Gruppo di lavoro sulla flexicurity

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Gruppo di lavoro sulla flexicurity
EMCO Gruppo di lavoro sulla flexicurity
Maggio 2006
Flexicurity
1. Introduzione
La Presidenza austriaca ha invitato l’EMCO a predisporre un documento sulla flexicurity come
contributo1 al Consiglio EPSCO del mese di giugno. Per preparare tale contributo un gruppo di
lavoro ad hoc, istituito nel quadro dell’EMCO, ha lavorato sulla relazione analitica allegata. Il
contributo dell’EMCO, come pure la relazione analitica, potrebbero costituire un catalizzatore
per un’ulteriore discussione sulla flexicurity in ambito EMCO, all’interno del Consiglio, tra le
parti sociali, negli Stati membri e nella Commissione.
La flexicurity costituisce già parte della Strategia Europea per l’Occupazione (SEO):
l’orientamento 21 richiede agli Stati membri di “Favorire al tempo stesso flessibilità e sicurezza
occupazionale”. In linea con l’agenda di Lisbona, agli Stati membri viene richiesto di dare
attuazione a politiche occupazionali che abbiano l’obiettivo di conseguire la piena occupazione,
migliorare la qualità e la produttività del lavoro e rafforzare la coesione sociale e territoriale.
Inoltre il Consiglio Europeo ha invitato gli Stati membri a perseguire, a seconda delle specifiche
situazioni del mercato del lavoro, riforme del mercato del lavoro e politiche sociali nel quadro
di un approccio integrato alla flexicurity, tenendo conto degli adeguamenti necessari a seconda
degli ambienti istituzionali specifici e considerando la segmentazione del mercato del lavoro2.
Le principali sfide che l’economia europea è tenuta ad affrontare – globalizzazione,
cambiamenti tecnologici ed invecchiamento della popolazione – sono divenute sempre più
pressanti in seguito all’avvio della strategia di Lisbona. D’altro canto sussiste un crescente
consenso sul fatto che gli elementi costitutivi del “Modello Sociale Europeo” debbano essere
mantenuti ed utilizzati come fattore produttivo nella ricerca di competitività. In tale quadro
assumono rilevanza la partecipazione ed il contributo delle parti sociali.
In questo contesto è cresciuto l’interesse nei confronti della flexicurity come combinazione
integrata di politiche orientate alla flessibilità e alla sicurezza. La flexicurity non riguarda
solamente l’introduzione di nuove politiche. L’elemento di novità della flexicurity sta piuttosto
nella combinazione di misure politiche introdotte simultaneamente, riconoscendo la necessità
di conseguire congiuntamente gli obiettivi in termini di flessibilità e di sicurezza piuttosto che
tentare di raggiungerli separatamente, in base al concetto secondo il quale la sicurezza non è
rappresentata dalla stabilità del posto di lavoro, quanto piuttosto dalla sicurezza
dell’occupazione e dalla sicurezza durante le fasi di transizione. Un tale atteggiamento richiede
coerenza tra le riforme della protezione sociale e le politiche occupazionali, sostenendo i
lavoratori e gli individui affinché si sentano più sicuri e considerino la globalizzazione ed i
cambiamenti del mercato del lavoro come un’opportunità e come un elemento accettabile della
propria vita lavorativa.
Va sottolineato come l’approccio non sia solamente bidimensionale (flessibilità + sicurezza =
flexicurity), ma preveda ulteriori dimensioni, con particolare riferimento a politiche attive del
mercato del lavoro che si concentrino sulla disponibilità al lavoro, formazione e ricerca attiva
del posto di lavoro (inclusa la formazione garantita dai datori di lavoro). In linea con tale
concetto, nel corso della riunione informale di Villach i ministri dell’EPSCO hanno raggiunto un
accordo sulla necessità principale consistente nel passaggio da un paradigma di stabilità del
posto di lavoro (lo stesso posto di lavoro garantito a vita) alla sottolineatura dell’importanza
della sicurezza dell’occupazione (disporre di possibilità e di qualifiche occupazionali durante
tutto l’arco della vita) nell’ambito dell’approccio alla flexicurity.
Nel quadro del contributo congiunto del Comitato per l’Occupazione e del Comitato per la Protezione Sociale
sulla flexicurity del maggio 2006.
2 Conclusioni del Vertice di primavera, marzo 2006.
1
1
I paesi con politiche orientate alla flexicurity sembrano far registrare più elevati tassi di
occupazione e più bassi livelli di sperequazione del reddito (vedere le figure 1a e 1b; ad
esempio Danimarca, Olanda, Austria e Svezia).
Va sottolineato come la flexicurity non costituisca uno scopo di per se stessa, ma rappresenti
piuttosto una sorta di “contenitore” per la formulazione di un mix di politiche volte al
raggiungimento di un maggiore livello di adattamento delle economie dell’UE, fornendo quindi
un contributo a coesione sociale e crescita economica. Le strategie di flexicurity comportano
quindi scelte politiche tra diversi aspetti di flessibilità e sicurezza. Per poter compiere scelte
positive si rivela quindi necessaria una strategia coerente. L’esperienza degli ultimi due decenni
dimostra come non esista un unico mix di politiche e di istituti che permetta di raggiungere e di
mantenere nel tempo adeguati livelli di efficienza del mercato del lavoro; tuttavia le esperienze
e le scelte di alcuni paesi possono costituire un riferimento importante per altri3. l’equilibrio
ottimale fra flessibilità e sicurezza varia da paese a paese, ad esempio in ragione delle
differenze del quadro istituzionale e del clima imprenditoriale. Sta a ciascun paese scegliere
direttamente la giusta combinazione.
Il Consiglio Europeo ha preso atto dell’intenzione di sviluppare un insieme di principi comuni
sulla flexicurity da parte della Commissione di concerto con gli Stati membri e con le parti
sociali. Per poter sviluppare un terreno comune è necessario un processo per la costruzione del
consenso. Il presente lavoro costituisce un contributo in tal senso, descrivendo gli obiettivi
della flexicurity, diverse combinazioni di flexicurity, nonché riconoscendo i settori in cui sono
necessari ulteriori dibattiti ed analisi.
