Ipotesi Glottodidattica 2.0 - Journal of e

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Peer Reviewed Papers
Ipotesi Glottodidattica 2.0
Andrea Gobbi
Università per Stranieri di Perugia, Italy
[email protected]
Studi e ricerche riguardanti la glottodidattica e il Web 2.0 trattano spesso
l’implementazione di strumenti 2.0 (wiki, blog, podcast, etc.) come mezzi
per migliorare e sostenere l’apprendimento linguistico. La teoria di base sulla
quale questa adozione dovrebbe essere basata, tuttavia, è stato finora poco
analizzata.
Questo lavoro affronta l’aspetto teorico dell’adozione del Web 2.0 come
valido supporto alla glottodidattica, basandosi su analogie tra la natura della
lingua e quella dal web e tra l’apprendimento di una L2 e lo sviluppo di
software. A seguito di quest’analisi, viene suggerito come un’integrazione
appropriata di strumenti basati sul Web 2.0 all’apprendimento linguistico
possa offrire un vero e proprio nuovo approccio all’intera disciplina, basato
su pratiche didattiche aperte, arricchendo l’esperienza di apprendimento e
contemporaneamente supportando la didattica quotidiana.
for citations:
Gobbi A. (2012), Ipotesi Glottodidattica 2.0, Journal of e-Learning and Knowledge Society, Italian
Edition, v.8, n.3, 47-56. ISSN: 1826-6223, e-ISSN:1971-8829
|
Journal of e-Learning and Knowledge Society - IT
Vol. 8, n. 3, Settembre 2012 (pp. 47 - 56)
ISSN: 1826-6223 | eISSN: 1971-8829
| Peer Reviewed Papers
- Vol. 8, n. 3, Settembre 2012
1 Introduzione
Studi e ricerche riguardanti la glottodidattica e il Web 2.0 spesso assumono
un approccio prevalentemente descrittivo e sono basati su dati empirici riguardanti l’adozione di strumenti informatici e Web a supporto dell’apprendimento linguistico. Le basi teoriche sulle quali questo utilizzo è basato, tuttavia,
risentono di una sostanziale mancanza di approfondimento, lasciando dubbi
sulla sua efficacia, e addirittura sul perché in assoluto questi strumenti vadano
adottati (Wang & Vasquez, 2012). Questo lavoro intende iniziare a colmare
il divario, proponendo un primo approccio teorico a favore dell’adozione del
Web come valido supporto alla glottodidattica, basandosi su analogie strutturali e di dinamiche di sviluppo che emergono da un confronto tra la lingua e il
Web. Inizialmente verranno presentate brevemente le caratteristiche del Web
e della lingua per dimostrarne le similarità, passando quindi a confrontare le
dinamiche di sviluppo dei due sistemi, sottolineandone anche in questo caso le
analogie. Infine, verranno messi a confronto i modelli di sviluppo a supporto
dei rispettivi processi, concentrando l’analisi sulla contrapposizione tra approcci formali e informali. Sulla base di questa analisi, viene quindi proposto un
nuovo approccio alla glottodidattica, in grado di meglio sostenere il processo
di apprendimento e, allo stesso tempo, permettere una allocazione più razionale
delle risorse didattiche.
2 L’analogia Web-lingua
Il punto di partenza per lo sviluppo dell’ipotesi proposta in questo lavoro
si basa su di un’analogia di base che esiste tra il Web e il linguaggio umano:
entrambi sono sistemi complessi che operano come una piattaforma sulla quale
e tramite la quale avviene la comunicazione umana. Sia nel caso della lingua
che in quello del Web si assiste ad una sovrapposizione tra l’oggetto di sviluppo
e lo strumento tramite il quale quello sviluppo avviene: la lingua si sviluppa
tramite l’uso della lingua, e il Web si sviluppa tramite l’uso del Web. L’obiettivo
di entrambi i processi è lo sviluppo di un sistema funzionale allo scambio di
informazioni che sia flessibile e dinamico nelle sue possibilità evolutive, sensibile al contesto e adattivo, che evolva proporzionalmente all’uso che se ne fa.
La lingua è lo strumento principale tramite il quale comunichiamo, stabiliamo,
manteniamo e terminiamo relazioni sociali, e tramite il quale narriamo il mondo
che ci circonda. Così facendo, gli essere umani creano le rappresentazioni del
mondo che li circonda. Attraverso la narrazione, l’interazione, e quindi attraverso la lingua ognuno di noi sviluppa la propria personalità sociale. La lingua
è lo strumento principale che ci permette di astrarre concetti e trasportarli nel
tempo e nello spazio: l’educazione e l’apprendimento sono processi basati
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principalmente su questa abilità tipicamente umana.
