Gruppo di lavoro sulla flexicurity
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Gruppo di lavoro sulla flexicurity
EMCO Gruppo di lavoro sulla flexicurity Maggio 2006 Flexicurity 1. Introduzione La Presidenza austriaca ha invitato l’EMCO a predisporre un documento sulla flexicurity come contributo1 al Consiglio EPSCO del mese di giugno. Per preparare tale contributo un gruppo di lavoro ad hoc, istituito nel quadro dell’EMCO, ha lavorato sulla relazione analitica allegata. Il contributo dell’EMCO, come pure la relazione analitica, potrebbero costituire un catalizzatore per un’ulteriore discussione sulla flexicurity in ambito EMCO, all’interno del Consiglio, tra le parti sociali, negli Stati membri e nella Commissione. La flexicurity costituisce già parte della Strategia Europea per l’Occupazione (SEO): l’orientamento 21 richiede agli Stati membri di “Favorire al tempo stesso flessibilità e sicurezza occupazionale”. In linea con l’agenda di Lisbona, agli Stati membri viene richiesto di dare attuazione a politiche occupazionali che abbiano l’obiettivo di conseguire la piena occupazione, migliorare la qualità e la produttività del lavoro e rafforzare la coesione sociale e territoriale. Inoltre il Consiglio Europeo ha invitato gli Stati membri a perseguire, a seconda delle specifiche situazioni del mercato del lavoro, riforme del mercato del lavoro e politiche sociali nel quadro di un approccio integrato alla flexicurity, tenendo conto degli adeguamenti necessari a seconda degli ambienti istituzionali specifici e considerando la segmentazione del mercato del lavoro2. Le principali sfide che l’economia europea è tenuta ad affrontare – globalizzazione, cambiamenti tecnologici ed invecchiamento della popolazione – sono divenute sempre più pressanti in seguito all’avvio della strategia di Lisbona. D’altro canto sussiste un crescente consenso sul fatto che gli elementi costitutivi del “Modello Sociale Europeo” debbano essere mantenuti ed utilizzati come fattore produttivo nella ricerca di competitività. In tale quadro assumono rilevanza la partecipazione ed il contributo delle parti sociali. In questo contesto è cresciuto l’interesse nei confronti della flexicurity come combinazione integrata di politiche orientate alla flessibilità e alla sicurezza. La flexicurity non riguarda solamente l’introduzione di nuove politiche. L’elemento di novità della flexicurity sta piuttosto nella combinazione di misure politiche introdotte simultaneamente, riconoscendo la necessità di conseguire congiuntamente gli obiettivi in termini di flessibilità e di sicurezza piuttosto che tentare di raggiungerli separatamente, in base al concetto secondo il quale la sicurezza non è rappresentata dalla stabilità del posto di lavoro, quanto piuttosto dalla sicurezza dell’occupazione e dalla sicurezza durante le fasi di transizione. Un tale atteggiamento richiede coerenza tra le riforme della protezione sociale e le politiche occupazionali, sostenendo i lavoratori e gli individui affinché si sentano più sicuri e considerino la globalizzazione ed i cambiamenti del mercato del lavoro come un’opportunità e come un elemento accettabile della propria vita lavorativa. Va sottolineato come l’approccio non sia solamente bidimensionale (flessibilità + sicurezza = flexicurity), ma preveda ulteriori dimensioni, con particolare riferimento a politiche attive del mercato del lavoro che si concentrino sulla disponibilità al lavoro, formazione e ricerca attiva del posto di lavoro (inclusa la formazione garantita dai datori di lavoro). In linea con tale concetto, nel corso della riunione informale di Villach i ministri dell’EPSCO hanno raggiunto un accordo sulla necessità principale consistente nel passaggio da un paradigma di stabilità del posto di lavoro (lo stesso posto di lavoro garantito a vita) alla sottolineatura dell’importanza della sicurezza dell’occupazione (disporre di possibilità e di qualifiche occupazionali durante tutto l’arco della vita) nell’ambito dell’approccio alla flexicurity. Nel quadro del contributo congiunto del Comitato per l’Occupazione e del Comitato per la Protezione Sociale sulla flexicurity del maggio 2006. 2 Conclusioni del Vertice di primavera, marzo 2006. 1 1 I paesi con politiche orientate alla flexicurity sembrano far registrare più elevati tassi di occupazione e più bassi livelli di sperequazione del reddito (vedere le figure 1a e 1b; ad esempio Danimarca, Olanda, Austria e Svezia). Va sottolineato come la flexicurity non costituisca uno scopo di per se stessa, ma rappresenti piuttosto una sorta di “contenitore” per la formulazione di un mix di politiche volte al raggiungimento di un maggiore livello di adattamento delle economie dell’UE, fornendo quindi un contributo a coesione sociale e crescita economica. Le strategie di flexicurity comportano quindi scelte politiche tra diversi aspetti di flessibilità e sicurezza. Per poter compiere scelte positive si rivela quindi necessaria una strategia coerente. L’esperienza degli ultimi due decenni dimostra come non esista un unico mix di politiche e di istituti che permetta di raggiungere e di mantenere nel tempo adeguati livelli di efficienza del mercato del lavoro; tuttavia le esperienze e le scelte di alcuni paesi possono costituire un riferimento importante per altri3. l’equilibrio ottimale fra flessibilità e sicurezza varia da paese a paese, ad esempio in ragione delle differenze del quadro istituzionale e del clima imprenditoriale. Sta a ciascun paese scegliere direttamente la giusta combinazione. Il Consiglio Europeo ha preso atto dell’intenzione di sviluppare un insieme di principi comuni sulla flexicurity da parte della Commissione di concerto con gli Stati membri e con le parti sociali. Per poter sviluppare un terreno comune è necessario un processo per la costruzione del consenso. Il presente lavoro costituisce un contributo in tal senso, descrivendo gli obiettivi della flexicurity, diverse combinazioni di flexicurity, nonché riconoscendo i settori in cui sono necessari ulteriori dibattiti ed analisi. 2. Il concetto di flexicurity4: cosa si intende per “flexicurity”. 