“governo legislatore”?

Transcript

“governo legislatore”?
Quale forma di governo per il “governo legislatore”? Brevi note tra
prassi e modelli
di Matteo Carrer ( )
Sommario: 1. Esegesi di un ossimoro costituzionale – 2. Fisiologia e patologia del modello. – 3.
Equilibri e disequilibri del sistema.
1. Esegesi di un ossimoro costituzionale.
Che le cose non siano sempre come appaiono, è una vecchia massima tanto del buonsenso popolare
quanto dell’indagine colta. La scienza giuridica, consapevole della questione, nell’applicare il
medesimo concetto alle proprie categorie, ricorre non di rado alla dicotomia germanofila del sollen
e del sein, di ciò che dovrebbe essere e di ciò che è. Ciò genera tutta una serie di conseguenze
logiche e metodologiche che qui si andranno ad affrontare – premettendo che non si cercano
risposte definitive e nemmeno che abbiano pretesa di completezza – in tema di rapporti esecutivolegislativo e sistema delle fonti.
Ciò posto, i punti di partenza, che si assumono quasi a valore di assioma, sono due: innanzitutto, il
dato di fatto relativo alla produzione normativa di rango primario da parte del Governo. In secondo
luogo, si assume che la produzione delle fonti del diritto è significativa quanto al dibattito sulla
forma di governo in ogni ordinamento costituzionale. Si tornerà su questo secondo punto.
Quanto al primo aspetto citato, si considerino i seguenti dati: nella XIII legislatura, su una media
mensile di 27,46 atti, le leggi ordinarie costituivano il 54,35% di tale cifra, cui devono essere
sommati il 22,68% di decreti legislativi, il 12,24% di decreti-legge (meno di 4 al mese) nonché il
restante 10,74% di regolamenti di delegificazione; nella XIV legislatura, su una media di 22,44 atti
ogni mese, le leggi ordinarie erano il 51,85% del totale, i decreti-legislativi il 21,77%, i decretilegge il 16,33% e i regolamenti di delegificazione il 10,05%1. Per quanto riguarda dati più recenti
(XVI legislatura, dati parziali dal 2008 al 2011)2, si parla di un 44,66% di leggi ordinarie3 rispetto al
totale delle fonti di rango primario prodotte, nel solco di un’esperienza tutt’altro che recente4.
Circa la metà della produzione normativa primaria proviene dunque dal Governo e, tra le leggi
formali, ovviamente, sono incluse le leggi di delega, le leggi di conversione dei decreti-legge
nonché, in generale, le leggi di iniziativa governativa5. Per restare al periodo già considerato, nella
XIII legislatura, su 906 leggi approvate, 174 furono di conversione dei decreti-legge, mentre, nella
XIV legislatura, su 686 leggi approvate in totale, 200 furono di conversione di decreti-legge.
Da simili dati, appare come sia il Governo il vero legislatore, per metà circa attraverso atti di sua
competenza e per l’ulteriore metà tramite il Parlamento delegante o in sede di conversione di atti
urgenti, oppure, per ciò che resta, come motore dell’iniziativa6. Di conseguenza, sembra altresì che
Assegnista di ricerca in “Diritto costituzionale” presso l’Università degli Studi di Bergamo.
Fonte: Rapporto sulla legislazione 2006, in www.camera.it, p. 276.
2
Si rimanda al contributo di E. FRONTONI, Il decreto legislativo, nel presente volume.
3
Secondo altre fonti (Rapporto sulla legislazione 2010, p. 302), le leggi ordinarie costituiscono il 48,62% del totale a
fronte del 23,85% di decreti legislativi, del 17,13% di decreti legge e del 10,40% di regolamenti di delegificazione.
4
Nel 1996, su 147 atti con forza primaria, 87 furono le leggi, 35 i decreti-legge, 25 i decreti legislativi; nel 1997 su 296
atti, 187 furono le leggi, 44 i decreti-legge e 65 i decreti legislativi (fonte: Rapporto sulla legislazione 2006, p. 278). Nel
1996 – prima della sentenza n. 360 della Corte costituzionale – prevalevano i decreti-legge sui decreti legislativi, ma
anche nel 2001 avvenne lo stesso (nel periodo 30 maggio - 31 dicembre).
5
Complessivamente si tratta circa dell’80% del totale nella XIII come nella XIV legislatura, secondo il Rapporto sulla
legislazione 2006, p. 283, che sale all’88% nella XV legislatura e si attesta all’85% nel primo biennio della XVI
legislatura, secondo il Rapporto sulla legislazione 2010, p. 298.
6
Si ometterà, per mantenere centrato sul livello formalmente e sostanzialmente primario della legislazione, il caso dei
regolamenti di delegificazione, i quali, accanto al ruolo, teoricamente meritorio, di riduzione del numero delle leggi e
“leggine”, possono nascondere il paradosso di un esecutivo che si appropria di una funzione normativa tecnicamente
1
1
il Parlamento divenga un mero organo di controllo e una cassa di risonanza, da cui esce solo
eccezionalmente una norma primaria pensata, decisa e voluta dai rappresentanti del popolo sovrano
che occupano gli scranni di Montecitorio e di Palazzo Madama.
Ecco dunque la domanda che si pone al centro dell’attenzione: e se dovesse avvenire proprio
questo? Se la signoria del Governo sulla legislazione non fosse un’indebita interferenza di un
organo costituzionale nelle competenze di un altro, né una forzatura dei loro rapporti, né un
incidente di percorso dovuto a contingenze politiche, ma, al contrario, il modo di rapportarsi dei due
organi in questione all’interno della forma di governo parlamentare italiana?
In tal caso, quali sarebbero (o, meglio, sono, visti i dati concreti) le conseguenze sulla forma di
governo, posto che vi siano conseguenze e posto che la forma di governo, nei suoi fondamenti
caratteristici e nella sua struttura, non cambia nella sostanza?
Tali ultime puntualizzazioni della domanda richiedono, peraltro, una precisazione.
