di Remar, un diacono chiamato Pablo raccontava questa
storia ai fedeli:
“Un bambino andò a prendere suo
padre, un minatore, alla fine del turno di
lavoro, ma gli altri operai non lo lasciavano passare. ‘Come riconoscerai tuo
padre? – gli dicevano –. Quando escono,
i minatori hanno la faccia nera e sporca
di fuliggine e indossano tutti gli stessi
vestiti e il casco… è meglio che aspetti
fuori’. Il bimbo rispose: ‘Quello che dite
è vero, io non riconoscerò mio padre, ma
lui sì che riconoscerà me e, quando mi
vedrà, lo riconoscerò anch’io’”.
Pablo terminò il suo racconto e rifletté a
voce alta: “A volte penso di non poter
vedere Dio, ma Lui mi vede sempre e
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quando io capirò che Lui mi vede,
anch’io Lo vedrò”.
65
16. La saggezza del
fannullone
A Sant Augustí, María e Juan avevano
un solo figlio, chiamato José Humberto.
José era un bel fannullone: gli piaceva
passare la giornata a dormire, seduto
all’ombra mentre sorseggiava qualcosa
di fresco oppure andare a Cala de Bou
per rilassarsi in spiaggia e non aiutava
mai i suoi genitori in casa o in qualunque attività. Un giorno, María propose a Juan un piano per far sì che José
si svegliasse un po’ e iniziasse ad aiutare.
L’idea era di fargli credere che stessero
discutendo per decidere chi avrebbe
raccolto l’acqua dal pozzo quel giorno, e
così fecero. Juan diceva: “Maria resta in
casa, sei stanca, vado io a prendere
l’acqua” e Maria rispondeva: “No, resta
tu che sei più anziano, ci vado io…”.
Juan rispose: “Ma no, ma no, ci vado io,
sono più forte di te” allora Maria disse:
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“Vado io, le mie gambe sono più forti,
oltretutto a te fa male la schiena…”. E
proseguirono così per un po’, discutendo
davanti a José, con la speranza che alla
fine dicesse: “Papà, mamma, non discutete: ci vado io, che sono più giovane e
più forte”, ma l’idea non produsse i risultati sperati. Dopo un po’ José, ascoltando e assistendo alla scena, si alzò e
disse a voce alta: “Basta, ho io la soluzione: oggi, mamma, ci andrai tu e domani ci andrà papà…”.
67
17. La formica
Un giorno, in un “Doner Kebab” vicino
al Parque de la Paz di Ibiza, due pittori,
Blanco e Vivo, si sedettero a mangiare
falafel e a chiacchierare un poco. Vivo
chiese: “Blanco, sai com’è stato creato il
Corano e da dove proviene la religione
Musulmana?”. Blanco rispose sorridendo che ciò che lui sapeva era che Allah
aveva creato tutto tramite Maometto;
ma Vivo disse che in realtà proveniva da
qualcos’altro e non da Maometto. Blanco, dunque, si mostrò interessato all’argomento e gli chiese di raccontargli quello che sapeva.
“Maometto camminava nel deserto, –
raccontò allora Vivo – era mezzogiorno
e faceva molto caldo. Mentre camminava sotto il sole cocente, d’improvviso
vide una luce e sentì una voce che diceva: ‘Io sono Allah; vai alla Mecca e par68
la di me a tutta la gente’. Maometto,
spaventato dalla visione di Dio, si mise in
cammino verso la Mecca ma, quando
entrò in città e iniziò a raccontare di
avere visto Allah, la gente si adirò con
lui, pensando che stesse mentendo e fu
portato di fronte a un giudice.
Il giudice lo fece punire con quarantanove bastonate sulla schiena nuda e, dopo averlo stato castigato per aver mentito, gli abitanti della città lo abandonarono nudo nel deserto, pensando che fosse pazzo e che per via del calore avesse
visto Dio in preda alle allucinazioni.
Maometto pianse tutta la notte, non
capiva cosa fosse successo, né perché la
gente non gli credesse, mentre lui diceva
la verità. Al mattino, quando il sole
iniziò ad uscire e a scaldare tutt’intorno,
Maometto vide una formica che,
caricando sulla schiena un chicco di
grano, risaliva una piccola duna per
portare il seme dentro a un buco. Si
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sorprese nel vedere che, quando la formica raggiungeva la cima della piccola
montagna, il seme non passava per il
buco e rotolava all’indietro giù per la
duna. Ogni volta che questo accadeva, la
formica riscendeva umilmente il pendio
e risaliva per riprovare a mettere il seme
dentro il buco. Maometto, vedendo che
la formica ripeteva gli stessi gesti una
volta dopo l’altra, restò molto impressionato dalla sua grande costanza e iniziò a
contare quante volte la formica ripeteva
lo stesso percorso. Arrivò a contare fino
a 180 e, al numero 181, infine il seme
entrò nel buco. Questo episodio illuminò
Maometto; si alzò battendosi la testa e
gridando: ‘Allah, mio Dio, perdona la
mia stupidità! Guarda questa formichina, la sua testa è tante volte più
piccola della mia e quante volte lei ha
tentato di mettere il chicco di grano nel
buco, finché non ha raggiunto il suo
obiettivo… Se non ci fosse riuscita, forse
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l’avrebbe fatto fino alla morte e io, col
mio testone, penso di essere intelligente… Io ho visto te, Allah, ho visto Dio e,
solo per essere stato picchiato una volta,
avevo già perso la speranza di parlare di
te nella città della Mecca… quanto sono
stato stupido!’
Colmo di allegria e illuminato da Allah,
Maometto tornò alla Mecca a parlare di
Dio. La gente, vedendolo, lo portò ancora in tribunale e di nuovo fu condannato a ricevere quarantanove bastonate
sulla schiena nuda per poi essere lasciato
di nuovo nel deserto; ma questa volta
Maometto non si arrese, seguendo
l’esempio della formica nel deserto. Ogni
mattina, Maometto tornò e parlò di
Allah e, di nuovo, fu picchiato. Questo
accadde per quarantacinque giorni consecutivi. Il quarantacinquesimo giorno,
il giudice disse alla gente: ‘Se
quest’uomo torna ogni volta, dopo aver
ricevuto quarantanove bastonate, o è
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pazzo o insiste perché davvero ha visto
Dio… Propongo di lasciarlo parlare’.
Allora Maometto iniziò a parlare di
Allah e la gente lo udì e iniziò a
trascrivere le sue parole; così nacquero
il Corano e la religione musulmana”.