2.1 –Un concetto non univoco ma di vasta portata Per quanto non esista una definizione universalmente accettata di flexicurity, le varie descrizioni della teoria sviluppata sono sfociate in un concetto generale, in base al quale la flexicurity potrebbe costituire una risposta possibile alle sfide che richiedono una riforma strutturale: Rapporto Wim Kok (Lavoro, lavoro, lavoro… 2003): “Una più pronta reattività delle economie dell’UE al cambiamento richiede un elevato grado di flessibilità nei mercati del lavoro, in particolare tramite una moderna organizzazione del lavoro ed una varietà di accordi contrattuali e lavorativi. Un tale approccio può avere successo solamente se combinato con una sicurezza adeguata per i lavoratori, con riferimento alla loro capacità di permanere nel mercato del lavoro e di progredirvi. Poiché la flessibilità è nell’interesse sia dei datori di lavoro, sia dei lavoratori, è auspicabile un coinvolgimento delle parti sociali”. UE (Relazione Congiunta sull’Occupazione – JER 2006): “Per conseguire un giusto equilibrio fra flessibilità e sicurezza senza aumentare il rischio di segmentazione del mercato del lavoro sono necessari quattro ingredienti: Innanzitutto, la disponibilità di accordi contrattuali che garantiscano una flessibilità adeguata di modo tale che lavoratori e datori di lavoro possano plasmare il proprio rapporto sulla base delle rispettive necessità. È necessario evitare la proliferazione di diverse forme contrattuali garantendo la sufficiente omogeneità tra contratti in modo da semplificare i processi di transizione. OECD, DEELSA/ELSA(2006) 1. Wilthagen e Tros (2004) assegnano la paternità del concetto di flexicurity al Professor Hans Adriaansens, membro del Consiglio scientifico delle politiche pubbliche olandesi, e ad Ad Melkert, ministro laburista degli affari sociali olandese, i quali hanno suggerito l’idea di compensare la riduzione della sicurezza del lavoro dovuta alla riduzione dei posti di lavoro permanenti e alla maggiore semplicità di licenziamento aumentando le opportunità occupazionali e rafforzando la sicurezza sociale. 3 4 2 In secondo luogo, le politiche attive del mercato del lavoro devono sostenere efficacemente il passaggio da un posto di lavoro ad un altro, come pure la transizione da disoccupazione ed inattività a lavoro attivo. In terzo luogo, sistemi credibili di formazione continua devono permettere ai lavoratori di mantenere l’occupabilità in tutta la propria carriera lavorativa. In quarto luogo, è necessario istituire moderni sistemi di sicurezza sociale allo scopo di garantire che tutti i lavoratori siano adeguatamente sostenuti nei periodi di assenza dal mercato del lavoro e al fine di facilitare la transizione e la mobilità nel mercato del lavoro”. OCSE (Employment Outlook 2004): “Affinché una politica sia efficace nel raggiungimento degli obiettivi a livello occupazionale e sociale questa deve prevedere un livello minimo di regolamentazione della protezione dell’occupazione insieme a servizi a supporto dei nuovi lavoratori che accedano al mercato del lavoro rendendoli più “attraenti” nei confronti dei datori di lavoro. Ciò richiede un approccio basato su “obblighi reciproci”, in base al quale i destinatari del welfare ricevano consulenza, sostegno nella ricerca del posto di lavoro ed altri servizi per il reintegro. Come contropartita per tale sostegno continuativo i soggetti sono tenuti a ricercare attivamente un posto di lavoro e ad adottare misure per migliorare la propria occupabilità”. OIL (Studio di Peter Auer, 2005): “Equilibrio con le politiche attive del mercato del lavoro allo scopo di combinare flessibilità e sicurezza. Flessibilità, stabilità e sicurezza che tengano conto di cambiamenti strutturali come pure della necessità di sicurezza da parte dei lavoratori. Il concetto propone una “mobilità protetta” nel mercato del lavoro unitamente a politiche attive del mercato del lavoro volte a combinare flessibilità e sicurezza”. T. Wilthagen: “Strategia politica che si propone, sincronicamente e su base volontaria, da un lato di rafforzare la flessibilità dei mercati del lavoro, l’organizzazione del lavoro e le relazioni industriali e dall’altro di rafforzare la sicurezza – sicurezza occupazionale e sicurezza sociale – in particolare per i gruppi più vulnerabili all’interno e all’esterno del mercato del lavoro”. Da ultimo, va citato P. Kongshøj Madsen il quale – traendo ispirazione dall’esperienza danese – presenta il concetto di flexicurity sotto forma di un triangolo d’oro: 1) elevata mobilità del lavoro e regime liberale di protezione dell’occupazione; 2) sistema di protezione sociale relativamente generoso e diffuso (sussidi di disoccupazione e prestazioni in denaro per i soggetti non assicurati); 3) politiche attive del mercato del lavoro che combinino offerta di lavoro e offerta formativa con criteri di disponibilità e sanzioni. Alla base di queste tre dimensioni del triangolo si situa una lunga tradizione di stretta cooperazione tra le autorità e le parti sociali che rappresentano la stragrande maggioranza dei lavoratori danesi. A tale proposito, il triangolo d’oro è in linea con i dati dell’OCSE in base ai quali il mix di politiche più adeguato adottato dai paesi è spesso caratterizzato da un forte accento posto sulla contrattazione collettiva e sul dialogo sociale; tale mix richiede risorse finanziarie sostanziali5. In generale, le parti sociali tendono a svolgere un ruolo più rilevante nel raggiungimento di un equilibrio adeguato tra flessibilità e sicurezza. In tutte le descrizioni precedentemente citate la flexicurity contiene come elemento principale l’equilibrio delle politiche, con l’obiettivo di rafforzare l’adattabilità dei lavoratori e dei luoghi di lavoro. Le politiche o gli strumenti concreti – ed il relativo mix – scelti da un paese possono essere i più vari, come dimostrato nel paragrafo successivo. 