Il Budo riunisce le differenti tecniche di guerra che

Transcript

Il Budo riunisce le differenti tecniche di guerra che
BUDO
Il Budo riunisce le differenti tecniche di guerra che praticavano i Samurai.
La loro principale (disciplina) era quella della spada (Ken) sulla quale si edificava il complesso
filosofico della loro esistenza.
Il Kendo è una delle Arti Marziali che sono fortemente impregnate dello spirito dei Samurai, dove –
metaforicamente il riflesso della lama del Katana, era il segno della rettitudine della loro anima.
Ciò si riassume tutto in un simbolo che è diventato il loro emblema esoterico.
E’ formato da un quadrato con sopra un cerchio a sua volta sormontato da un triangolo. E’
praticamente la caricatura (modello) del Samurai ricoperto dal suo cappello triangolare.
L’insieme di questo simbolo rappresenta la filosofia del guerriero.
Il quadrato rappresenta l’uomo assiso (in senso figurato). Gli elementi che lo circondano, sono
quelli a cui deve far fronte per vincere. Può maneggiare la spada nell’aria, ma mai contro il Vuoto
(l’essere primordiale) che si trova alla sommità del simbolo.
Il Vuoto rappresenta il Tutto la divinità. E’ nel medesimo tempo l’inizio e la fine di tutte le cose. E’
al Vuoto o divinità che il Samurai crede profondamente e, giammai leverà la sua spada verso il
Tutto.
Verso tutto questo esso sarà impotente, ma questo suo gesto significherà che è più forte di tutto.
D’altraparte questo è impossibile, giacché malgrado la possanza della sua spada dentro gli elementi
visibili, il Vuoto lo riporta alla realtà della vita e della morte.
La vita deve essere dunque l’apprendistato dell’umiltà.
Il cerchio simboleggia la vita, la morte e il rinnovamento, la rinascita di tutte le cose. I fiori di
ciliegio vivono e muoiono, ma giammai l’albero si ferma nel farli fiorire; e se l’albero muore
un’altro nasce.
Tutto è in mutazione dentro il seno dell’Universo.
A un certo momento della sua vita l’uomo deve porsi la questione del suo ruolo sulla terra. E’ a
questo problema che il Samurai rispondeva mettendosi al servizio di uno Shogun. Oggi lo Shogun è
rappresentato da altre cose.
Il triangolo simboleggia la trinità che regge l’uomo <il guerriero>. Il corpo è diretto dallo spirito
allorché apprende a dirigere (ammaestrare) tutte le tentazioni fatali quando vota la sua vita al
combattimento. Deve dunque educare il suo corpo e dominarlo, in modo d’avere accanto la forza
dello spirito.
L’anima è l’elemento essenziale che fa parte della coscienza di tutto e che rigenera lo spirito e lo
anima dello spirito del Vuoto.
Questa sua conoscenza faceva di lui un uomo d’onore nell’epoca medioevale giapponese.
In giapponese, la traduzione per <anima> è cuore <kokorò>. Noi qui impieghiamo la parola anima
giacché ormai - oggigiorno - il cuore è collegato a un piano unicamente affettivo. Ma non è sempre
stato così.
Effettivamente in epoca medioevale occidentale, il termine cuore era sovente utilizzato per
esprimere il valore del guerriero nel combattimento. Ed esprime con più forza la foga che mette il
guerriero nel combattimento che intraprendeva.
Allorché una discussione tra due guerrieri arrivava al limite, da porre ricorso al combattimento, una
frase esprimeva la ricerca della verità: <Ho bisogno di sapere che cosa c’è nel tuo cuore>.
Il Vuoto è il grande tutto. L’inizio e la fine di tutte le cose. E’ al disopra di tutte le credenze
dogmatiche. Una frase leggendaria di Miyamoto Musashi esprime bene la credenza dei guerrieri al
combattimento: <Bisogna credere alle divinità e venerarle, ma non contare su esse>.
Per il guerriero il Vuoto simboleggia l’Universo, non - in un senso - che tende a limitarlo, ma nel
senso di <tutto unito verso l’uno>. Con l’avanzare dell’idea materialista questa frase nel ventesimo
secolo veniva concepita in senso limitativo; ma bisogna sapere che per tutti i guerrieri di tutte le
civilizzazioni occidentali che ci hanno preceduto, esisteva questa concezione dell’Universo. (Verso
l’uno: UNIVERSUM; ritornare in modo da formare un tutto).
