Punti di vista
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ricordo Amprino 44-46.qxp 28/04/2008 15.18 Pagina 1 Università RICORDI DEL MAESTRO Rodolfo Amprino: massima espressione del genere umano H o appreso della morte del professor Amprino dalle pagine del nostro notiziario e, seguendo l’invito della collega Lucia Baldi, ho deciso anch’io di contribuire a perpetuare il suo ricordo. Mi iscrissi alla facoltà medica di Bari nel 1978. Erano gli anni della pletora degli studenti che frequentavano Medicina e nell’aria soffiava il vento delle grandi contestazioni studentesche che lasciavano intravedere un futuro luminoso per tutti noi. I corsi erano sovraffollati e per guadagnare un piccolo posto nell’aula di Anatomia bisognava essere molto mattinieri. L’interno dell’anfiteatro dove si tenevano le lezioni era un caleidoscopio di colori, dialetti diversi e grandi ideali tradotti in un brusio tenue ma continuo che percorreva i banchi fino a quando “lui” faceva ingresso nell’aula. Allora calava un silenzio irreale e avevamo l’impressione di stare per assistere alla lezione di anatomia dipinta da Rembrandt, tanto la nostra attenzione veniva attratta da quell’uomo al centro della stanza. Il camice con la pistagna alta, i capelli e i baffi sempre perfetti contribuivano a creare un’atmosfera di altri tempi. Allora non esistevano puntatori laser: una lunga asta scorreva sugli straordinari disegni che con certosina pazienza aveva tracciato egli stesso sulla lavagna e ci schiudeva la mente alla comprensione dei misteri del nostro corpo, snocciolando nomi dal suono antico ed esotico. Non ho mai più incontrato, nei lunghi anni di frequenza nelle aule della nostra facoltà, un altro professore che manifestasse in quel modo il suo 44 Notiziario maggio 2008 amore per la professione e per la scienza: “affrescando” per i suoi studenti un’aula universitaria. Ma erano le sue lezioni a magnetizzarci: dal sistema reticolare all’ippocampo, dalla bolla di Bichat al ganglio di Gasser, nulla sembrava sfuggire alla sua lucida disamina e spesso la descrizione scientifica era intervallata da piccole digressioni morali alla stregua dei maestri platonici. Un’etica kantiana dominava il suo sapere e il suo essere, tanto che, molte volte, ho ripensato a quando ci invitava a guardarci allo specchio tutte le mattine per scorgere quale pesante fardello avevamo deciso di porci sulle spalle, assumendoci la responsabilità di fare i medici, o quando ci invitava a studiare con scrupolo ogni dettaglio dell’anatomia, perché il nostro futuro professionale sarebbe potuto essere racchiuso in pochi centimetri quadrati di specialistica competenza. Mi domando cosa ci direbbe, se fosse ancora vivo, il professor Amprino alla vista della sua facoltà, disgregata dagli scandali dei concorsi truccati, resa debole da nepotismo e clientele, affossata dagli impact factors da università del terzo mondo. Mi piace comunque immaginarlo ancora lì, in quell’aula che è stata il suo regno, ritto e fiducioso nelle capacità dell’uomo, prodigo ancora di insegnamenti; perché, caro professore, io sono convinto che i maestri non muoiano mai per davvero: la loro vita viene dispersa in mille rivoli e continua a scorrere nelle vene dei loro discepoli che ne tramandano lo spirito. Per sempre. Damiano Colazzo Pediatra D esidero associarmi alla collega Lucia Baldi nel caro e indimenticabile ricordo del Prof. Rodolfo Amprino. Uomo di scienza e solida, radicata umanità, maestro di medicina e di vita, Rodolfo Amprino ha saputo coniugare in una sintesi mirabile ed unica le sue profonde conoscenze di anatomia col significato fisiologico e funzionale degli organi del corpo umano; non v’era lezione dove egli non tracciasse un costante parallelo fra la struttura anatomica dell’organo che descriveva, sempre con accurata precisione e appropriata scelta della terminologia, e le precise caratteristiche