2.2 Combinazioni di politiche di flessibilità e sicurezza Per comprendere la varietà dei possibili mix che originano la flexicurity è importante riconoscere che sicurezza e flessibilità possono assumere forme differenti e che, sulla base dei 5 OECD, DEELSA/ELSA(2006) 1. Include Austria, Danimarca, Irlanda, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia. 3 contesti e delle tradizioni nazionali, i vari paesi possono ritenere alcune di queste forme più adeguate e pertinenti di altre. Un’esemplificazione citata di frequente dei vari elementi è rappresentata dalla matrice di Wilthagen6, illustrata di seguito. Wilthagen delinea le seguenti definizioni: Stabilità del posto di lavoro: il grado di certezza di mantenere un posto di lavoro presso un datore di lavoro specifico. Sicurezza dell’occupazione: indica in che misura si sia certi di continuare a lavorare (non necessariamente per lo stesso datore di lavoro). Un fattore importante che determina la sicurezza dell’occupazione è l’occupabilità. La sicurezza del reddito descrive la copertura della protezione del reddito in caso di interruzione del lavoro retribuito, nonché le opportunità di remunerazione in condizioni lavorative mutevoli. Per sicurezza combinata si intendono le opportunità di conciliare le responsabilità lavorative, familiari e sociali. Tra l’altro ciò prevede le opportunità di congedo maternità e parentale, congedi malattia, congedi per periodi di studio, interruzione temporanea del lavoro e congedi sabbatici. Flessibilità numerica esterna: semplicità delle procedure di licenziamento e reclutamento. Flessibilità numerica interna: semplicità di modificare l’orario di lavoro (lavoro a turni, variazioni stagionali, straordinario e flessibilità dell’orario). Flessibilità funzionale: semplicità di assegnazione di lavori differenti ai dipendenti oppure, per i dipendenti, di cambiare mansioni e/o compiti all’interno della stessa azienda. Flessibilità salariale: semplicità di adattare il salario alle prestazioni individuali. La tabella seguente fornisce alcuni esempi delle diverse dimensioni e delle relative combinazioni. La matrice di Wilthagen Esempi delle variabili strumentali per la politica di flexicurity SICUREZZA SICUREZZA STABILITÀ DEL SICUREZZA FLESSIBILITÀ POSTO DI DELL’OCCUPAZIONE DEL REDITO LAVORO FLESSIBILITÀ NUMERICA ESTERNA FLESSIBILITÀ NUMERICA INTERNA FLESSIBILITÀ FUNZIONALE SICUREZZA COMBINATA - Tipologie di contratti di lavoro - Norme in materia di protezione dell’occupazione Prepensionamenti - Riduzione della settimana lavorativa; contratti parttime - Servizi all’occupazione/PAML - Formazione / formazione continua - Prestazioni di disoccupazione - Altre prestazioni sociali - Salario minimo - Protezione contro il licenziamento durante i vari programmi di congedo - Norme in materia di protezione dell’occupazione - Formazione / formazione continua - Varie tipologie di programmi di congedo - Pensioni parziali - Arricchimento delle mansioni; - Formazione; - Lavoro in affitto - Subappalti - Formazione / formazione continua - Rotazione dei compiti lavorativi - Lavoro in squadra; - Prestazioni supplementari per il lavoro a tempo parziale - Borse di studio; - Prestazioni per malattia - Sistemi di pagamento commisurati alla produttività - Accordi volontari sull’orario di lavoro Flexicurity: een nieuw paradigma voor de regulering van arbeid en de arbeidsmarkt? Wilthagen, Prof.dr. A.C.J.M. 6 4 Esternalizzazione FLESSIBILITÀ DEL - Adattamenti COSTO DEL locali al costo del LAVORO/SALARIO lavoro; - Contributi previdenziali scalati/ridotti - Multiskilling - Modifiche nei versamenti di contributi previdenziali - Sussidi all’occupazione; - Integrazione dei salari più bassi (inwork benefits) - Contratti salariali collettivi Adeguamento delle prestazioni per settimane lavorative brevi - Accordi volontari sull’orario di lavoro I percorsi verso una maggiore flexicurity I percorsi verso una maggiore flexicurity variano da paese a paese, sia in termini di misure assunte, sia in termini di fasi procedurali. La matrice dimostra come sia possibile assumere numerosi misure, a partire dalla combinazione di alcuni aspetti della flessibilità e di alcuni aspetti della sicurezza, che possono essere sostenute da altre, come ad esempio politiche attive del mercato del lavoro e formazione. Sta agli Stati membri identificare il proprio percorso all’interno della matrice e decidere quale insieme di misure sia necessario e fattibile nell’ambito dello specifico contesto politico di riferimento. A causa della variabilità dei punti di partenza tra Stati, un paese potrebbe decidere di avviare l’istituzione dell’intero nuovo sistema di flexicurity, mentre per un altro paese potrebbe essere sufficiente integrare gli elementi di sicurezza già esistenti con politiche in materia di flessibilità. Al fine di creare un clima in cui le parti siano disposte ad assumersi la responsabilità delle riforme, questo processo deve andare di pari passo con misure volte ad aumentare la consapevolezza dell’opinione pubblica delle problematiche in questione, con il coinvolgimento dei portatori di interessi nella fase analitica. A tale proposito è essenziale la partecipazione di tutti gli attori e di tutti i portatori di interessi. Da questo seguirà lo sviluppo dei pacchetti di politiche specifiche. In linea di principio, ciascuna istituzione e ciascuna politica in materia di flexicurity deve essere considerata nel quadro di un duplice obiettivo relativo a flessibilità e sicurezza, possibilmente sottolineando come un elemento sia sempre collegato a circostanze istituzionali concrete. A titolo di esempio, e a seconda del punto di partenza, un cambiamento nel livello e nelle modalità di assegnazione dei sussidi di disoccupazione può costituire un contributo al rafforzamento della flessibilità o della sicurezza. Non vanno inoltre trascurate le interazioni tra i singoli strumenti, che possono rivelarsi sostitutive (ad esempio protezione dal licenziamento – maggiori sussidi di disoccupazione) o complementari (ad esempio trasferimenti – inserimento obbligatorio). In tale contesto è necessario considerare le parti interessate alle scelte effettuate in ambito politico. Molti Stati membri devono affrontare il crescente problema di mercati del lavoro segmentati a due o a più livelli, ciò che crea una situazione caratterizzata dalla presenza di gruppi interni ed esterni. Alcuni lavoratori godono di un elevato livello di sicurezza, mentre altri permangono intrappolati in posti di lavoro meno sicuri, quando non addirittura nel lavoro nero, con pochissime opportunità di progredire verso posti di lavoro meglio remunerati. La segmentazione dimostra in pratica come flessibilità e sicurezza vengano considerate come elementi reciprocamente escludentisi, con conseguente flessibilità per alcuni e sicurezza per altri. Una tale dicotomia deve assolutamente essere superata. A tale proposito norme per la protezione dell’occupazione meno restrittive potrebbero costituire una strada verso un mercato del lavoro maggiormente inclusivo, a vantaggio anche dei gruppi più deboli. Un tale meccanismo potrebbe funzionare adeguatamente laddove tali norme per la 5 protezione dell’occupazione meno restrittive venissero combinate con misure in materia di sicurezza che garantiscano