Si è dichiarato all’inizio che si cerca una strada “scettica” all’analisi della produzione delle norme
primarie. Scoprire o, forse più semplicemente, accertare che il Parlamento non è monopolista della
funzione normativa primaria si ritiene non debba essere sconcertante. Tutto dipende dal tertium
comparationis, come si avrà modo di approfondire. A prima vista, potrebbe non esserci nessun
problema, nemmeno teorico, di posizione reciproca degli organi nella forma di governo: a rigor di
logica, non si può escludere a priori che il modello storico di andamento dei rapporti tra organi
costituzionali sia sempre stato questo e che, magari, debba essere questo.
L’altro limite che si individua, e che si approfondirà a sua volta, è quello della cornice
costituzionale. Posto che la forma di governo italiana, con riguardo alla prassi della produzione
delle fonti, è quella che si è delineata, l’analisi dovuta all’impassibile realpolitik dei dati è
compatibile con il quadro costituzionale? Infatti, il testo della Costituzione non è cambiato e, anche
se possono essere intervenuti mutamenti taciti7, non si può prescindere da un confronto con la Carta
fondamentale per stabilire la bontà del funzionamento degli organi che ad essa debbono la propria
esistenza e legittimità. In altri termini, fino a futura revisione costituzionale, possono cambiare gli
aspetti concreti della Repubblica parlamentare, ma non devono mutarne i riferimenti costituzionali
di sistema.
Resta, poi, un dato di interessante parallelo. Se, come sembra, la tendenza del Governo a non
rispettare l’etichetta di organo meramente esecutivo della volontà sovrana del Parlamento è risalente
ad una data ben anteriore agli anni duemila8, si può escludere che i seguenti elementi abbiano avuto
influenza determinante in questo senso: la legge elettorale n° 270 del 2005; la riforma del Titolo V
della Costituzione del 1999 e del 2001, ovvero la riforma del regionalismo italiano, fattore che ha
inciso sulla forma di governo delle Regioni, sulla ripartizione della funzione normativa centroperiferia ed, almeno incidentalmente, sulla stessa forma di Stato; nonché la tendenziale maggiore
stabilità dei Governi che si sono succeduti dal 20019. Il che non è poco. Restano estranee anche la
riforma elettorale del 1993 (ll. 276 e 277/1993) e la generale scossa che la politica italiana ebbe nei
primi anni ’90, perché l’impressione è che non si sia trattato né di un fenomeno improvviso, né
semplicemente di un’innovazione che possa rivendicare un punto di partenza preciso o una nascita
certa10. Si conferma il dubbio che il Governo-legislatore, (apparente) contraddizione in termini e
secondaria ma sostanzialmente primaria esautorando il Parlamento, magari con una legge di delegificazione approvata a
colpi di questione di fiducia.
7
Cfr. AA. VV. I mutamenti della forma di governo tra modificazioni tacite e progetti di riforma, a cura di M. Siclari,
Aracne, Roma, 2008.
8
Manca un’analisi storica complessiva, ma è presumibile che il problema sia congenito alla forma di governo
parlamentare: v. E. CHELI, L’ampliamento dei poteri normativi dell’esecutivo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1959, p. 515 ss.
9
Dal 2001 (30 maggio) al 2011 (riferimento simbolico al 30 giugno) si sono succedute 4 compagini governative, il che
vale a configurare gli anni 2000 come il decennio più stabile della Repubblica italiana.
10
Il rapporto tra Parlamento e Governo in Italia è sempre stato difficile. Annota G. ANDREOTTI, Governare con la crisi,
Rizzoli, Milano, 1991, p. 366, che il primo Governo Craxi ebbe il record di durata ma anche quello sconfitte in
Parlamento. Cfr. L. CARLASSARE, Costituzionalismo e democrazia nell’alterazione degli equilibri, in
www.costituzionalismo.it.
2
vero ossimoro nel linguaggio costituzionale, non sia un elemento estraneo alla forma di governo
parlamentare, italiana e non solo italiana.
A tale proposito, risalente dottrina osserva: “in omaggio al principio fondamentale della
distribuzione delle competenze organiche l’attività legislativa dello Stato è esercitata dagli organi
legislativi designati dall’art. 3 dello Statuto [albertino]: il Re, quale organo complesso che deve più
propriamente designarsi, quando è considerato nell’esercizio delle funzioni di sua competenza,
come Governo del Re, e le due Camere, quella dei senatori e quella dei deputati”11. Ne discende che
la legge formale sia stata un atto complesso uguale, prodotto delle distinte, ma concordanti, volontà
di tre organi diversi, tra i quali rivestiva un ruolo non marginale il Governo del Re, ovviamente a
prescindere dall’ulteriore posizione del Re (“solo”, secondo la definizione dell’art. 7 dello Statuto
albertino) in sede di sanzione e promulgazione delle leggi. La legge non diveniva tale senza la
decisiva spinta in tal senso del regio esecutivo. Addirittura, nella prima fase dell’applicazione dello
Statuto albertino, sono emblematiche, ma sotto questo aspetto estreme, le occasioni in cui il
Governo dell’epoca utilizzò i pieni poteri attribuitigli dal Parlamento a fini bellici per realizzare
riforme normative che non passeranno mai per l’Aula parlamentare12.
È significativo che il “principio fondamentale” poco sopra citato – applicabile, stando ai dati
inizialmente riportati, anche al periodo repubblicano – non sia, come forse ci si potrebbe
ingenuamente aspettare, la separazione dei poteri ma, piuttosto, la distribuzione delle competenze
organiche.
Ciò può dipendere dal fatto che nella forma di governo parlamentare i poteri non sono rigidamente
separati, ovvero che il legislativo e l’esecutivo, il Governo e il Parlamento, dipendono l’uno
dall’altro.
Si potrebbe obiettare che questa definizione lascia a desiderare, e doversi ritenere doverosa la
specificazione che non si tratta di dipendenza reciproca, né di equilibrio instabile o
indifferentemente reversibile. Piuttosto, e più precisamente, è il Parlamento a dare la fiducia al
Governo, regola giuridica che, come noto, è contenuta all’articolo 94 della Costituzione. I rapporti
tra Governo e Parlamento sono difficilmente in equilibrio perfetto, se, per equilibrio, si intende che i
due organi detengano concretamente l’indirizzo politico in modo paritetico. Piuttosto, Parlamento e
Governo, legati dalla fiducia, possono porsi in posizione differenziata, come da tempo è stato messo
in rilievo: il secondo può essere il “braccio esecutivo” del Parlamento, oppure può essere il
“comitato direttivo” della maggioranza parlamentare13.