In senso fisico il quadrato esprime le quattro direzioni d’attacco: avanti, indietro, sinistra, destra. Il
triangolo da il senso delle schivate; il cerchio esprime l’allargamento di vedute delle tecniche di
combattimento. Le tecniche devono dunque scorrere - come dire - rotonde, in modo uniforme e, mai
spezzarsi.
L’insieme di questi tre elementi da forma al combattimento.
L’ALLIEVO
Dal suo arrivo al Dojo l’allievo si suristima e pensa di arrivare rapidamente alle più alte vette. Nella
sua immaginazione tutto sembra facile.
Ma prima di cominciare, dovrà purificare il suo pensiero e dare prova d’umiltà al fine di combattere
la vanità, l’orgoglio, la presunzione e, altri vizi.
Dovrà capire che la sua evoluzione sarà possibile solo grazie all’energia che gli comunicherà il suo
Maestro.
Progredirà con il gruppo quando capirà che è con il gruppo, e che porterà al gruppo il suo
contributo, quando sarà unito al gruppo.
Questo dunque, verrà capito con una piccola prova, quando dovrà (nel passaggio di grado) eseguire
i Kata e gli esercizi davanti al Maestro.
In quel momento sarà faccia a faccia con la realtà del suo sviluppo, e non potrà lasciarsi abbattere
da ciò se vorrà avanzare.
L’allievo è sovente assillato da dubbi e da questioni. Questa tappa è normale. Egli apprende dei
moduli di base che non sono però sempre stati chiamati con la loro giusta espressione e che non
sono altro che la traduzione di <Ki-Hon> che significa ripetere le basi con energia. E non importa
che cerchi di identificare questi elementi ad una qualunque realtà. Le basi sono universali e servono
più tardi a infinite combinazioni di movimenti possibili.
L’allievo di Kendo si trova nella medesima posizione di un musicista che inizia a solfeggiare. Il
salire e scendere delle gamme e nel medesimo tempo volere già dare un recital.
E’ importante di non voler bruciare le tappe. Sarebbe come limitare le proprie possibilità e non
poter creare, e quindi non trovare la propria personalità.
L’allievo deve prima di tutto apprendere ad essere un uomo libero. Deve apprendere a soffrire per
recepire appieno l’insegnamento che gli viene trasmesso. Durante il suo apprendimento il suo
spirito deve essere puro e libero di tutte le sue idee, i suoi preconcetti e di tutti i suoi paragoni con il
mondo esteriore. Potrà così concentrarsi e ripetere le basi senza limiti di tempo. Solo la sensazione
(fluidità) dei movimenti gli farà scoprire la sua progressione.
L’allievo conoscerà l’allenamento volontario fino allo sfinimento. Fin che il corpo è in buona forma
fisica eseguirà i movimenti coi muscoli. Non associa il corpo, lo spirito e la respirazione. I suoi
gesti sono il risultato d’una tecnica per fornire il minimo sforzo come la migliore, e d’averla
recepita prima d’averne visto il risultato.
Un allenamento portato all’estremo, provoca una fatica che rende la reazione muscolare difficile. E’
in questo momento che la vera tecnica viene alla luce. Se le braccia e le gambe che eseguono il
movimento sono in pieno esaurimento, saranno allora l’insieme di corpo, spirito, respirazione che
parteciperanno al movimento. L’esaurimento è una tappa favorevole e necessaria per capire la
sensazione.
L’allievo attraversa sovente dei periodi di scoraggiamento. Prenderà coscienza delle difficoltà dei
gradi che deve salire e, ha l’impressione di non progredire, di fermarsi.
Capirà che il Kendo non può essere una disciplina da praticare temporaneamente, ma si sforzerà
fino a superare questi momenti. La concezione che l’allenamento durante tutta una vita è la sola via
di perfezionamento, è la sola visione giusta in tutte le arti.
Lo scoraggiamento viene dall’osservazione dei più avanzati. Allorché l’allievo comincia a
rimarcare le imperfezioni dei suoi gesti, nota la sua immagine con smarrimento.
A quel punto si deve rimettere in marcia alla riscoperta con tutte le sue energie. Si avrà bisogno di
guardarsi come in uno specchio, per osservare i propri difetti ed ammetterli, come d’altra parte è
assai difficile il riconoscere le proprie qualità.