le qualifiche necessarie per il lavoratore e un determinato livello di reddito durante i periodi di assenza dal lavoro. D’altro canto norme per la protezione dell’occupazione meno restrittive rafforzano gli incentivi generali per le aziende ad assumere, spingendo le aziende a non limitarsi ad assumere solo personale meno qualificato. Ciò comporta in linea generale un più semplice accesso al lavoro, con conseguente rafforzamento della probabilità di spostarsi verso posti di lavoro diversi e migliori. D’altro canto questa tendenza viene controbilanciata dalle misure che garantiscono un determinato livello di reddito e che vanno a sostegno dell’occupabilità durante i periodi di disoccupazione. In questo modo gli individui sanno che i periodi di disoccupazione non durano per sempre e che è a loro disposizione un sostegno per aiutarli a rientrare nel mercato del lavoro al più presto possibile, anche in ragione del maggior numero di aziende disposte ad assumere. Al fine di migliorare l’inclusione sociale e di aumentare l’occupazione, è quindi possibile limitare la segmentazione del mercato del lavoro aumentando flessibilità e sicurezza dell’occupazione in generale piuttosto che proteggendo posti di lavoro, gruppi di lavoratori o settori specifici a spese di altri. 3. Misurazione e valutazione degli effetti: primi esempi Come indicato nell’introduzione, l’orientamento 21 fa riferimento alla flexicurity. I settori coperti dall’orientamento 21 riguardano numerosi temi, che vanno dall’adattamento della legislazione in materia di occupazione, alla questione del lavoro illegale, ad una più efficace e positiva previsione e gestione del cambiamento. Per monitorare i risultati conseguiti dagli Stati membri nell’ambito dell’orientamento, sono stati sviluppati diversi indicatori, riportati alla sezione “Indicatori di monitoraggio degli orientamenti sull’occupazione”. Uno di questi indicatori riguarda le differenze negli accordi contrattuali e di lavoro, ad esempio per quanto riguarda i lavoratori con posti di lavoro definiti non standard (a tempo parziale e/o a tempo determinato) come percentuale del numero totale di lavoratori. Nella primavera del 2005 l’UE a 25 faceva registrare in media un 29,5% del totale dei lavoratori in posti di lavoro non standard, con una variabilità dal 6,8% della Slovacchia al 52,7% dei Paesi Bassi. Per illustrare alcune delle variabili collegate alla flexicurity vengono forniti di seguito alcuni esempi. I dati vengono desunti da uno studio del Ministero delle finanze danese che si concentra sulle possibili correlazioni tra le varie politiche ed il livello della disoccupazione strutturale. Dato il ristretto ambito temporale non è stato possibile aggiornare tutti gli esempi con dati di tutti gli Stati membri; i dati ottenuti devono quindi essere considerati in tale luce. Inoltre, come si verifica di frequente quando non vengono incluse serie di dati, i grafici riportati di seguito non chiariscono i diversi punti di partenza e gli sviluppi conseguiti con il tempo nei singoli Stati membri. Come primo elemento, appare come i paesi con una protezione dell’occupazione relativamente bassa facciano registrare più bassi livelli di disoccupazione strutturale, sebbene la correlazione non sia particolarmente forte (vedere la figura 2a). Sebbene si registri una tendenza in base alla quale i paesi con maggiori livelli di imposizione fiscale facciano registrare più elevati livelli di disoccupazione (a parità di altri fattori), alcuni paesi come ad esempio Austria, Paesi Bassi, Danimarca e Svezia fanno registrare elevati livelli di sicurezza del reddito (illustrati dal cuneo fiscale) e bassi livelli di disoccupazione (vedere la figura 2b). Una ragione potrebbe essere che tali paesi bilanciano con altre politiche i previsti effetti negativi sull’occupazione causati dai più elevati livelli di sicurezza del reddito. 6 Esempi di tali misure sono le politiche attive del mercato del lavoro, tra cui le norme in materia di disponibilità al lavoro7. Sembra che i paesi che più investono in formazione e in altre misure a favore dei disoccupati tendano a far registrare più bassi livelli di disoccupazione (si veda la figura 3 a). A tale proposito sono possibili due spiegazioni. Secondo l’una, la formazione dei disoccupati può permettere loro di conseguire le qualifiche necessarie ad ottenere un nuovo posto di lavoro. Secondo l’altra la formazione o l’inserimento obbligatorio rafforzano per alcuni individui l’intensità con la quale si dedicano alla ricerca di un posto di lavoro. Requisiti più severi in materia di disponibilità al lavoro rafforzano l’intensità della ricerca di un posto di lavoro. Le statistiche disponibili vanno nella stessa direzione. I paesi che hanno introdotto requisiti più severi in materia di disponibilità al lavoro sembrano anche registrare più bassi livelli di disoccupazione (si veda la a figura 3b). I grafici di cui sopra indicano che i paesi che presentano determinate combinazioni di protezione dell’occupazione, sicurezza del reddito, politiche attive del mercato del lavoro e requisiti in materia di disponibilità al lavoro presentano più bassi livelli di disoccupazione. Mentre un’analisi dell’OCSE8 indica l’esistenza di prove controverse sul ruolo svolto dalle norme in materia di protezione dell’occupazione sui tassi aggregati di occupazione e di disoccupazione sia in studi teorici, sia in studi empirici, un’analisi approfondita svolta dal Ministero delle finanze danese indica che una maggiore protezione dell’occupazione ed un generoso sistema di indennità di disoccupazione tende ad aumentare la disoccupazione. Una maggiore spesa sulle misure attive del mercato del lavoro e requisiti più severi in materia di disponibilità al lavoro riducono la disoccupazione (vedere riquadro 1). L’impatto preciso dell’interazione tra questi elementi della flexicurity necessita di ulteriori studi. Riquadro 1. Effetti degli istituti e delle politiche del mercato del lavoro sulla disoccupazione effettiva e strutturale La variazione sostanziale della disoccupazione strutturale nei paesi dell’UE viene spesso attribuita alle differenze nelle politiche del mercato del lavoro, nei livelli di regolamentazione dei mercati e della protezione dell’occupazione, nelle politiche fiscali e negli strumenti per la determinazione dei salari. Uno studio ha evidenziato come indennità di disoccupazione generose (sia in termini di compenso che di