La lingua, proprio come il Web, è viva e dinamica: più viene usata e più si
sviluppa, sia in ampiezza che in profondità, acquisendo nuovi parlanti e effettuando prestiti linguistici ad altre lingue, e allo stesso tempo specializzandosi
sempre più in campi specifici, diventando così tratto identitario per gruppi
di parlanti che si identificano in una determinata varietà. È uno strumento
che, dato un numero relativamente limitato di regole fondamentali, permette
estrema flessibilità grazie ad elevate possibilità di personalizzazione e modifica, adattandosi ad ogni contesto e ad ogni fine per il quale intenda essere
utilizzato. Allo stesso modo, il Web, specialmente dall’emergere di ciò che è
stato definito come 2.0, ha trovato una delle sue rappresentazioni più efficaci
nella metafora di una piattaforma per l’interazione, coniata da Tim O’Reilly
(2005). Proprio come per la lingua, la funzione principale del Web è quella
di permettere ali utenti lo scambio di informazioni: senza utenti – o parlanti –
entrambi i sistemi sono inutili. Una lingua senza parlanti è considerata morta,
e una rete senza nodi non è affatto una rete. Un’altra caratteristica condivisa tra
la lingua e il Web è che né l’una né l’altra hanno «confini rigidi, ma un’anima
gravitazionale» come in un «autentico sistema solare», i cui costituenti sono in
orbita «a distanza variabile dal centro stesso» (Ibidem)1. L’idea di una serie di
caratteristiche principali poste a distanze variabili da un centro teorico richiama il concetto di interlingua2 (Selinker, 1972), in cui dei parlanti non-nativi
tentano gradualmente di spostare la loro competenza più vicino a ciò che viene
comunemente riconosciuto come il centro della loro lingua target (Chini, 2005).
La metafora della piattaforma era peraltro già stata proposta per la lingua da
Van Buren (1972), che definisce il centro della piattaforma linguistica come la
sua area più stabile e maggiormente definita, mentre i bordi frastagliati sono
caratterizzati da un uso meno ortodosso ma più creativo della lingua, come nel
caso della lingua usata da poeti e pubblicitari. Gli apprendenti linguistici, nel
loro percorso di apprendimento di una L2, rientrano nella metafora, avanzando
dai bordi verso il centro ideale della lingua standard3. Infine, la lingua stessa
rappresenta probabilmente il miglior esempio possibile di risorsa educativa
Traduzione italiana tratta da: http://web.diegm.uniud.it/pierluca/public_html/teaching/reti_di_calcolatori/documentazione_
tecnica/O%27Reilly%20Web%202.0%20definition%20%28italian%29.htm.
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L’interlingua è il sistema linguistico idiosincratico e in costante sviluppo di un apprendente di L2. L’interlingua mantiene caratteristiche della lingua materna dell’apprendente mentre si evolve verso la lingua target. Spesso adotta strategie semplificative e di sovrageneralizzazione di regole grammaticali; la sua evoluzione dipende direttamente dalle esperienze linguistiche
dell’apprendente, e al suo arresto consegue una cristallizzazione linguistica (Selinker, 1972).
3
Recentemente i concetti di ‘parlante nativo’ e ‘lingua standard’ sono stati oggetto di intensi dibattiti, ma affrontarli esula dagli
obiettivi di questo lavoro. Il concetto qui espresso riguarda semplicemente I tentativi di un apprendente di apprendere una lingua
straniera, indipendentemente da quale ‘standard’ venga preso in considerazione, allo scopo primario di una comunicazione
efficace in quella lingua.
1
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aperta (open educational practice - OER), in quanto è «liberamente accessibile,
riusata, modificata e condivisa da chiunque» (Downes, 2011) semplicemente
tramite l’interazione.