Deve sforzarsi molto alla ricerca di questo, e diventare un buon kendoka proprio grazie alla sua
tenacia. Dovrà dedicarsi strenuamente al Kendo per forgiarsi al meglio prima di lanciarsi non
importa in quali competizioni. Dopo due o tre anni comincerà la sua ricerca personale. E allora
ricercherà l’allenamento, il KIHON, perfezionando ogni movimento senza l’appoggio del suo
Maestro. Comincerà a vincere se stesso.
Un vecchio detto recito così: <Prima di vincere un avversario, bisogna vincere se stessi, per il
rafforzamento del corpo e dello spirito>.
IL COMBATTENTE (Il guerriero)
Nelle Arti Marziali tutto l’allenamento ha per scopo di acquietare la mente prima di buttarsi in una
competizione. Il Maestro investe tutta la sua anima nel suo insegnamento e l’allievo deve accettare
con serenità questo e capire ogni minimo dettaglio prima della prova finale (la sua vita è stata un
gioco).
Meditate bene su questa maniera di vedere, e totalmente diversa dal pensiero Sport Arte marziale.
Sarà dunque importante avere una buona formazione di base.
Nello studio del kendo è addirittura più importante lo spirito che la tecnica. A tecnica uguale, è lo
spirito che fa la differenza. Dunque <se tu combatti e una delle tue braccia ti abbandona usa l’altra,
se anche questa lo fa, usa le gambe, se anche loro ti abbandonano puoi ancora mordere. Se infine ti
taglieranno la testa il tuo corpo lo seguirà>.
Oggi chiaramente non ci sono più campi di battaglia, ma questi sono rimpiazzati dalle
competizioni. E’ sufficiente guardare la verità ed essere onesti viso a viso verso se stessi. Nel
momento che v’apprestate alla competizione dovete avere lo spirito del vincitore e non importa a
quale prezzo. Se nel portare un colpo, usate trucchi, anche sulle regole di arbitraggio, voi non
seguite il Bushido (codice d’onore), voi mentite. Sovente. poiché l’arbitro così lo vede (o
interpreta) ricevete un punto a vostro favore, oppure a vostro sfavore, solo voi sapete la verità, se lui
era più forte o meno; e sarà questo che voi dovete guardare, solo così progredirete.
Dopo la competizione meditate su ciò che avete fatto, non mentitevi e non fatevi allettare dalle
lusinghe. Pensate come se foste su un campo di battaglia.
Potrete così arricchirvi nel contatto con altri come voi, o dove la verità sarà il vostro linguaggio, e le
debolezze interiori saranno messe da parte.
Un motto sarà importante Dignità in combattimento.
Il guerriero (perché ora ci si sentirà così) che viene allo scoperto si troverà sovente in posizione
delicata, viso a viso con il proprio ambiente. Trova che le idee sono differenti. Prende allora
coscienza della propria identità e segue la propria via e non più quella che fino allora gli venivano
imposte. Quindi diviene un uomo libero che non giudica più se il tale o tal’altro cammino, o modo
di pensare o di vivere, sia giusto o malvagio.
La sua strada sarà quella dove troverà ancora prove sempre più difficili, e solo se le vincerà saprà la
verità.
Dunque sarà obbligato a staccarsi dal gruppo o ambiente dove era prima e seguire la sua strada.
Durante questa progressione dovrà cercare in molte direzioni, senza però mai attaccarsi ad una sola.
Allorché acquisisce l’armonia di corpo e spirito per compiere i suoi combattimenti condizionerà il
suo cammino; ma non potrà arrivare momento peggiore che l’irrigidirsi nella condizione a cui è
pervenuto.
Per uno che pratica l’arte, la cosa essenziale non è il risultato esteriore, ma quello interiore. Quello
esteriore è di vincere. Se non ha questo pensiero in partenza non è un guerriero.
Tuttavia deve sapere che tutta la pratica esteriore genererà un risultato interiore, giacché una
prestazione non è che il supporto di una trasformazione interiore.
Questo lo spinge a vincere la paura della morte. Un combattente si allena ogni giorno come se
dovesse affrontare l’inevitabile; è sempre sul chi vive.
In una situazione difficile il suo comportamento mentale sarà come quello di un giorno normale.
L’importante è di poter decidere senza tergiversare. La decisione è il frutto di un lavoro quotidiano.
Un Maestro deve decidere rapidamente quale pietra deve mettere sul soffitto perché questo sia
solido.
Un guerriero non ha solo dei diritti, ma anche dei doveri.