Blanco sorrise guardando Vivo e gli disse: “Non so se davvero sia andata così,
ma mi piace la tua storia… Se un giorno
scriverai un libro, dipingerò le illustrazioni dei tuoi racconti”. Vivo ricambiò il
sorriso dicendo: “Ma certo, Blanco”.
72
18. Han Kubrat
Un martedì, a Santa Gertrudis, sulla
montagna di Akoo, si stava celebrando
nel tempio un raduno di talking stick e la
bacchetta, che dava la parola a chi la
reggesse, passava di mano in mano.
Arrivato il proprio turno, ognuno diceva
qualcosa e quando la bacchetta arrivò in
mano a Vivo, Steeve gli chiese di non
dilungarsi molto nel parlare come faceva
di solito. Allora Vivo propose che ognuno facesse un massaggio a chi si trovava
alla propria sinistra, formando tra tutti
un cerchio di massaggi; poi propose la
stessa cosa, ma verso destra e quando
terminarono, iniziò a raccontare la sua
ultima storia.
“Molti anni fa, in Bulgaria, c’era un re
chiamato Han Kubrat, padre di cinque
figli. Prima di morire li chiamò per dare
loro gli ultimi consigli sulla vita e
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insegnare loro a governare il regno di
Bulgaria dopo la sua morte. Quando
arrivarono, chiese al più piccolo che
portasse una freccia e, quando questi si
presentò con la freccia in mano, gli
chiese di romperla. Il figlio la ruppe con
grande facilità. ‘Molto bene’, disse
Kubrat, ‘adesso porta un gruppo di
cinquanta frecce e rompile come hai
fatto con questa’. Allora il figlio portò il
gruppo di 50 frecce, ma per quanto
tentasse, non fu in grado di romperle.
Kubrat lo guardò e gli chiese come mai
non riuscisse. ‘Padre, una sola freccia si
rompe facilmente, ma non è possibile
romperne cinquanta in una volta, messe
insieme sono molto forti’ rispose il figlio.
Allora il padre disse: ‘Voi siete cinque
fratelli; se governate insieme, nessuno
potrà rompervi, ma se dividete il regno
in cinque parti, se vi separate, i nemici vi
spezzeranno uno a uno come se foste una
sola, fragile, freccia’. Tuttavia, nonos74
tante i cinque figli capirono molto bene
il messaggio del loro padre, dopo la sua
morte separarono la Bulgaria in cinque
piccoli regni e successivamente caddero
uno a uno sotto la schiavitù di Bisanzio”.
Dopo aver ascoltato questo racconto,
tutti nel cerchio furono contenti perché
avevano capito che, come una famiglia
spirituale, insieme erano un tutt’uno.
75
19. Comunione
Un giorno, nella chiesa di Sant Joan, il
prete stava dando la prima comunione ai
giovani credenti. Tra i presenti si
trovava una bambina piccola di nome
Sofia, che voleva anch’essa unirsi in
comunione con Gesù Cristo. Quando si
avvicinò per chiedere la comunione, il
prete, sorpreso, si chinò alla sua altezza
per spiegarle che a tre anni era troppo
piccola, che doveva aspettare finché le
fossero caduti i denti (vale a dire, quando avrebbe avuto almeno sette anni).
Sentendo questo, Sofia si rattristò un
poco, ma poi sorrise e uscì in fretta dalla
chiesa. Dopo un po’ tornò, con la bocca
piena di sangue, e felicissima disse al
prete: “Guardi, Padre, adesso posso fare
la comunione con Dio. Mi sono già
caduti i denti!”.
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Sofia desiderava talmente tanto unirsi
col Signore che era uscita dalla chiesa
per buttare giù tutti i denti con una
pietra. Amava Gesù a tal punto da
essere disposta a qualunque cosa per
poter fare la comunione quello stesso
giorno.
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20. L’uccellino e il letame
Un giorno d’inverno, ad Ibiza faceva
talmente freddo, che la neve cadde e
coprì tutto di bianco. Un uccellino si
posò su un albero, ma faceva talmente
freddo che si congelò, cadde al suolo e
morì. Poco dopo passò una mucca e
depositò un mucchio di letame, che
cadde proprio sopra all’uccellino. Come
un miracolo, grazie al calore del letame
della mucca, l’uccellino tornò in vita.
Tirando fuori la testa dal letame, iniziò a
cinguettare senza fermarsi, felice di
essersi salvato. Era contento di
accorgersi che non tutti quelli che ti
buttano addosso della spazzatura
vogliono arrecarti danno, ma fece
talmente tanto rumore e cinguettò tanto,
che un gatto lo sentì e, prima che se ne
rendesse conto, lo acchiappò e se lo
mangiò.
78
21. Non fa niente, figlio mio
Molto tempo fa, a Sant Josep, c’era una
madre con un figlio piccolo, che curava
con tutto il proprio amore affinché
crescesse forte e sano. Un giorno, il
bambino tornò a casa con un uovo e lo
diede a sua madre. La donna lo prese e
domandò: “Dove hai preso quest’uovo?”, il bambino rispose di averlo preso
dalla casa dei vicini. La madre all’inizio
si accigliò vedendo che suo figlio aveva
rubato, ma poi pensò tra sé e sé che non
aveva senso tentare di spiegargli che non
avrebbe dovuto farlo, perché era ancora
troppo piccolo per comprendere. “Non
fa niente, piccolo mio – finì per dirgli –
lo cucineremo insieme”. L’anno seguente il figlio portò a casa una gallina e
con orgoglio la diede a sua madre, allora
lei chiese: “Da dove arriva questa gallina?”. Il figlio rispose di averla presa
dalla casa di un altro vicino. La madre,
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come la volta precedente, per amore lo
perdonò, pensando che, essendo ancora
troppo piccolo, non valesse la pena di
spiegargli nulla, perché più avanti la vita
gli avrebbe insegnato che non si deve
rubare ai vicini. E senza pensarci più,
prese la gallina e la usò per farci una
zuppa. Così passavano i mesi e ogni
volta che suo figlio rubava qualcosa lei
lo perdonava e gli diceva: “Non fa
niente, figlio mio”. Lo considerava sempre troppo piccolo per poter capire di
non dover rubare. Tuttavia, passarono
gli anni e invece di rendersi conto di
quello che faceva, il bambino rubava
ogni volta oggetti più grandi, finendo
per portare a casa pecore, vitelli, mucche, finché, diventato maggiorenne, i
vicini si stancarono e lo portarono di
fronte al Giudice di Ibiza. Fu palesemente condannato per molti crimini e
furti e fu deciso che avrebbero giustiziato pubblicamente il ragazzo sulla for80
ca, in Vara de Rey, perché tutti imparassero la lezione. Prima di giustiziarlo, il
boia gli chiese quale fosse il suo ultimo
desiderio e il giovane disse che voleva
dare un bacio a sua madre. In quel
momento la madre vagava per Vara de
Rey, disperata e in lacrime, gridando e
strappandosi i capelli. Quando la chiamarono, si avvicinò porgendo a suo
figlio la guancia per ricevere il bacio.