3 Le dinamiche di sviluppo della lingua
Camilla Bettoni (2001), dopo aver esaminato i processi alla base dell’apprendimento linguistico, sottolinea l’importanza di pochi punti fermi in uno
scenario che altrimenti risulta estremamente variabile. Definisce l’apprendimento linguistico come lo sviluppo di una competenza-sistema: questa sarà
inizialmente più scarsa risultando in un sistema più «fluido, semplice, poco
strutturato e poco efficiente», ma evolvendosi poi tramite l’apprendimento
e diventando «più stabile, complesso, ben strutturato, efficace» (Ibidem). Le
variabili più importanti di questo processo sono a mio avviso principalmente
due, entrambe centrate sull’apprendente: motivazione e auto-correzione degli
errori. L’importanza della motivazione nell’apprendimento linguistico è stata
riconosciuta da tempo, in particolare la motivazione integrativa rispetto a quella
strumentale (Krashen, 1980), e la motivazione intrinseca rispetto a quella estrinseca (Cardona, 2010). Ciò significa che le dinamiche più efficaci per l’apprendimento linguistico sono quelle guidate dal desiderio di diventare parte di una
comunità, di imparare a conoscerla e capirla per potervisi integrare (motivazione integrativa), e che il processo di apprendimento dev’essere gratificante in sé
e di per sé (motivazione intrinseca). L’altro elemento fondamentale alla base
di un apprendimento linguistico efficace è l’auto-correzione, come spiegato da
Long (1996) nella sua Ipotesi Interazionista, supportata da dati empirici forniti
dagli esperimenti condotti da Mackey (1999): quando, durante un’interazione
significativa spontanea tra un apprendente di L2 e un parlante della lingua
target (o un altro apprendente), il flusso della conversazione viene interrotto
da un errore fatto dall’apprendente, il feedback negativo implicito dell’interlocutore (es. richiesta di chiarimenti o lunga pausa) fornisce all’apprendente
un’informazione linguistica contestuale sulla quale basare l’auto-correzione, e
quindi avanzare nello sviluppo di competenza. Una caratteristica interessante
che entrambi questi elementi chiave dell’apprendimento linguistico condividono è quella di essere entrambi di natura informale. Sia la motivazione che
l’auto-correzione vengono infatti dall’apprendente stesso, e possono sorgere
solo spontaneamente. Sebbene possano essere naturalmente supportati, stimolati e incoraggiati attraverso un intervento esterno, come nel caso del feedback
negativo implicito, essi non possono essere direttamente elicitati.
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4 Modelli per lo sviluppo della lingua
Se analizziamo i modelli pedagogici predominanti nel campo dell’insegnamento delle lingue straniere, risulta evidente come l’approccio sia di natura
formale e la sua struttura verticale: l’apprendimento linguistico è tradizionalmente basato su classi in cui la figura centrale dell’insegnante segue un sillabo
precedentemente determinato dall’istituzione responsabile per lo sviluppo dei
corsi di lingua. Anche gli approcci e-learning replicano semplicemente questa
struttura invece di sfruttare pienamente il potenziale del Web. Questo modello
si dimostra molto efficace quando adottato per compiti formali, ad esempio
l’insegnamento della grammatica, in quanto tale attività può essere pianificata e veicolata efficacemente tramite un approccio top-down. La grammatica,
tuttavia, è soltanto uno degli aspetti dello sviluppo di una piena competenza
comunicativa (Hymes, 1972) che, come visto nel precedente paragrafo, è invece
caratterizzata fortemente da dinamiche di natura informale. Studi sulla ritenzione mnemonica (Craik & Lockhart, 1972; Craik & Tulving, 1975) dimostrano
come la motivazione nell’apprendimento linguistico stia nel contenuto di un
discorso, attivo a livello semantico, e non nella sua struttura, la grammatica,
che emerge da sé come conseguenza dell’organizzazione delle informazioni.
Ciò significa che lo studio della grammatica può essere chiarificatore ed utile
per organizzare la conoscenza linguistica, ma non per acquisire una competenza
comunicativa completa. In altre parole, conoscere le regole grammaticali non
significa automaticamente essere in grado di comunicare efficacemente.
Il docente si trova quindi intrappolato tra la struttura formale di un corso
di lingua e le dinamiche informali che regolano l’acquisizione linguistica dei
suoi studenti. Date queste dinamiche, è chiaro come un aspetto importante del
lavoro di un docente sia le preparazione e la presentazione di situazioni interattive motivanti e significative. Queste dovranno essere studiate e preparate
per essere offerte a gruppi spesso molto eterogenei al loro interno, con bisogni
e interessi diversi, nel contesto di una lezione di un paio d’ore all’interno di
un’aula. Prendendo tutti questi fattori in considerazione, e coscienti del fatto
che altri sistemi non conducono ad una stabile acquisizione linguistica, lo scenario che si presenta ad un insegnante di lingua è quantomeno ambizioso. Fino
a poco più di dieci anni fa, questo ‘ricreare’ in classe delle situazioni interattive
era l’unico approccio praticabile all’insegnamento linguistico in contesto istituzionale in quanto non vi erano strumenti per poter stimolare e sostenere in
maniera sistemica le dinamiche informali a cui si è fatto riferimento.