2. Il concetto di flexicurity4: cosa si intende per “flexicurity”.
2.1 –Un concetto non univoco ma di vasta portata
Per quanto non esista una definizione universalmente accettata di flexicurity, le varie
descrizioni della teoria sviluppata sono sfociate in un concetto generale, in base al quale la
flexicurity potrebbe costituire una risposta possibile alle sfide che richiedono una riforma
strutturale:
Rapporto Wim Kok (Lavoro, lavoro, lavoro… 2003): “Una più pronta reattività delle
economie dell’UE al cambiamento richiede un elevato grado di flessibilità nei mercati del
lavoro, in particolare tramite una moderna organizzazione del lavoro ed una varietà di accordi
contrattuali e lavorativi. Un tale approccio può avere successo solamente se combinato con
una sicurezza adeguata per i lavoratori, con riferimento alla loro capacità di permanere nel
mercato del lavoro e di progredirvi. Poiché la flessibilità è nell’interesse sia dei datori di lavoro,
sia dei lavoratori, è auspicabile un coinvolgimento delle parti sociali”.
UE (Relazione Congiunta sull’Occupazione – JER 2006): “Per conseguire un giusto
equilibrio fra flessibilità e sicurezza senza aumentare il rischio di segmentazione del mercato
del lavoro sono necessari quattro ingredienti:
Innanzitutto, la disponibilità di accordi contrattuali che garantiscano una flessibilità
adeguata di modo tale che lavoratori e datori di lavoro possano plasmare il proprio
rapporto sulla base delle rispettive necessità. È necessario evitare la proliferazione di
diverse forme contrattuali garantendo la sufficiente omogeneità tra contratti in modo da
semplificare i processi di transizione.
OECD, DEELSA/ELSA(2006) 1.
Wilthagen e Tros (2004) assegnano la paternità del concetto di flexicurity al Professor Hans Adriaansens,
membro del Consiglio scientifico delle politiche pubbliche olandesi, e ad Ad Melkert, ministro laburista degli
affari sociali olandese, i quali hanno suggerito l’idea di compensare la riduzione della sicurezza del lavoro dovuta
alla riduzione dei posti di lavoro permanenti e alla maggiore semplicità di licenziamento aumentando le
opportunità occupazionali e rafforzando la sicurezza sociale.
3
4
2
In secondo luogo, le politiche attive del mercato del lavoro devono sostenere
efficacemente il passaggio da un posto di lavoro ad un altro, come pure la transizione da
disoccupazione ed inattività a lavoro attivo.
In terzo luogo, sistemi credibili di formazione continua devono permettere ai lavoratori di
mantenere l’occupabilità in tutta la propria carriera lavorativa.
In quarto luogo, è necessario istituire moderni sistemi di sicurezza sociale allo scopo di
garantire che tutti i lavoratori siano adeguatamente sostenuti nei periodi di assenza dal
mercato del lavoro e al fine di facilitare la transizione e la mobilità nel mercato del
lavoro”.
OCSE (Employment Outlook 2004): “Affinché una politica sia efficace nel raggiungimento
degli obiettivi a livello occupazionale e sociale questa deve prevedere un livello minimo di
regolamentazione della protezione dell’occupazione insieme a servizi a supporto dei nuovi
lavoratori che accedano al mercato del lavoro rendendoli più “attraenti” nei confronti dei datori
di lavoro. Ciò richiede un approccio basato su “obblighi reciproci”, in base al quale i destinatari
del welfare ricevano consulenza, sostegno nella ricerca del posto di lavoro ed altri servizi per il
reintegro. Come contropartita per tale sostegno continuativo i soggetti sono tenuti a ricercare
attivamente un posto di lavoro e ad adottare misure per migliorare la propria occupabilità”.
OIL (Studio di Peter Auer, 2005): “Equilibrio con le politiche attive del mercato del lavoro
allo scopo di combinare flessibilità e sicurezza. Flessibilità, stabilità e sicurezza che tengano
conto di cambiamenti strutturali come pure della necessità di sicurezza da parte dei lavoratori.
Il concetto propone una “mobilità protetta” nel mercato del lavoro unitamente a politiche attive
del mercato del lavoro volte a combinare flessibilità e sicurezza”.
T. Wilthagen: “Strategia politica che si propone, sincronicamente e su base volontaria, da un
lato di rafforzare la flessibilità dei mercati del lavoro, l’organizzazione del lavoro e le relazioni
industriali e dall’altro di rafforzare la sicurezza – sicurezza occupazionale e sicurezza sociale –
in particolare per i gruppi più vulnerabili all’interno e all’esterno del mercato del lavoro”.
Da ultimo, va citato P. Kongshøj Madsen il quale – traendo ispirazione dall’esperienza
danese – presenta il concetto di flexicurity sotto forma di un triangolo d’oro: 1) elevata
mobilità del lavoro e regime liberale di protezione dell’occupazione; 2) sistema di protezione
sociale relativamente generoso e diffuso (sussidi di disoccupazione e prestazioni in denaro per i
soggetti non assicurati); 3) politiche attive del mercato del lavoro che combinino offerta di
lavoro e offerta formativa con criteri di disponibilità e sanzioni.
Alla base di queste tre dimensioni del triangolo si situa una lunga tradizione di stretta
cooperazione tra le autorità e le parti sociali che rappresentano la stragrande maggioranza dei
lavoratori danesi.
A tale proposito, il triangolo d’oro è in linea con i dati dell’OCSE in base ai quali il mix di
politiche più adeguato adottato dai paesi è spesso caratterizzato da un forte accento posto
sulla contrattazione collettiva e sul dialogo sociale; tale mix richiede risorse finanziarie
sostanziali5. In generale, le parti sociali tendono a svolgere un ruolo più rilevante nel
raggiungimento di un equilibrio adeguato tra flessibilità e sicurezza.
In tutte le descrizioni precedentemente citate la flexicurity contiene come elemento principale
l’equilibrio delle politiche, con l’obiettivo di rafforzare l’adattabilità dei lavoratori e dei luoghi di
lavoro. Le politiche o gli strumenti concreti – ed il relativo mix – scelti da un paese possono
essere i più vari, come dimostrato nel paragrafo successivo.
2.2 Combinazioni di politiche di flessibilità e sicurezza
Per comprendere la varietà dei possibili mix che originano la flexicurity è importante
riconoscere che sicurezza e flessibilità possono assumere forme differenti e che, sulla base dei
5
OECD, DEELSA/ELSA(2006) 1. Include Austria, Danimarca, Irlanda, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia.
3
contesti e delle tradizioni nazionali, i vari paesi possono ritenere alcune di queste forme più
adeguate e pertinenti di altre. Un’esemplificazione citata di frequente dei vari elementi è
rappresentata dalla matrice di Wilthagen6, illustrata di seguito. Wilthagen delinea le seguenti
definizioni:
Stabilità del posto di lavoro: il grado di certezza di mantenere un posto di lavoro presso un
datore di lavoro specifico.
Sicurezza dell’occupazione: indica in che misura si sia certi di continuare a lavorare (non
necessariamente per lo stesso datore di lavoro). Un fattore importante che determina la
sicurezza dell’occupazione è l’occupabilità.