Con grande sorpresa di tutti, il figlio si
negò, dicendo: “No, mamma, non sulla
guancia; voglio darti un bacio sulla
lingua”. La madre si stranì per la
richiesta e per di più si vergognava di
tirare fuori la lingua, ma per amore
decise di assecondare l’ultimo desiderio
di suo figlio. A quel punto, il figlio le
morse forte la lingua, fino a ritrovarsela
in bocca; poi la sputò a terra. La madre,
sanguinando e urlando di dolore, svenne. Assistendo a quella scena, tutte le
persone in Vara de Rey iniziarono a
81
gridare: “Che figlio crudele! Guardate
cos’ha fatto, ha mozzato la lingua alla
sua stessa madre!”. Alcuni iniziarono a
lanciargli delle pietre, chiedendo che
fosse giustiziato due volte per la sua
cattiveria. Il giudice, pensandoci un istante, chiese ordine e silenzio, poiché
voleva sapere il perché dell’accaduto, e
diede la parola al giovane. Allora lui
iniziò a spiegare la storia a partire dal
primo uovo rubato, la prima gallina, la
prima pecora, vitello, mucca e riferendo
che la madre gli aveva sempre risposto:
“Non fa niente, figlio mio”, invece di
educarlo. Per questo adesso sono
diventato così, oggi morirò per colpa di
mia madre – spiegò –, lei non mi ha mai
insegnato che fosse sbagliato. Sarebbe
stato meglio che mi avesse picchiato o
spiegato o rotto una mano, qualunque
cosa si rendesse necessaria perché io
imparassi che ciò che stavo facendo era
sbagliato. Se lei lo avesse fatto, oggi io
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non sarei qui sulla forca, così le ho
morso la lingua, perché non possa più
dire: ‘non fa niente, figlio mio’”. Il
giudice e la gente restarono in silenzio;
allora il giudice ordinò: “Tirate giù il
figlio e lasciatelo libero; invece prendete
e giustiziate sua madre, che è l’unica
persona colpevole”.
83
22. Ah, figlia mia
Un giorno, a Sant Antoni, una giovane
disse a sua madre che aveva un nuovo
capo al lavoro e che quella sera stessa
sarebbe passato a prenderla a casa.
Allora la madre si scandalizzò e iniziò a
dire: “Ah, figlia mia, sai cosa succederà
adesso? Il tuo capo arriverà con una
macchina molto cara, ti offrirà la cena in
un ristorante molto costoso, poi ti porterà in un hotel a cinque stelle e quando
vi troverete in camera da letto si sdraierà su di te… E se lui farà questo, figlia
mia, io ne morirò”. La figlia, ridendo,
rispose: “Tranquilla mamma, non succederà nulla di tutto questo, te lo prometto”. In quel momento si udì l’auto del
capo fermarsi davanti alla porta. La giovane salutò sua madre e andò via col
capo. Dopo una settimana, la madre
molto preoccupata non sapeva ancora
nulla di sua figlia e quando finalmente
84
tornò a casa iniziò a chiederle: “Figlia
mia cos’è accaduto?”. E la figlia: “Niente, mamma; come tu mi avevi predetto,
siamo andati in un ristorante di lusso
con un’auto molto costosa, poi, dopo
cena, mi ha portato in un hotel a cinque
stelle… ma quando eravamo in camera
da letto e il capo ha voluto sdraiarsi su
di me, mi sono stesa io su di lui perché
morisse sua madre al posto della
mia…”.
85
23. Il meccanico
Alla fine dell’estate, Vivo, un pittore di
body art a Ibiza, dovette superare il
tagliando del suo furgone Renault Master. Siccome aveva una perdita di olio, la
consegnò all’assistenza autorizzata Renault di Ibiza, Punic Auto SL. In azienda sono corretti e lavorano molto bene;
per questo Vivo si rivolge sempre a loro.
Questa volta chiese loro di fare la revisione pre-tagliando e che gli riparassero
la perdita d’olio e il motore d’avviamento. Dopo una settimana il capofficina chiamò Vivo per dirgli che non
avevano ancora potuto aggiustare lo
starter del furgone, ma che tutto il resto
era a posto. Vivo passò per Punic Auto
per capire cosa stesse accadendo al suo
furgone e vide che il capofficina si stava
occupando del motore da giorni, senza
risultato. Poco dopo gli si avvicinò un
uomo in giacca e cravatta chiedendogli:
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“Mi scusi, posso aiutarla?”. Il capofficina rispose sorridendo: “No, grazie…
Sono il capo di questa officina e sono un
esperto di meccanica. Non mi serve aiuto!”. L’uomo in giacca e cravatta se ne
andò, ma poco dopo tornò e chiese ancora: “E’ sicuro che non le serva il mio
aiuto?”. Il capofficina quasi gridando gli
disse: “Ho detto di no; non ho bisogno
del suo aiuto, sono un meccanico professionista!”. Il signore in giacca e cravatta
se ne andò di nuovo e Vivo, vedendo
l’accaduto, si avvicinò al capofficina per
chiedergli quando avrebbe finalmente
aggiustato il furgone. Era preoccupato
perché di lì a poco avrebbe avuto l’appuntamento per rinnovare il tagliando e
se il furgone non avesse funzionato, non
sarebbe potuto andarci. In quel momento si avvicinò di nuovo l’uomo in giacca e
cravatta e tornò a chiedere al capofficina
se potesse aiutarlo. “Sì, grazie” rispose
allora il meccanico. Il signore sem87
plicemente si avvicinò un minuto, toccò
qualcosa e il motore del furgone partì
immediatamente. Il capofficina, sorpreso, chiese: “Come ha fatto? Come l’ha
sistemato? Io ho passato tre giorni a
sudare lavorando sul furgone e ora lei
ha semplicemente toccato due pezzi ed è
già pronto… e mi considero un bravo
meccanico…”. L’uomo in giacca e cravatta rispose allora: Sì, lei sarà pure un
bravo meccanico e capofficina, ma io ho
progettato questo furgone…”.
