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ECCO,
QUESTA
È LA MIA
STORIA
E
cco in due parole la mia storia. Una storia di
malanni e di speranze infrante, ma con la speranza estrema di un lieto fine. Il mio primo vero
incontro con la malattia è avvenuto all’età di nove
anni, quando un morbillo con complicanze di
nevrassite e principio di meningite mi ha costretta
a venti giorni di stato comatoso e tre mesi di isolamento dal
mondo, a causa della caduta delle mie difese immunitarie provocata dalle terapie utilizzate per salvarmi la vita.
Proprio quando arriva la frase: “non supera questa notte!”, ecco
che il misterioso corpo umano stupisce tutti con un miracoloso
risveglio.
Viene detto a mia madre che per il momento tutto sembra a
posto e che avrei potuto condurre una vita normale; se qualcosa sarebbe dovuto accadere lo avrebbe fatto “allo sviluppo”.
Nell’attesa di questo sviluppo, arrivato peraltro piuttosto tardi (il
primo ciclo mestruale l’ho avuto a 16 anni), tutte le mie malattie (influenze, tonsilliti, malattie esantematiche) le ho sempre
avute in grande stile: se l’influenza di quell’anno provocava febbre a 38°C io l’avevo a 40°C , se i distretti colpiti potevano essere l’apparato gastrointestinale o l’apparato respiratorio, gli
apparati colpiti nel mio caso erano tutti e due (in sequenza o
addirittura contemporaneamente), Se mio fratello prendeva la
varicella con due o tre pustole, io prendevo le mie e le sue …
Vulcanica, così mi definivano. Iperattiva, dico io oggi guardando indietro.
Giunto questo tanto atteso sviluppo la mia condizione cagionevole lascia il posto a disturbi della sfera emotiva; dopo uno svenimento (avevo sedici anni), infatti, si sono affacciati stati d’ansia sfociati poi in una profonda depressione.
I più erano convinti che io avessi anche l’anoressia, a causa dei
miei proverbiali cali di peso, ma chi mi conosce sa bene che non
era così. Infatti ciò che si diceva in ambienti bene informati era:
“Esther potrebbe mangiare anche un cavallo intero, non ingrasserà mai”.
Tuttavia la mia vita non era più la stessa e da allora la sua qualità non è mai più migliorata, anzi!
A peggiorare le cose ecco che interviene la mononucleosi; in un
primo momento si teme che si tratti di una leucemia fulminante, tanto erano violenti ed incontrollabili i sintomi. Dopo almeno
tre terapie diverse andate a vuoto, ecco che Mr. CORTISONE
(somministratomi con dosaggi bomba per due mesi) mette un
po’ d’ordine in tutto questo casino.
Ne esco (se mai ne sono uscita) devastata!
Alla fine di questa turbinosa esperienza, alla prima febbre, fa la
Esther Paola Tattoli
sua prima comparsa uno strano esantema che si sviluppa partendo dall’ombelico fino a coprire tutto il busto accompagnato
da tremori notturni negli arti e nella mandibola.
Dapprima diagnosticata come probabile allergia alla Tachipirina,
in assenza della Tachipirina ci si è rifugiati nella decisamente più
comoda diagnosi di “ESANTEMA VIRALE”.
I tremori invece erano una mia personalissima somatizzazione
dello STRESS.
Fissate bene nella vostra mente questa parola, perché da quella ingegnosa diagnosi tutti i miei inspiegabili problemi sarebbero stati attribuiti allo “STRESS”.
Certo uno a vent’anni è decisamente stressato!!! Tanto stressato da rovinarsi la vita con i condizionamenti psicologici; la colpa
del mio malessere generale era attribuita ora al fidanzato, ora
agli esami universitari, ora a questo, ora a quello…
Stavo male: continua sensazione di svenimento, attacchi di
panico, tremori, difficoltà di concentrazione, sbalzi di umore e
chi più ne ha più ne metta.
Intorno ai ventitre anni un dolore lancinante all’addome con febbre e naturalmente il mio immancabile esantema mi porta direttamente al pronto soccorso dove mi ricoverano in chirurgia per
una sospetta appendicite.
Io dichiaro al medico di turno di avvertire un dolore ovarico, ma
lui asserisce convinto che non avrei mai potuto distinguere un
dolore ovarico da uno appendicolare; così, tra uno spasmo e
l’altro, mi viene l’idea di stuzzicare la sua vena agonistica proponendogli una scommessa: lui mi avrebbe mandato a fare una
ecografia di controllo e se io avessi avuto ragione mi avrebbe
dovuta immediatamente trasferire in ginecologia, lasciando in
pace la mia appendice…
… Pericolo scampato per la mia povera appendice, che nulla
centrava con la cisti ovarica di quasi sei centimetri colta in flagrante a campeggiare nel mio ovaio destro; mi trasferiscono in
ginecologia dove, per quindici giorni, resto in attesa della decisione se asportare l’intrusa chirurgicamente o darle una chance
farmacologica.
Vengo dimessa con diagnosi di ovaio policistico, benché io non
avessi nessuna delle caratteristiche di patologia di ovaio policistico (ciclo irregolare, peluria in eccesso, emicrania, sovrappeso, …), e al primo ciclo mestruale la palla di sei centimetri che
occupava quasi tutto il mio ovaio destro scompare, lasciando il
posto ad una sorella minore di un paio di centimetri nell’ovaio
sinistro.
Questa cisti è diventata mia compagna di viaggio senza mai
abbandonarmi ed è tuttora con me (oggi ho trentasei anni);
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sempre monitorata con ecografie continue accompagnate da
continui doloretti e vani tentativi farmacologici di tutte le specie
per tentare di farla ridurre, è rimasta “inspiegabilmente” immutata per ben dieci anni.
Tra mille problemi, uno stato di malessere generale e due cambi
di facoltà, approdo disperata da una psichiatra facente capo ad
un centro di fama nazionale che decreta: bipolarismo, disturbi
della personalità, depressione ed attacchi di panico.
Un vero disastro! Soluzione di sicuro successo doveva essere
una terapia che prendesse di petto la mia “pazzia”:
Tegretol, Tofranil, Anafranil, EN gocce, Surmontil gocce.
La vita di un vegetale è sicuramente più densa e movimentata.
Ormai vivevo al buio, in un letto, senza vedere nessuno ed evitando rigorosamente finestre e balconi dato che l’unico effetto
sicuro dei farmaci era stato quello di alimentare il mio desiderio
di morire.
La mia situazione è decisamente più complessa del previsto,
così mi viene proposto il litio o, in extremis, l’elettroshock!!!
Fuggo a gambe levate dallo studio psichiatrico e mi trovo nel
mondo con un sacco di farmaci che non so come sospendere e
l’intero ordine degli psichiatri che non mi avrebbe mai aiutata
nella mia follia di volerne uscire…
“Pensa Esther, pensa!” – mi dicevo.
Mentre ero lì che pensavo, combattuta tra un desiderio chimico
di morire e un desiderio naturale di sopravvivere, vengo a sapere che un professore omeopata di Roma faceva miracoli con le
patologie più disparate.
Non avevo alternative, decido di tentare.