durata), politiche passive del mercato del lavoro, requisiti limitati a carico dei disoccupati in materia di disponibilità al lavoro, requisiti in materia di occupazione precedente (eleggibilità) e norme più vincolanti in materia di protezione dell’occupazione sono tutti elementi che comportano una maggiore disoccupazione strutturale (si veda la tabella a). Ad esempio, i risultati indicano che un aumento del tasso di sostituzione lordo medio del 10% in media comporta un incremento della disoccupazione strutturale di circa 0,5-1,5 punti percentuali. Gli effetti negativi della generosità delle prestazioni può essere controbilanciato da altre politiche, ad esempio da norme più severe in materia di disponibilità al lavoro. Tabella a. Effetti degli istituti e delle politiche del mercato del lavoro sulla disoccupazione effettiva e strutturale in un gruppo di 19 paesi OCSE, 1983-99 Effetto sul tasso di disoccupazione standardizzato Indennità di disoccupazione (in generale) più generose Maggiore durata delle indennità Requisiti più vincolanti in materia di disponibilità Maggiori spese sulle politiche attive del mercato del lavoro Requisiti più severi in materia di occupazione Maggiore protezione dell’occupazione Il fatto di permettere una transizione agevole dalla vita scolastica alla vita lavorativa contribuisce anche ad una bassa disoccupazione giovanile. A tale proposito i sistemi di apprendistato, laddove esistenti, svolgono un ruolo essenziale. 8 Employment Outlook 2004. 7 7 Negoziati salariali maggiormente centralizzati Maggiore tasso di sindacalizzazione Maggiori imposte totali a carico del lavoro Note: ***, ** e * indicano la significatività statistica rispettivamente a 1%, 5% e 10%. La deviazione dalla tendenza HP nel logaritmo del PIL reale è inclusa in tutte le stime come controllo per le fluttuazioni aziendali; in alcune regressioni sono inclusi inoltre il tasso di interesse reale e paesi di comodo. 1) Gli effetti quantitativi vengono indicati solamente per gli indicatori per i quali gli effetti dispongono di un’interpretazione diretta. Le cifre indicano l’effetto sulla disoccupazione effettiva in punti percentuali in base a: i) incremento nel tasso di sostituzione del 10% nel corso dell’intero periodo di durata delle indennità; ii) proroga di un anno della durata massima della disoccupazione; iii) incremento delle spese per politiche attive del mercato del lavoro dell’1% del PIL per ciascun punto percentuale di disoccupazione, che corrisponde all’incirca a 0,5 miliardi di corone danesi all’attuale livello di spesa danese; iv) requisiti occupazionali più vincolanti per 26 settimane, che corrisponde ai vincoli introdotti in Danimarca nel 1997. 2) La durata massima delle indennità di disoccupazione non appare significativa. Una spiegazione possibile sta nel fatto che la durata massima viene implicitamente inclusa nell’indicatore dell’OCSE per l’indennizzo generale alla disoccupazione e che l’effetto dell’aumento della durata massima della disoccupazione viene misurato sulla base dell’effetto del tasso generale di sostituzione (prima riga della tabella). 3) Misurato come spese per disoccupato rispetto al rapporto del PIL per individuo facente parte della forza lavoro. 4) Il risultato è stato ottenuto da un rapporto stimato che ha utilizzato dati del periodo 196399. L’indicatore non ha dimostrato una significatività statistica nel periodo 1983-99. Fonte: Frederiksen, Gaard e Thorball (2005), Ministero delle finanze danese. Politiche del mercato del lavoro in alcuni paesi a basso tasso di disoccupazione Nella ricerca dell’obiettivo della piena occupazione e della riduzione della disoccupazione i paesi possono percorrere strade differenti. In base agli sviluppi di questi due indicatori alcuni paesi fanno registrare risultati migliori di altri. Nella Relazione della Commissione sullo stato di avanzamento 2005/06 i Paesi Bassi e la Danimarca vengono evidenziati come due paesi che hanno compiuto progressi nel mettere in pratica l’approccio alla flexicurity. Come già indicato, ciascuno Stato membro presenta caratteristiche uniche e non è quindi possibile trasferire direttamente politiche da un paese ad un altro, ancor meno quando si tratti di politiche del mercato del lavoro. A titolo di esempio, potrebbe non essere possibile ottenere il coinvolgimento delle parti sociali nella stessa misura in cui ciò è avvenuto nei paesi nordici, né potrebbe essere possibile riproporre in altri Stati membri l’elevata percentuale di posti di lavoro a tempo determinato e lo sviluppo delle agenzie di lavoro temporaneo come è avvenuto nel caso olandese. La strada seguita dai Paesi Bassi si è concentrata sulla disponibilità di contratti di lavoro relativamente flessibili (agenzie di lavoro temporaneo)9 e sull’allargamento dei diritti a tali contratti in materia di sicurezza sociale, pensioni e possibilità di ottenere un contratto a tempo I posti di lavoro a tempo parziale vengono spesso inclusi tra i contratti flessibili. Sebbene tali contratti possano presentare una qualche flessibilità per i lavoratori (che dispongono di un maggiore numero di ore per lo straordinario, se necessario), in pratica nel caso olandese l’unica differenza rispetto ai contratti a tempo pieno si limita al minor numero di ore indicate nel contratto. Quindi nel caso olandese il lavoro a tempo parziale va distinto dai contratti flessibili. 9 8 indeterminato. In molti altri paesi questi diritti valgono solamente per i contratti a tempo pieno e a tempo indeterminato . Da un lato, questo approccio permette a datori di lavoro e lavoratori di meglio adattare la domanda e l’offerta di lavoro alle rispettive necessità. Inoltre esso offre ai gruppi in una situazione di svantaggio nel mercato del lavoro la possibilità di un primo contratto flessibile che potrebbe in seguito condurre ad un contratto fisso (la cosiddetta teoria del primo passo). Secondo le stime dell’OCSE (Employment outlook, luglio 2002), il 50% dei lavoratori temporanei ottiene un posto di lavoro fisso entro un anno, cifra che sale al 65% a due anni. Per ulteriori informazioni si veda l’Appendice 1. Il “triangolo d’oro” danese caratterizzato da un basso livello di legislazione in materia di protezione dell’occupazione e da tassi di sostituzione relativamente generosi per i disoccupati, oltre che da politiche vincolanti in materia di disponibilità e di inserimento, comporta un mercato del lavoro fortemente dinamico. Il modello danese di flexicurity opera come un “contratto” non scritto, una sorta di compromesso storico tra Stato, datori di lavoro e salariati. Senza l’approvazione delle tre parti la flexicurity non potrebbe funzionare10. In Danimarca l’interscambio e l’equilibrio tra flessibilità del mercato del lavoro, elevato livello di sicurezza e politiche attive del mercato del lavoro appaiono significativi11. Inoltre il sistema danese gode di una vasta accettazione a livello politico e l’accettazione di un’assenza di legislazione in materia di stabilità del posto di lavoro e di condizioni di salario e di lavoro richiede e crea condizioni di una forte organizzazione nel mercato del lavoro. Per ulteriori informazioni si veda l’Appendice 1. 