funzionali che ne spiegavano sempre teleologicamente le relative connotazioni finalistiche. I gessetti colorati, la precisione dei disegni, la chiarezza espositiva in cui solo l’uso della terminologia più appropriata consentiva di trasmettere agli astanti il messaggio dell’esatta struttura anatomica dei tessuti e del loro significato funzionale, costituivano gli ingredienti di una lezione sempre unica, irripetibile, densa di una comunicativa e di una voglia di trasmettere la parte migliore di sé stessi ai posteri: il suo era un costante inno al miracolo della natura che nel corpo umano trova la sua massima espressione. E poi l’articolo sul prof. Amprino ha avuto il potere di farmi fare un balzo indietro nel tempo, al lontano 1972, quando, studente di medicina al terzo anno, mi fermai per un anno nell’avanzamento degli esami, perché vi era questo grosso scoglio da superare, l’esame di Anatomia Umana Normale col Prof. Amprino: scienziato che molto dava nelle sue indimenticabili lezioni, ma molto pretendeva, poiché l’anatomia lo esigeva e rappresenta- ricordo Amprino 44-46.qxp 28/04/2008 15.18 Pagina 2 Università Ringraziamo i colleghi Colazzo, Manfredi e Giorgio per aver raccolto il nostro invito e condividiamo appieno la tensione morale e sentimentale che irrompe dalle loro righe; rinnoviamo l’esortazione ad inviarci i Vostri ricordi (ed anche le foto dell’epoca) sui nostri grandi Maestri (ricordiamo, ad esempio, anche se sicuramente facciamo torto a tanti altri, i Professori Chini, Malaguzzi-Valeri, Amerio, De Blasi, Marinaccio, Zamboni, Diomede-Fresa, Ferrari, Vecchio ecc…); speriamo così di mantenere vivo quel sentimento di orgoglio e di gratitudine di cui tanto abbiamo sempre bisogno; il ricordo luminoso allevia sempre le ombre del presente! va, come egli stesso spesso ripeteva, una sorta di toga virile, che solo chi aveva il coraggio e la forza di indossare poteva aspirare a proseguire negli studi di Medicina. Ricordo il senso di profondo sgomento che provai il giorno precedente l’esame: tutti e sei i volumi del Chiarugi erano aperti sul tavolo della sala da pranzo che religiosamente i miei avevano lasciato a mia disposizione perché era il tavolo più ampio della casa e loro erano orgogliosi della scelta che io avevo fatto cadere su questa Facoltà per programmare il mio futuro professionale. Non sapevo più quale argomento fosse opportuno che ripetessi, d’improvviso mi sembrava di non ricordare più nulla, talmente vasta era la materia, ma mi dovevo fare coraggio, era giunto il mio momento e non potevo tirarmi indietro. D’altronde non ero certamente l’ultima ruota del carro, avevo una media del 29 ed ero stato interno in Anatomia per 1 anno, in cui avevo avuto l’onore di conoscere scienziati di tutto il mondo che si avvicendavano nei laboratori del Prof. Amprino: ricordo un giapponese che era molto interessato alle ricerche che sta- Prof. Rodolfo Amprino vamo compiendo sul sistema nervoso delle rane, valutando la capacità contrattile di un arto isolato dell’animale in una soluzione elettrolitica attraversata da corrente galvanica. Mi sedetti davanti alla commissione e, pur pensando di non ricordare più nulla, fui pervaso da una strana, surreale calma: mi dicevo che non ero il primo né sarei stato l’ultimo ad affrontare quella prova così ardua, e poi non potevo deludere il Professore, che mi aveva accettato nel suo laboratorio e mi aveva visto frequentarlo per 1 anno. Partì la prima domanda e, pur disorientato, feci appello a tutte le risorse che lo stesso professore ci aveva più volte consigliato di utilizzare: mi guardai intorno, cercando nell’aula d’esame qualunque indizio potesse aiutarmi a dare risposte sensate, perchè solo nel buon senso potevo confidare, non potendo minimamente sperare di ricordare il capitolo del Chiarugi che mi interessava. Il Professor Amprino cominciava sempre con una domanda di