Dopo una disintossicazione durata tre mesi, il primo dei quali
passato come un tossico in astinenza, comincio a vedere la luce
in fondo al tunnel… la depressione comincia a darmi tregua,
riprendo a fare qualche esame all’università, lavoro, ricomincio
ad uscire… Non mi sento mai veramente bene. Ormai non faccio più sport, non faccio più volontariato, ma almeno guido e
sono autonoma!!!
Per cinque anni faccio Bari-Roma ogni tre mesi per fare la mia
visita di controllo, con risultati buoni rispetto al punto da cui ero
partita. Il problema è che l’omeopatia, per sua logica, ricerca un
equilibrio generale e non esprime mai una diagnosi univoca; ciò
significa che tu non sai mai di cosa soffri. Quindi, se non sai di
soffrire di qualcosa e ti senti bene, è inevitabile che smetti di
andare dal medico.
Io mi sentivo discretamente e così, stanca di viaggiare (benché
i controlli fossero ormai ogni sei mesi), smetto di andare dal
medico.
Per un po’ la mia vita percorre un letto tranquillo senza gli sconvolgimenti turbinosi che l’avevano caratterizzata fino a quel
momento, ma la speranza che la parte più difficile fosse ormai
superata si spegne quando spunta all’orizzonte una strana sensazione di inquietudine strettamente collegata alla mia condizione di malessere generale.
Non so come spiegare, non è depressione (anzi nonostante
tutto rimango una persona estremamente ottimista), ma ho
sempre paura di tutto e non riesco a rimanere in contatto con
la realtà. Comincio a non riuscire a valutare bene la relazione
tra gli impegni ed il tempo e le energie necessari per espletarli.
Ho difficoltà ad allontanarmi da casa da sola, ma, ironia della
sorte, anche a restare sola in casa.
Combatto, perché so bene che andando dai medici l’unica cosa
che posso ottenere è una prescrizione di ansiolitici e psicofarmaci… Non è depressione, lo so perché io conosco bene la
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depressione… È una strana forma di ansia; non mi abbandona
mai e non è legata a qualcosa che la scatena; senza preavviso
né motivo si trasforma in panico…
… Ho la sensazione che le sollecitazioni luminose peggiorino la
mia condizione, ma nessuno dà credito alla mia versione!!!
Nel giro di pochi anni la mia vita si trasforma in un vero incubo… Non sono più autonoma, non guido più perché la striscia
bianca di mezzeria mi dà la sensazione di ipnotizzarmi ed i
cambi di luminosità mi danno un grande disagio…
Non è più solo un fatto legato alla solitudine; io mi accorgo sempre più che non si tratta di un fatto psicologico. Se passo da un
luogo aperto ad uno chiuso illuminato con luce artificiale comincio a sudare freddo e a sentirmi svenire (più del solito, intendo)… La mia vita non è più mia… Vivo la vita degli altri che mi
circondano, pietendo compagnia ed aiuto a chiunque possa
offrirmeli…
Devo anche mascherare tutti questi problemi al lavoro altrimenti addio carriera e posti di responsabilità. Naturalmente più
aumentano gli incarichi più aumenta lo stress e così, dopo anni
di mistificazioni, decido di cercare sollievo in una “no terapy”;
cerco di convincermi che con la volontà e l’aiuto di pratiche di
rilassamento posso forse trovare la tanto anelata serenità.
So bene che si tratta solo di un tentativo, ma tanto ormai non
ho più nulla da perdere…
… Scelgo lo shiatsu… Che dire, qualcosa si è mosso… È stato
come scoperchiare il vaso di Pandora
(<<… Ma, spinta dalla curiosità, Pandora disobbedì: aprì il vaso
e da esso uscirono tutti i mali del mondo che si abbatterono sull’umanità. Sul fondo del vaso rimase solo la speranza, l’ultima a
morire.>>)!
Tremori, convulsioni, irritabilità, debolezza, tachicardia, attacchi
di panico, dolori al torace, esofagite, svenimenti, improvvisi
abbassamenti della vista, disturbi della concentrazione, dolori
lancinanti all’addome, attacchi irrefrenabili di fame, cali di peso
nell’ordine di cinque chilogrammi in una settimana, febbre con
annesso immancabile esantema, dolori alla base della gola… e
chi più ne ha più ne metta!!! La terapia scelta per me?!
Ansiolitici naturalmente! Anche e soprattutto al pronto soccorso, dove ero ormai ospite fisso a giorni alterni intorno alle quattro del mattino.
Sfidando la sorte decido di prendere parte ad un corso di aggiornamento che si teneva a Pescara (un corso verticale di trenta
ore da seguire una volta al mese di sabato e domenica). Al
secondo incontro, nella notte tra sabato e domenica, una tachicardia ininterrotta mi costringe a recarmi al pronto soccorso
dove, tra traumatizzati di incidenti stradali e tossici alcolizzati, il
medico di turno trova il tempo per visitarmi.
Con un candore quasi disarmante mi chiede: “Signora, lei ha
mai fatto gli esami della tiroide?” Era così semplice?
… Anche lui mi ha dimessa dopo avermi somministrato venti
gocce di Ansiolin, ma almeno aveva azzardato una diagnosi… Gli
sono bastati cinque minuti di attenzione alla mia persona e un
elettrocardiogramma per decretare: “È un problema di tiroide”…
Non mi è sembrato in quel momento che fosse stato così complicato per lui fare quella diagnosi, ma forse aveva studiato una
medicina diversa da quella di tutti i medici da me incontrati fino
a quel momento… Forse loro alla lezione di endocrinologia avevano saltato il capitolo “La Tiroide”.
Tornata di corsa a casa, per evitare che svanisse l’effetto calmante delle gocce, faccio i prelievi per accertare la salute della mia tiroide. Naturalmente la mia tiroide non era decisamente in salute.
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Fissato un appuntamento urgente con un endocrinologo, ecco
che arriva finalmente una diagnosi che non fosse “STRESS”: –
Morbo di Basedow – dice lui sicuro di sé ; la terapia: Tapazole
(inibitore dell’attività tiroidea) e Inderal (beta bloccante) e,
soprattutto, riposo assoluto per trenta giorni. “Lei deve passare dal letto alla poltrona e dalla poltrona al letto; non deve spostare neanche un bicchiere”.
Ero così stanca che al momento mi è sembrato uno che avesse
capito il mio problema. Dopo quindici giorni di terapia lo richiamo per dirgli che non riuscivo a respirare e che la mia stanchezza era peggiorata, cosa che neanche io credevo fosse possibile… “Mi sento morire!!!”. – Gli dico…
… “È impossibile, questo non dipende dai farmaci. Lei si è suggestionata leggendo il foglietto illustrativo. Ora io sto andando
fuori per le vacanze di Natale, al mio ritorno ci aggiorniamo.”
Abbandonata, di nuovo!!!
La disperazione si impossessa di me quando anche al lavoro
cominciano a crearmi problemi per le assenze prolungate.
Non ho altra scelta. Torno a lavorare!
Passati solo quindici giorni di full-time (dato che l’azienda aveva
rifiutato la mia richiesta di parttime o di orario continuato),
dopo una discussione d’ufficio, crollo e finisco nuovamente al
pronto soccorso dove, somministratomi un ansiolitico, mi mandano a casa con indicazione di riposo assoluto.