Così anche noi, a volte, ci crediamo tanto intelligenti da non accettare l’aiuto di
Chi ha progettato la nostra vita.
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24. L’asino e il bue
A Sant Rafel c’era un bue che lavorava
molto. Ogni giorno, dall’alba al tramonto, doveva trascinare un pesante
aratro. Spesso la notte tornava dal lavoro talmente stanco da non riuscire a
dormire. Nella sua stessa stalla viveva
un asino che non faceva praticamente
nulla. Mangiava cibo fresco tutti i giorni
e, di rado, il padrone lo usava per uscire
col carro per andare ad acquistare cibo
o fare una passeggiata in campagna.
Una notte, il bue piangendo raccontò
all’asino di condurre una vita molto
triste e di avere bisogno di almeno un
giorno per riposarsi completamente. “E’
molto semplice – gli disse allora l’asino –
domani, quando il padrone viene a prenderti per andare a lavorare, fingi di essere malato, non muoverti e respira forte, così per un giorno ti lascerà riposare”. Il giorno dopo, quando il padrone
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entrò e vide la scena, si disse: “Ecco,
ogni giorno sfinisco di lavoro il bue e stai
a vedere che adesso muore… Lascio che
riposi per qualche giorno e porto con me
l’asinello. E’ ugualmente forte e non fa
altro che mangiare erba tutto il giorno”.
Allora prese l’asinello e lo mise a
lavorare la terra. Quando iniziò a soffrire e a stancarsi l’asino pensò: “Ecco,
che testa d’asino la mia, come ho potuto
essere tanto stupido da dare quel consiglio al bue? Adesso tocca a me lavorare… Ben mi sta adesso, soffrendo
imparerò la lezione…”.
90
25. Sa Talaia de Sant Josep
Una ragazza di nome Sara aveva sempre
voluto essere discepola di un gran maestro di vita, ma non sapeva chi avrebbe
potuto essere questo maestro. Lo cercò
per molti anni e dopo aver visitato molti
luoghi in giro per il mondo, finalmente
un giorno lo trovò sulla cima della montagna di sa Talaia, il punto più alto
dell’isola di Ibiza. Dopo aver parlato con
lui ed essersi resa conto che era la persona che stava cercando, gli chiese di insegnarle i segreti della vita, ma il maestro le disse che se voleva essere sua
discepola avrebbe dovuto lanciarsi di
testa giù dalla montagna. Quando atterrò al suolo, il suo corpo si ruppe in mille
pezzi. Allora il maestro scese e, toccando
ogni parte con amore, ricompose il
corpo della ragazza e la resuscitò,
dicendole: “Ora sì che puoi essere mia
discepola, perché hai gettato la tua vita
91
dalle rocce. Questa vita non aveva per te
alcun valore e questo è il primo segreto.
Ce ne sono molti altri, ma questo è il più
difficile e tu lo hai già compreso. Ora
che hai sacrificato la tua vita, puoi
servire ad altre vite; solo così è possibile
la risurrezione, questo è il secondo segreto. La vita ha valore quando rinunciamo ad essa per amore, questo è il terzo segreto. Gli altri li scoprirai da sola;
più avanti lungo il tuo Cammino, incontrerai la Verità e accederai alla Vita”.
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26. Il perdono
A Sant Vicent, il capo di un’azienda aveva un lavoratore che gli doveva molti
soldi, circa 150.000 euro e un giorno lo
chiamò nel suo ufficio per parlare del
debito. “Quando mi restituirai i soldi? –
gli chiese –, me li devi da molto tempo;
se non li riavrò al più presto ti farò
sbattere in prigione e ti toglierò la
moglie e i figli”. Allora il lavoratore s’inginocchiò e piangendo gli chiese perdono
e gli promise che se lo avesse lasciato
libero avrebbe fatto di tutto per restituirgli i 150.000 euro. Il capo si accorse
che l’uomo davvero non poteva rendergli tutti quei soldi, provò pena per lui e
lo perdonò. Uscendo dall’ufficio quello
stesso giorno, camminando per strada, il
lavoratore incontrò suo cugino, che gli
doveva 600 euro, e appena lo vide gli
corse incontro e lo afferrò per il collo
dicendogli: “Se non mi restituisci i soldi
93
ti manderò in prigione!”. Nei giorni
seguenti l’accaduto arrivò all’orecchio
del suo capo, allora lo chiamò di nuovo.
“Ascolta, – gli disse – io pensavo che
fossi diverso, ma ho saputo che cattiva
persona sei in realtà… Io ho avuto
misericordia di te, ti ho condonato i
150.000 euro che ancora mi devi, ma tu
non sei stato capace di perdonare il tuo
stesso cugino, per soli 600 euro… lo
volevi addirittura far finire in prigione!
Ora ti farò condannare affinché tu
impari”. Detto, fatto, il capo lo fece
rinchiudere in prigione.
Anche noi ogni giorno commettiamo
migliaia di errori e Dio ci perdona tutto,
come un capo pieno di misericordia. A
differenza di Lui, noi a volte giudichiamo i nostri fratelli e non perdoniamo i loro piccoli errori. Ma se non
perdoni non sarai perdonato, è una legge
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spirituale. Perdonare significa dimenticare e iniziare ad amare.
95
27. Banca La Caixa
Accadde che il direttore di un’azienda
dovesse trasferirsi in un altro paese per
tre anni e prima di partire chiamò i suoi
tre impiegati per affidare loro lavoro e
responsabilità. Al primo diede 5.000
euro, al secondo ne diede 2.000, al terzo
250 euro e al suo ritorno li riconvocò e
chiese cosa avessero fatto con i soldi. Il
primo rispose che con i 5.000 euro aveva
avviato un’attività e adesso ne aveva
10.000. Il secondo gli disse che con i suoi
2.000 aveva fatto dei prestiti e adesso ne
aveva 4.000. Il terzo lavoratore spiegò:
“A me hai lasciato solo 250 euro e
siccome non era sufficiente per aprire
un’attività né per concedere prestiti, non
volevo perderli, così ho conservato i
soldi per quando saresti tornato…”.
Sapeva che il suo capo era un uomo
molto serio e sentiva nei suoi confronti
un certo timore e rispetto, perché era
96
una persona che raccoglieva frutti anche
dove non seminava. Per paura di perdere i soldi che gli erano stati affidati, li
aveva seppelliti e adesso li teneva in
mano per restituirli. Allora il capo,
ascoltando la storia, si arrabbiò e gli
disse: “Sei un pessimo lavoratore!