Vale la pena ricordare come uno dei punti più controversi della teoria glottodidattica sia tuttora la distinzione fatta da Krashen (1985) tra acquisizione
(spontanea, inconscia, legata a contesti informali e focalizzata sugli aspetti
pragmatico-comunicativi della lingua), e l’apprendimento (controllato, conscio,
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formale, e focalizzato principalmente sull’accuratezza strutturale). Nella teoria
di Krashen, l’acquisizione sarà sempre qualitativamente superiore a qualsivoglia risultato ottenuto tramite l’apprendimento. Questa affermazione forte
tende a ridimensionare drasticamente il ruolo ed il potere dell’insegnamento,
ed è stata dapprima accolta con comprensibile scetticismo da parte della glottodidattica (Ciliberti, 1994, p.54), trovando in seguito un compromesso su di
una posizione ridimensionata, grazie ad una distinzione meno marcata tra i due
processi (Ellis, 1992). Tutto ciò ha inoltre favorito lo sviluppo di branche più
specifiche della ricerca linguistica e glottodidattica che analizzano i percorsi
spontanei dello sviluppo linguistico e le strategie di acquisizione, con l’obiettivo di elaborare percorsi didattici che favoriscano un più rapido ed efficace
apprendimento linguistico4.
5 Web developmental models: the cathedral and the bazaar
Con l’espressione ‘Web 2.0’ ci si riferisce generalmente all’evoluzione che
ha interessato l’uso, l’adozione, e la diffusione del World Wide Web dai suoi
albori come servizio accessibile alla maggior parte degli utenti in modalità di
sola lettura (read-only) fino al ‘read-write Web’ in cui il contenuto generato dagli utenti riveste un ruolo decisamente più marcato. L’espressione ‘2.0’ descrive
quindi più un’evoluzione nell’approccio nei confronti del Web piuttosto che
una sua nuova versione. Alla domanda se il Web 1.0 riguardasse il connettere
computers e informazioni e il Web 2.0 riguardasse connettere le persone Sir Tim
Berners-Lee stesso, l’inventore e creatore del World Wide Web, ha replicato:
Totally not. Web 1.0 was all about connecting people. It was an interactive space, and I think Web 2.0 is of course a piece of jargon, nobody even knows what
it means. If Web 2.0 for you is blogs and wikis, then that is people to people.
But that was what the Web was supposed to be all along. (Laningham 2006)
Similmente, Tim O’Reilly (op. cit.) ha scritto:
2.0-ness is not something new, but rather a fuller realization of the true potential
of the Web platform.
Di nuovo, secondo O’Reilly (op. cit.), una caratteristica intrinseca del Web
che si è semplicemente palesata in maniera evidente con l’avvento dell’approccio 2.0 è la sua “architettura della partecipazione”, definita come un struttura
In Italia, in particolare, questa branca della glottodidattica prende il nome di linguistica e didattica acquisizionale, ed è dovuta
almeno inizialmente al lavoro di Anna Giacalone Ramat e Massimo Vedovelli (Giacalone Ramat, 2003; Vedovelli, 2002, Vedovelli,
2003).
4
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«progettata per incoraggiare la partecipazione». Ciò richiama alla mente l’attività del movimento open source, che da sempre ha usato Internet e il Web come
dorsale di sviluppo cooperativa per i suoi progetti (Ljungberg, 2000). Nel mondo dello sviluppo software esiste una celebre metafora utilizzata per descrivere
due modelli di sviluppo molto differenti, quello formale e quello informale,
coniata da Eric S. Raymond ne “La Cattedrale e il Bazaar” (Raymond, 1997).
Raymond confronta lo sviluppo del sistema operativo open source Linux e lo
sviluppo di sistemi operativi proprietari come Windows. Le cattedrali e i bazaar
sono metafore di due modelli di sviluppo radicalmente differenti. La cattedrale
è il risultato di un progetto ben definito, portato avanti con cura e attenzione da
parte di un piccolo gruppo di professionisti che, con approccio rigorosamente
centralista dirigono, supervisionano e controllano il processo di sviluppo e
rilasciano nuovo software solo a prodotto ultimato. Dall’altra parte, il bazaar è
un ambiente complesso e caotico, «aperto quasi fino alla promiscuità» (Ibidem),
in cui idee, progetti e approcci diversi si incrociano costantemente in un pulsare
vitale che non ha né confini ben definiti né un chiaro inizio o una fine. La metafora della cattedrale descrive il processo di sviluppo nella grandi aziende di
software mentre il bazaar descrive il movimento open source. Prendendo Linux
come esempio, gli sviluppatori open source sono situati ai quattro angoli del
globo, non vengono (generalmente) pagati per il loro lavoro e prendono parte
ad un processo di sviluppo iterativo praticamente senza fine.