Inutile dirvi che non ho più lavorato con quell’azienda perché
non ero gradita da ammalata. La vita lavorativa ha dei ritmi da
rispettare che non vanno d’accordo con la malattia.
Non pensavo che la mia condizione potesse peggiorare più di
quanto già non fosse avvenuto ed invece non c’è mai limite al
peggio; così decido di andare da qualcuno che potesse dare sollievo alla mia condizione ormai disastrosa (non riuscivo più
neanche a stare in piedi).
Cerco di avere appuntamenti urgenti presso i centri più conosciuti
d’Italia. Ovunque ci sono mesi di attesa, ma ecco che ad Ancona
c’è una rinuncia che mi lascia la possibilità di essere visitata la
settimana successiva. Naturalmente mi precipito speranzosa!
Dopo accurata lettura dei miei ormai quattro fascicoli di curriculum medico e visita a pagamento ecco arrivare il vaticinio:
“La sua tiroide è piccola, ma cattiva. Per averne ragione
dovremmo metterci almeno due anni in cui lei certo non starà
bene. Io le consiglio di toglierla e lei potrà vivere benissimo con
l’ormone sostitutivo.”
Ribadisco che io non mi reggevo sulle gambe e quasi questa
sembrava anche a me fosse l’unica soluzione!!!
Una nuova speranza di guarigione si accende nel mio cuore
ormai provato da almeno tre anni di tachicardie continue…
Un intervento di asportazione della tiroide prescrittomi, dico
oggi con senno di poi, con una leggerezza disarmante, quasi
che questa tiroide possa essere considerata quasi inutile e
sostituibile da una piccola compressa.
Era tale il livello di disperazione e sfinimento che avrei fatto
questo intervento anche se mi avessero detto che le possibilità
di sopravvivenza erano minime… Tanto io ero già morta!!!
In pochi giorni prenoto la visita dal chirurgo, faccio tutti gli
accertamenti, concordo la data dell’intervento (tutto questo
rigorosamente a pagamento per evitare le lunghissime liste
d’attesa di mesi). Non posso aspettare, sto ormai così male che
non mi alzo dal letto più neanche per mangiare.
Nei giorni immediatamente precedenti l’intervento un guizzo di
benessere sia pur minimo attraversa la mia vita, forse perché il
trattamento preparatorio prescrittomi prevedeva Mr. CORTISONE in dosi da cavallo!!!
Solo dopo avrei capito perché quella miglioria così repentina…
ma ci arriveremo.
Il 15 Dicembre 2005 giunge il tanto sospirato giorno che doveva segnare per me l’inizio di una nuova vita fatta di benessere,
energie ormai dimenticate, scomparsa di tutti i sintomi che
accompagnavano la mia giornata ventiquattro ore su ventiquattro.
Questo sogno dal sapor di miracolo si infrange venti giorni più
tardi sul referto infausto dell’esame istologico: “Carcinoma
papillifero bifocale, non capsulato, variante follicolare…”. Un
tumore maligno… o mio Dio!!!
Non cercherò neanche di descrivervi emozioni e sentimenti che
hanno percorso la mia mente, ma non potrò mai dimenticare la
facilità e la sufficienza con cui i medici decretavano: “Non si
preoccupi signora, tra tutti i mali questo è il minore, si cura con
esiti eccellenti di guarigione totale. Basta fare una radioterapia
metabolica mirata che non ha gravi effetti collaterali ed in poco
tempo lei tornerà come nuova”.
In realtà tutti i miei sintomi erano ancora lì abbastanza immutati. Ma ero convinta anch’io che fosse troppo presto per vedere gli effetti benefici dell’aver tolto la tiroide.
Iodio 131 preso per bocca che si fissa sulle cellule di tipo tiroideo e le distrugge. Sembra facile anche a voi, vero!? A me
l’hanno presentata quasi come una passeggiata, ma… avevo
appena cominciato a prendere la mia compressa di Eutirox (così
si chiama l’ormone sostitutivo) che già la dovevo sospendere
per poter effettuare una scintigrafia con contrasto.
Certo non ci voleva… e proprio quando dovevo cominciare ad
assistere alla mia fantomatica ripresa…
… Quattro settimane senza ormone tiroideo, un viaggio fino a
Bologna (dove era libero un posto per me a causa di una rinuncia), una compressa radioattiva ed un esame della durata di
una ventina di minuti per rilevare eventuali metastasi nel resto
del corpo. Facile no!?
Non ci sono vie alternative da percorrere, quindi perché farsi
tante domande. In casi come il mio la procedura è questa e la
persistenza di alcuni dei miei vecchi sintomi è da ricercarsi in un
aumento dell’ansia legato alla notizia del carcinoma.
Adesso c’è anche un motivo vero per attribuire tutti i miei problemi irrisolti allo STRESS, quindi ora davvero più nessuno presta attenzione alle mie richieste d’aiuto.
Devo comunque combattere la mia battaglia con il tumore,
quindi sospendo l’ormone ed inizia una nuova vita fatta di attese interminabili: l’arrivo della data dell’esame diagnostico, l’arrivo dell’esito, il reinvio allo specialista del referto, l’arrivo della
sua lettura e della lettera contenente la terapia.
Diligentemente, ma non priva di senso critico, faccio tutto ciò
che mi viene prescritto e su indicazione degli specialisti interpellati prenoto anche la radioterapia. Sono anche fortunata perché nel periodo a ridosso delle vacanze pasquali del 2006 c’è
stata una rinuncia… ed il periodo cade da lì a quattro settimane, per cui è sufficiente una settimana di assunzione di
T3–20Gamma ed una sospensione totale di ormoni di ulteriori
tre settimane ed è fatta. Facile no!?
Ero in sospensione di ormone già da un mese e me ne aspettava un altro. Ancora oggi non so come ho fatto a sopportarlo,
ma era l’unica cosa da fare e poi, quasi quasi, tutti i miei rallentamenti mi davano un po’ di respiro.
Alle soglie della radioterapia le gambe mi si paralizzavano, non
riuscivo più ad esprimere una frase di senso compiuto, perdevo la memoria, per non parlare del salire le scale di casa, fare i
servizi, cucinare o più banalmente mangiare. Tutto era un peso,
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perfino respirare. La velocità con cui mi muovevo era inferiore a
quella della vecchina di 106 anni che abitava al piano di sotto…
La invidiavo quando la vedevo salire le scale con la busta della
spesa in mano. Lei ci metteva mezz’ora a fare due rampe, ma
almeno non doveva anche sedersi a metà percorso per riprendere fiato come invece dovevo fare io…
Comunque, fatta la valigia, parto per Bologna determinata a portare fino in fondo la mia battaglia, totalmente ignara del fatto che
una sola sessione di radioterapia non sarebbe bastata a nulla.
Dopo aver dato il mio consenso informato ad essere chiusa in
una stanza per quattro giorni senza poter avere contatti con il
mondo esterno, mi danno un bussolotto di piombo in cui era
contenuta la mia compressa salvifica e mi assegnano il letto che
mi avrebbe ospitata per quasi una settimana. Intorno al letto
barriere anti radiazione e con me altre due povere appestate
che però non mi sembravano stare poi tanto male.