Sapendo che io sono un capo serio, che
raccoglie frutti anche dove non semina,
perché non hai affidato i miei soldi alla
banca La Caixa? Perlomeno avrebbero
maturato degli interessi…”. E ordinò
che gli fossero tolti i 250 euro e venissero
dati al lavoratore che ne aveva 10.000,
perché chi già possiede ottiene di più e a
chi non ha nulla viene tolto anche ciò che
non ha.
97
28. Chi è il mio prossimo
Un giorno, il furgone di Vivo si ruppe, il
motore non aveva potenza e lui non
poteva usarlo per lavorare, né trasformarlo in un cinema mobile come avrebbe tanto voluto, né tantomeno farci il negozio gratis; ma non poteva neppure viverci, perché era fermo dal meccanico.
Vivo si sentiva molto male, perché la sua
vita era paralizzata come il motore del
suo furgone. Non aveva un posto dove
vivere e non poteva lavorare e avrebbe
dovuto chiedere dei prestiti per la
riparazione del furgone; a volte gli
veniva voglia di lasciarsi morire di
stenti. Vivo chiamò il suo amico Joel, che
è meccanico, e gli spiegò la sua
situazione, ma Joel si scusò dicendo che
era impegnato con la chiesa e le riunioni
cristiane e che non aveva tempo per
aiutarlo. Poi Vivo chiamò il pastore
Wilson della Chiesa Pentecostale e gli
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chiese aiuto spiegandogli la situazione,
ma anche il pastore si scusò dicendo che
l’affitto della chiesa era molto caro e che
era molto occupato a lavorare, per cui
non avrebbe potuto aiutarlo. Poi Vivo
entrò in un negozio di pietre e cristalli
chiamato Terra Nova e chiese aiuto a
Rafa e Andrea, due amici vegani –
ovvero che non mangiano animali e non
usano nessun derivato degli animali – a
cui piacciono Om Namah Shivaya, Hare
Krishna e tutte le religioni; erano persone sensibili e gentili. Anche loro erano
occupati, ma amavano il loro amico Vivo
e trovarono il tempo di aiutarlo con il
furgone. Lo aiutarono anche a trovare
un prestito per la riparazione, a sistemare la sua vita e i suoi problemi e
molto altro; erano disposti a donare la
loro vita per amore, perché Vivo stesse
bene. Con il tempo Vivo diventò vegano
e capì chi è il suo prossimo.
99
29. Las Dalias
Quando sappiamo che quello che abbiamo – sia quel che sia – è sufficiente per
aprire un commercio – e non solo
sufficiente, ma addirittura d’avanzo –
siamo pronti per avviarlo senza preoccuparci di crediti o capitali.
Molto tempo fa, a Ibiza, c’erano due
hippie che vivevano per strada, emarginati; nessuno sapeva i loro veri nomi, ma
tutti li conoscevano come i fratelli Naiki.
La loro vita consisteva nel chiedere
l’elemosina per comprare alcolici e
sigarette e per nutrirsi riciclavano il cibo
della spazzatura del supermercato
Eroski. Così passarono gli anni, ogni
giorno uguale agli altri, finché un giorno
uno dei fratelli Naiki disse all’altro: “Sono stanco di questa vita; perché non
smettiamo e apriamo un commercio?”.
“Ottima idea – rispose suo fratello – ma
come iniziamo se non possediamo un
100
capitale? Non possiamo nemmeno
chiedere un credito alla banca… Ora
come ora tutto quello che abbiamo sono
1 euro e 27 centesimi…” disse, estraendo
le monete dalla tasca. “E’ sufficiente –
affermò l’altro fratello, con sicurezza –
se possiamo iniziare con ciò che abbiamo, possiamo ottenere anche quello
che non abbiamo”. Quello stesso giorno
andarono a passeggiare per i negozi
cinesi, per farsi un’idea di quale tipo di
commercio avrebbero potuto avviare. In
uno di questi negozi trovarono l’offerta
di tre paia di ciabattine sportive per un
euro e, con grande felicità, le comprarono. Più avanti trovarono un pacchetto
di fili colorati per 25 centesimi e comprarono anche quello. Poi per due centesimi comprarono un ago. Così, avendo
speso tutti i soldi che avevano quel giorno senza comprare sigarette o alcolici,
andarono ai portici del castello di Dalt
Vila e cominciarono a cucire dei motivi
101
decorati sulle ciabattine cinesi. Quando
terminarono, si fermarono a pensare a
quale simbolo avrebbero potuto usare
come firma, per creare un proprio
marchio, e dopo un bel po’ finirono per
cucire il famoso attuale simbolo di Naike
(Nike), con la speranza di diventare un
giorno una grande azienda. Il giorno
seguente andarono al mercato di Las
Dalias con le ciabattine sportive, per
venderle a 3 euro al paio. Alla fine della
giornata le avevano vendute tutte e
avevano ricavato 9 euro, con cui il
giorno successivo comprarono 27 paia di
ciabattine cinesi e iniziarono di nuovo a
cucire sotto i portici di Dalt Vila.
Notando che la loro idea funzionava,
altri hippie si unirono a loro e li
aiutarono ad avviare l’azienda. Il sabato
seguente di nuovo vendettero 27 paia di
ciabattine per tre euro ciascuna e con
quei soldi comprarono altre ciabattine
nei negozi cinesi. Facevano questo ogni
102
settimana e il denaro si moltiplicava,
finché in pochi mesi, i fratelli Naiki ne
radunarono abbastanza per aprire una
piccola fabbrica con 3 lavoratori. Tre
mesi più tardi avevano già 27 lavoratori
e 3 fabbriche di ciabattine; e dopo tre
anni avevano fabbriche in giro per il
mondo e un marchio conosciuto, quello
che noi oggi conosciamo come Nike.
Tuttavia, i fratelli non si dimenticarono
mai dei loro primi passi a Las Dalias e
dell’anima del posto: Juanito. Molti
grandi marchi hanno iniziato grazie al
mercato di Las Dalias, ma pochi di
questi ricordano il loro passato. Il vero
successo arriva quando otteniamo il
risultato sperato senza togliere il potere
a nessuno, collaborando con tutti e non
dimenticando mai da dove siamo partiti.
103
30. Guchi
Guchi era un giovane stilista di jeans che
viveva a Dalt Vila, Calle Ignacio Riquer
14. I jeans che disegnava erano molto
originali e li vendeva a un buon prezzo –
38 euro – mentre i marchi conosciuti
come Rifle o Levi Strauss costavano il
doppio. Nonostante i suoi prezzi fossero
bassi, la qualità migliore e il modello più
accattivante, nessuno comprava i suoi
pantaloni perché il suo marchio non era
noto. Così poco a poco iniziò a perdere
la sua piccola azienda di pantaloni e
tutto il denaro che vi aveva investito.