Lo stesso definire “legislativo” il potere in capo al Parlamento suggerisce che sia esclusivo il suo
ruolo di produzione delle fonti primarie, di creazione di nuove norme che spetta poi al Governo
applicare e ai giudici far rispettare. Non è una scoperta recente né innovativa lo stabilire che,
invece, il ruolo dell’indirizzo politico è determinante e che non è immaginabile che il Governo
rimanga in paziente, e forse anche passiva, attesa che il Parlamento approvi una nuova regola
giuridica nella forma della legge per limitarsi ad approvarne il relativo regolamento d’esecuzione.
Tutto ciò a meno di non voler dare al Parlamento un ruolo che, storicamente, non ha mai avuto.
Ecco perché era del tutto corretto parlare di distribuzione delle competenze organiche. Corretto
nell’epoca prerepubblicana e realistico a tutt’oggi.
11
E. CROSA, Diritto costituzionale, Utet, Torino, 1937, p. 186. Si ponga attenzione alla categoria, citata dal medesimo
Autore, delle leggi costituzionali, la cui approvazione segue il particolare procedimento previsto dalla l. 9 dicembre
1928, n° 2693, all’art. 12. Con la categoria delle leggi costituzionali, lo Statuto albertino diviene, nella sua ultima fase,
costituzione semi-rigida.
12
La differenza, forse, consiste nel concetto stesso di pieni poteri: se essi sono pieni, infatti, non si vede quale sia il
limite opponibile al Governo qualora, impegnato con una mano sul fronte militare, si impegni con l’altra mano a
riformare altri aspetti dell’ordinamento. Se, invece, le Camere in caso di guerra “conferiscono al Governo i poteri
necessari” (art. 78 Cost.), si può escludere che nell’ordinamento costituzionale esistano poteri autenticamente pieni, in
omaggio al principio irrevocabile di attribuzione delle competenze costituzionali in tema di legislazione.
13
Nel primo caso la forma di governo si definirà parlamentare a tendenza assembleare, nel secondo caso, ferma la
definizione parlamentare, si opterà per la tendenza premierale.
3
Dunque, tra essere e dover essere, chi è il legislatore? La risposta da manuale di diritto
costituzionale è inequivoca: “la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”
(art. 70 Cost.). Tra l’articolo 3 dello Statuto albertino e l’art. 70 della Costituzione la differenza
fondamentale è proprio la scomparsa del riferimento al Re, inteso nella prassi come Governo del
Re. Il legislatore è inequivocabilmente il Parlamento, anche se il ruolo del Governo della
Repubblica è recuperato in funzione di legislatore delegato, sia pure con la nota formulazione
negativa (art. 76 Cost. “l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato … se non”), ed
in funzione dell’emanazione dei decreti-legge.
Qui giunti, gli elementi ci sono tutti: c’è il Governo che interviene pesantemente nell’attività
normativa primaria e ci sono spunti per una revisione scettica del fenomeno.
Nel contempo, si ricorda che la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n° 171 del 2007, ha
riconosciuto come opinione “largamente condivisa” quella secondo cui l’assetto del sistema delle
fonti è “uno dei principali elementi che caratterizzano la forma di governo”14, ed ha anche aggiunto
che esso “è correlato alla tutela dei valori e diritti fondamentali” e che, “se […] nella disciplina
costituzionale che regola l’emanazione di fonti primarie (leggi e atti aventi efficacia di legge) viene
in primo piano il rapporto tra gli organi […], non si può trascurare di rilevare che la suddetta
disciplina è anche funzionale alla tutela dei diritti e caratterizza la configurazione del sistema
costituzionale nel suo complesso”15.
2. Fisiologia e patologia del modello.
Può la dottrina prendere atto del ruolo del Governo (che non è eccessivo definire preponderante) sul
procedimento legislativo senza per questo nutrire perplessità o incertezze sul modello
costituzionale, come sulla prassi, della forma di governo in Italia?
È inutile ribadire che, se tale ruolo del Governo si dimostrasse fisiologico, si esaurirebbero
autonomamente quelle difficoltà che, se si dimostrassero al contrario espressione di una patologia
del sistema, richiederebbero immediata denuncia e urgentissima correzione16.
14
Paragrafo 3 del Considerato in diritto.
Paragrafo 4 del Considerato in diritto.
16
Non si nasconde che la dottrina, pur con toni diversi, è in gran parte preoccupata dal ruolo del Governo nella
produzione di norme primarie. Le espressioni usate (senza pretesa di completezza, ma a titolo di “carotaggio” della
sensibilità dottrinale) sono diverse: “situazione allarmante causata dall’abuso della decretazione d’urgenza” (R.
ROMBOLI, relazione di sintesi Decreto legge, in AA. VV., I rapporti tra Parlamento e governo attraverso le fonti del
diritto. La prospettiva della giurisprudenza costituzionale, atti del Convegno di Napoli svoltosi nei giorni 12 e 13
maggio 2000, a cura di V. Cocozza e S. Staiano, Giappichelli, Torino, 2001, vol. 2, p. 920); “prassi degenere” che vede
il decreto assumere la qualità di disegno di legge motorizzato (A. RUGGERI, Ancora in tema di decreti legge e leggi di
conversione, ovverosia di taluni usi impropri (e non sanzionati) degli strumenti di normazione (a margine di Corte cost.