La sicurezza del reddito descrive la copertura della protezione del reddito in caso di
interruzione del lavoro retribuito, nonché le opportunità di remunerazione in condizioni
lavorative mutevoli.
Per sicurezza combinata si intendono le opportunità di conciliare le responsabilità lavorative,
familiari e sociali. Tra l’altro ciò prevede le opportunità di congedo maternità e parentale,
congedi malattia, congedi per periodi di studio, interruzione temporanea del lavoro e congedi
sabbatici.
Flessibilità numerica esterna: semplicità delle procedure di licenziamento e reclutamento.
Flessibilità numerica interna: semplicità di modificare l’orario di lavoro (lavoro a turni,
variazioni stagionali, straordinario e flessibilità dell’orario).
Flessibilità funzionale: semplicità di assegnazione di lavori differenti ai dipendenti oppure,
per i dipendenti, di cambiare mansioni e/o compiti all’interno della stessa azienda.
Flessibilità salariale: semplicità di adattare il salario alle prestazioni individuali.
La tabella seguente fornisce alcuni esempi delle diverse dimensioni e delle relative
combinazioni.
La matrice di Wilthagen
Esempi delle variabili strumentali per la politica di flexicurity
SICUREZZA
SICUREZZA
STABILITÀ DEL
SICUREZZA
FLESSIBILITÀ
POSTO DI
DELL’OCCUPAZIONE DEL REDITO
LAVORO
FLESSIBILITÀ
NUMERICA
ESTERNA
FLESSIBILITÀ
NUMERICA
INTERNA
FLESSIBILITÀ
FUNZIONALE
SICUREZZA
COMBINATA
- Tipologie di
contratti di lavoro
- Norme in
materia di
protezione
dell’occupazione
Prepensionamenti
- Riduzione della
settimana
lavorativa;
contratti parttime
- Servizi
all’occupazione/PAML
- Formazione /
formazione continua
- Prestazioni di
disoccupazione
- Altre
prestazioni
sociali
- Salario
minimo
- Protezione
contro il
licenziamento
durante i vari
programmi di
congedo
- Norme in materia di
protezione
dell’occupazione
- Formazione /
formazione continua
- Varie
tipologie di
programmi di
congedo
- Pensioni
parziali
- Arricchimento
delle mansioni;
- Formazione;
- Lavoro in affitto
- Subappalti
- Formazione /
formazione continua
- Rotazione dei
compiti lavorativi
- Lavoro in squadra;
- Prestazioni
supplementari
per il lavoro a
tempo parziale
- Borse di
studio;
- Prestazioni
per malattia
- Sistemi di
pagamento
commisurati
alla
produttività
- Accordi
volontari
sull’orario di
lavoro
Flexicurity: een nieuw paradigma voor de regulering van arbeid en de arbeidsmarkt? Wilthagen, Prof.dr.
A.C.J.M.
6
4
Esternalizzazione
FLESSIBILITÀ DEL - Adattamenti
COSTO DEL
locali al costo del
LAVORO/SALARIO lavoro;
- Contributi
previdenziali
scalati/ridotti
- Multiskilling
- Modifiche nei
versamenti di
contributi
previdenziali
- Sussidi
all’occupazione;
- Integrazione dei
salari più bassi (inwork benefits)
- Contratti
salariali
collettivi
Adeguamento
delle
prestazioni per
settimane
lavorative
brevi
- Accordi
volontari
sull’orario di
lavoro
I percorsi verso una maggiore flexicurity
I percorsi verso una maggiore flexicurity variano da paese a paese, sia in termini di misure
assunte, sia in termini di fasi procedurali.
La matrice dimostra come sia possibile assumere numerosi misure, a partire dalla
combinazione di alcuni aspetti della flessibilità e di alcuni aspetti della sicurezza, che possono
essere sostenute da altre, come ad esempio politiche attive del mercato del lavoro e
formazione. Sta agli Stati membri identificare il proprio percorso all’interno della matrice e
decidere quale insieme di misure sia necessario e fattibile nell’ambito dello specifico contesto
politico di riferimento.
A causa della variabilità dei punti di partenza tra Stati, un paese potrebbe decidere di avviare
l’istituzione dell’intero nuovo sistema di flexicurity, mentre per un altro paese potrebbe essere
sufficiente integrare gli elementi di sicurezza già esistenti con politiche in materia di flessibilità.
Al fine di creare un clima in cui le parti siano disposte ad assumersi la responsabilità delle
riforme, questo processo deve andare di pari passo con misure volte ad aumentare la
consapevolezza dell’opinione pubblica delle problematiche in questione, con il coinvolgimento
dei portatori di interessi nella fase analitica. A tale proposito è essenziale la partecipazione di
tutti gli attori e di tutti i portatori di interessi. Da questo seguirà lo sviluppo dei pacchetti di
politiche specifiche.
In linea di principio, ciascuna istituzione e ciascuna politica in materia di flexicurity deve essere
considerata nel quadro di un duplice obiettivo relativo a flessibilità e sicurezza, possibilmente
sottolineando come un elemento sia sempre collegato a circostanze istituzionali concrete. A
titolo di esempio, e a seconda del punto di partenza, un cambiamento nel livello e nelle
modalità di assegnazione dei sussidi di disoccupazione può costituire un contributo al
rafforzamento della flessibilità o della sicurezza. Non vanno inoltre trascurate le interazioni tra i
singoli strumenti, che possono rivelarsi sostitutive (ad esempio protezione dal licenziamento –
maggiori sussidi di disoccupazione) o complementari (ad esempio trasferimenti – inserimento
obbligatorio).
In tale contesto è necessario considerare le parti interessate alle scelte effettuate in ambito
politico. Molti Stati membri devono affrontare il crescente problema di mercati del lavoro
segmentati a due o a più livelli, ciò che crea una situazione caratterizzata dalla presenza di
gruppi interni ed esterni. Alcuni lavoratori godono di un elevato livello di sicurezza, mentre altri
permangono intrappolati in posti di lavoro meno sicuri, quando non addirittura nel lavoro nero,
con pochissime opportunità di progredire verso posti di lavoro meglio remunerati. La
segmentazione dimostra in pratica come flessibilità e sicurezza vengano considerate come
elementi reciprocamente escludentisi, con conseguente flessibilità per alcuni e sicurezza per
altri. Una tale dicotomia deve assolutamente essere superata.