Gonfia come una zampogna e di un bel colorito giallo verdognolo, avevo chiesto se questa terapia potesse presentare
controindicazioni particolari, ma la risposta era stata:
“Assolutamente no, a parte un po’ di nausea e qualche sintomo
ansiogeno.”.
Tutto mi dava fastidio lì dentro: l’odore delle lenzuola di carta, il
disinfettante del bagno (credo potentissimo, visti gli obblighi di
fare i propri bisogni appoggiati al vaso e di disinfettare prima e
dopo. Era così forte il malessere di quel disinfettante che avrei
volentieri evitato di andare in bagno, ma non potevo perché la
radiazione si scarica attraverso l’urina e le feci!!!
La mia bocca era un fuoco, gli occhi mi facevano male e la nausea era così forte che mi sono fatta dare una compressa di
Plasil, mai l’avessi fatto; più bloccavo il vomito e più stavo male,
ma noi non dovevamo vomitare perché tutti i nostri liquidi organici erano radioattivi ed avrebbero inevitabilmente contaminato
tutta la stanza per oltre un mese, togliendo ad altri la possibilità di curarsi…
Chiedevo alle altre compagne di stanza se per caso stessero
come me, ma i loro sintomi non erano così severi; loro leggevano, lavoravano sul portatile, chiacchieravano al cellulare con i
fidanzati…
Stanche sì, ma non moribonde! Mi sentivo male, ma ormai ero
lì, cosa potevo fare… Contavo le ore, poi i minuti e finalmente
quella porta si aprì… Ero sopravvissuta anche a questa terapia
senza particolari effetti collaterali. D’altronde io avevo sulle
spalle due mesi di sospensione di Eutirox e non solo uno!!!
Tornata a casa vomitavo una schiuma biancastra con tracce di
sangue, ma secondo la dottoressa della medicina nucleare non
aveva a che fare con la radioterapia, era solo una forma di gastrite dovuta allo STRESS; e con la radioterapia non centravano
neanche le mestruazione di un inquietante colore nero venutemi
con un anticipo di quindici giorni; anche quello era STRESS.
A terapia avvenuta mi ripetono la scintigrafia, questa volta
“Total body”, e dopo un mese di ansiosa attesa arriva a casa il
referto: sovrapponibile alla prima scintigrafia indagativa, nessuna metastasi rilevabile.
Potevo ricominciare a respirare ed a costruire finalmente le mia
ripresa. Nel frattempo l’ormone andava in accumulo e io avrei
dovuto cominciare a vederne i benefici.
Mi sentivo costantemente con le mie compagne di disavventura
e loro mi raccontavano dei progressi fatti durante la convalescenza. Un passo per volta e con un po’ di pazienza ogni giorno
facevano qualcosa in più del giorno prima.
Io no! Perché io no!?
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Stavo male, anche peggio di prima dell’intervento… Al pronto
soccorso non ci andavo neanche più, sapevo già la diagnosi e la
cura… a che pro disturbare la mia famiglia!
Sbalzi di pressione, palpitazioni, astenia, sensazione di freddo
intenso anche ad agosto, dolori addominali, dolori nelle gambe,
difficoltà digestive, difficoltà di concentrazione, perdita di
memoria, dismenorrea, stipsi, dolori esofagei, periartrite, l’immancabile esantema e perfino tre new entry: dolori alla colonna vertebrale, copiosa perdita dei capelli e afasia (tutti e tre
comparsi guarda caso dopo la radioterapia).
Secondo i medici dovevo solo dare il tempo all’organismo di
ristabilirsi; avevo pur sempre subito una radioterapia. In più
non stavo neanche lavorando, quale momento migliore per
darsi tutto il tempo di convalescenza necessario. Peccato che le
loro parcelle non fossero gratuite in virtù delle mie disavventure lavorative!!!
Ci sarebbe voluto forse anche un anno per riprendersi. Ma come
un anno!!! Sembrava tutto così facile; la tiroide era così egregiamente sostituita dall’ormone sintetico che quasi se ne poteva fare a meno ed ora viene fuori che invece sovrintende a quasi
tutte le attività endocrine del nostro corpo. La radioterapia non
doveva avere alcun effetto collaterale a lungo termine (tranne
in rari casi una possibile leucemia e la possibile insorgenza di un
tumore ovarico nell’arco dei dieci anni successivi la somministrazione) e poi viene fuori che poteva essere la causa della mia
astenia assieme all’insorgere di uno stato depressivo; teoria
quest’ultima sostenuta dal fatto che lamentavo un’astenia più
marcata nella fase iniziale della giornata e che dopo aver carburato migliorava.
Non credevo più ad una sola parola di quello che mi veniva
detto, ma più questo comportamento scettico era marcato e
più ai loro occhi ero una ipocondriaca a cui non dare alcun
credito.
Mi sentivo trattata con sufficienza, come se la mia capacità di
discernimento e di valutazione non avesse alcun valore. Come
se il mio stato di salute reale non avesse alcun peso rispetto alle
carte.
“Le analisi parlano chiaro” – dicevano. Come se la medicina
potesse essere considerata una scienza esatta. Non importa tu
chi sia, cosa abbia studiato, come ti senta; a parte la domanda
– “Lei è un collega?” – di te non gli interessa null’altro; saranno
le analisi a parlar loro di te. Anzi tu potresti non esserci proprio.
Visitarti? A che serve senza aver prima visto le analisi.
“Mi mandi per lettera l’esito delle analisi e riceverà una risposta
contenente la terapia”.
Certo un ottimo modo per globalizzare il proprio bacino di utenza di pazienti, ma quando tu ti senti molto male come fai!?
… Chiami il medico e ti rispondono che devi prendere un appuntamento telefonico con lui per la settimana successiva nell’orario di ricevimento delle telefonate.
Certo, se il tuo problema è solo quello di ribilanciare una terapia ormonale, settimana più settimana meno non fa una gran
differenza, ma se tu devi dirgli che ti senti morire, bene in quel
caso è un po’ diverso.
Forse però mi sbaglio io, ti dici. Forse hanno ragione loro nel dire
che mi sono fissata. Stai quasi per cedere, quando una voce
dentro di te ti dice di non arrenderti (si chiama istinto di sopravvivenza).
Eccoti di nuovo al punto di partenza alla ricerca di un altro medico che ti ascolti, che dia credito al tuo stato di malessere, che
faccia il suo dovere di medico e dimostri di avere in comune con
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te almeno una cosa: l’obiettivo di guarirti o per lo meno di farti
stare meglio.
Ti agiti tanto che chi ti sta intorno se ne accorge e ti segnala un
caro amico, un bravo specialista, coscienzioso e soprattutto
umano. Questa volta sarà quella giusta, dici in cuor tuo, ed
armata di nuova speranza fissi l’ennesimo appuntamento.
Ed eccomi, a quattro mesi dalla radioterapia, più morta che
viva, il mio endocrinologo in vacanza, recarmi trepidante da un
nuovo Professore. Sono estenuata e con me tutta la mia famiglia. So che non ci crede più nessuno, ma mi assecondano perché sono impotenti e non possono fare altro che accompagnarmi e sperare che questa sia la volta buona per darmi sollievo.
Forse sembro un po’ pazza anche a loro, ma sapete com’è la
famiglia, non può dirtelo!