nn. 355 e 367/2010), in www.forumcostituzionale.it). All’“esplosione” della delega legislativa accenna A. ANZON
DEMMIG, I problemi attuali del sindacato della Corte costituzionale sulla delega legislativa, in AA.VV., La delega
legislativa, Atti del seminario svoltosi in Roma, Palazzo della Consulta, 24 ottobre 2008, Giuffrè, Milano, 2009 p. 22;
mentre l’uso stesso della delega viene definito “funzionale ad un disegno volto a ridimensionare sempre più il ruolo del
Parlamento” anche da E. FRONTONI, Il decreto legislativo, in questo volume. Significativi sono alcuni titoli di lavori
quali: AA. VV. L’emergenza infinita. La decretazione di urgenza in Italia, a cura di A. Simoncini, Eum, Macerata,
2004; G. DI COSIMO, Tutto ha un limite (la Corte e il Governo legislatore), in www.forumcostituzionale.it. Astraendo da
riferimenti ai decreti-legge o legislativi, ma in relazione al sistema, L. SPADACINI, L’eclissi della rappresentanza
all’origine della crisi del Parlamento italiano, in Il governo sopra tutto, a cura di A. D’Andrea, Bibliofabbrica, Brescia,
2009, p. 92 ritiene che “non è più la legittimazione del Governo a dipendere dalla consonanza con il Parlamento, ma
quella delle assemblee rappresentative a discendere dalla conformità con l’indirizzo politico impartito loro
dall’esecutivo”, mentre A. D’ANDREA, Vecchie zavorre e nuove suggestioni: gli affanni della nostra democrazia
costituzionale, in AA.VV. Scritti in onore di Lorenza Carlassare, a cura di G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi,
Jovene, Napoli, 2009, spec. p. 1855, ritiene che “è da tempo in atto un sostanziale travisamento dei principi
costituzionali che ancora attualmente definiscono l’organizzazione dello Stato”, consistente in un “esautoramento delle
Assemblee elettive” in favore del Governo.
15
4
Il nucleo del problema, come preannunciato, è nel modello che si utilizza come tertium
comparationis. Ancor più che per gli attori direttamente coinvolti nel circuito democratico, i quali
pure devono avere la consapevolezza del proprio ruolo, è la dottrina ad avere la necessità di un
modello di riferimento per confrontare la realtà con la teoria, o, ancora, l’essere con il dover essere.
Prescindendo dalle derivazioni e dalle applicazioni filosofiche del concetto17, si propongono alcuni
modelli, alternativi tra loro18.
2.1. Il primo modello è quello che si considera il più lineare, in cui la separazione dei poteri à la
Montesquieu viene puntualmente rispettata. Il Parlamento produce norme giuridiche in forma di
legge ordinaria. La discussione avviene in Aula e l’iniziativa da essa, di regola, promana. Il
Governo produce norme giuridiche secondarie in forma di regolamenti. È salva la delegazione
legislativa nei casi in cui necessaria ed opportuna, mentre i decreti-legge sono atti di autentica
necessità ed urgenza, adottati per affrontare imprevisti e calamità. L’indirizzo politico è saldo nelle
mani della maggioranza parlamentare, che controlla l’attività governativa, ragion per cui è il
Parlamento l’autentico dominus del rapporto fiduciario.
2.2. Il secondo modello deriva dai lavori preparatori dell’Assemblea Costituente. Pur con i limiti del
caso19, è lecito domandarsi quale fosse l’idea di forma di governo e, nello specifico, di rapporti
Governo-Parlamento coltivati da coloro che, nel predisporla, necessariamente la immaginavano.
Innanzitutto, è bene considerare che, nel testo del 1948 della Costituzione20, la durata dei due rami
del Parlamento era differenziata: 5 anni per la Camera e 6 per il Senato, con il che si sarebbero
avute elezioni politiche contestuali ogni 30 anni, con progressivo distanziamento (e
riavvicinamento)21 delle consultazioni. A tale schema non può non corrispondere una doppia fiducia
al Governo, realmente differenziata per effetto delle elezioni di ciascuna Camera. In altri termini, il
Governo avrebbe dovuto poter godere di una piattaforma politica sufficientemente solida da
affrontare, nel corso della sua vita, risultati elettorali differenti. Se i risultati fossero stati non solo
differenti, ma opposti, sarebbe seguita la sfiducia, o la non fiducia iniziale, di una delle due Camere.
La Seconda sottocommissione si era posta il problema in sede di redazione del testo ed aveva
ipotizzato una soluzione specifica al problema. Il Governo che fosse stato sfiduciato da una sola
Camera poteva fare ricorso all’Assemblea Nazionale (che assumerà, nel corso dei lavori, la
denominazione di Parlamento in seduta comune) e lì vedere confermata o revocata definitivamente
la fiducia.
Il progetto di Costituzione, evidentemente, non dava l’idea di considerare un problema per il
rapporto fiduciario le Camere elette in tempi diversi. Ancora, non si può affermare con certezza che
l’immagine del Governo nei rapporti interni tra gli organi che lo compongono fosse la medesima
che arriva agli interpreti dopo decenni di attuazione.
17
Si tralasciano i problemi, che forse rilevano ma attengono ad altre discipline, della conoscibilità delle idee pure e
della strutturazione della conoscenza nel rapporto tra singoli oggetti ed idee, che da Platone in poi ebbero tanti sviluppi.
18
Si cercherà, nell’elencazione, di non abusare di definizioni e di modellistica, nel senso di attribuire troppe
specificazioni ed aggettivazioni: la forma di governo che si descrive, nelle diverse opzioni, è quella parlamentare. Sic
sufficit.
19
Infatti, leggendo i lavori preparatori, non si accede all’idea dell’Assemblea Costituente come se essa fosse un unicum
dotato di autonomo raziocinio; piuttosto si conosce l’espressione del pensiero di coloro che presentano emendamenti ed
intervengono ad illustrarli, oppure, tramite gli interventi degli onorevoli Meuccio Ruini, Presidente della Commissione
per la Costituzione, ed Egidio Tosato, che si esprime a nome della Commissione, si conosce una sintesi delle idee che
hanno ispirato o determinato una scelta nel testo. Il limite dell’interpretazione dei lavori preparatori è, quindi, il rischio
di generalizzare una semplice somma di unità, di idee isolate.
20
Fino all’approvazione della legge costituzionale 9 febbraio 1963, n° 2. È noto che le elezioni politiche del 7 giugno
1953 e del 25 maggio 1958 furono per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, quest’ultimo
sciolto appositamente (cd. scioglimento tecnico) dal Presidente della Repubblica.
