Ritorno, racconto di Natalia Ginzburg

Transcript

Ritorno, racconto di Natalia Ginzburg
con il patrocinio del
COMUNE DI
RAVENNA
Assessorato
Pari Opportunità
presentano
Racconti
Di seguito riportiamo un racconto di non facile reperimento: Ritorno pubblicato su «Il Lavoro» il
7 maggio 1936. È un esempio di come alcune caratteristiche della poetica di Natalia Ginzburg
fossero già presenti nell’adolescente Natalia Levi:
la capacità di rimandare a significati più ampi attraverso la descrizione della
quotidianità;
l’uso di un linguaggio piano e preciso;
la capacità di distacco.
RITORNO
Sandra, bambina di nove anni, vestita di un paltò alla marinara strettissimo e corto, coi bottoni
che pendono e stanno per staccarsi, siede in uno scompartimento di seconda classe, le mani
tra le ginocchia, presso il finestrino. È intimidita e contenta di viaggiar sola. Vede prati e prati,
meli carichi, case con accanto il pagliaio e pannocchie di granoturco appese ai balconi, fiumi
lisci di color grigio che il treno attraversa su ponti di ferro, montagne brune con macchie di
boschi e paeselli appollaiati sul dorso. Ella dice addio a tutto questo.
Ha trascorso l'estate in montagna con una zia, perché quell'anno c'erano pochi denari e gli altri
son dovuti restare in città. La zia ha un bambino come lei, Nuccio, e si son divertiti moltissimo
insieme. La casa era dipinta d'azzurro, né la pioggia la poteva scolorire. Dentro era tutta di
legno e c'erano buffi quadri di cavalli e di pecore. I letti erano alti e larghi, nel materasso si
sentiva la paglia. C'erano vasi da notte piccoli piccoli, screziati di verde. Andavano nel bosco e
vi tro va vano pigne, mirtilli, formicai, famiglie intere di funghetti grigi così velenosi che non si
dovevano neppure toccare. Ogni mattina andavano al paese con la zia per comperare e
Selezione a cura di Enrica Cavina, in occasione del seminario del 25 febbraio 2011 a Ravenna
Non ho inventato niente. Omaggio a Natalia Ginzburg
www.gentesdeyilania.org
1
mettevano tutto nella sporta, che poi portavano a turno. Conoscevano i contadini, sapevano il
nome di tutti e tra loro si burlavano dell'uno e dell'altro. Nella bottega del calzolaio c'era uno
scoiattolo in gabbia, saltava su e giù sui bastoncelli e rosicchiava una pera, tenendola fra le
zampe... Le batte il cuore al pensiero di rivedere sua madre, i fratelli e di sedere con loro a
cena, poi a turno la prendono sulle ginocchia ed ella racconta. « Dalla zia c'è una cuoca col
gozzo, molto scema, non capisce niente. Una volta ha fatto un dolce di crema e prugna cotte...
La zia ha voluto vedere tutti i miei vestiti». «Bellina questa stoffa», dice, e se l'avvicina al naso
come per annusarla. La mattina fa il bagno di sole distesa sul ballatoio, con la schiena e le
gambe nude, se qualcuno passa dice: «Oh mio Dio», e si copre in fretta con un asciugamano.
Lo zio è venuto una volta sola, e ci ha condotti a fare una passeggiata me e Nuccio, poi la sera
s'è leticato con la zia, «Va a farti friggere allora» ho sentito che le diceva... Così racconta e tutti
l'ascoltano, e ridono ridono ripetendo le sue parole. Poi la mamma e la sorella la spogliano,
togliendole una una calza, una l'altra... Ella si trattiene a stento dal ridere per la contentezza.
La città non è lontana e già se ne vedono i tetti e i comignoli... Ecco, ora il treno è entrato in
città ed ecco le strade polverose, i carrozzoni verdi dei tram e le tende color tabacco alle
botteghe. Alla stazione è venuto ad aspettarla Dario, il più giovane dei suoi fratelli, un ragazzo
di quindici anni biondo e magro, dalle rosse ginocchia nude. È con un amico che Sandra non ha
mai visto. Dario la accompagna fino al portone di casa, le dà la valigia e dice «Bé, addio». Sale
i pochi scalini, reggendo con due mani la valigia: suona il campanello. Riconosce attraverso il
vetro le palme dell'anticamera. La mamma viene ad aprire e dice: «Ah, è la bambina!». Le toglie
il berretto e la bacia sui capelli e sul viso. Suo padre nello studio domanda: «Chi è?» e si
affaccia alla porta con aria sospettosa. «È la bambina».