A tale proposito norme per la protezione dell’occupazione meno restrittive potrebbero costituire
una strada verso un mercato del lavoro maggiormente inclusivo, a vantaggio anche dei gruppi
più deboli. Un tale meccanismo potrebbe funzionare adeguatamente laddove tali norme per la
5
protezione dell’occupazione meno restrittive venissero combinate con misure in materia di
sicurezza che garantiscano le qualifiche necessarie per il lavoratore e un determinato livello di
reddito durante i periodi di assenza dal lavoro. D’altro canto norme per la protezione
dell’occupazione meno restrittive rafforzano gli incentivi generali per le aziende ad assumere,
spingendo le aziende a non limitarsi ad assumere solo personale meno qualificato. Ciò
comporta in linea generale un più semplice accesso al lavoro, con conseguente rafforzamento
della probabilità di spostarsi verso posti di lavoro diversi e migliori. D’altro canto questa
tendenza viene controbilanciata dalle misure che garantiscono un determinato livello di reddito
e che vanno a sostegno dell’occupabilità durante i periodi di disoccupazione. In questo modo
gli individui sanno che i periodi di disoccupazione non durano per sempre e che è a loro
disposizione un sostegno per aiutarli a rientrare nel mercato del lavoro al più presto possibile,
anche in ragione del maggior numero di aziende disposte ad assumere.
Al fine di migliorare l’inclusione sociale e di aumentare l’occupazione, è quindi possibile limitare
la segmentazione del mercato del lavoro aumentando flessibilità e sicurezza dell’occupazione in
generale piuttosto che proteggendo posti di lavoro, gruppi di lavoratori o settori specifici a
spese di altri.
3. Misurazione e valutazione degli effetti: primi esempi
Come indicato nell’introduzione, l’orientamento 21 fa riferimento alla flexicurity. I settori
coperti dall’orientamento 21 riguardano numerosi temi, che vanno dall’adattamento della
legislazione in materia di occupazione, alla questione del lavoro illegale, ad una più efficace e
positiva previsione e gestione del cambiamento.
Per monitorare i risultati conseguiti dagli Stati membri nell’ambito dell’orientamento, sono stati
sviluppati diversi indicatori, riportati alla sezione “Indicatori di monitoraggio degli orientamenti
sull’occupazione”. Uno di questi indicatori riguarda le differenze negli accordi contrattuali e di
lavoro, ad esempio per quanto riguarda i lavoratori con posti di lavoro definiti non standard (a
tempo parziale e/o a tempo determinato) come percentuale del numero totale di lavoratori.
Nella primavera del 2005 l’UE a 25 faceva registrare in media un 29,5% del totale dei
lavoratori in posti di lavoro non standard, con una variabilità dal 6,8% della Slovacchia al
52,7% dei Paesi Bassi.
Per illustrare alcune delle variabili collegate alla flexicurity vengono forniti di seguito alcuni
esempi. I dati vengono desunti da uno studio del Ministero delle finanze danese che si
concentra sulle possibili correlazioni tra le varie politiche ed il livello della disoccupazione
strutturale. Dato il ristretto ambito temporale non è stato possibile aggiornare tutti gli esempi
con dati di tutti gli Stati membri; i dati ottenuti devono quindi essere considerati in tale luce.
Inoltre, come si verifica di frequente quando non vengono incluse serie di dati, i grafici riportati
di seguito non chiariscono i diversi punti di partenza e gli sviluppi conseguiti con il tempo nei
singoli Stati membri.
Come primo elemento, appare come i paesi con una protezione dell’occupazione relativamente
bassa facciano registrare più bassi livelli di disoccupazione strutturale, sebbene la correlazione
non sia particolarmente forte (vedere la figura 2a).
Sebbene si registri una tendenza in base alla quale i paesi con maggiori livelli di imposizione
fiscale facciano registrare più elevati livelli di disoccupazione (a parità di altri fattori), alcuni
paesi come ad esempio Austria, Paesi Bassi, Danimarca e Svezia fanno registrare elevati livelli
di sicurezza del reddito (illustrati dal cuneo fiscale) e bassi livelli di disoccupazione (vedere la
figura 2b). Una ragione potrebbe essere che tali paesi bilanciano con altre politiche i previsti
effetti negativi sull’occupazione causati dai più elevati livelli di sicurezza del reddito.
6
Esempi di tali misure sono le politiche attive del mercato del lavoro, tra cui le norme in materia
di disponibilità al lavoro7. Sembra che i paesi che più investono in formazione e in altre misure
a favore dei disoccupati tendano a far registrare più bassi livelli di disoccupazione (si veda la
figura 3 a). A tale proposito sono possibili due spiegazioni. Secondo l’una, la formazione dei
disoccupati può permettere loro di conseguire le qualifiche necessarie ad ottenere un nuovo
posto di lavoro. Secondo l’altra la formazione o l’inserimento obbligatorio rafforzano per alcuni
individui l’intensità con la quale si dedicano alla ricerca di un posto di lavoro.
Requisiti più severi in materia di disponibilità al lavoro rafforzano l’intensità della ricerca di un
posto di lavoro. Le statistiche disponibili vanno nella stessa direzione. I paesi che hanno
introdotto requisiti più severi in materia di disponibilità al lavoro sembrano anche registrare più
bassi livelli di disoccupazione (si veda la a figura 3b).
I grafici di cui sopra indicano che i paesi che presentano determinate combinazioni di
protezione dell’occupazione, sicurezza del reddito, politiche attive del mercato del lavoro e
requisiti in materia di disponibilità al lavoro presentano più bassi livelli di disoccupazione.
Mentre un’analisi dell’OCSE8 indica l’esistenza di prove controverse sul ruolo svolto dalle norme
in materia di protezione dell’occupazione sui tassi aggregati di occupazione e di disoccupazione
sia in studi teorici, sia in studi empirici, un’analisi approfondita svolta dal Ministero delle
finanze danese indica che una maggiore protezione dell’occupazione ed un generoso sistema di
indennità di disoccupazione tende ad aumentare la disoccupazione. Una maggiore spesa sulle
misure attive del mercato del lavoro e requisiti più severi in materia di disponibilità al lavoro
riducono la disoccupazione (vedere riquadro 1). L’impatto preciso dell’interazione tra questi
elementi della flexicurity necessita di ulteriori studi.
Riquadro 1. Effetti degli istituti e delle politiche del mercato del lavoro sulla
disoccupazione effettiva e strutturale
La variazione sostanziale della disoccupazione strutturale nei paesi dell’UE viene spesso
attribuita alle differenze nelle politiche del mercato del lavoro, nei livelli di regolamentazione
dei mercati e della protezione dell’occupazione, nelle politiche fiscali e negli strumenti per la
determinazione dei salari.