ampia portata cui era veramente difficile non poter dire qualcosa: se non ricordo male la mia riguardava la vena cava inferiore: dopo aver guardato le immagini dei cartelloni anatomici che campeggiavano alle spalle del professore, cominciai ad esporre i concetti di base riguardanti la circolazione venosa della parte sottodiaframmatica del corpo e lentamente, quasi impercettibilmente, si snocciolavano davanti ai miei occhi esattamente le pagine del Chiarugi che descrivevano tutti i singoli affluenti della cava inferiore e anche la notazione del professore che il suo calibro va aumentando dalla sua origine alla sua fine a causa della quota sempre maggiore di sangue da trasportare dato l’aggiungersi di sempre nuovi affluenti; ricordo di non aver riscontrato questa connotazione sul Chiarugi e di averla riferita al Professore così come lui ce l’aveva trasmessa a lezione. Poi fu la volta della Capsula Interna del Sistema Nervoso Centrale, e anche qui inspiegabilmente e insperatamente le pagine del Chiarugi si snocciolarono davanti ai miei occhi e mi consentirono di rispondere adeguatamente alle domande sempre più profonde e particolareggiate del Professore. L’esame stava andando abbastanza bene e giunse alfine la domanda che preludeva ad una Notiziario maggio 2008 45 ricordo Amprino 44-46.qxp 28/04/2008 15.18 Pagina 3 Università possibile valutazione di eccellenza: i dotti lacrimali. Qui la fortuna giocò il suo ruolo perché si trattava di argomento che casualmente avevo rivisto poche ore prima, durante la fase di sacro terrore in cui tutti e sei i volumi del Chiarugi era aperti nella sala da pranzo: descrissi con dovizia di particolari i dotti lacrimali nonché le annesse ghiandole tarsali di Meibomio. La commissione mi disse di alzarmi e tornai a posto; sedetti al primo banco dell’aula semicircolare di anatomia dove avevo assistito tante volte alle lezioni del professore. Alla fine fu pronunciato il mio nome: mi alzai in piedi attendendo il verdetto finale, come un gladiatore, ormai malconcio per le strenue lotte affrontate e superate con immane fatica, attende il responso dell’imperatore: “Approviamo con trenta” disse il Prof. Amprino con voce stentorea. Ricordo di aver stretto i pugni e aver rivolto il viso al soffitto con gli occhi chiusi: toccavo il cielo con un dito, era come se una pioggia di diamanti cadesse sul mio capo, come se una ricchezza incalcolabile mi fosse piovuta addosso, con una differenza fondamentale rispetto alle ricchezze tangibili: questa non me l’avrebbe mai più tolta nessuno, né ladrone, né politico di turno. E così è tutt’oggi: il Prof. Amprino mi porse la mano perché gliela stringessi e il ricordo di averlo fatto mi riempie tutt’oggi di orgoglio. Grazie per sempre Prof. Amprino di tutto ciò che ci ha trasmesso, della ferma fede in un mondo migliore, fatto di meritocrazia, in cui gli inganni e i raggiri tornano soltanto a scapito di chi ne è l’autore. L’insegnamento suo e di tutti coloro che hanno parlato la sua stessa lingua, tramandando ai posteri la parte migliore di sé, è scritto indelebilmente nei cuori di tutti noi. Ed oggi non posso fare a meno di addebitare alla collega Baldi, una precisa responsabilità: quella di aver avuto il potere di proiettarmi indietro di trentacinque anni, e di avere indotto in me la secrezione di quelle ghiandole tarsali di Meibomio che dormivano da troppo tempo, e di questo rigare le mie guance di lacrime per tali dolcissimi ricordi le sono assai grato. Giacomo Manfredi Internista e Allergologo-Immunologo Ospedale Miulli, Acquaviva 46 Notiziario maggio 2008 H o letto tre volte di seguito l’articolo della dott.ssa Lucia Baldi sulla rivista ufficiale dell’Ordine dei Medici di Bari a proposito del Prof. Rodolfo Amprino. Mi ha commosso. Volentieri, anzi, con entusiasmo accolgo il suo invito a confidarvi qualcuno dei miei più cari ricordi sulla Persona che ancora