21
Si dice riavvicinamento valutando con attenzione il seguente schema. Ipotizzando elezioni contestuali, per facilità di
conto, nell’anno 2000, si avrebbe: 2000, (+5) Camera 2005, (+ 1) Senato 2006, (+ 4) C 2010, (+ 2) S 2012, (+ 3) C
2015, (+ 3) S 2018, (+ 2) C 2020, (+ 4) S 2024, (+ 1) C 2025, elezioni contestuali (+5) nel 2030. Ne consegue che, nel
complesso, le due Camere sono a turno l’assemblea più recentemente eletta (quindi più vicina all’effettiva espressione
di volontà degli elettori) e, sempre nell’arco del trentennio, le stesse differenze temporali distanziano le elezioni.
5
Discutendo della formulazione dell’attuale art. 92 Cost., l’on. Ruini rilevò, a proposito della nomina
del Governo, che “in caso di crisi il Capo dello Stato, dopo aver incaricato un uomo politico di
formare il nuovo Gabinetto, lo nomina, ove egli riesca, Presidente del Consiglio con un decreto
distinto; poi, su proposta del Presidente stesso, nomina i Ministri che comporranno, sotto la
presidenza del già nominato Presidente, il Consiglio dei Ministri. Sono due atti distinti di nomina; e
che siano distinti è perfettamente logico e costituzionalmente corretto” 22. Due nomine distinte che
evidenziano due posizioni diverse tra il Presidente del Consiglio e gli altri Ministri.
L’on. Laconi replica alla prospettazione dell’on. Ruini23 che distinguere la nomina del primo da
quella dei secondi “significa accettare il metodo delle dimissioni del Primo Ministro che
comportano automaticamente le dimissioni del Governo. Noi pensiamo che questo metodo non sia
democratico. […] Non si deve riconoscere al Presidente del Consiglio il diritto di considerarsi
rappresentante unico di tutto il Governo”. Ne deriva l’impressione che il Governo fosse dotato,
almeno per Laconi e la sua parte politica, di una continuità che non si sarebbe mai verificata nella
prassi, in cui i rimpasti dovevano essere progressivi e non ne dovevano condizionare l’esistenza.
Non a caso, il problema della posizione del Primo Ministro si pose con identici argomenti durante la
discussione dell’odierno art. 95 Cost.24
Quanto ai rapporti Camere-Governo, la discussione sulla mozione di sfiducia delinea l’attenzione
che i costituenti vi riponevano, nella convinzione che essa sarebbe stata in futuro lo strumento
principe per ottenere le dimissioni di un Governo. Nel frattempo, però, era venuto a mancare il
compito dell’Assemblea Nazionale, ovvero Parlamento in seduta comune, di discutere sulla fiducia
al Governo revocata da una sola Camera. Sostenne l’on. Tonello25 che “la Camera è sovrana ed è
essa che giudica il Governo”, sottolineando in linea di principio la centralità del Parlamento, mentre
l’on. Ruini, lamentando l’eccessiva preoccupazione dell’Assemblea Costituente nel concedere al
futuro Parlamento facile strada per la proposta di una mozione di sfiducia, ricordò che “la seconda
Sottocommissione era partita col fermo e concorde proposito di impedire più che fosse possibile
l’instabilità e l’eccessiva mutevolezza dei Governo. […] L’idea dell’Assemblea Nazionale venne
fuori specialmente qui, per rendere possibile il ricorso contro il voto di sfiducia pronunciato in
prima istanza da una Camera. Si avanzarono poi cifre di maggioranze speciali e di quorum [per
l’approvazione della sfiducia], tenendo conto che un Governo può essere in minoranza davanti alle
opposizioni, ma queste possono essere non concordi fra loro, e nessuna più forte numericamente del
partito al Governo.”26
L’esperienza avrebbe presto dimostrato che le opposizioni sono sempre compatte se si tratta di
negare l’appoggio al Governo in carica, ma non è da escludere che opposizioni diverse in Camere
diverse possano comportarsi, appunto, diversamente in proposito (senza considerare la grande
difficoltà di trovare fra loro un accordo per investire della fiducia un altro Gabinetto)27. Tuttavia,
22
Seduta pomeridiana di giovedì 23 ottobre 1947, in Atti Assemblea Costituente, Roma, 1970, p. 1501.
Era in votazione l’emendamento La Rocca, secondo il quale il Governo sarebbe stato “costituito dal Consiglio dei
Ministri” e, secondo comma, “i ministri sono nominati dal Presidente della Repubblica”. Il che non escludeva la
presenza di un Presidente, ma gli si negava un ruolo differenziato.
24
Seduta pomeridiana di venerdì 24 ottobre 1947, in Atti, cit., p. 1556-1558. Alcuni emendamenti puntavano alla
modifica dei compiti del Presidente del Consiglio, nel senso di escludere il potere di direzione della politica generale o
di escluderne la responsabilità o, ancora, di escludere il compito di “promuovere” l’attività dei Ministri. Sostenne l’on.
La Rocca (Seduta pomeridiana di venerdì 24 ottobre 1947, in Atti, cit. p. 1552) che “non si intende fare del Presidente
del Consiglio colui che domina, che sovrasta, che dà la sua impronta personale all’indirizzo generale della politica del
Paese, che concentra se non nella lettera del testo costituzionale, nella pratica, un po’ tutti i poteri: quelli
dell’Assemblea, in quanto egli, come capo dell’esecutivo governativo, finisce per essere lo strumento, il braccio,
l’azione della volontà delle Camere popolari; quelli del Presidente della Repubblica, in quanto il Presidente del
Consiglio risponde degli atti del Presidente della Repubblica con la firma”.
25
Seduta pomeridiana di venerdì 24 ottobre 1947, in Atti, cit., p. 1534.
26
Ibidem, p. 1536.
27
Si pensi, ma nel formulare l’ipotesi è chiaro che non ci si distanzia molto dal genere della narrativa di ucronia, ad un
partito politico rappresentato solo in una Camera e non nell’altra, o ad un’instabile alleanza tra due partiti di cui uno ha
più seggi alla Camera e l’altro più seggi al Senato.
23
6
l’articolo relativo al passaggio in Assemblea Nazionale era già stato messo in dubbio e soppresso.