Pensando di non avere altra soluzione,
decise di mettere un annuncio sul Diario
di Ibiza, cercando un socio per la sua
azienda. Rispose all’annuncio un ragazzo molto giovane, di 23 anni, che gli
propose di cedergli il 60% della sua
impresa e permettergli di risollevarla e
reinserirla nel mercato. Guchi, pen104
sando di non avere nulla da perdere, accettò la proposta. Già dal giorno successivo, il nuovo socio iniziò a girare per
tutti i negozi di Ibiza, lasciando i jeans di
Guchi in piccole quantità e con un
prezzo di vendita al pubblico di 3.600
euro. Spiegava ai proprietari dei negozi
che era una nuova tecnica di marketing
e che il proprietario avrebbe potuto tenere per sé il 50% del prezzo al pubblico
per ogni pantalone venduto, vale a dire
1.800 euro per ogni paio di jeans. Così
facendo il giovane si assicurava che
avrebbero raccomandato i suoi pantaloni piuttosto che quelli delle marche più
note, perché avrebbero guadagnato molto di più con la marca Guchi. All’inizio
tutti lo ignoravano e poi ridevano di lui.
Tuttavia, dopo tre mesi, entrò in uno dei
negozi un ragazzo, figlio di un milionario ibizenco, in cerca di un nuovo paio
di pantaloni da indossare alla sua festa
di compleanno e con la carta di credito
105
del padre in mano. La commessa del
negozio gli consigliò i pantaloni Guchi,
perché anche lei a sua volta avrebbe
ricevuto il 50% del ricavo dal suo capo,
pari a una commissione di 900 euro per
ogni paio di pantaloni. Spiegò al ragazzo
che Guchi era un nuovo marchio molto
esclusivo e particolare, dal design unico,
con modelli unici... e gli raccontò di
tutto, finché il giovane con i soldi di
papà scelse e comprò un paio di jeans
Guchi per 3.600 euro. Il giorno dopo,
alla sua festa di compleanno, quando i
suoi amici videro i suoi strani pantaloni
iniziarono a ridere di lui, chiedendogli in
quale centro Caritas li avesse acquistati
e lui, con orgoglio, mostrò loro lo
scontrino da 3.600 euro del negozio di
Ibiza e spiegò quello che gli aveva detto
la commessa. “Questo non è un comune
paio di pantaloni – disse ai suoi amici – è
un capo di moda reso sacro dall’energia
positiva e creativa, che porta fortuna e
106
salute perché durante la realizzazione
sono stati incastonati dei cristalli
speciali; per questo sono pantaloni tanto
cari, perché sono solo per ricchi”. Allora, uno degli amici del ragazzo, il cui
padre era molto più ricco, si vergognò al
pensiero che i suoi pantaloni costassero
solo 60 euro. Si sentiva tanto povero, che
il giorno successivo andò a comprarsi i
pantaloni di Guchi e lo stesso avvenne
con tutti i giovani rampolli delle famiglie
ricche di Ibiza. Un paio di mesi più
tardi, Guchi diventò il marchio di lusso
più conosciuto. Intanto, il giovane socio
che aveva salvato l’azienda, era diventato uno dei più ricchi di Ibiza e rivendette la sua quota, corrispondente al
60% dell’azienda di Guchi, a un prezzo
sufficiente per aprire una propria azienda: LOCO de IBIZA.
107
31. Tre anni, tre candeline nei
miei occhi
Per il terzo compleanno di Vivo, sua
madre gli preparò una torta al cioccolato e suo padre mise 3 candeline,
chiedendo al bambino di recitare una
breve poesia.
Tre annetti,
Tre candeline,
Illuminano i miei occhi.
Ma Vivo non voleva farlo e, dispettoso e
ribelle com’era, diceva solo: “Non voglio
dirlo!”. Allora il padre si arrabbiò e lo
sculacciò; poi tornò a domandargli: “Lo
dirai ora?”. Vivo rispose, questa volta
arrabbiato: “No che non lo dico!”.
Allora il padre lo sculacciò più forte
finché il bambino iniziò a piangere, poi
gli chiese di nuovo: “Lo dirai ora?”.
Allora Vivo comprese che non aveva
108
altra scelta e che non poteva competere
fisicamente con suo padre; doveva
obbedire. “Sì lo dirò – rispose quindi,
ancora in lacrime – ma prima aspetta
che mi calmi”. Quando si fu calmato un
poco, con voce piagnucolante disse:
“Tre annetti,
Tre candeline,
Illuminano i miei occhi”.
Mentre sentiva la felicità di compiere i
suoi primi tre anni, Vivo soffrì anche per
i dolori delle botte e i problemi di suo
padre. Dovettero passare 30 anni prima
che Vivo potesse capire la situazione,
anni
di
grande
sofferenza
ed
emarginazione, finché fu in grado di
perdonare suo padre e scoprire perché
lo avevano sculacciato fin da quando era
molto piccolo. Quando Vivo aveva tre
anni, era così disobbediente e fuori controllo, che se suo padre non avesse ini109
ziato a sculacciarlo da allora, oggi non
potrebbe essere qui a scrivere questo
libro. Fare errori è molto umano, ma
perdonare è Divino. Ama i tuoi genitori
senza giudicarli e avrai una vita lunga e
soddisfacente.
110
32. Dolci (Morenas)
Da bambino, a Vivo piacevano molto i
dolci della marca Morenas. All’età di
due anni i suoi genitori gliene comprarono uno, perché erano talmente poveri
da non potersi permettere di comprarne
uno per ciascun anno. Vivo si rallegrò
subito per aver ricevuto la sua “Morena” di cioccolato e arachidi e appena
gliela diedero iniziò a mangiarla. I suoi
genitori, vedendolo mangiare, gli chiesero di poterne avere un po’, ma Vivo
rispose: “No, mio!”. Allora il padre si
alzò e gli tolse la “Morena” dalle mani
per mangiarla insieme alla madre davanti a Vivo. Il bambino, ritrovandosi
all’improvviso senza il suo dolce, iniziò a
piangere, ma loro continuarono a
mangiare senza prestargli attenzione.