oggi, alle soglie della mia pensione, ritengo essere stata la più bella e completa figura di Scienziato e di Uomo che abbia mai conosciuto. Sono stato molto fortunato perché l’ho conosciuto bene! Quando, studente di anatomia nel 1964, arrivavi un minuto in ritardo a lezione per colpa delle Ferrovie Appuro-Lucane, sulla soglia dell’aula avevi l’impressione che la lezione quel giorno fosse stata sospesa per il silenzio tombale che regnava in tutto l’istituto. Ma appena ti affacciavi oltre la porta incontravi gli occhi di almeno 400 colleghi, muti, attenti, che attendevano il tuo ingresso in Aula ove era disponibile soltanto qualche posto a sedere per terra quasi davanti alla cattedra. Quell’ingresso in Aula era a rischio! Il Prof. Amprino poteva ignorarti oppure…sospendeva la lezione di Anatomia e dava inizio ad una delle sue lezioni di Vita prendendo spunto dal tuo ritardo. Ancora oggi non so qual’era la più bella, anche se tu diventavi il soggetto di quella lezione! Tema ricorrente era: “Per ogni italiano occorre un carabiniere”. Qualche volta, già studente del V e VI anno della facoltà di Medicina, andavo a lezione di Anatomia, per ascoltarlo ancora. Se eri fortunato potevi ancora sentire da Lui come doveva essere un vero medico. Il massimo della fortuna mi capitò quando, appena laureato nell’estate del ’70, ed appena iscritto alla Scuola di Specializzazione in Chirurgia, il suo aiuto nelle commissioni di esami di Anatomia si fratturò una gamba e mi pregò di sostituirlo in commissione per qualche sessione. Ancora non ci credevo. L’emozione era grande. La prima volta erano le tre di un caldo pomeriggio. Amprino era già seduto al tavolo degli esami, si alzò, mi strinse la mano e tirò indietro la sedia per farmi sedere. Assurdo, si ricordava di me! Avevo solo 25 anni e l’emozione stava per giocarmi un brutto scherzo. Il mio compito era di ascoltare e riportare nel verbale di esami tutti i dati dello studente e le domande che venivano poste: tutto rigorosamente con pennino e calamaio. Le cose si complicarono quando mi chiese se volevo fare un’altra domanda al candidato. Le prime due volte risposi che secondo me l’esame era già sufficiente. Capii però che la richiesta sarebbe stata ripetuta, cosi dovetti studiare di nuovo Anatomia, non bene…ma benissimo perchè dalle mie domande e dalle mie correzioni sulle risposte dello studente lui avrebbe fatto anche l’esame a me! Ricordava i volti di tutti gli studenti! Di quelli già bocciati prima anche le domande a cui non avevano risposto. Qualcuno bocciato più volte, non in grado ancora di rispondere adeguatamente, poteva sentirsi dire: “lei è uno di quelli che vuol portare il camice a tutti i costi…bene, faccia il salumiere” oppure: “l’uomo andrà su Marte ed il nostro Luigi sarà ancora qui a fare l’esame di Anatomia” o ancora: “questa volta si presenta con la barba lunga per avere l’aspetto di un saggio, ma non ha ancora imparato niente!”. A volte era dirompente, mai cattivo. Era un Giusto: tutti gli studenti erano uguali. Odiava le “raccomandazioni”. Aveva l’abitudine di esporre in bacheca le lettere di raccomandazione che gli giungevano. Una mattina ne trovammo affissa all’albo una di Giovanni Leone! Poi l’ho incontrato più volte nel breve periodo di mio assistentato volontario in Clinica Chirurgica: mi piaceva ascoltarlo sulle cose più disparate. Sempre le sue affermazioni erano cariche di sapienza e di saggezza. Un giorno gli chiesi un consiglio: “Professore, mi offrono di lavorare in Ospedale ad Altamura, che devo fare?”. Mi disse “È bello lavorare per la propria città, per la propria Gente. È importante però che ti consentano di farlo al meglio, con personale e mezzi adeguati”. Determinò la mia scelta. Giuseppe Giorgio Primario Chirurgo Ospedale di Altamura. Potete inviare liberamente i Vostri scritti direttamente in Redazione all’indirizzo: e-mail: [email protected]