Lo scetticismo espresso al riguardo dall’on. Corbino28 fu del seguente tenore: “facciamo un esempio
concreto. Poniamo che il Governo, ottenuta la fiducia presso la Camera dei Deputati con 30 voti di
maggioranza, se la veda negata dal Senato con 5 voti di minoranza. Riuniamo allora l’Assemblea
Nazionale e il Governo avrà la fiducia con 15 voti29 di maggioranza. Che cosa conta allora la
sfiducia della seconda Camera? Non conta nulla, ed il risultato sarà che la seconda Camera, non
avendo potuto rovesciare il Governo, boccerà sistematicamente tutti i disegni di legge che il
Governo le sottoporrà […]”. Nel caso, opposto, in cui il conteggio dei voti, già sulla carta, avesse
confermato la sfiducia in Assemblea Nazionale, il Governo si sarebbe dimesso immediatamente. Da
cui l’inutilità dell’appello, a meno che la riunione delle due Camere non fosse stata, politicamente,
qualcosa di più della somma algebrica delle parti, elemento che i membri dell’Assemblea
costituente non paiono mai mettere in conto.
L’on. Tosato30, dopo che l’Assemblea eliminò il correttivo della fiducia per il tramite del
Parlamento riunito, espresse la propria preoccupazione: “abbiamo creato due Camere composte ed
elette diversamente, l’una col sistema proporzionale, l’altra a collegio uninominale. […] È molto
probabile, data la diversità dei sistemi elettorali, che in una Camera domini una maggioranza di un
dato colore, e nell’altra Camera una maggioranza di colore ben diverso. Non so, in questa ipotesi,
come si potrà costituire e come potrà funzionare un Governo”. Il dubbio è fondato, ma la risposta è
semplice e la fornisce lo stesso on. Tosato poco più tardi 31: “faccio una ipotesi. La Camera dei
Deputati dura cinque anni, il Senato sei anni. Nel giro di poche legislature, salvo scioglimenti
anticipati, l’elezione del Senato potrà cadere dopo due o tre anni da quella della Camera dei
deputati; e con l’elezione del Senato manifestarsi una situazione politica totalmente cambiata, tanto
da infirmare il valore rappresentativo della Camera dei deputati, eletta precedentemente. Ritengo
che, in questo caso, il Presidente della Repubblica possa sciogliere soltanto la Camera32”.
Ne risulta che il progetto originario della Costituzione, prima che iniziassero i lavori
dell’Assemblea, proponeva una forma di governo dal funzionamento diverso da quello che
conosciamo, mentre le modifiche apportate hanno avvicinato il sistema a quello noto, pur lasciando
delle incertezze, in tema di rapporti Governo-Parlamento, che solo la prassi ha poi risolto. Volendo
dare un significato complessivo al disegno originario perseguito dal progetto di Costituzione e alle
preoccupazioni espresse dai membri dell’Assemblea durante la discussione, si potrebbe concludere
che la combinazione di tutti gli elementi esposti avrebbe richiesto per il futuro un Governo meno
espressione della maggioranza e più concertato tra diverse forze politiche.
2.3. Il terzo modello di funzionamento della forma di governo italiana è ispirato alla realpolitik e
all’idea che “ciò che è reale è razionale” nella versione banale riconducibile a “ciò che esiste è
giusto che sia”. Se già i Governi prima e dopo l’unità nazionale utilizzavano i pieni poteri militari
come delega in bianco alle riforme; se, molto più tardi, la decretazione d’urgenza ha avuto quel
corso, ai limiti (ed oltre) della volontà costituzionale, censurato dalla Corte costituzionale con la
celebre sentenza 360/1996; se i dati confermano che l’intervento del Governo nella produzione di
norme primarie non è un’anomalia politica temporanea; ebbene, visti i presupposti, ciò significa che
28
Seduta di sabato 18 ottobre 1947, in Atti, cit., p. 1339.
Il testo dei lavori riporta inequivocabilmente il numero 15, ma è probabile che si tratti di un refuso e che il numero
corretto sia da intendersi come 25 (30-5).
30
Seduta pomeridiana di venerdì 24 ottobre 1947, in Atti, cit., p. 1531.
31
Nella stessa seduta del 24/10/1947, Atti, cit., p. 1543.
32
Si veda la nota 21 per lo schema dell’alternanza dell’elezione delle due Camere. In verità, il punto di massima
distanza tra elezioni è di 4 anni e vedrebbe protagonista prima la Camera più “recente” del Senato e poi, verso la fine
del ciclo, l’opposto. Nel decennio centrale descritto nel ciclo le elezioni sono alternate ogni due o tre anni, dunque
diventerebbe più delicato il potere del Presidente della Repubblica di scioglimento di un organo eletto solo un paio
d’anni prima e non ancora “logorato dall’uso”, posto che la rappresentatività possa, nelle parole dell’on. Tosato,
risultare “infirmata” dopo un certo periodo. Non sorprende per nulla che, nella prassi, si sia scelto di rinunciare fin da
subito a tale sistema e procedere allo scioglimento tecnico anticipato del Senato. Anche perché, ancora nell’esempio
dell’on. Tosato, lo scioglimento anche a metà del ciclo di alternanza riporterebbe il tutto all’origine.
29
7
la forma di governo parlamentare italiana funziona, nei fatti, con il predominio del Governo
nell’attività legislativa. D’altra parte, ciò non costituisce un problema costituzionale perché
l’esercizio dell’indirizzo politico è ormai spostato sul Governo, il quale risponde politicamente ad
ampio raggio delle proprie scelte normative. Anzi, la responsabilità dell’esecutivo in tal senso è
particolarmente spiccata, complici i mezzi di informazione33. Le auspicate o contestate novità
normative sono responsabilità del Governo, che le approva spesso con decreto-legge per conferire
maggiore visibilità, efficacia e rapidità alla sua azione. Così, è dal Governo che ci si aspettano
scelte importanti ed interventi concreti, i quali non possono che assumere la forma di norme
primarie: il Consiglio dei Ministri si assume la responsabilità delle norme che propone al
Parlamento (in forma di disegni di legge e di emendamenti) utilizzando anche lo strumento della
questione di fiducia, per certi versi connaturato alla necessità di vedere confermate le proprie
proposte, mentre alla maggioranza parlamentare spetta il compito di supportare politicamente le
scelte del Governo, e l’opposizione si limita a rilevarne gli aspetti criticabili.