Uno studio ha evidenziato come indennità di disoccupazione generose (sia in termini di
compenso che di durata), politiche passive del mercato del lavoro, requisiti limitati a carico dei
disoccupati in materia di disponibilità al lavoro, requisiti in materia di occupazione precedente
(eleggibilità) e norme più vincolanti in materia di protezione dell’occupazione sono tutti
elementi che comportano una maggiore disoccupazione strutturale (si veda la tabella a).
Ad esempio, i risultati indicano che un aumento del tasso di sostituzione lordo medio del 10%
in media comporta un incremento della disoccupazione strutturale di circa 0,5-1,5 punti
percentuali. Gli effetti negativi della generosità delle prestazioni può essere controbilanciato da
altre politiche, ad esempio da norme più severe in materia di disponibilità al lavoro.
Tabella a. Effetti degli istituti e delle politiche del mercato del lavoro sulla
disoccupazione effettiva e strutturale in un gruppo di 19 paesi OCSE, 1983-99
Effetto sul tasso di disoccupazione standardizzato
Indennità di disoccupazione (in generale) più generose
Maggiore durata delle indennità
Requisiti più vincolanti in materia di disponibilità
Maggiori spese sulle politiche attive del mercato del lavoro
Requisiti più severi in materia di occupazione
Maggiore protezione dell’occupazione
Il fatto di permettere una transizione agevole dalla vita scolastica alla vita lavorativa contribuisce anche ad una
bassa disoccupazione giovanile. A tale proposito i sistemi di apprendistato, laddove esistenti, svolgono un ruolo
essenziale.
8 Employment Outlook 2004.
7
7
Negoziati salariali maggiormente centralizzati
Maggiore tasso di sindacalizzazione
Maggiori imposte totali a carico del lavoro
Note: ***, ** e * indicano la significatività statistica rispettivamente a 1%, 5% e 10%. La
deviazione dalla tendenza HP nel logaritmo del PIL reale è inclusa in tutte le stime come
controllo per le fluttuazioni aziendali; in alcune regressioni sono inclusi inoltre il tasso di
interesse reale e paesi di comodo.
1) Gli effetti quantitativi vengono indicati solamente per gli indicatori per i quali gli effetti
dispongono di un’interpretazione diretta. Le cifre indicano l’effetto sulla disoccupazione
effettiva in punti percentuali in base a:
i) incremento nel tasso di sostituzione del 10% nel corso dell’intero periodo di durata delle
indennità;
ii) proroga di un anno della durata massima della disoccupazione;
iii) incremento delle spese per politiche attive del mercato del lavoro dell’1% del PIL per
ciascun punto percentuale di disoccupazione, che corrisponde all’incirca a 0,5 miliardi di corone
danesi all’attuale livello di spesa danese;
iv) requisiti occupazionali più vincolanti per 26 settimane, che corrisponde ai vincoli introdotti
in Danimarca nel 1997.
2) La durata massima delle indennità di disoccupazione non appare significativa. Una
spiegazione possibile sta nel fatto che la durata massima viene implicitamente inclusa
nell’indicatore dell’OCSE per l’indennizzo generale alla disoccupazione e che l’effetto
dell’aumento della durata massima della disoccupazione viene misurato sulla base dell’effetto
del tasso generale di sostituzione (prima riga della tabella).
3) Misurato come spese per disoccupato rispetto al rapporto del PIL per individuo facente parte
della forza lavoro.
4) Il risultato è stato ottenuto da un rapporto stimato che ha utilizzato dati del periodo 196399. L’indicatore non ha dimostrato una significatività statistica nel periodo 1983-99.
Fonte: Frederiksen, Gaard e Thorball (2005), Ministero delle finanze danese.
Politiche del mercato del lavoro in alcuni paesi a basso tasso di disoccupazione
Nella ricerca dell’obiettivo della piena occupazione e della riduzione della disoccupazione i paesi
possono percorrere strade differenti. In base agli sviluppi di questi due indicatori alcuni paesi
fanno registrare risultati migliori di altri.
Nella Relazione della Commissione sullo stato di avanzamento 2005/06 i Paesi Bassi e la
Danimarca vengono evidenziati come due paesi che hanno compiuto progressi nel mettere in
pratica l’approccio alla flexicurity. Come già indicato, ciascuno Stato membro presenta
caratteristiche uniche e non è quindi possibile trasferire direttamente politiche da un paese ad
un altro, ancor meno quando si tratti di politiche del mercato del lavoro. A titolo di esempio,
potrebbe non essere possibile ottenere il coinvolgimento delle parti sociali nella stessa misura
in cui ciò è avvenuto nei paesi nordici, né potrebbe essere possibile riproporre in altri Stati
membri l’elevata percentuale di posti di lavoro a tempo determinato e lo sviluppo delle agenzie
di lavoro temporaneo come è avvenuto nel caso olandese.
La strada seguita dai Paesi Bassi si è concentrata sulla disponibilità di contratti di lavoro
relativamente flessibili (agenzie di lavoro temporaneo)9 e sull’allargamento dei diritti a tali
contratti in materia di sicurezza sociale, pensioni e possibilità di ottenere un contratto a tempo
I posti di lavoro a tempo parziale vengono spesso inclusi tra i contratti flessibili. Sebbene tali contratti possano
presentare una qualche flessibilità per i lavoratori (che dispongono di un maggiore numero di ore per lo
straordinario, se necessario), in pratica nel caso olandese l’unica differenza rispetto ai contratti a tempo pieno si
limita al minor numero di ore indicate nel contratto. Quindi nel caso olandese il lavoro a tempo parziale va
distinto dai contratti flessibili.
9
8
indeterminato. In molti altri paesi questi diritti valgono solamente per i contratti a tempo pieno
e a tempo indeterminato . Da un lato, questo approccio permette a datori di lavoro e lavoratori
di meglio adattare la domanda e l’offerta di lavoro alle rispettive necessità. Inoltre esso offre ai
gruppi in una situazione di svantaggio nel mercato del lavoro la possibilità di un primo
contratto flessibile che potrebbe in seguito condurre ad un contratto fisso (la cosiddetta teoria
del primo passo). Secondo le stime dell’OCSE (Employment outlook, luglio 2002), il 50% dei
lavoratori temporanei ottiene un posto di lavoro fisso entro un anno, cifra che sale al 65% a
due anni. Per ulteriori informazioni si veda l’Appendice 1.
Il “triangolo d’oro” danese caratterizzato da un basso livello di legislazione in materia di
protezione dell’occupazione e da tassi di sostituzione relativamente generosi per i disoccupati,
oltre che da politiche vincolanti in materia di disponibilità e di inserimento, comporta un
mercato del lavoro fortemente dinamico. Il modello danese di flexicurity opera come un
“contratto” non scritto, una sorta di compromesso storico tra Stato, datori di lavoro e salariati.