4. Le conseguenze delle misure per le imprese, per gli individui e per gli Stati membri Stante il mix di politiche illustrato alle precedenti sezioni 2 e 3, potrebbe sorgere la domanda se alcune combinazioni risultino maggiormente gradite ai lavoratori piuttosto che ai datori di lavoro o viceversa. In tutti gli ambiti politici le misure assunte possono comportare impatti differenti sui vari portatori di interessi: individui, imprese e lo Stato. Le varie misure comportano anche conseguenze finanziarie a carico di ciascun portatore di interessi, ivi comprese le finanze pubbliche. Ciò comporta una differenza di interessi. Come evidenziato nella tabella seguente, ciascuna misura può avere un impatto positivo o negativo, ma come già indicato nella precedente sezione 2.2 anche le interazioni tra le varie misure svolgono un ruolo. Non risulta quindi possibile quantificare questa influenza, ma si può piuttosto evidenziare una direzione qualitativa. Tabella 2: Esempi di su imprese, individui Misure in materia di flexicurity Diritto del lavoro Contratti a determinato politiche in materia di flexicurity – impatto positivo e negativo e Stati membri Imprese Individui Stati membri + Flessibilità nell’organizzazione del lavoro e nelle modalità lavorative - Possibile inibizione della creazione di posti di lavoro tempo + Disponibilità di forza lavoro in linea con la + Garantisce il sostegno dei diritti dei lavoratori Costi del mantenimento degli enti preposti all’attuazione + Disponibilità di posti + Aumento del tasso di lavoro adatti alle di occupazione + Protezione dei diritti dei lavoratori - Potenziale mancanza di flessibilità 10 Madsen, Per Kongshøj, “The Danish Model of “Flexicurity” - A Paradise with some Snakes”(2002). Nell’articolo l’autore presenta alcuni commenti critici sul modello danese di flexicurity. 11 Ad esempio, sulla questione tra equilibrio ed adattamenti necessari negli ultimi anni l’industria ha concluso un certo numero di accordi sul prolungamento dell’orario di lavoro oltre lo standard di 37 ore. In tal modo il sistema danese evidenzia una flessibilità all’adattamento alla concorrenza che costituisce una sfida per le singole imprese. Un ulteriore esempio riguarda gli adattamenti selettivi delle politiche attive del mercato del lavoro, in particolare nei confronti dei lavoratori più giovani, misure che si sono dimostrate efficaci come evidenziato dal basso tasso di disoccupazione giovanile in Danimarca. 9 domanda di lavoro Cambiamento continuo nella base di conoscenza Meccanismi adeguati + Minori difficoltà nel di protezione sociale licenziare i lavoratori - Maggiori retribuzioni necessarie per assumere personale circostanze personali Maggiore Insicurezza affidamento sulla protezione sociale dell’occupazione + Esistenza di misure di sicurezza in caso di perdita del posto di lavoro Disincentivo ad accettare un posto di lavoro + Garantisce i soggetti più vulnerabili - Intervento per far sì che vaga la pena di lavorare Politiche attive del + Accesso al mercato + Riduzione della Opportunità di + mercato del lavoro del lavoro formazione / disoccupazione aumento occupazione - Qualità del lavoro? dell’occupazione Perdita delle indennità - Efficacia dal punto di vista dei costi? Fare in modo che + Forza lavoro valga la pena di disponibile lavorare – criteri di - Motivazione al lavoro disponibilità non sempre presente + Rischio minimo di + Riduzione della disoccupazione di disoccupazione lungo periodo aumento dell’occupazione - Rischio che il posto di lavoro non sia in Rischio di non linea con le qualifiche corrispondenza tra o i desideri; perdita posto di lavoro e delle indennità qualifiche Aumento della Investimenti in risorse + umane conoscenza, del livello delle qualifiche e della produttività + Aumento della conoscenza, dei livelli delle qualifiche e migliore sviluppo personale + Forza lavoro altamente qualificata – attrazione di investimenti; maggiori opportunità occupazionali - Rischio di perdere i dipendenti - Maggiori aspettative non necessariamente - Rischi di mobilità soddisfatte *** Il Comitato per l’Occupazione ha fatto uso della presente relazione analitica come base per il proprio apporto al Contributo Congiunto del Comitato Occupazione e del Comitato Protezione Sociale sulla flexicurity, presentato per l’approvazione al Consiglio EPSCO dell’1 giugno 2006. 10 Appendice 1: esempi paese La strategia della flexicurity nei Paesi Bassi I principali indicatori che evidenziano il raggiungimento di un equilibrio: • L’approccio alla flexicurity ha contribuito ad una bassa disoccupazione strutturale e di lungo periodo e ad una forte dinamicità del mercato del lavoro. Il sistema della flessibilità si manifesta come segue: • Contratti a tempo determinato. La legge in materia di flessibilità e sicurezza entrata in vigore in data 1 gennaio 1999. L’obiettivo della legge consisteva nel creare un effettivo equilibrio tra la capacità dei datori di lavoro di gestire flessibilmente le rispettive imprese fornendo al contempo ai lavoratori la stabilità del posto di lavoro e la sicurezza del reddito. Ciò riguarda in particolare i lavoratori assunti con contratti flessibili, come ad esempio i lavoratori a chiamata, gli operatori ausiliari, i lavoratori a zero ore, gli addetti al telelavoro, i lavoratori a domicilio ed i lavoratori temporanei. L’elemento principale della legge riguarda la possibilità che un datore di lavoro assuma un lavoratore per un massimo di tre contratti consecutivi a tempo determinato, per un totale massimo di 36 mesi. I datori di lavoro ed i lavoratori possono discostarsi dai limiti massimi stabiliti (3 contratti di 36 mesi) in base a contratti collettivi, ciò che peraltro si verifica