2.4. Se tale modello provoca perplessità, è perché è estremo in una lettura esecutivo-centrica. Se
applicato alla realtà, esso potrebbe addirittura far concludere che sarebbe possibile un ulteriore
accentramento della funzione legislativa in capo al Governo senza – ma è una forzatura –
ammettere alcun problema di compatibilità con lo spirito e la lettera della Costituzione.
Anche il primo modello, che nella sua forzata linearità potrebbe non rivelarsi inutile ad docendum,
mostra fin da subito i suoi limiti, nel senso esattamente opposto. È un funzionamento della forma di
governo talmente perfetto da risultare impossibile e non stupirebbe se, nell’esemplificazione, il
Presidente del Consiglio si chiamasse Melibeo e il Presidente di una delle Camere Titiro, come i
bucolici pastori virgiliani. È altrettanto ovvio che, se la realtà dei dati di cui in apertura venisse
confrontata con tale ideale, ne risulterebbe un quadro più che allarmante. Un pericoloso
disequilibrio tra poteri che, tuttavia, avrebbe un modello di riferimento idilliaco all’eccesso.
Si confida che l’estremizzazione cui sono stati sottoposti questi due modelli (il primo ed il terzo fra
quelli presentati) siano utili a chiarire il problema del tertium comparationis: una visione idealistica
o una visione disincantata, entrambe spinte all’estremo, non sono utili all’analisi. Tra il ritenere –
passi un’ultima estremizzazione – la partecipazione preponderante alla normazione primaria da
parte del Governo un pericolo per la democrazia o una caratteristica connaturata al sistema, il
divario è troppo ampio. Così come sarebbero troppo distanziate le conclusioni di due ipotetici
commentatori che analizzassero la realtà dei fatti avendo a mente i due opposti modelli proposti.
Quanto al modello derivato dai lavori preparatori, non si può che concludere, ancora una volta, che
non sempre le cose sono come sembrano. L’Assemblea Costituente, la quale era pure composta da
molti uomini politici che sarebbero stati attori di primo piano della politica del secondo dopoguerra,
non poteva prevedere con precisione i rapporti tra organi nei decenni successivi. Anzi, si è notato
che gli intendimenti originali erano diversi e sicuramente avrebbero richiesto differenti relazioni tra
esecutivo e legislativo. È curioso dover concludere che, in tema di modelli, la lettura dei lavori
preparatori non è per nulla decisiva, anzi tali lavori non verranno ulteriormente presi in
considerazione per l’obiettiva distanza dalla prassi successiva.
2.5. Evitati gli estremi e le digressioni, si propone infine un quarto modello del funzionamento dei
rapporti Governo-Parlamento sub specie della produzione delle fonti, che si vuole per sintesi e
convenzione definire della non-incompatibilità. I punti di frizione che si prendono in esame sono i
seguenti: la delega legislativa, la decretazione d’urgenza, l’iniziativa di legge governativa (e in
generale l’intervento nei lavori parlamentari, con strumenti quali emendamenti o questioni di
fiducia).
Si è già ricordato che l’art. 76 Cost. esordisce con una doppia negazione (“l’esercizio della funzione
legislativa non può essere delegato al Governo se non […]”), a sancire la centralità dell’attribuzione
della funzione legislativa alle Camere. Tuttavia, la delegazione è possibile. Recentemente, accanto
33
Consultando i quali colui che ignora qualsiasi nozione di diritto apprende, per fare un esempio significativo, che la
legge finanziaria è di competenza del Governo. Il che è completamente errato nella forma per un’eccessiva (e forse pure
dolosamente disinteressata) semplificazione tra il doveroso potere di iniziativa e il relativo atto formale.
8
alla disciplina costituzionale di cui all’art. 76, si è cercato di arricchire il procedimento di
formazione del decreto legislativo per non lasciare il Governo da solo davanti alla responsabilità
dell’approvazione. Si ottiene, così, il doppio obiettivo di aiutare e di controllare il Governo. La
struttura polifasica34 della decretazione delegata è, almeno nelle intenzioni, un arricchimento del
procedimento.
Quanto alla decretazione d’urgenza, il testo dell’art. 77 Cost., nell’insistere sui “casi straordinari di
necessità ed urgenza”, lascia intendere che i decreti-legge dovrebbero essere davvero eccezionali,
mentre non si può definire straordinario un avvenimento che si ripete circa ogni dieci giorni35. Non
si può negare che il decreto-legge abbia assunto le caratteristiche di un’anticipazione della norma,
utile al Governo per abbreviare i tempi parlamentari di approvazione; tuttavia, nel momento in cui
la produzione normativa primaria è, per consolidata tradizione, il modo abituale di gestire la res
publica36, anche al prezzo di una legislazione ipertrofica37, non può sorprendere che il Governo
entri in questo modo non solo e non tanto nella produzione normativa primaria, quanto nell’iter
legis, per costringere a tempi certi i lavori del Parlamento. Il decreto-legge diviene, così, un disegno
di legge che viaggia su una corsia preferenziale38, posto che “la celerità e la prevedibilità dei tempi
di conclusione dei procedimenti legislativi non solo non rappresentano uno strappo rispetto ad un
modello parlamentare, ma dovrebbero anzi costituirne un tratto tipico”.39 In assenza di meccanismi
più adeguati e nella sostanziale inattuazione della procedura d’urgenza di cui all’art. 72 Cost., il
decreto-legge svolge anche questa funzione.