Dopo lungo tempo che praticherà questo cammino non potrà più allontanarsi da ciò di cui è
debitore.
Non vantare i propri meriti, e dimenticare la propria ignoranza.
Sovente una buona educazione è capire la vera natura di chi cade senza rendersene conto. Un
cammino diverso è inconcepibile per un guerriero. Solo la sua obbligazione (Giri) gli donerà la
dirittura.
Non ha bisogno di fare colpi eccezionali per farsi apprezzare. Il combattente tempra il suo carattere
nel dovere e nella sofferenza. Il combattente deve conoscere le sue debolezze e passare il suo
tempo a correggerle. Per lui deve essere un fattore essenziale.
Non deve mai essere troppo sicuro di se stesso se non, che la cosa essenziale e quella di vincere.
Non ha che una sola certezza; sa che può essere superato.
L’UOMO DI CONOSCENZA
Le prove sono passate ed hanno lasciato molte cicatrici. Queste testimonieranno la verità di ciò che
è stato, e che non sarà mai dimenticato.
E’ la dolce (o dura) amarezza del ricordo.
L’uomo di conoscenza prende ad un certo punto della sua vita, coscienza di far parte della storia
dell’arte che pratica. Sarà la sua vera famiglia.
Dovrà mantenersi aperto al perfezionamento di questa unità e utilizzare tutto ciò che ha acquisito.
La visione della via va avanti. Il rammarico non fa parte di lui. Il ricordo rimane come guardia alla
sua rettitudine.
Nel suo percorso (saranno parte del suo sapere) errori e scivoloni.
L’uomo di conoscenza, maestro della tecnica, la ridonerà, insegnandola. Mette la sua vita e la sua
anima nell’insegnamento, e più la donerà più s’arricchirà.
Quando insegnerà ad un allievo una tecnica padroneggiata, più la spiegherà e più la perfezionerà lui
stesso.
Allora comincia lui stesso a scoprire l’armonia che gli permetterà di scoprire il cammino.
Egli ha ancora da apprendere, ma sa che il tempo ha poca importanza, poiché praticherà fino alla
fine della sua vita.
Per l’uomo di conoscenza, una parte delle sua vita sarà la spartizione tra lo studio e l’insegnamento.
La disciplina in tutte le sue forme, nel Kendo, è molto dura.
Egli sarà colui che manterrà il perfezionamento per l’allievo. Resterà fermo sulla pratica di questa
disciplina; impiegherà ogni momento con correzioni e spiegazioni a mantenere il gruppo unito.
Allorché noterà che un allievo commette degli errori, lo correggerà senza far capire a chi si rivolge
in particolare.
Gli sarà facile notare i difetti o le qualità, e ne agevola la critica. Dovrà essere un Maestro di tatto.
Dovrà scegliere il momento, le parole giuste, per guidare l’allievo sulla via del perfezionamento.
Colui che umilia uno dei suoi allievi durante un corso, (pretesto per correggere i suoi difetti) non
può essere un uomo di conoscenza.
Non sarà nella via.
Colui che non fa altro che ridondarsi per il suo sapere ed abbassare il suo prossimo, questi non è
nella verità, non sa nulla.
L’uomo di conoscenza (che prima è stato un combattente “guerriero”) sempre si abitua a vivere con
il gruppo che pratica la sua stessa arte.
La purezza non viene senza sforzo.
La rettitudine nell’insegnamento sarà al di sopra di tutto.
Dopo aver vinto se stesso, ricercherà la via della verità. Sarà lo scambio con altri che gli farà
scoprire le nuove tappe per vincere questo mondo illusorio.
L’uomo non è che una marionetta in questo mondo.
Il legame con il divino, è l’arte.
Nulla è perfetto, ma noi abbiamo tutti, la facoltà di arricchirci vicendevolmente.
Quand’è che un uomo di conoscenza diventa tale, e si stacca dall’essere un guerriero
“combattente”?
A forza di padroneggiare ciò che deve essere fronteggiato, al guerriero può capitare di lasciarsi
fuorviare dalla via.
Ma dopo gli anni giovanili, - ci si riferisce agli inizi dell’arte - imparerà ad ascoltare i consigli.
Questa rivincita donerà assai credibilità al suo cammino. Epperò se diventerà impenetrabile ai
consigli, cadrà nell’ignoranza e nella pretestuosità,(*) che sono altrettanti artigli che relegano
l’uomo al mondo animale.