Senza l’approvazione delle tre parti la flexicurity non potrebbe funzionare10. In Danimarca
l’interscambio e l’equilibrio tra flessibilità del mercato del lavoro, elevato livello di sicurezza e
politiche attive del mercato del lavoro appaiono significativi11. Inoltre il sistema danese gode di
una vasta accettazione a livello politico e l’accettazione di un’assenza di legislazione in materia
di stabilità del posto di lavoro e di condizioni di salario e di lavoro richiede e crea condizioni di
una forte organizzazione nel mercato del lavoro. Per ulteriori informazioni si veda l’Appendice
1.
4. Le conseguenze delle misure per le imprese, per gli individui e per gli Stati membri
Stante il mix di politiche illustrato alle precedenti sezioni 2 e 3, potrebbe sorgere la domanda
se alcune combinazioni risultino maggiormente gradite ai lavoratori piuttosto che ai datori di
lavoro o viceversa. In tutti gli ambiti politici le misure assunte possono comportare impatti
differenti sui vari portatori di interessi: individui, imprese e lo Stato. Le varie misure
comportano anche conseguenze finanziarie a carico di ciascun portatore di interessi, ivi
comprese le finanze pubbliche. Ciò comporta una differenza di interessi. Come evidenziato
nella tabella seguente, ciascuna misura può avere un impatto positivo o negativo, ma come già
indicato nella precedente sezione 2.2 anche le interazioni tra le varie misure svolgono un ruolo.
Non risulta quindi possibile quantificare questa influenza, ma si può piuttosto evidenziare una
direzione qualitativa.
Tabella 2: Esempi di
su imprese, individui
Misure in materia di
flexicurity
Diritto del lavoro
Contratti
a
determinato
politiche in materia di flexicurity – impatto positivo e negativo
e Stati membri
Imprese
Individui
Stati membri
+ Flessibilità
nell’organizzazione del
lavoro e nelle modalità
lavorative
- Possibile inibizione
della creazione di posti
di lavoro
tempo + Disponibilità di forza
lavoro in linea con la
+
Garantisce
il
sostegno dei diritti dei
lavoratori
Costi
del
mantenimento
degli
enti
preposti
all’attuazione
+ Disponibilità di posti + Aumento del tasso
di lavoro adatti alle di occupazione
+ Protezione dei diritti
dei lavoratori
- Potenziale mancanza
di flessibilità
10 Madsen, Per Kongshøj, “The Danish Model of “Flexicurity” - A Paradise with some Snakes”(2002).
Nell’articolo l’autore presenta alcuni commenti critici sul modello danese di flexicurity.
11 Ad esempio, sulla questione tra equilibrio ed adattamenti necessari negli ultimi anni l’industria ha concluso un
certo numero di accordi sul prolungamento dell’orario di lavoro oltre lo standard di 37 ore. In tal modo il sistema
danese evidenzia una flessibilità all’adattamento alla concorrenza che costituisce una sfida per le singole imprese.
Un ulteriore esempio riguarda gli adattamenti selettivi delle politiche attive del mercato del lavoro, in particolare
nei confronti dei lavoratori più giovani, misure che si sono dimostrate efficaci come evidenziato dal basso tasso
di disoccupazione giovanile in Danimarca.
9
domanda di lavoro
Cambiamento
continuo nella base di
conoscenza
Meccanismi adeguati + Minori difficoltà nel
di protezione sociale
licenziare i lavoratori
- Maggiori retribuzioni
necessarie
per
assumere personale
circostanze personali
Maggiore
Insicurezza affidamento
sulla
protezione sociale
dell’occupazione
+ Esistenza di misure
di sicurezza in caso di
perdita del posto di
lavoro
Disincentivo
ad
accettare un posto di
lavoro
+ Garantisce i soggetti
più vulnerabili
- Intervento per far sì
che vaga la pena di
lavorare
Politiche attive del + Accesso al mercato +
Riduzione
della
Opportunità
di +
mercato del lavoro
del lavoro
formazione
/ disoccupazione
aumento
occupazione
- Qualità del lavoro?
dell’occupazione
Perdita
delle
indennità
- Efficacia dal punto di
vista dei costi?
Fare in modo che +
Forza
lavoro
valga la pena di disponibile
lavorare – criteri di
- Motivazione al lavoro
disponibilità
non sempre presente
+ Rischio minimo di +
Riduzione
della
disoccupazione
di disoccupazione
lungo periodo
aumento
dell’occupazione
- Rischio che il posto
di lavoro non sia in Rischio
di
non
linea con le qualifiche corrispondenza
tra
o i desideri; perdita posto di lavoro e
delle indennità
qualifiche
Aumento
della
Investimenti in risorse +
umane
conoscenza, del livello
delle qualifiche e della
produttività
+
Aumento
della
conoscenza, dei livelli
delle
qualifiche
e
migliore
sviluppo
personale
+
Forza
lavoro
altamente qualificata –
attrazione
di
investimenti; maggiori
opportunità
occupazionali
- Rischio di perdere i
dipendenti
- Maggiori aspettative
non necessariamente - Rischi di mobilità
soddisfatte
***
Il Comitato per l’Occupazione ha fatto uso della presente relazione analitica come base per il
proprio apporto al Contributo Congiunto del Comitato Occupazione e del Comitato Protezione
Sociale sulla flexicurity, presentato per l’approvazione al Consiglio EPSCO dell’1 giugno 2006.
10
Appendice 1: esempi paese
La strategia della flexicurity nei Paesi Bassi
I principali indicatori che evidenziano il raggiungimento di un equilibrio:
•
L’approccio alla flexicurity ha contribuito ad una bassa disoccupazione strutturale e di
lungo periodo e ad una forte dinamicità del mercato del lavoro.
Il sistema della flessibilità si manifesta come segue:
•
Contratti a tempo determinato. La legge in materia di flessibilità e sicurezza entrata in
vigore in data 1 gennaio 1999. L’obiettivo della legge consisteva nel creare un effettivo
equilibrio tra la capacità dei datori di lavoro di gestire flessibilmente le rispettive imprese
fornendo al contempo ai lavoratori la stabilità del posto di lavoro e la sicurezza del
reddito. Ciò riguarda in particolare i lavoratori assunti con contratti flessibili, come ad
esempio i lavoratori a chiamata, gli operatori ausiliari, i lavoratori a zero ore, gli addetti
al telelavoro, i lavoratori a domicilio ed i lavoratori temporanei. L’elemento principale
della legge riguarda la possibilità che un datore di lavoro assuma un lavoratore per un
massimo di tre contratti consecutivi a tempo determinato, per un totale massimo di 36
mesi. I datori di lavoro ed i lavoratori possono discostarsi dai limiti massimi stabiliti (3
contratti di 36 mesi) in base a contratti collettivi, ciò che peraltro si verifica spesso. I
lavoratori assunti tramite contratti flessibili dispongono degli stessi diritti dei lavoratori
con contratti permanenti, ad eccezione del fatto che il loro contratto può essere rescisso
senza particolari requisiti procedurali al termine del periodo contrattuale. Circa il 15% dei
posti di lavoro nei Paesi Bassi è retto da contratti a tempo determinato.