Quando terminarono il dolce, chiesero a
Vivo se gli era piaciuto guardarli
mangiare senza riceverne nemmeno un
111
pezzetto e lui rispose di no. Poi suo
padre gli chiese: “La prossima volta che
riceverai un dolce e te lo chiederemo, lo
condividerai?”. Vivo rispose: “Si!”.
Allora il padre prese la bicicletta di
famiglia e alcune bottiglie di vetro vuote,
per restituirle al negozio, e con le monete
che ottenne in cambio, comprò un’altra
“Morena”. Quando arrivò a casa la
diede a Vivo e lui con grande felicità di
nuovo cominciò a mangiarla. Il padre e
la madre gli chiesero di nuovo un po’ di
dolce, ma stavolta Vivo si fermò un
momento, pensò e disse: “Sì, mamma e
papà, prendete e mangiatelo è buonissimo e molto dolce…”. Dopo quel giorno
Vivo si accorse che non voleva essere
egoista e durante tutta la vita divise
quello che aveva con i suoi amici.
112
33. Tu non diventerai mai
una persona
Un uomo ibizenco continuava a ripetere
al figlio: “Figlio mio, tu non diventerai
mai una persona”. Il figlio crebbe pieno
di rabbia e furia, cercando sempre di
dimostrare a suo padre che si sbagliava.
Quando crebbe si trasferì a Madrid per
studiare e da allora tagliò tutti i contatti
con la propria famiglia. Terminati gli
studi entrò in politica e con il tempo,
arrampicandosi lentamente per la scala
politica, divenne un rappresentante delle
Baleari all’interno del Governo spagnolo. Un giorno, convocò suo padre per
una visita a Madrid, e l’uomo iniziò a
preoccuparsi, perché non aveva soldi per
acquistare i biglietti aerei per Madrid.
Era soltanto un povero contadino e
possedeva solo 10 pecore. Non c’era
molto che potesse fare, tuttavia, vendette
tutte le sue pecore e con una parte dei
113
soldi pagò per sé una stanza d’albergo e
un biglietto sul traghetto per Denia. Da
Denia, un po’ camminando e un po’ facendo l’autostop, riuscì a raggiungere
Madrid. Quando si trovò in piedi
davanti all’ufficio del politico misterioso,
bussò la porta, un po’ intimorito, chiedendosi come mai il rappresentante delle
Baleari avesse convocato lui, un semplice
contadino ibizenco. La porta si spalancò,
lui entrò e il politico lo invitò a sedersi e
gli chiese se avesse figli. L’uomo si
spaventò; non si aspettava quella
domanda ma decise di dire all’uomo la
verità, che aveva un figlio, ma non
sapeva dove fosse. Allora il politico gli
disse: “Tu dicevi sempre a tuo figlio che
non sarebbe mai diventato una
persona.” Allora il timore del padre
crebbe; come faceva a saperlo? Ma
finalmente ammise: “Sì, glielo dicevo
sempre”. Allora il figlio si alzò e disse:
“Guardami, sono tuo figlio; come puoi
114
vedere adesso sono uno dei politici più
importanti delle Baleari… E tu continuavi a ripetermi: ‘Figlio, tu non diventerai mai una persona’, ora puoi vedere
coi tuoi occhi quanto ti sbagliavi.” Suo
padre comprese, respirò a fondo e disse:
“Figlio, ti dicevo che non saresti mai
diventato una persona e posso dirti di
nuovo che non sei diventato una persona… perché se fossi stato una persona,
mi avresti spedito dei soldi, prenotato un
volo e inviato qualcuno per accompagnarmi durante il viaggio, così sarei
stato felice di farti visita, mio amato
figlio. Invece mi hai spaventato, convocandomi senza rivelarmi chi tu fossi; io
ho venduto tutto quello che avevo per
riuscire a presentarmi qui e per cosa?
Solo per costatare che non sei cambiato
e che continui ad essere quello di
sempre”. Detto questo l’uomo si alzò, si
girò e si allontanò dall’ufficio del politico – il suo unico figlio – e con gli ultimi
115
soldi rimasti dalla vendita delle pecore,
fece ritorno a Ibiza.
116
34. Gli anziani sono saggi e
dobbiamo rispettarli
Racconta la leggenda che, molti anni fa,
una legge a Ibiza stabiliva che al compimento dei 60 anni di età le persone dovevano morire. Ogni figlio doveva uccidere
il proprio padre e la propria madre
quando avessero compiuto 60 anni; era
una tradizione e un dovere, perché a
partire da quell’età le persone erano
considerate un grosso peso per la
società, in quanto non lavoravano ma
spendevano solo soldi. Fu così per secoli,
finché un giorno un funzionario di governo che amava molto il proprio padre,
non fu in grado di togliergli la vita. Per
salvarlo lo nascose nella sua cantina, sapendo di rischiare la condanna a morte
per aver infranto la legge. Il tempo passò e lui faceva visita in cantina a suo
padre ogni giorno, portandogli cibo e
passando il tempo con lui. Accadde così
117
che l’anno seguente ci fu una grande
siccità che provocò una diffusa carestia.
Di fronte alla scarsità di cibo, la gente si
nutriva con i semi di grano destinati alla
semina. Fu così che produssero una
grande crisi: non erano rimasti altri
semi di grano né per seminare né per
fare il pane. Così il presidente ordinò ai
maggiori funzionari del proprio governo
di riflettere sulla situazione e trovare
una soluzione; finché non avessero presentato un buon piano, ogni giorno sarebbe stato giustiziato un funzionario di
governo. Il figlio, molto preoccupato,
tornò a casa e raccontò al padre cosa
stava accadendo. Suo padre sorrise e
disse: “Figlio mio, quando il Governo ti
chiamerà, di’ loro che la soluzione è
molto semplice: devono cercare dentro i
formicai; lì troveranno una quantità
sufficiente di semi di grano per iniziare a
seminare”. Il figlio, molto felice, riportò
al Presidente l’idea di suo padre e
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infatti, quando la misero in pratica,
ottennero milioni di semi di grano pronti
per la semina. Allora il Presidente gli
chiese come gli fosse venuta un’idea tanto saggia e brillante. Il figlio chiese al
Presidente: “Se vi racconto la verità, mi
farete un favore?”. Il Presidente promise, così il funzionario gli confessò che
aveva nascosto suo padre in cantina e
che era stato lui a dirgli dove trovare i
semi di grano. “Quindi quale favore vuoi
chiedermi?” chiese poi il Presidente. “E’
molto semplice: non uccidete mio padre;
lui ci ha salvato tutti”. Quando il Presidente lo ascoltò, si rese conto che gli anziani contribuivano molto nella società
grazie a una qualità molto importante:
la loro Saggezza. Quello stesso giorno, la
legge fu abolita e nessun anziano fu più
ucciso. Invece, fu ordinato di rispettarli,
apprezzarli e ascoltarli. E per questo
motivo, da quel giorno, tutti noi cediamo
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loro i nostri posti a sedere sull’autobus e
li aiutiamo ad attraversare la strada.