spesso. I lavoratori assunti tramite contratti flessibili dispongono degli stessi diritti dei lavoratori con contratti permanenti, ad eccezione del fatto che il loro contratto può essere rescisso senza particolari requisiti procedurali al termine del periodo contrattuale. Circa il 15% dei posti di lavoro nei Paesi Bassi è retto da contratti a tempo determinato. • Le Agenzie di lavoro temporaneo forniscono ai datori di lavoro la possibilità di creare, intorno ad un nucleo essenziale di lavoratori provvisti di contratto regolare, un gruppo più periferico di lavoratori dotati di contratti flessibili, ai quali fare ricorso per far fronte alle fluttuazioni economiche nel breve periodo. Allargando a questi lavoratori i diritti in materia di sicurezza sociale, pensioni e possibilità di un contratto permanente, la flessibilità offerta ai datori di lavoro viene controbilanciata da un ragionevole grado di sicurezza per i lavoratori. Questi posti di lavoro flessibili possono rivelarsi un trampolino di lancio verso un contratto regolare. • Per quanto riguarda i lavoratori muniti di contratto regolare, il sistema olandese permane in una situazione caratterizzata da una certa staticità. Avendo riconosciuto questa problematica, governo e parti sociali si sono accordati sull’introduzione di alcune riforme che riguardano le indennità di disoccupazione e le norme che regolano i licenziamenti. La durata massima delle indennità di disoccupazione è stata ridotta da sette anni a 38 mesi. Per quanto riguarda le norme in materia di protezione dell’occupazione è stato abolito il principio in base al quale l’ultimo ad entrare era il primo ad uscire, principio che favoriva i lavoratori più anziani. I problemi emergono a causa della dicotomia esistente tra il lato maggiormente flessibile del mercato del lavoro (contratti di lavoro temporaneo e a tempo determinato) e la parte più statica del mercato del lavoro (contratti regolari). Per quanto siano stati aperti alcuni canali che permettono una più semplice entrata ed uscita dal mercato del lavoro, permangono ancora alcuni ostacoli. Per quanto riguarda i datori di lavoro, è stato raggiunto un certo grado di flessibilità, ma in situazioni caratterizzate da recessioni protratte le imprese devono comunque fare i conti con un nucleo relativamente inflessibile di soggetti occupati. I principali indicatori che evidenziano il raggiungimento di un equilibrio positivo sono: • • bassissima disoccupazione giovanile basso tasso di disoccupazione nel lungo periodo 11 • disoccupazione effettiva e strutturale generalmente bassa Il sistema della flessibilità si manifesta come segue: • • • • turnover dei lavoratori generalmente elevato, che riflette tassi elevati di assunzioni e licenziamenti un terzo di tutti gli occupati cambia lavoro ogni anno i lavoratori permangono in uno stesso posto di lavoro per un periodo relativamente breve e in media ricoprono un elevato numero di posti di lavoro nel corso della propria carriera lavorativa il progresso dei lavoratori lungo la scala salariale è relativamente rapido. I lavoratori si sentono sicuri nonostante il turnover e la scarsa protezione dell’occupazione per le seguenti motivazioni: • • • Trovare un nuovo posto di lavoro risulta più semplice in situazioni caratterizzate da elevato turnover dei lavoratori e bassa disoccupazione. Anche se il 10% dei posti di lavoro “scompare” ogni anno, il numero di posti di lavoro creati risulta comunque superiore. In secondo luogo, le indennità di disoccupazione individuali sono relativamente generose (alto tasso di sostituzione e lunga durata). In terzo luogo, le politiche attive del mercato del lavoro prevedono l’aiuto nella ricerca di un nuovo posto di lavoro, la formazione lavoro, programmi educativi, norme severe sulla disponibilità e il diritto/dovere di accettare le offerte di lavoro. Un esempio di adattamento del modello danese: garanzia di incentivi continuativi al lavoro Il problema e la posizione di partenza del 1995 • • • elevata disoccupazione giovanile – numerosi lavoratori giovani senza qualifiche indennità di disoccupazione superiori rispetto ai sussidi all’istruzione disponibili a partire da fondi pubblici mancanza di incentivi per frequentare corsi di istruzione o di formazione Adattamento Riduzione delle indennità di disoccupazione del 50% per tutti i giovani lavoratori privi di qualifiche al di sotto di 25 anni di età e assistenza alla partecipazione a corsi di istruzione e/o di formazione. Effetti: riduzione della disoccupazione e aumento dei livelli di istruzione e di occupazione. 12 La flexicurity: l’esempio svedese Accordi sulla transizione lavorativa • In Svezia i cosiddetti Accordi sulla transizione lavorativa sono stati istituiti nel quadro dei contratti collettivi. In base agli accordi, i datori di lavoro si assumono una maggiore responsabilità in caso di licenziamento dei dipendenti, in particolare quando a essere colpiti sono lavoratori più anziani e soggetti con basso livello di istruzione. Gli accordi sulla transizione lavorativa aiutano i lavoratori che vengono licenziati a causa della mancanza di lavoro a trovare una nuova occupazione; per tale ragione questi accordi possono essere considerati come un’integrazione agli uffici di collocamento pubblici. • Il lavoratore svolge un ruolo attivo nel periodo di transizione, ruolo che può partire al momento del ricevimento della notifica di licenziamento, o in taluni casi addirittura prima. In alcuni casi gli accordi prevedono anche un compenso finanziario per la quota di salario che eccede il tetto dell’indennità di disoccupazione. Il compenso può anche essere versato per un periodo limitato ai lavoratori che trovino un nuovo posto di lavoro ad un salario inferiore. Il programma è finanziato tramite il pagamento di una percentuale della busta paga delle imprese affiliate. • Il processo di transizione viene gestito dal consiglio per la sicurezza dell’occupazione istituito dalle parti dell’accordo e con la partecipazione del lavoratore oggetto del licenziamento. Tra le misure di supporto sono previste consulenze, orientamento professionale e lavorativo, sostegno nella ricerca di lavoro, programmi di istruzione e di formazione o sostegno ai lavoratori che intendano creare la propria impresa. • Oggi gli Accordi sulla transizione lavorativa sono previsti in numerosi settori regolati dalla contrattazione collettiva; le ricerche dimostrano che questi Accordi hanno svolto