Questa volta (rigorosamente studio privato) vengo scrupolosamente visitata, vengono letti tutti i miei quattro fascicoli (forse
perché presentata da amici medici penso io tra me e me) e mi
viene prescritta una lista di analisi lunga due pagine per indagare ogni possibile distretto del mio corpo e viene anche azzardata una ipotesi: “L’ormone tiroideo è troppo per il suo peso.
Sarei propenso a diminuirlo, ma vediamo prima le analisi”.
Con la massima urgenza, trovandoci ormai alle soglie dell’estate, faccio tutti gli accertamenti richiesti e dopo un’attesa di venti
giorni ricevo gli esiti. Torno dallo specialista che immerso nel
suo silenzio si concentra e legge tutti i risultati. “Non c’è nulla
di particolare – dice – se non queste anomalie sui valori legati
al sistema immunitario. Vorrei indirizzarla da un collega più
esperto di me in questo campo e chiamarlo a consulto.”.
Ero felice. Vi sembra strano? Lo so, ma è così! Finalmente qualcuno approfondiva qualcosa, che sicuramente è meglio di niente. Per la prima volta in vent’anni la prima risposta non era
stata: “È STRESS”.
Mi reco così in gran fretta dal Professore immunologo chiamato a consulto dall’endocrinologo che, dopo una breve intervista
ed aver scorso le analisi, risponde scrivendo al collega: “Non si
rilevano segni clinici e di laboratorio di patologie a carattere
autoimmunitario. Gli autoanticorpi ANA 1:160 e APCA rappresentano un epifenomeno associato al Basedow. Solo follow-up
semestrale.”
Non avevo anche un lupus o roba del genere e così rincuorata
torno dal Professore endocrinologo che, preso atto dell’esito del
consulto e dichiarando apertamente di non concordare con i
colleghi sulla faccenda del TSH (ormone ipofisario addetto a stimolare il funzionamento della tiroide) da tenere con un valore
pari a zero nei casi come il mio, mi assegna una terapia in riduzione dell’Eutirox.
“Faccia un’estate tranquilla e poi ci aggiorniamo”. In quell’estate tranquilla ho dovuto affrontare un trasloco, per il principio
secondo il quale i guai non vengono mai da soli, ma le cose
sembravano nonostante tutto andare lievemente meglio.
Almeno i tremori e gli sbalzi di pressione mi lasciano un po’ di
tregua. Ho pensato che in quel momento fosse l’inizio del tanto
anelato miglioramento.
Per fortuna, però, m’imbatto, non ricordo come, in un articolo
dell’Associazione Italiana Malati di Cancro che parla dei tumori
tiroidei e delle terapie messe in atto per curarli e dell’importanza che giocano in tali terapie i valori del TSH che devono essere tenuti il più possibile prossimi allo zero.
Eccomi di nuovo a chiedermi cosa fare; erano passati appena
un paio di mesi, avevo ripreso a lavorare e le mie analisi di routine dicevano che il mio TSH era 16 (un valore forse troppo alto
anche per una persona in condizioni normali). Non avevo scel-
ta dovevo affidarmi al migliore centro italiano per la cura della
tiroide: Pisa.
Fisso l’appuntamento presso lo studio privato di uno specialista
pisano che fa capo all’ospedale ed in una settimana vengo ricevuta e visitata. Dopo un po’ di occhi storti, tesi a non parlare
esplicitamente male dei colleghi ma a far capire che non hanno
svolto propriamente quel che si può chiamare un buon lavoro,
mi viene detto che innanzi tutto è necessario verificare i possibili danni fatti da un così prolungato periodo di sottodosaggio
dell’ormone e che probabilmente si sarebbe resa necessaria,
oltre alla scintigrafia, una nuova sessione di radioterapia a prescindere dagli esiti dell’indagine che mi accingevo a fare… “La
metto in lista e le invio una lettera contenente tutte le informazioni che le saranno necessarie. Nel frattempo lasci il dosaggio
ormonale invariato altrimenti non capiremo più nulla e prenda
la pillola anticoncezionale. Sa la diamo a tutte, sia per regolarizzare il ciclo in un momento in cui gli squilibri ormonali tiroidei lo influenzano, sia per evitare una gravidanza indesiderata
durante i periodi di terapia radiante.” “Ha senso.” – ho pensato
in quel momento.
Ecco però ricomparire le lettere e le attese; ma cosa fare!? Pisa
è centro di eccellenza in Italia se non addirittura in Europa per
la tiroide. Dimostrerei tutta la mia ipocondria facendo troppe
domande e poi non c’è altro modo di comunicare a ottocento
chilometri di distanza. È deciso, lasciamo fare a chi vede passare cinquecento persone al giorno.
Sto sempre peggio, ma lo dicono tutti che per chi ha problemi
di tiroide l’autunno è il periodo peggiore e così con questa motivazione passa un altro Natale, perdo un altro lavoro (tra le
assenze per malattia e quelle per i controlli); sono sempre più
stanca, sono gonfia ed alterata ed il colore della mia faccia è
sempre più vicino a quello di un lenzuolo bianco appena candeggiato.
Arriva la lettera tanto attesa da Pisa: Febbraio. È a Febbraio che
mi faranno la scintigrafia con questo nuovo sistema del TSH
ricombinante umano in modo da evitare la sospensione
dell’Eutirox. Una settimana a Pisa e passa la paura. Tutto a mie
spese il soggiorno, tutto a carico dei contribuenti la settimana
di day hospital necessaria per le indagini. Io ho speso tra viaggio, pasti ed albergo circa millecinquecento euro, i contribuenti
sicuramente molti di più. Ma per fortuna i miei sforzi economici e quelli della Nazione, che sentitamente ringrazio, hanno portato ad… un nulla di fatto!!!!!!
La scintigrafia dava esito sovrapponibile alla precedente, si rendeva pertanto necessario ripetere una nuova radioterapia per
distruggere i residui di tessuto presenti in loggia tiroidea e le
mie analisi erano perfette. Nulla di fatto quindi… Duemila prelievi al giorno per una settimana per sentirmi dire che stavo
benissimo.
Vi meraviglia che non fossi felice!? Il problema è che quello che
le mie carte dicevano al medico non corrispondeva alla realtà
del mio stato di salute. Il malessere è al suo apice. Dopo la
compressa radioattiva tracciante ecco un nuovo crollo della mia
condizione generale: una tosse secca e stizzosa che esplodeva
ad ogni cambio di posizione, dolori addominali, astenia tra le più
severe che avessi conosciuto, nausea continua, vertigini e sensazione di svenimento pressoché continue, difficoltà a deambulare, dolori muscolari, dolori al torace, un prurito intensissimo
in tutta la zona della cicatrice alla gola e dulcis in fundo un fastidiosissimo quanto spossante fenomeno di spotting (perdite
ematiche tra un ciclo e l’altro); non dobbiamo poi mai dimenticare il mio amico esantema.
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Tutto ciò mi spinge a chiamare lo specialista a Pisa per chiedere lumi sulla lettura degli esiti delle mie innumerevoli analisi
(avevo ripreso per l’ennesima volta a lavorare e non avevo
neanche la forza di alzarmi dal letto)… non l’avessi mai fatto…
La sua risposta? La ricordo come fosse oggi e ricordo anche che
mi ha fatta piangere di rabbia e delusione: “Signora ma non
secchi, ma la smetta. Ho qui le sue analisi e lei sta meglio di me.