(*) Pretestuosità = Colui che trova pretesti, invece di effettivi argomenti.
Alfine di evitare questo smarrimento è importante il discernere certe cose, piuttosto che altre, e
legarsi ad esse in modo d’impregnarsene ed attingere ai loro insegnamenti.
“Quando un uomo di conoscenza diventerà vostro amico, e potrete dirvi delle verità senza essere
deriso o schernito, sarà una meravigliosa guida e farà parte della vostra famiglia nel vostro cuore”.
Rari sono coloro che ascoltano consigli.
Rari sono coloro che li prendono in considerazione.
Rari sono coloro che sono riconoscenti.
Ecco perché gli uomini di conoscenza si sono fatti rari, e gli amici più rari ancora.
L’uomo di conoscenza padroneggerà il silenzio, e padroneggerà più ancora la parola. Per far ciò
riunirà attorno a lui un gruppo che sarà conseguenza del suo carisma. Non dovrà cercare di
soffocare la ricerca personale dei suoi membri, ma al contrario, guidarli con benevolenza e libertà di
spirito.
L’UOMO SUPERIORE (L’uomo votato alla causa)
Sappiamo poche cose su di loro. Ma ne abbiamo incontrati qualcuno all’interno del Kendo e dello
Iaido.
La sua ricerca è l’unità. Egli lavora acciocché il suo corpo e il suo spirito, diventino tutt’uno. Tutte
le azioni e i gesti, nella via, si traducono nel modo di pensare. Il gesto sarà in funzione dello spirito.
Ora sa, avanti che il cammino si avvia al termine, che il suo dovere è di ridonare, scegliendo (a
chi), in modo che l’arte non possa mai morire. Ha dentro alla sua tecnica, tutta l’arte della
cavalleria. Egli guida verso la spiritualità.
Questo è colui che noi chiamiamo MAESTRO.
Il suo ruolo non è quello di convincere, ma quello di donare, a colui che lo richiede, e che può
riceverlo. Egli indica al cercatore di scegliere la via che corrisponde al meglio, alle sue aspirazioni
più intime, ed avanzare sempre così.
Quest’uomo non lascia intravedere la somma della sua conoscenza. Solo l’espressione della sua
serenità può attirarvi a lui. Egli ammira molto le qualità degli altri, ma non farà sfoggio delle
proprie.
Quando siamo in presenza di quest’uomo, un MAESTRO, gioiremo d’una indipendenza di pensiero
assoluta.
Egli insegna che è falso utilizzare il pensiero altrui nella propria via.
L’uomo votato alla causa, non avrà mai nostalgia del passato. Vive con il suo tempo.
Attraversa gli anni ed i loro cambiamenti, come il tempo attraverso le stagioni.
L’ ”uomo non deve rimpiangere il tempo passato, né coltivare nefasti ricordi. E’ il cambiamento
che rivela all’individuo la vera bellezza”.
Deve volere soprattutto, le prove che possono essere raggiunte.
Se avete la scelta di poter aprire certe porte, non c’è che un consiglio da darvi: avere qualcuno che
faciliterà la vostra ricerca.
Se qualcuno dice le medesime cose che riflettono le medesime verità, non possono essere le vostre,
poiché sono il risultato del suo percorso.
Dovete cercare le vostre verità, nella vostra via.
Sarà falso credere che l’uomo votato alla sua via, si fermi a trasmettere solo con le parole.
L’uomo superiore, agisce sugli altri con i suoi atti e consacra il suo tempo al perfezionamento di
colui che glielo domanderà. Solo allora l’azione darà un senso alla conversazione.
L’uomo votato alla via, non può indirizzarsi che ad un individuo per volta; a differenza dell’uomo
di conoscenza che si indirizzerà ad un gruppo.
Qui noi troviamo ancora il triangolo, che dona il posto di ciascuno.
L’uomo votato alla via, non si indirizza mai ad un apprendista guerriero. Lo potrà osservare, ma
senza dirgli nulla.
L’uomo votato, lavora ogni giorno per perfezionarsi. E’ una virtù.
La più alta è quella d’iniziare gli altri.
Pratica i suoi insegnamenti e osserva le regole dei riti.
Come il nero e il bianco, sono un contrasto indissociabile, la cultura del perfezionamento interiore
ed esteriore sarà la medesima cosa.
Trasmettere è una regola immutabile del compito.
contributi: Werner Lind
my page