un effetto benefico a livello dei singoli. L’iniziativa di formazione rivolta agli adulti • I cambiamenti strutturali in corso tendono a ridurre il numero di posti di lavoro a bassa qualifica, riducendo quindi la domanda di lavoratori con basso livello di istruzione. L’iniziativa di formazione rivolta agli adulti (AEI) si pone come obiettivo quello di rafforzare il livello di istruzione di soggetti con i livelli di istruzione più bassa allo scopo di aumentarne la competitività, evitare una precoce uscita dal mercato del lavoro e rafforzare la crescita economica. • La AEI, lanciata nel 1997 e giunta a termine nel 2002, era principalmente indirizzata a soggetti adulti disoccupati che non avevano completato l’istruzione secondaria obbligatoria o tre anni di istruzione secondaria. Mettendo a disposizione di questi soggetti la possibilità di accedere ad una nuova formazione di livello superiore è stato possibile aumentare la rispettiva mobilità nel mercato del lavoro, ciò che ha reso più semplice per questi soggetti trovare un posto di lavoro in settori in espansione. L’iniziativa ha quindi aiutato i soggetti ad adattarsi ai cambiamenti strutturali, riducendo di conseguenza il tasso di disoccupazione. • Le valutazioni effettuate dimostrano che la AEI ha ridotto l’incidenza della disoccupazione tra i soggetti partecipanti, perlomeno nel breve periodo, e che potrebbe anche avere ridotto le differenze tra i livelli di istruzione a carattere regionale, dato che i comuni con i più bassi livelli di istruzione sembrano avere attratto un numero di partecipanti maggiore rispetto ad altri comuni. 13 La flexicurity: l’esempio austriaco 1. La riforma dell’indennità di licenziamento Il sistema precedente: Il diritto all’indennità di licenziamento era precedentemente basato sulla durata del rapporto di lavoro tra singolo lavoratore e la stessa impresa. Il livello di partenza del pagamento era costituito dal salario di un mese per ciascun anno di anzianità eccedente i tre anni, raggiungendo un massimo di un anno di paga dopo 25 anni. Il nuovo regolamento stabilito dalla legge sull’indennità di licenziamento prevede i seguenti elementi chiave: • In linea di principio tutti i dipendenti (in possesso di un contratto di lavoro di durata superiore ad un mese) hanno diritto all’indennità di licenziamento al momento della risoluzione di un rapporto di lavoro. • A partire dall’inizio del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto a versare un contributo pari all’1,53% del salario mensile, in modo tale da causare un incremento progressivo della cifra. • Gli importi dell’indennità di licenziamento vengono trasferiti in un apposito fondo (“Mitarbeitervorsorgekassen”). • I lavoratori possono accedere all’indennità di licenziamento solamente alle stesse condizioni di diritto stabilite nel programma precedente e sempre che siano stati versati almeno tre anni di contributi. I periodi di contribuzione di datori di lavoro differenti vengono cumulati. • Nel momento in cui matura il diritto al pagamento il dipendente è libero di scegliere tra versamento in contanti, investimento ulteriore presso lo stesso fondo sopra citato o presso altro fondo di nuovo datore di lavoro, oppure se trasferire l’importo sotto forma di versamento in un’unica soluzione ad un fondo assicurativo pensionistico. Il nuovo sistema di indennità di licenziamento si applica a tutti i nuovi contratti di lavoro a partire dall’anno 2003. Per i contratti di lavoro già esistenti è prevista la possibilità di effettuare un trasferimento dal vecchio al nuovo sistema in base all’accordo tra datore di lavoro e lavoratore. Conclusioni • La corresponsione dell’indennità di licenziamento diviene maggiormente trasparente e prevedibile per le aziende. • Ancora più importante, il nuovo sistema elimina l’effetto di scoraggiamento della mobilità tipico dell’indennità di licenziamento, e dovrebbe quindi aumentare la mobilità dei lavoratori. Invece di perdere il diritto all’indennità di licenziamento in caso di dimissioni dal posto di lavoro, i dipendenti possono trasferire l’importo maturato nel nuovo rapporto di lavoro. 2. Revisione dei criteri di adeguatezza al lavoro A partire dal 2005 i soggetti disoccupati godono del diritto di essere assunti in un posto di lavoro per il quale siano stati formati solamente per i primi 100 giorni del periodo di disoccupazione. Tale norma (“Berufsschutz”) trova la sua integrazione tramite un sistema individualizzato (“Entgeltschutz”) in base al quale per i primi 120 giorni di disoccupazione un soggetto disoccupato è tenuto ad accettare un posto di lavoro solamente nel caso in cui la 14 retribuzione sia pari almeno all’80% della retribuzione media del posto di lavoro precedente. Per il restante periodo di disoccupazione il livello viene ridotto al 75%. Questa protezione particolare protegge il soggetto contro un sostanziale mancato guadagno anche in caso di riduzione dell’orario di lavoro per un’occupazione a tempo parziale. Qualora prima di essere licenziato il soggetto ricopra un posto di lavoro a tempo parziale, il salario percepito con il nuovo posto di lavoro non deve risultare inferiore rispetto al livello del posto di lavoro precedente. Sono inoltre stati modificati i criteri di valutazione della ragionevolezza del tempo necessario per recarsi presso il posto di lavoro. Per un posto di lavoro a tempo pieno, salvo circostanze particolari, tale tempo necessario non deve eccedere in misura sostanziale un quarto dell’orario di lavoro standard medio. Per un posto di lavoro a tempo pieno un limite ragionevole è quindi rappresentato da due ore di viaggio. Impatto Entrambe le riforme si basano su considerazioni di lungo periodo, che evidenziano effetti statistici solamente nel lungo termine. A causa del ritardo negli effetti previsti non è ancora disponibile una valutazione significativa dell’impatto delle misure. • Nel caso dell’indennità di licenziamento il ritardo è principalmente dovuto alla gradualità con la quale il nuovo sistema è stato introdotto. La riforma è entrata in vigore nel 2003, ragion per cui sarà necessario del tempo prima che tutti i contratti di lavoro divengano soggetti alla nuova norma. La percentuale attuale, pari a circa il 40% (ovvero 1.700.000 contratti a novembre del 2005) probabilmente continuerà a crescere con molta lentezza, dato che la transizione è già molto avanzata nei settori caratterizzati da elevati tassi di turnover. 15