Tra i nostri pazienti abbiamo piloti di aerei, agonisti di sci e fior
di sportivi che hanno la sua stessa patologia e tutti conducono
la loro vita regolare. Lei è solo depressa e deve solo riprendere
una vita normale, vada a lavorare e la smetta con tutte queste
storie. Le spedisco gli esiti delle analisi non appena complete, la
saluto” e chiude il telefono.
Umiliata? Delusa? Violentata? Non saprei dire quale fosse il sentimento prevalente. So solo che non volevo vederlo mai più e
che io stavo male davvero e non nella mia testa; era solo sempre più difficile farlo credere anche agli altri!!!!!
Di nuovo sola e sempre più disperata chiamo il mio ginecologo,
nonché amico, e gli spiego la mia situazione e che sto assumendo una pillola anticoncezionale senza aver fatto alcuna analisi.
Naturalmente, come solito fare, mi chiede di andarlo a trovare
così avremmo potuto parlarne di persona e avremmo approfittato per fare il solito controllo annuale (soprattutto alla luce di
tutte le radiazioni subite).
Il solito controllo annuale naturalmente non dà esito negativo:
c’è un polipo cervicale piuttosto grosso (ecco spiegato lo spotting) e le anse intestinali dovute a molta aria nell’intestino non
consentono di verificare bene le pareti uterine. Mi consiglia perciò di effettuare una polipectomia ed in quell’occasione una isteroscopia esplorativa con biopsia e preventivamente una colposcopia… Di nuovo ospedali!!!
Il terzo ricovero in sei mesi. Questo perché sto bene.
Immaginatevi cosa sarebbe stato se fossi stata male. Ma non
voglio polemizzare, voglio solo farvi immaginare il mio stato d’animo.
Non ero affatto lucida, perdevo la memoria e non mi reggevo
sulle gambe; qualche notte poi proprio non riuscivo a respirare,
tanto che mi mettevo davanti alla finestra e tiravo qualche
respiro profondo di aria fresca della notte. Tre o quattro respiri
mi bastavano per andare in iperventilazione e scatenare i tremori, ma dovevo scegliere: o i tremori o la sensazione di soffocare… Meglio i tremori direi!
In due settimane fisso l’interventino di polipectomia. Per i medici, naturalmente, la mia ansia era assolutamente immotivata,
data la banalità dell’intervento ormai di routine e privo di qualsiasi complicazione. Quello che non potevo far capire loro era il
fatto che non ero assolutamente preoccupata dell’intervento in
quanto tale, ma dei tempi lunghissimi di ripresa che il mio corpo
aveva dimostrato di richiedere anche per un banalissimo raffreddore, figuriamoci per smaltire anestetici, antibiotici, antinfiammatori e così via.
Ma perché dirglielo! Il solo risultato che avrei ottenuto sarebbe
stato quello di essere trattata come una patetica ipocondriaca,
bisognosa di conferme da parte di boriosi medici pieni di sé.
Ormai li riconoscevo al primo approccio; al primo: “Signora non
dica fesserie” già sapevo che l’ascolto del paziente non era propriamente una loro dote e così gli davo giusto la chance di stupirmi con una strepitosa preparazione. La genialità in cambio di
un po’ di mancanza di bon ton avrei potuto ben tollerarla. Aimè
però quello che più spesso ho trovato è stata la mancanza di
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bon ton miscelata con una assenza pressoché totale di umiltà,
parola e sentimento a loro completamente sconosciuti.
Scusate ma è estremamente difficile per me, sapendo ciò che a
voi devo ancora raccontare, non polemizzare o diventare
aggressiva con coloro che si sono assunti, con tanta leggerezza, la responsabilità di rovinarmi la vita e per questo sono oggi
impunibili ed impuniti e, peggio ancora, inconsapevoli del danno
arrecatomi.
Ma torniamo alla narrazione di quella che perfino a me sembra
una storia inverosimile, se non quasi impossibile, eppure comune a tanta più gente di quella che potete immaginare.
Non avevo ancora ricevuto gli esiti delle biopsie effettuate in
ginecologia, che mi trovo costretta a cercare uno specialista in
grado di risolvere, ricordate, il “PROBLEMA TSH” lasciato immutato da Pisa, in attesa di quei famigerati esiti che dopo due mesi,
però, ancora non mi giungevano a casa.
Dopo mille telefonate scopro anche che non mi sarebbe stato
inviato nulla, se non fosse rientrato dagli Stati Uniti (dove si trovava per un corso di trenta giorni) il medico di riferimento che
mi aveva “seguita” in reparto (la cui firma era necessaria per
poter spedire il referto di dimissione ed il cui esito mi era già
stato così brutalmente anticipato telefonicamente ad una settimana dagli accertamenti). Tutto il mondo è paese, recita il detto
popolare!
Sfinita ed ormai completamente sfiduciata decido che forse
Padre Pio è l’unico che per me possa fare qualcosa e così, sull’onda delle grandi cose che si narrano dell’Ospedale di S.
Giovanni Rotondo e delle sue attrezzature all’avanguardia, chiedo di essere visitata presso il reparto di endocrinologia
dell’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza. Ormai esperta di
tutte le procedure, in una settimana ottengo un appuntamento
in regime di intramoenia con il Primario.
Dopo una visita accurata e visione approfondita dei miei ormai
cinque fascicoli di documentazione medica, vengo affidata al
medico esperto in materia di oncologia tiroidea, che è addirittura in stretto contatto con il centro di eccellenza mondiale per la
ricerca di Parigi.
Mi chiedo come mai non ci fossi andata prima a S. Giovanni
Rotondo ed accetto di buon grado un ricovero, l’ennesimo, dove
mi viene assicurato che fino a quando non avessero capito le
ragioni del mio malessere non mi avrebbero dimessa.
Si, lo so… vi sembro completamente sciroccata! Essere felice di
essere internata a tempo indeterminato, a duecento chilometri
da casa e senza uno straccio di ipotesi di diagnosi! Che dirvi, ero
all’apice della mia disperazione e vicinissima a gettare la spugna.
Il tempo indeterminato si trasforma in tempo determinato a
quattro giorni dal mio ricovero. Non avevo nulla di grave, ma io
mi sentivo morire e così pongo, quasi temendo la risposta, la
fatidica domanda: “Ma allora questa mia astenia da cosa dipende, dottore?” ed ecco giungere, con un candore disarmante, l’unica spiegazione che mi ero sentita propinare per vent’anni: “È
sicuramente dovuta ad una componente psicologica legata a
tutto quello che le è capitato, tuttavia fisicamente lei sta bene;
anzi le dico che, se lei volesse, questo sarebbe il momento
migliore per fare un figlio. Auguri Signora.”.
Per nulla serena e tantomeno rincuorata da queste splendide
notizie, mi ritrovo a chiedermi se realmente non avessero ragione tutti loro e se io non fossi ormai incapace di gestire le mie
emozioni e di riconoscere la differenza tra un malessere fisico
ed uno a matrice psicologica.