In camera, la mamma le versa l'acqua nella catinella e la pettina, poi le toglie gli abiti dalla
valigia. «La zia ti saluta» - dice Sandra lavandosi le mani - forse ti verrà a trovare fra due o tre
mesi. La casa era dipinta d'azzurro...
Non c'erano scodelle e la minestra si doveva mangiare nelle tazze...
La zia qualche volta metteva gli zoccoli. Glieli ha venduti una contadina che stava vicino.
Simpatica, si chiama Concetta. Ha dieci bambini...». « Sì? », dice la mamma con indifferenza,
facendole infilare il grembiale. «Su, presto». Monta su una seggiola e prende, sull'armadio, la
scatola nera dei colori. In giardino, seduta nella vasca asciutta, si guarda intorno e le sembra di
non esser mai partita. Riconosce uno per uno tutti gli alberi, il mandorlo, il ciliegio e i noccioli, e
la ghiaia, la facciata della casa, le persiane polverose della veranda, e si meraviglia d'aver
potuto dimenticare che sul piazzale c'è un tappetino di ferro, che un rosaio s'arrampica fino alle
finestre di papa e mamma, che la portinaia ha un gatto grigio ed esso salta sempre sul muro, e
dal muro in giardino. Nel suo ricordo, il giardino era a volte grande grande, a volte così piccolo
che non ci si poteva muovere... Sputa sul pennello e raschia nei tubetti dei colori secchi e rolli,
la dei pallidi segni su un foglio, ed ecco, dice, questa è una bambina col cerchio, e due bambine
sorelle gemelle... D'un tratto sente un grido, poi, una porta sbatte. Può darsi che non sia niente,
può darsi che sia in un'altra casa. Ma le par di riconoscere la voce del padre. Non ha più alcuna
voglia di dipingere. Si fa buio, comincia a far freddo e nessuno la viene a chiamare, passerà la
notte in giardino, seduta nella vasca.
La porta della veranda si apre con un lungo guaito. È suo fratello Ruggero. « Su, vieni », le
dice, la prende per il colletto e la spinge verso casa. «Ti sei divertita?», le domanda nel
corridoio, ed ella dice: «Sì». - « Hai le mani pulite? » le domanda. Il suo viso è triste, la voce
bassa e lontana.
In sala da pranzo, Dario è già seduto al suo posto e legge il giornale mangiando del pane. Nella
stanza vicina si sentono delle voci, ed un pianto...
È sua sorella Sìlvia che piange. «Ma mi prendi per un imbecille», dice il papa. «Non è vero...
non è vero... ». - « Se la mamma vi ha visto. È inutile che tu seguiti a negare. Vi ha visto. Non
sei altro che una bugiarda. Ma la farò finire questa storia». La serva posa sulla tavola la
Selezione a cura di Enrica Cavina, in occasione del seminario del 25 febbraio 2011 a Ravenna
Non ho inventato niente. Omaggio a Natalia Ginzburg
www.gentesdeyilania.org
2
zuppiera ed aspetta, lo sguardo fisso sul pavimento. Silvia piange, singhiozza... Si sente il papa
camminare su e giù per la stanza. Poi ad un tratto un grido: « Io sono libera... libera! ». «Libera!
Ma io gli rompo la faccia con un pugno a quel tuo maledetto. Non lo vedrai più ». Il papa e la
mamma vengono a sedersi a tavola, sciolgono i tovaglioli, versano la minestra nelle scodelle.
Nella stanza vicina, Silvia singhiozza e d'improvviso la sentono picchiare nel muro e gridare
«Vigliacchi, vigliacchi ». Il papa si china verso la mamma e dice sottovoce: «È pazza» Ruggero allora si alza, pallido, e la sua bocca si contrae come se stesse per piangere. «Sei tu
che l'hai fatta impazzire... Sei tu» - sbatacchia per terra la seggiola ed esce dalla stanza.