•
Le Agenzie di lavoro temporaneo forniscono ai datori di lavoro la possibilità di creare,
intorno ad un nucleo essenziale di lavoratori provvisti di contratto regolare, un gruppo più
periferico di lavoratori dotati di contratti flessibili, ai quali fare ricorso per far fronte alle
fluttuazioni economiche nel breve periodo. Allargando a questi lavoratori i diritti in
materia di sicurezza sociale, pensioni e possibilità di un contratto permanente, la
flessibilità offerta ai datori di lavoro viene controbilanciata da un ragionevole grado di
sicurezza per i lavoratori. Questi posti di lavoro flessibili possono rivelarsi un trampolino
di lancio verso un contratto regolare.
•
Per quanto riguarda i lavoratori muniti di contratto regolare, il sistema olandese permane
in una situazione caratterizzata da una certa staticità. Avendo riconosciuto questa
problematica, governo e parti sociali si sono accordati sull’introduzione di alcune riforme
che riguardano le indennità di disoccupazione e le norme che regolano i licenziamenti. La
durata massima delle indennità di disoccupazione è stata ridotta da sette anni a 38 mesi.
Per quanto riguarda le norme in materia di protezione dell’occupazione è stato abolito il
principio in base al quale l’ultimo ad entrare era il primo ad uscire, principio che favoriva i
lavoratori più anziani.
I problemi emergono a causa della dicotomia esistente tra il lato maggiormente flessibile del
mercato del lavoro (contratti di lavoro temporaneo e a tempo determinato) e la parte più
statica del mercato del lavoro (contratti regolari). Per quanto siano stati aperti alcuni canali
che permettono una più semplice entrata ed uscita dal mercato del lavoro, permangono ancora
alcuni ostacoli. Per quanto riguarda i datori di lavoro, è stato raggiunto un certo grado di
flessibilità, ma in situazioni caratterizzate da recessioni protratte le imprese devono comunque
fare i conti con un nucleo relativamente inflessibile di soggetti occupati.
I principali indicatori che evidenziano il raggiungimento di un equilibrio positivo
sono:
•
•
bassissima disoccupazione giovanile
basso tasso di disoccupazione nel lungo periodo
11
•
disoccupazione effettiva e strutturale generalmente bassa
Il sistema della flessibilità si manifesta come segue:
•
•
•
•
turnover dei lavoratori generalmente elevato, che riflette tassi elevati di assunzioni e
licenziamenti
un terzo di tutti gli occupati cambia lavoro ogni anno
i lavoratori permangono in uno stesso posto di lavoro per un periodo relativamente breve
e in media ricoprono un elevato numero di posti di lavoro nel corso della propria carriera
lavorativa
il progresso dei lavoratori lungo la scala salariale è relativamente rapido.
I lavoratori si sentono sicuri nonostante il turnover e la scarsa protezione
dell’occupazione per le seguenti motivazioni:
•
•
•
Trovare un nuovo posto di lavoro risulta più semplice in situazioni caratterizzate da
elevato turnover dei lavoratori e bassa disoccupazione. Anche se il 10% dei posti di
lavoro “scompare” ogni anno, il numero di posti di lavoro creati risulta comunque
superiore.
In secondo luogo, le indennità di disoccupazione individuali sono relativamente generose
(alto tasso di sostituzione e lunga durata).
In terzo luogo, le politiche attive del mercato del lavoro prevedono l’aiuto nella ricerca di
un nuovo posto di lavoro, la formazione lavoro, programmi educativi, norme severe sulla
disponibilità e il diritto/dovere di accettare le offerte di lavoro.
Un esempio di adattamento del modello danese: garanzia di incentivi continuativi al
lavoro
Il problema e la posizione di partenza del 1995
•
•
•
elevata disoccupazione giovanile – numerosi lavoratori giovani senza qualifiche
indennità di disoccupazione superiori rispetto ai sussidi all’istruzione disponibili a partire
da fondi pubblici
mancanza di incentivi per frequentare corsi di istruzione o di formazione
Adattamento
Riduzione delle indennità di disoccupazione del 50% per tutti i giovani lavoratori privi di
qualifiche al di sotto di 25 anni di età e assistenza alla partecipazione a corsi di istruzione e/o
di formazione.
Effetti: riduzione della disoccupazione e aumento dei livelli di istruzione e di occupazione.
12
La flexicurity: l’esempio svedese
Accordi sulla transizione lavorativa
•
In Svezia i cosiddetti Accordi sulla transizione lavorativa sono stati istituiti nel quadro dei
contratti collettivi. In base agli accordi, i datori di lavoro si assumono una maggiore
responsabilità in caso di licenziamento dei dipendenti, in particolare quando a essere
colpiti sono lavoratori più anziani e soggetti con basso livello di istruzione. Gli accordi
sulla transizione lavorativa aiutano i lavoratori che vengono licenziati a causa della
mancanza di lavoro a trovare una nuova occupazione; per tale ragione questi accordi
possono essere considerati come un’integrazione agli uffici di collocamento pubblici.
•
Il lavoratore svolge un ruolo attivo nel periodo di transizione, ruolo che può partire al
momento del ricevimento della notifica di licenziamento, o in taluni casi addirittura prima.
In alcuni casi gli accordi prevedono anche un compenso finanziario per la quota di salario
che eccede il tetto dell’indennità di disoccupazione. Il compenso può anche essere
versato per un periodo limitato ai lavoratori che trovino un nuovo posto di lavoro ad un
salario inferiore. Il programma è finanziato tramite il pagamento di una percentuale della
busta paga delle imprese affiliate.
•
Il processo di transizione viene gestito dal consiglio per la sicurezza dell’occupazione
istituito dalle parti dell’accordo e con la partecipazione del lavoratore oggetto del
licenziamento. Tra le misure di supporto sono previste consulenze, orientamento
professionale e lavorativo, sostegno nella ricerca di lavoro, programmi di istruzione e di
formazione o sostegno ai lavoratori che intendano creare la propria impresa.