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Non ho più forze; mi trascino al lavoro, ma so che non durerà
ancora a lungo; non ho più neanche tanta voglia di vivere dato
che ormai perfino respirare è un’azione faticosissima per me. I
miei sintomi sono tutti là, immutati se non addirittura peggiorati. Più peggiora l’astenia, più mi viene aumentato l’ormone
tiroideo; come se poi servisse!
Sono stata un’accanita sportiva io e so bene quando il mio
corpo non ha più energie da mettere a servizio della mia irrefrenabile voglia di agire, ma questa volta la sensazione è che il
mio corpo mi stia proprio abbandonando.
La mia frase – “Aiutatemi, perché mi sento morire!” – comincia
a sembrare sempre più reale anche a me. Passo tutto il giorno
a letto immersa in una specie di letargo e nulla riesce a smuovermi. Perfino la mia necessità di urinare è scomparsa. Vado in
bagno solo se qualcuno me lo ricorda e non sento più neanche
i più elementari bisogni primari: mangiare, bere, vedere la luce,
respirare.
Conduco ormai una vita inutile e mi convinco sempre più che,
se questa deve essere la mia condanna, tanto vale che nostro
Signore mi chiami a Sé. Non voglio più vivere così e, proprio
quando ormai cominciavo a rassegnarmi all’idea di essere
depressa e senza speranza di guarigione, ecco levarsi una voce
dalla stanza affianco che mi dice di aver trovato su internet la
storia di una ragazza che sembra identica alla mia.
Esausta e sfiduciata leggo queste due paginette, senza riporvi
troppe speranze; ormai sono diventata brava nel non farmi illudere da false speranze! Le prime righe non mi dicono nulla, ma
vengo esortata ad andare avanti nella lettura e scopro con stupore che la cosa che avevamo in comune con questa sconosciuta non erano tanto i sintomi, quanto le disavventure mediche, i lunghi pellegrinaggi dagli specialisti più disparati e dulcis
in fundo la immancabile diagnosi di STRESS e depressione.
Non sono più sola; c’è almeno un’altra persona come me nel
mondo!!!
Peccato che io non sappia il suo nome, la sua e-mail, il nome
del medico che lei dice aver compreso il suo problema. Tutto è
riportato su questo sito piuttosto famoso, alla cui mailing-list
sono iscritta, in forma assolutamente anonima. C’è solo nel suo
racconto il nome del paese dove questo medico opera ed il
nome del protocollo medico internazionale a cui il suo operato
fa riferimento.
Grazie ad una ricerca incrociata e a qualche telefonata rintraccio lo studio medico ed ottengo un appuntamento. Questa volta
non è così semplice, perché il dottore visita allo studio privato
una volta a settimana e l’attesa è lunga. Presso l’ambulatorio in
ospedale è anche peggio e così, dopo aver spiegato la mia
situazione alla persona che mi ha risposto al telefono, prendo
nota dell’appuntamento fissato di lì a due mesi, senza però
nutrire alcuna speranza di successo sulle mie ormai invalidanti
“patologie psichiche”.
Passata una settimana, tra dolori lancinanti all’addome e un’astenia senza precedenti in tutta la mia storia, ricevo una telefonata nella quale mi si chiede di anticipare la visita all’indomani (si era liberato un posto a causa di una rinuncia) ed in considerazione del fatto che, saputo della mia condizione, il dottore aveva ritenuto di dovermi visitare con urgenza, la mia risposta immediata non poteva che essere: “Accetto. Ci sarò.”.
L’indomani mi reco all’appuntamento avendo fatto un lungo
lavorio su me stessa: non dovevo assolutamente aprir bocca,
dovevo vedere cosa aveva da dirmi quest’altro ... (Mi scusi dottore, non me ne voglia, ma è quello che pensavo!)
Anche qui duecento chilometri da casa. Per me era un vero
viaggio, un tempo interminabile, una stanchezza che non si può
descrivere con le parole. Arriva il mio turno. Entro nella stanza,
saluto, porgo al medico i miei cinque fascicoli e mi chiudo in un
mutismo quasi indisponente. “Starò risultando anche odiosa,
ma chi se ne frega.” – ho pensato.
In modo assolutamente inaspettato e con una calma proverbiale il dottore sposta i miei preziosissimi fascicoli senza neanche guardarli e comincia a farmi una serie di domande del tipo:
“Lei ha questo? Lei ha quello? …”.
“Ragazzi ce le ho tutte, ce le ho!” (parafrasando il famoso comico). Ed è vero, fatta salva qualche domanda, le mie risposte
furono tutte “SI”. Neanche il mio ostruzionismo aveva potuto
proteggermi… lui forse leggeva nel pensiero!?
No! Non si trattava di un paragnosta, bensì dell’applicazione di
un protocollo internazionale che comprendeva una checklist
contenente tutte quelle domande.
“Lei è allergica al nichel. – esordì – Tutti i suoi problemi derivano da un’allergia alimentare. Vorrei applicarle un cerotto per
verificare alcune allergie e poi pianificare un ricovero, perché
sospetto che non sia solo il nichel il suo problema.”.
Il nichel? Perché, a parte che sulla tabella periodica degli elementi appesa a scuola in laboratorio di chimica, si trova anche
nei cibi? Dovevo tenere, se possibile, il cerotto per due giorni e
poi tornare in studio a toglierlo e verificarne l’esito.
Inutile a dirsi… l’indovino aveva indovinato. Patch test positivissimo al nichel e lievemente anche al cromo. Avevo anche
avuto una “reazione sistemica alla semplice sollecitazione
transdermica”, che in parole povere vuol dire che il fatto di
vedere annebbiato, di sentirmi un tantino confusa e terribilmente stanca dipendeva dalla reazione allergica e così vengo
subito spedita in ospedale a farmi somministrare antistaminico
e cortisone.
È stato in quel momento che ho capito che non era Padre Pio
che si era dimenticato di me, ma ero io ad aver sbagliato paese:
dinanzi ai miei occhi si staglia il Presidio Ospedaliero “S. Pio”,
che rischia la chiusura a causa degli scellerati piani dell’ex
Presidente della Regione Puglia: Fitto.
Che scoop… Io allergica! Un’ipotesi che non aveva mai sfiorato
nessuno specialista da me interpellato e regolarmente pagato,
ivi compreso il professore immunologo del Policlinico di Bari.
Mandata a casa con prescrizione di dieta restrittiva in attesa del
quinto ricovero in sei mesi, comincio lentamente a realizzare
che non sarebbe stata in discesa la strada da percorrere; ma
che fare!? …
Come sempre non avevo alternative e così inizio il giorno stesso la mia dieta di restrizione. Quindici giorni dopo un guizzo di
energie attraversa la mia vita e riesco perfino a fare il cambio
di stagione.
Non potevo crederci ma finalmente a tutti i miei “giorni no” ogni
tanto si alternava un “giorno si”.
Non mi sento bene, ma almeno non mi sento morire!
Pochi posti letto per una quantità enorme di richieste. Mi aspettava una lunga attesa, ma ero pronta… Chissà forse questa
volta era vero che mi avrebbero rivoltata come un calzino!
Il 13 Giugno 2007 alle ore 14:00, ad un anno e mezzo dal mio
intervento di tiroidectomia, arriva la telefonata per un ricovero
immediato ossia quel pomeriggio stesso.