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35. Il seme di girasole
Quando Vivo si recò in visita da un lama
Tibetano, chiamato Lama Ole Nydahl,
che gli chiese: “Se ti dessi un seme di
girasole, tu cosa ne faresti?”. Vivo rispose eccitato: “Lo pianterei subito così,
quando maturasse e desse i semi, lo userei per nutrire i poveri”. Lama Ole Nydahl sorrise e disse: “Non cercare di fare
il santo, questo è quello che direbbe
chiunque, pur di apparire buono; tu sei
molto pigro. Ora riflettici di nuovo: cosa
faresti con il seme?”. Vivo ci pensò su e
rispose che avrebbe preso tutti i semi del
nuovo girasole, li avrebbe piantati e
quando avesse avuto un grande campo
di girasoli avrebbe venduto metà del
raccolto e con l’altra metà avrebbe nutrito i poveri. Lama Ole Nydahl lo guardò divertito e gli chiese: “Perché ti
interessa tanto nutrire i poveri? Da dove
viene questa pazzia? Perché non riesci a
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pensare a nient’altro?”. Vivo chiese:
“Allora che cosa dovrei fare col seme di
girasole?”. Il Lama gli rispose che sarebbe stato molto meglio dare un girasole ad ognuno dei suoi amici in segno di
riconoscenza per il loro aiuto, e uno a
ciascuno dei suoi nemici, per ottenere il
loro perdono. “In quel momento – suggerì – di’ a tutti loro di piantare ogni
seme e di coltivare grandi campi; racconta come hai fatto e come hai potuto
ottenere così tanti girasoli da poter
regalare loro. Poiché essi inizieranno con
un intero girasole e non con un singolo
seme, all’inizio avranno un intero campo
di girasoli e la volta dopo avranno molti
campi di girasoli. In questo modo
potranno dare ai loro amici e nemici,
non un solo girasole, ma interi campi di
girasole. Così facendo, dopo nove anni,
dovunque tu andrai in Terra, tutti,
dovunque, ti regaleranno girasoli”.
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36. Il pappagallo grigio
Un giorno, un uomo entrò in negozio di
animali di Ibiza perché voleva acquistare un uccellino da portare a casa con
sé. Una volta in negozio, trovò 6 pappagalli di colori diversi: rosso, arancione,
giallo, verde, blu e lilla. Divertito, li
salutò tutti: “Ciao, buongiorno pappagalli piccoli e belli”. Con sua grande
sorpresa, ogni pappagallo ripeté una parola, fino a scandire la frase completa in
ordine; quello rosso disse: “Ciao”, il
pappagallo arancione disse “buon”,
quello giallo disse “giorno”, il pappagallo verde disse “pappagalli”, quello
blu disse “piccoli” e quello lilla disse “e
belli”. L’uomo era ancora sorpreso dalla
coordinazione dei pappagallini colorati,
quando, dal fondo del negozio, udì un
pappagallo più grande e di colore grigio
ripetere tutta la frase completa in una
volta, da solo. L’uomo iniziò a doman123
darsi se il pappagallo grigio ripetesse
quello che lui aveva detto o quello che i
pappagallini avevano detto insieme.
Questo lo portò a pensare che, allo stesso
modo, ogni religione ripete una parte
della Verità come un pappagallino e se
tutte le religioni si unissero in Pace e
Armonia, la frase completa – la Verità
Assoluta – sarebbe vista e udita. L’uomo
rimase così colpito da quest’idea, che in
cuor suo sentì di dover acquistare il
pappagallo grigio. Così, trasportandolo
in una gabbia, uscì dal negozio e di colpo
realizzò che la Verità arriva quando ne
accettiamo ogni sfaccettatura in totale
armonia, senza giudicare niente e nessuno, ma imparando ad ascoltare e
riconoscere le diversità e risvegliando in
noi stessi Amore Incondizionato e Universale, frutto dell’accettazione della
realtà della Vita. Sulla via di casa, come
una risposta alla sua ricerca della verità,
l’uomo si rese conto che fumare e bere
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alcolici non erano errori così gravi, ma
casomai debolezze o dipendenze. Capì
che il più grande errore che un uomo
possa commettere è di non sapere chi
sia. Riflettendoci su, realizzò che gli
uomini non sanno chi siano e nemmeno
lo vogliono sapere e che questa grossa
lacuna è il più grande errore nelle loro
vite e dà origine a tutto il resto: vizi,
dipendenze, malattie, violenza, mancanza d’amore ed empatia… Mentre si avvicinava a casa insieme al pappagallo grigio, si chiese come avrebbe potuto aiutare gli uomini a ritrovare se stessi. Solo
così avrebbero ottenuto il loro diritto di
nascita: il diritto di vivere in abbondanza e gratitudine, creando felicità
intorno a loro e illuminando ogni essere
vivente intorno a lui con la luce
dell’Amore seminando felicità nei cuori
degli altri uomini. L’uomo iniziò a riflettere su tutte queste cose, finché si rese
conto che lui stesso non era nulla, se non
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il frutto dei suoi stessi pensieri e che il
modo più semplice di vivere la sua vita
come desiderava era quello di cambiare i
suoi pensieri. Così facendo, la nostra vita
dipende dalle nostre decisioni e nel
Presente reale, il tempo e il dolore non
esistono, perché per sentire freddo o
dolore è necessario il tempo; di conseguenza, senza tempo non c’è dolore.
L’uomo, continuando a camminare col
suo pappagallo grigio, raggiunse l’illuminazione rendendosi conto che la Vita
Eterna è nel presente, e mosso da pura
Felicità aprì la gabbia e liberò il pappagallo. Il pappagallo volò libero tra le
nubi, mentre l’uomo seguiva la sua
ombra lungo il cammino. Quando L’animale scomparve e l’uomo non scorgeva
più la sua ombra sulla strada, scoprì la
verità: lui stesso era il LAMA GRIGIO.
Seguendo la verità aveva avuto accesso
alla Realtà della Vita e scrisse questo
libro, così che il mondo potesse avere 36
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Semi di Luce e seminandoli avrebbe
trovato la Via della verità, con uno
spirito non di sacrificio, ma di pietà.
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