Sebbene questo approccio decentralizzato e dal basso verso l’alto possa
apparire caotico, il movimento open source è riuscito a produrre software di
grande successo come Linux, Il Web server Apache, e l’ambiente di apprendimento virtuale Moodle, dimostrando che questo modello di sviluppo è stabile
ed efficace. Il modello a cattedrale è chiaramente di natura formale, mentre il
modello bazaar rappresenta l’approccio informale allo sviluppo. Ciò dimostra
come il Web possa fungere da piattaforma, basata su dinamiche informali, per
uno sviluppo efficace di software.
6 Dinamiche di sviluppo confrontabili
C’è un confronto significativo che può essere operato tra le dinamiche alla
base del processo di sviluppo di software open source e l’apprendimento di
una L2. I due elementi chiave dello sviluppo del sistema-lingua menzionati in
precedenza, motivazione e auto-correzione, sono presenti anche nel lavoro di
Raymond, come parte del normale processo di sviluppo di software a sorgente
aperta. Proprio come
È un fondamento della glottodidattica che non vi può essere acquisizione stabile
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di una lingua senza motivazione (Cardona, 2010, p.17),
allo stesso modo per lo sviluppo di software open source
every good work of software starts by scratching a developer’s personal itch
(Raymond, 1997).
Per quanto riguarda il secondo elemento, l’auto-correzione, descritta
dall’ipotesi interazionista menzionata in precedenza, uno dei punti chiave in
cui il modello cattedrale e il modello bazaar divergono è proprio la correzione
degli errori nel codice di un programma, operazione che viene tecnicamente
definita come debugging. Raymond dichiara che
these models derive from opposing assumptions about the nature of the softwaredebugging task
e conclude suggerendo
productive analogies with other self-correcting systems of selfish agents» (Raymond, 1997).
I «selfish agents», agenti indipendenti, a cui si riferisce Raymond sono
paragonabili agli apprendenti di Long e Mackey che, ricevendo un feedback
negativo dall’interlocutore che interferisce minimamente con il flusso della
conversazione in corso, auto-correggono i loro errori e avanzano nell’acquisizione della loro L2. Così facendo, avanzano verso il centro della piattaforma
linguistica, un passo più vicino alle performance di un parlante nativo. Un apprendente di lingua è molto simile ad uno sviluppatore di software open source,
in quanto entrambi lavorano per sviluppare un progetto più o meno complesso
basato sulla loro motivazione personale, e attraverso l’interazione con altri entrambi scambiano frammenti di codice e correggono errori. In maniera simile,
il progetto Mozilla Webmaker (Mozilla, 2012) si è proposto di «aiutare milioni
di persone a passare dall’usare il Web a fare il Web», accrescendo la “Web
literacy” del pianeta. A descrizione del progetto, Mozilla dichiara che
The Web is becoming the world’s second language (Ibidem)
rinforzando l’analogia Web-lingua suggerita all’inizio di questo lavoro.
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Conclusione
Con l’espressione “Glottodidattica 2.0” intendo suggerire un nuovo approccio alla glottodidattica basato sull’interazione e la cooperazione tra apprendenti e parlanti di una lingua target e tra apprendenti della stessa lingua
straniera. Sfruttando appieno le possibilità offerte dal Web, la glottodidattica
2.0 offre finalmente l’opportunità di cogliere appieno quelle dinamiche informali fondamentali per l’acquisizione linguistica, obiettivo fuori portata prima
dell’avvento del Web 2.0. Le dinamiche informali non possono essere elicitate
in maniera diretta, ma certamente possono essere supportate tramite impalcature appropriate. Gli strumenti e specialmente le dinamiche vere e proprie che
caratterizzano il Web 2.0 e la comunicazione mediata da computer (computer
mediated communication – CMC) sembrano poter offrire all’apprendente di
L2 un’efficace impalcatura acquisizionale, rimanendo all’interno di parametri
misurabili ma senza corrompere la natura spontanea ed informale dei processi
in questione. Questo nuovo approccio inclusivo ridurrebbe il gap tra acquisizione e apprendimento, con un doppio vantaggio: offrirebbe agli apprendenti
di L2 un ventaglio più ampio di strumenti e di opportunità a supporto del loro
processo di apprendimento e, allo stesso tempo, permetterebbe ai docenti di
lingua di concentrarsi su aspetti della didattica più adatti ad essere gestiti tramite metodi formali, come lo sviluppo della competenza linguistica attraverso
lo studio della grammatica. Equilibratamente dosato, un mix di insegnamento
formale in classe e di apprendimento informale sul Web potrebbe condurre ad
un allocazione più razionale delle risorse didattiche e ad un apprendimento
più efficace.
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