Dopo dieci giorni di ricovero, durante i quali tutti gli specialisti
della medicina generale dell’Ospedale “S. Pio” chiamati a consulto hanno potuto dare il loro contributo alla valutazione del
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mio caso, vengo dimessa con diagnosi di “Sindrome di
Sjögren in paziente tiroidectomizzata ed in trattamento
sostitutivo, con documentata allergia sistemica al nichel
solfato (SNAS), gastrite biliare e secondaria intolleranza
enzimatica al lattosio in quadro genetico di suscettibilità
alla enteropatia glutine-dipendente. Cisti ovarica.”.
Ecco svelato l’arcano! Ecco il vero motivo della mia astenia,
della mia ansia, del mio amico esantema e di tutta la sequela di
sintomi che hanno implacabili ed irriducibili accompagnato la
mia vita per vent’anni senza mai trovare una spiegazione che
non fosse: STRESS.
Io non sono ipocondriaca e tantomeno depressa e stressata, se
non limitatamente a colpe da attribuire alla vostra superficialità, egregi dottori!
Io sono geneticamente incapace di metabolizzare correttamente il glutine, allergica ad un metallo ubiquitario e ormai malata
di patologie per le quali non esiste una cura dagli esiti definitivi, soprattutto in vista del fatto che sopprimere il mio sistema
immunitario (come sarebbe richiesto dalla terapia per la patologia autoimmune sistemica) non va d’accordo con il carcinoma
(così mi pare di aver intuito) ed una eventuale somministrazione di radioterapia avrebbe effetti devastanti sul mio corpo già
così provato!
Non ero fissata quando dicevo che mi sentivo morire; io stavo
morendo… avvelenata!
Arrabbiata? Si, sono arrabbiata. Arrabbiata per quella vita negata che la mia condizione non mi ha permesso di fare. Arrabbiata
per tutto il tempo perso ad inseguire quel benessere che per i
più è dato per scontato.
Arrabbiata per essere arrivata troppo tardi ad una spiegazione
voluta e cercata veramente solo da me.
Arrabbiata perché i veri responsabili di questa mia situazione
così degenerata ne sono completamente inconsapevoli.
Arrabbiata perché la cosa a cui tenevo di più nella mia vita,
ossia la libertà, mi viene oggi preclusa da tutte le limitazioni che
la mia condizione mi impone.
Delusa? Si, sono delusa. Delusa da un sistema politico completamente sordo ai bisogni dei più deboli e degli ammalati. Delusa
dalla mancanza di senso di responsabilità della classe medica,
che ha perso completamente la capacità di rendersi partecipe
della vita di chi ha di fronte. Delusa da un mondo che assiste a
queste nuove forme di genocidio (entro il 2015 è prevista la
morte di 450.000.000 di persone a causa di queste patologie)
senza il minimo cenno di sdegno. Delusa dai mezzi di informazione che, conniventi con il sistema, tacciono al popolo la verità su quello che sta accadendo.
Violentata? Si, mi sento violentata. Violentata dalle umiliazioni
subite. Violentata dall’indifferenza che la politica mostra di avere
nei confronti della sofferenza. Violentata dall’aggressione che
taluni medici mettono in atto nei confronti dei propri assistiti,
quasi fosse una forma di campagna pubblicitaria il mostrarsi
sicuri di sé ad ogni costo.
Violentata dalla assoluta mancanza di informazioni attendibili in
merito ad un problema di primaria importanza quale la sopravvivenza di alcuni individui.
Speranzosa? Si, nutro la speranza che pochi uomini illuminati
possano, alla fine, fare la differenza.
Nutro la speranza che il popolo si svegli finalmente da quel torpore nel quale taluni giochi politici lo hanno volutamente relegato e chieda risposte. Nutro la speranza che qualche merito
vada anche a chi veramente ne ha e che si riconosca il valore di
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uomini che, anche senza mezzi economici e strutture adeguate,
cercano di produrre quel benessere che noi sofferenti tanto
inseguiamo.
Nutro la speranza che gli amici di quei figli che io non potrò mai
avere ereditino un mondo più rispettoso della vita umana.
Ecco perché non mi pesa rendere pubblica la mia storia, nella
speranza che molti altri sofferenti trovino risposte ed escano dal
silenzio per chiedere spiegazioni.
Siamo già un esercito e non lo sappiamo. Basta che contiate
quante persone solo intorno a voi sarebbero interessate a leggere queste pagine, perché da anni cercano risposte senza trovarle.
Chiediamo una medicina per il malato; una medicina integrata,
che analizzi la persona nella sua totalità, nella sua complessità
e nella sua originalità. Chiediamo di non essere vivisezionati.
Chiediamo di essere considerati e rispettati come persone e non
come i fruitori delle compassionevoli elargizioni della società.
A tutti può capitare di incontrare sul proprio cammino la malattia; ma allora è già tardi per accorgersi che un malato è privato della sua dignità, perché deve mendicare per avere ciò che
uno “Stato di diritto” gli ha promesso in cambio della sua onestà, del suo lavoro, delle sue tasse e della sua fedeltà.
La mia vita oggi è fatta di rinunce, di privazioni, di sofferenza,
di ansia per il futuro, di difficoltà economiche, ma anche di tante
speranze.
In chiusura il mio più sincero grazie va a quel medico che dicendomi: “Io sono arrabbiato, immagino come devi stare tu.”, mi
ha restituito la mia dignità di essere umano.
Il mio grazie va al medico che, mettendo a nudo la sua umanità, con umiltà mi risponde: “Io non ho tutte le risposte; non so
quanto tempo ci vorrà e non so ancora cosa deciderò di fare nel
tuo caso, ma ci sto pensando.”, perchè mi fa sperare che la mia
vita, pur così compromessa, abbia comunque un valore.
Il mio grazie va a tutti coloro che mi hanno sostenuta e che tutt’ora mi sostengono, permettendomi di non mollare o impedendomi di farlo.
Grazie anche a voi che, leggendo questa storia, avete aggiunto
un po’ di valore alla mia vita, che ora può finalmente sperare di
ricominciare.
Grazie di cuore.
Esther
Sono difficilissimi i commenti a quanto avete sin qui letto!
Siamo consapevoli del rischio che interpretazioni malevoli e
dietrologiche di quanto scritto dalla Signora Esther possano
vanificarne il valore, che noi comunque riteniamo in ogni caso
molto profondo e sofferto.
Tuttavia l’onestà intellettuale vuole che debba essere dato
spazio anche a queste voci, evitando qualsiasi forma di censura, per accrescere in ogni caso il nostro patrimonio non
tanto professionale, quanto soprattutto umano, inteso come
doverosa capacità di “ascolto”, che è sicuramente il più prezioso tra i nostri doveri deontologici.
Dichiariamo perciò la piena disponibilità del nostro Ordine
Professionale ad accogliere le voci di tutti coloro che vogliano illustrare le pieghe (o piaghe) più riposte del nostro
Sistema Sanitario, che è da intendersi con unione indissolubile di tutti i cittadini, nelle funzioni spesso alterne di soggetto ed oggetto di un unico processo assistenziale, che tutti noi
vorremmo sempre migliorabile, con l’umiltà e l’energia a cui
più volte la Signora Esther ha fatto riferimento nella sua
“Storia”. Grazie di cuore a Lei!