M. Gesi - Sport Anatomy
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M. Gesi - Sport Anatomy
JSA 2015;I:95-96 Marco Gesi Fin da bambini ci hanno insegnato che dopo aver fatto uno studio, un calcolo o formulato un’ipotesi è corretto se non indispensabile fare la riprova per accertarsi che il risultato sia quello giusto. Dal primo giorno in cui ho iniziato a studiare anatomia umana mi sono accorto che il mio sapere appreso diligentemente dal libro di testo sicuramente mi avrebbe fatto ottenere un bel voto all’esame, ma che comunque non mi avrebbe dato la possibilità di verifica, con il rischio che le tante informazioni imparate a memoria dopo poco si sarebbero potute dissolvere in un mero ricordo. Definizioni, nomi, confini, rapporti, funzioni, ecc., l’anatomia umana è certamente una materia affascinante, dove lo sforzo mnemonico non è indifferente, è una scienza che non ammette il dubbio, le più volte si basa su certezze, ed è per questo motivo che agli studenti piace o non piace senza possibilità di sorta. Quello che viene studiato sui libri di testo deve essere appreso come verità assoluta, senza poter replicare a niente e a nessuno solo perché qualche Autore, molte volte basandosi su esperienze altrui (fortunatamente di anatomia settoria), ha trascritto le “verità” che oggi sono studiate dai futuri medici, fisioterapisti e da tutti coloro che studiano in ambiente sanitario che rispondono al nome di “generazione moderna”. Lo studio dell’anatomia umana che oggi promuoviamo e insegnamo è certamente moderno, la tecnologia ci è venuta incontro, decine e decine sono i programmi anche 3D che cercano di rendere il più realistico possibile qualunque distretto anatomico anche nei più piccoli dettagli. Sinceramente non avrei potuto valutare nessuno di questi moderni approcci dedicati all’anatomia umana se, durante i miei primi passi di vita accademica, non avessi incontrato il mio Maestro, prof. Antonio Francesco Manzoli, e i Suoi Allievi, proff. Giovanni Mazzotti e Lucio Cocco, che mi hanno permesso di verificare quanto già appreso sui libri insegnandomi l’anatomia al tavolo settorio. Oggi, a distanza di molti anni da quelle prime dissezioni su cadavere, non c’è lezione che svolga dove non emerga quel sapere che ho imparato verificando quanto studiato. Pensare che un tempo assai lontano era impensabile studiare l’anatomia umana senza verificare in situ quello che era descritto nei testi. La storia della medicina, la conoscenza e lo studio del corpo umano corrono negli anni intrecciati alla pratica settoria. La bellezza di molti dipinti e dei teatri anatomici ancora ben conservati in alcune delle nostre università ci fa ben capire quanto editoriale questo modo di insegnare e soprattutto di imparare l’anatomia fosse imprescindibile nella formazione medica universitaria. La prima descrizione di un teatro anatomico è dovuta all’italiano Alessandro Benedetti nel 1502, mentre il primo teatro anatomico stabile fu realizzato nel 1594 presso l’università di Padova per volere dell’anatomista Girolamo Fabrici d’Acquapendente, teatro che ospitò le dissezioni anatomiche fino al 1872. Molte sedi universitarie potevano vantare luminari che impartivano lezioni magistrali sull’arte anatomica. Personalmente, penso che lo studio dell’anatomia al tavolo settorio resti tuttora indispensabile per la formazione non solo di medici, ma anche di coloro che comunque svolgono una professione nell’ambito sanitario. Per fortuna oggi, in molte sedi universitarie italiane, si assiste a un “risveglio” di quella voglia di andare oltre i libri e gli atlanti per insegnare l’organizzazione del corpo umano. Per concludere, mi fa piacere pubblicare una lettera scritta da una nostra allieva del master in Fisioterapia Sportiva al termine della sua prima esperienza al tavolo settorio. Un confine. Quale sarebbe stato il confine da ricercare oggi? Il confine tra due regioni anatomiche? Oppure il confine tra l’interesse scientifico e il rispetto di un individuo che con sé porta ancora un’identità culturale, religiosa, spirituale? O piuttosto il labile confine tra morte e tutto ciò che in realtà ha rappresentato la nostra vita, il nostro essere uomini? SportandAnatomy | 95 Inevitabile avere questi pensieri sin dalla sera prima di questa esperienza. Un insieme di dubbi, domande importanti che ci perseguitano fino alla mattina tanto sognata ma allo stesso tempo tanto temuta. Non è semplice mettere da parte per cinque ore il nostro lato più profondo, più sentimentale e far emergere il nostro lato professionale. Il pensiero di dover violare un corpo scompare nello stesso momento in cui si entra nella sala settoria. Si respira aria di didattica. Si pensa esclusivamente a sfruttare questa esperienza e a cogliere ogni piccola sfumatura utile ad avvicinarci ai nostri pazienti e ai loro problemi. Con il massimo rispetto i docenti cominciano a illustrare le procedure con le quali provvederanno a farci immergere in questo mondo che da etereo diventa tangibile. Sicuramente il primo impatto è stato fortissimo, cercare di sostituire l’immagine dell’addome riportata sul nostro amico atlante e riportarla sul corpo di un uomo non è semplice. Non è solo la didattica a farla da padrona, entrano in gioco una serie di componenti che si cercano di mettere da parte per non soffermarsi troppo a pensare, … sarebbe stato deleterio. Toccare con mano uno stomaco, cosa vuol dire? Limitarsi a vedere posizione e rapporti? Spingersi a pensare cosa in realtà in esso vi è transitato per 60 anni? Magari pensando alle abitudini di quest’uomo, a ciò che amava mangiare. Piuttosto che avere in mano dei polmoni il cui colorito salta agli occhi. Sono anneriti. Ed è cosi che cominciano le domande sullo stile di vita, sul fatto che potesse essere un accanito fumatore 96 | SportandAnatomy piuttosto che un fumatore passivo. Il rincorrersi di questi pensieri si blocca solo nel momento in cui ritorna chiaro l’obiettivo, conoscere per aiutare i pazienti. La parola più rappresentativa per questa esperienza è sicuramente profondità, ma non nel significato spicciolo del termine. Da un lato quella dannata terza dimensione che ci tiene lontani dalla realtà anatomica. L’incapacità di cogliere dai libri, dalle tradizionali lezioni la sottile differenza tra gli strati che ci compongono. Dall’altro la profondità di un uomo la cui anima forse risiede ancora nel corpo che stiamo studiando, scrutando fino negli interstizi più profondi. Un’esperienza quasi indescrivibile, a tratti destabilizzante, per la maggior parte dei momenti entusiasmante. Un sincero ringraziamento ai docenti che ci hanno abilmente condotto in questo viaggio didattico, consentendoci di non soffermarci sul fatto che questi uomini da un fine sono diventati un mezzo di conoscenza. Un ringraziamento particolare al Direttore del Master il prof. Marco Gesi, che con la sua tenacia è riuscito a inserire all’interno del nostro master questa indimenticabile esperienza che ci porteremo per sempre dentro di noi, un’opportunità altamente formativa e unica nel suo genere. Grazie per la professionalità e per la vicinanza che dimostra agli studenti e alle esigenze dell’odierno mondo del lavoro. Andrea De Rosa editoriale