•
Oggi gli Accordi sulla transizione lavorativa sono previsti in numerosi settori regolati dalla
contrattazione collettiva; le ricerche dimostrano che questi Accordi hanno svolto un
effetto benefico a livello dei singoli.
L’iniziativa di formazione rivolta agli adulti
•
I cambiamenti strutturali in corso tendono a ridurre il numero di posti di lavoro a bassa
qualifica, riducendo quindi la domanda di lavoratori con basso livello di istruzione.
L’iniziativa di formazione rivolta agli adulti (AEI) si pone come obiettivo quello di
rafforzare il livello di istruzione di soggetti con i livelli di istruzione più bassa allo scopo di
aumentarne la competitività, evitare una precoce uscita dal mercato del lavoro e
rafforzare la crescita economica.
•
La AEI, lanciata nel 1997 e giunta a termine nel 2002, era principalmente indirizzata a
soggetti adulti disoccupati che non avevano completato l’istruzione secondaria
obbligatoria o tre anni di istruzione secondaria. Mettendo a disposizione di questi soggetti
la possibilità di accedere ad una nuova formazione di livello superiore è stato possibile
aumentare la rispettiva mobilità nel mercato del lavoro, ciò che ha reso più semplice per
questi soggetti trovare un posto di lavoro in settori in espansione. L’iniziativa ha quindi
aiutato i soggetti ad adattarsi ai cambiamenti strutturali, riducendo di conseguenza il
tasso di disoccupazione.
•
Le valutazioni effettuate dimostrano che la AEI ha ridotto l’incidenza della disoccupazione
tra i soggetti partecipanti, perlomeno nel breve periodo, e che potrebbe anche avere
ridotto le differenze tra i livelli di istruzione a carattere regionale, dato che i comuni con i
più bassi livelli di istruzione sembrano avere attratto un numero di partecipanti maggiore
rispetto ad altri comuni.
13
La flexicurity: l’esempio austriaco
1. La riforma dell’indennità di licenziamento
Il sistema precedente: Il diritto all’indennità di licenziamento era precedentemente basato
sulla durata del rapporto di lavoro tra singolo lavoratore e la stessa impresa. Il livello di
partenza del pagamento era costituito dal salario di un mese per ciascun anno di anzianità
eccedente i tre anni, raggiungendo un massimo di un anno di paga dopo 25 anni.
Il nuovo regolamento stabilito dalla legge sull’indennità di licenziamento prevede i seguenti
elementi chiave:
•
In linea di principio tutti i dipendenti (in possesso di un contratto di lavoro di durata
superiore ad un mese) hanno diritto all’indennità di licenziamento al momento della
risoluzione di un rapporto di lavoro.
•
A partire dall’inizio del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto a versare un
contributo pari all’1,53% del salario mensile, in modo tale da causare un incremento
progressivo della cifra.
•
Gli importi dell’indennità di licenziamento vengono trasferiti in un apposito fondo
(“Mitarbeitervorsorgekassen”).
•
I lavoratori possono accedere all’indennità di licenziamento solamente alle stesse
condizioni di diritto stabilite nel programma precedente e sempre che siano stati versati
almeno tre anni di contributi. I periodi di contribuzione di datori di lavoro differenti
vengono cumulati.
•
Nel momento in cui matura il diritto al pagamento il dipendente è libero di scegliere tra
versamento in contanti, investimento ulteriore presso lo stesso fondo sopra citato o
presso altro fondo di nuovo datore di lavoro, oppure se trasferire l’importo sotto forma di
versamento in un’unica soluzione ad un fondo assicurativo pensionistico.
Il nuovo sistema di indennità di licenziamento si applica a tutti i nuovi contratti di lavoro a
partire dall’anno 2003. Per i contratti di lavoro già esistenti è prevista la possibilità di
effettuare un trasferimento dal vecchio al nuovo sistema in base all’accordo tra datore di
lavoro e lavoratore.
Conclusioni
•
La corresponsione dell’indennità di licenziamento diviene maggiormente trasparente e
prevedibile per le aziende.
•
Ancora più importante, il nuovo sistema elimina l’effetto di scoraggiamento della mobilità
tipico dell’indennità di licenziamento, e dovrebbe quindi aumentare la mobilità dei
lavoratori. Invece di perdere il diritto all’indennità di licenziamento in caso di dimissioni
dal posto di lavoro, i dipendenti possono trasferire l’importo maturato nel nuovo rapporto
di lavoro.
2. Revisione dei criteri di adeguatezza al lavoro
A partire dal 2005 i soggetti disoccupati godono del diritto di essere assunti in un posto di
lavoro per il quale siano stati formati solamente per i primi 100 giorni del periodo di
disoccupazione. Tale norma (“Berufsschutz”) trova la sua integrazione tramite un sistema
individualizzato (“Entgeltschutz”) in base al quale per i primi 120 giorni di disoccupazione un
soggetto disoccupato è tenuto ad accettare un posto di lavoro solamente nel caso in cui la
14
retribuzione sia pari almeno all’80% della retribuzione media del posto di lavoro precedente.
Per il restante periodo di disoccupazione il livello viene ridotto al 75%.
Questa protezione particolare protegge il soggetto contro un sostanziale mancato guadagno
anche in caso di riduzione dell’orario di lavoro per un’occupazione a tempo parziale. Qualora
prima di essere licenziato il soggetto ricopra un posto di lavoro a tempo parziale, il salario
percepito con il nuovo posto di lavoro non deve risultare inferiore rispetto al livello del posto di
lavoro precedente.
Sono inoltre stati modificati i criteri di valutazione della ragionevolezza del tempo necessario
per recarsi presso il posto di lavoro. Per un posto di lavoro a tempo pieno, salvo circostanze
particolari, tale tempo necessario non deve eccedere in misura sostanziale un quarto dell’orario
di lavoro standard medio. Per un posto di lavoro a tempo pieno un limite ragionevole è quindi
rappresentato da due ore di viaggio.
Impatto
Entrambe le riforme si basano su considerazioni di lungo periodo, che evidenziano effetti
statistici solamente nel lungo termine. A causa del ritardo negli effetti previsti non è ancora
disponibile una valutazione significativa dell’impatto delle misure.
•
Nel caso dell’indennità di licenziamento il ritardo è principalmente dovuto alla gradualità
con la quale il nuovo sistema è stato introdotto. La riforma è entrata in vigore nel 2003,
ragion per cui sarà necessario del tempo prima che tutti i contratti di lavoro divengano
soggetti alla nuova norma. La percentuale attuale, pari a circa il 40% (ovvero 1.700.000
contratti a novembre del 2005) probabilmente continuerà a crescere con molta lentezza,
dato che la transizione è già molto avanzata nei settori caratterizzati da elevati tassi di
turnover.
15