«Bravo, l'ha fracassata - dice il papa - fracassata. Questo son capaci di fare. Cani! Cani
ringhiosi, ecco che cosa sono! ». La mamma prende un grappolo d'uva, sputa le bucce nel
piatto. In ogni suo gesto c'è tristezza e timore. Porta una camicetta di velo e si vede il suo collo
bianco e magro, le lentiggini sulla scollatura. Sandra si accorge allora che tutti sono magri e
pallidi, certo perché han passato l'estate in città. L'acqua che beve è tiepida, il pane bianco e
moscio e diverso da quello che c'era in montagna. Bicchieri e posate scintillano e la stanza, col
tappeto, le tende e il paralume di seta dalla lunga frangia, le appare bella e ricca come una
reggia. Nel mangiare la frutta le viene in mente quella sera dalla zia, che c'era un dolce di
prugne e di crema. Non ne potevano più dal ridere perché era un pasticcio tutt'altro che buono.
Ma ora le sembra sciocco d'aver riso tanto. Rivede le facce contente di Nuccio e della zia, ed
essi le sembrano stupidi e ingenui, le sembrano stupidi gli scherzi che faceva con loro e ne
prova vergogna. Dopo cena, la mamma la conduce a letto e l'aiuta a spogliarsi. «Su, presto»
dice, slacciandole il corpettino. Piega i vestiti, scuote via la terra dai sandali. «Buona notte
carina» dice, e Sandra la bacia sulla gota ardente. Spegne la luce e Sandra resta sola. Tra
poco verrà la serva, che dorme con lei. Sente la sorella piangere nella stanza vicina. E nello
studio il papa cammina su e giù e dice: «Belle consolazioni ci danno! Cani! questo sono, e
nient'altro. È inutile che tu li difenda... ». La sua camera da sul cortile ed ella sente scalpitare un
cavallo, poi qualcuno rovescia un secchio d'acqua, poi una finestra si chiude. Tutto si fa
silenzio, ma la serva ancora non viene. Chi sa perché comincia a pensare al cortile, le viene in
mente che il cavallo potrebbe imbizzire o i carrettieri prendersi a pugni tra loro... E pensa a un
mendicante che vede sempre sulla porta della chiesa. È un vecchio con dei lunghi baffi sudici,
mormora certe parole che non si capiscono mai. La paura l'assale e pensa a cose terribili, ai
ladri e si sforza d'immaginare due o tre guardie che passeggiano giù nella strada. Si sforza di
pensare a domani, al giardino soleggiato. Sporge la testa fuori della ringhiera del letto e cerca
con lo sguardo i suoi giocattoli, ammucchiati nell'ombra: una bambola, un cerchio, dei libri
sfogliati, una pompa da bicicletta. Ma di nuovo vede davanti a sé il mendicante.
La serva entra ed accende la luce. Sandra finge di dormire e respira profondamente. Un attimo
apre gli occhi e vede la serva in piedi, che si slaccia il corpetto, vede le sue gambe e le
mutande gonfie come palloni. Al buio, prova una felicità intensa per non aver più paura.
Nasconde la testa sotto le coperte e racconta, non sa con certezza a chi: «Mio cugino Nuccio
ed io facevamo delle barche di scorza d'albero... Ho imparato benissimo a farle... Nel prato
dietro la casa c'era un pantano con rane e girini... Abbiamo fatto una passeggiata lunga, Nuccio
mi ha prestato i suoi calzettoni... La casa era azzurra... ». Chiude gli occhi e vede la casa, il
ballatoio, le montagne. Tutto, Nuccio, il bosco e il pantano, lo scoiattolo nella bottega del
calzolaio, e perfino la cuoca col gozzo, tutto risveglia nel suo cuore l'affetto e la nostalgia.
Selezione a cura di Enrica Cavina, in occasione del seminario del 25 febbraio 2011 a Ravenna
Non ho inventato niente. Omaggio a Natalia Ginzburg
www.gentesdeyilania.org
3