Sia consentito tornare ulteriormente sui lavori dell’Assemblea Costituente. Si scopre che il potere di
delega della funzione normativa è attribuito al Parlamento nella forma oggi nota senza quasi
nessuna discussione40, mentre non era originariamente previsto alcun potere in capo al Governo di
emanare decreti-legge. L’on. Codacci Pisanelli sostiene tra i primi che non ci può essere timidezza
nell’attribuire tale ultimo potere all’esecutivo41, perché “il Governo finirà sempre, prima o poi, per
far[n]e uso. Ce lo dimostra la storia.” Interessante l’esemplificazione successiva: “in alcuni casi di
particolari necessità, come nei cataclismi; in caso di aggressione da parte di altri Stati, quando si
debbano emanare disposizioni in materia doganale, quando sia necessario mantenere il segreto, in
tutte queste ipotesi è assolutamente necessario che il Governo possa procedere ad emanare decretilegge da un momento all’altro, senza attendere il sia pure rapido sistema previsto attraverso le
Commissioni per emanare leggi ordinarie”42. Escludendo il “segreto”, si tratta di casi assolutamente
tipici ed estremi di potere urgente, cui si deve aggiungere, nel medesimo intervento, il cenno alla
materia economica, nei casi in cui un decreto-legge “stabilisca un dazio o debba comunque fissare
una imposta”. L’on. Mortati, pur non convinto che il potere di emanare decreti-legge debba essere
regolamentato in Costituzione43, propone che i casi siano limitati solo all’“aumento delle tariffe
delle imposte dirette, quando vi sia danno col ritardo”44. Anche l’on. Tosato, contrario all’idea dei
34
A. CELOTTO, E. FRONTONI, Legge di delega e decreto legislativo, in Enc. dir., VI agg., Giuffrè, Milano, 2002, p. 697.
Anche meno, per andare a comporre una media di 4 d.l. ogni 30 giorni.
36
“Il momento della determinazione e della specificazione dei fini [e degli obiettivi da perseguire] risulta collegato alla
funzione (materialmente) legislativa, mentre il momento strumentale dell’attività di indirizzo va riferito sia a detta
funzione sia a quella esecutiva”: T. MARTINES, Indirizzo politico, in Enc. Giur., vol. XXI, Giuffrè, Milano, 1971, p.
149.
37
V. M. AINIS, La legge oscura. Come e perché non funziona, Laterza, Roma-Bari, 2002.
38
Di disegno di legge “motorizzato” parla A. RUGGERI, Ancora in tema di decreti legge, cit.
39
R. PERNA, Tempi della decisione ed abuso della decretazione d’urgenza, in Quad. cost., 2/2010, p. 59 ss. e spec. p.
65. L’Autore osserva che i tempi di approvazione di disegni di legge ordinari è intorno all’anno (ovvero, il Parlamento
decide in modo lento) e ritiene che la “particolarità” del procedimento di conversione del decreto-legge non sia
sinonimo di “eccezionalità” e, ulteriormente, che la vera caratteristica del decreto-legge sia l’immediata entrata in
vigore delle norme ivi contenute, effetto dell’urgenza ma anche effetto dei tempi parlamentari di approvazione standard.
40
Seduta pomeridiana di giovedì 16 ottobre 1947, in Atti, cit., p. 1291.
41
È interessante notare che l’on. Codacci Pisanelli si esprime in termini di “potere d’ordinanza” governativo.
42
Seduta pomeridiana di giovedì 16 ottobre 1947, in Atti, cit., p. 1294.
43
Seduta di venerdì 17 ottobre 1947, in Atti, cit., p. 1303.
44
Seduta pomeridiana di giovedì 16 ottobre 1947, in Atti, cit., p. 1297.
35
9
decreti-legge, vuole limitare “questa eventualità[,] che dovrebbe essere rarissima”45. Appare che i
membri dell’Assemblea Costituente immaginassero i decreti-legge come atti assolutamente
eccezionali, tanto da essere convinti che “l’immediato intervento e l’apposita convocazione delle
Camere è un freno molto sensibile per i Governi”46, i quali eviteranno di approvare decreti-legge
non strettamente indispensabili in quanto ciò comporterebbe affrontare un giudizio di responsabilità
in Parlamento.
Ma non mancano voci contrarie. L’on. Lucifero lucidamente sostenne che “il decreto-legge diventa
una forma ordinaria di legiferazione, perché, una volta che è entrato nel sistema, diventa una forma
ordinaria, una forma a cui legittimamente si può far ricorso”47, mentre l’on. Costantini ritenne
addirittura che “il governo non può governare, soprattutto nei periodi di vacanza parlamentare, se
non gli si accorda la facoltà di emettere dei provvedimenti aventi, in linea provvisoria, valore di
legge”48.
Dalla lettura complessiva appare che i componenti dell’Assemblea Costituente fossero preoccupati
di impedire al Governo di emanare con decreto-legge norme contrarie a diritti costituzionalmente
garantiti oppure di evadere dai controlli parlamentari e che ne regolarono l’esercizio con la
consapevolezza realistica di non poter negare in assoluto tale potere, senza però sospettare – tranne
Lucifero – l’uso, in verità ancora diverso, che se ne sarebbe fatto e che qui si commenta.
Infine, l’ingerenza governativa sui lavori parlamentari. È accaduto nella storia della Repubblica
italiana che, ad un certo momento, l’elettore che si recava alle votazioni politiche avesse iniziato a
farsi delle aspettative su chi sarebbe stato il successivo Presidente del Consiglio dei Ministri. Il
processo è stato graduale e, con ogni probabilità, alcune delle cause non sono nemmeno di ordine
costituzionale; tuttavia ciò è avvenuto. Con i referendum in materia elettorale del 1993 e la
successiva introduzione del sistema misto (75% maggioritario, 25% proporzionale) il passaggio è
stato definitivamente compiuto e già con le elezioni politiche del 1994 la sfida tra candidati
Presidenti del Consiglio, sempre salve le attribuzioni costituzionali del Presidente della Repubblica,
era aperta. In occasione delle consultazioni del 1996, del 2001, del 2006 e del 2008 il sistema non
ha fatto che confermarsi, come visibilità politica e mediatica e anche, giuridicamente, nella norma
che comporta l’indicazione del capo della coalizione elettorale (art. 14-bis d.p.r. 361/57).
La visibilità del Presidente del Consiglio, la sua posizione sensibilmente più forte rispetto al passato
di leader della coalizione di governo, la volontà di rendere il Governo stabile – cioè forte nei
confronti della maggioranza parlamentare che lo sostiene49 – comportano che il premier,
politicamente in “prima linea”, sia determinato a raggiungere risultati spendibili50 presso
l’elettorato. Tali risultati, indubbiamente politici nella loro essenza, nell’equilibrio dei poteri dello
Stato sono riferibili all’indirizzo politico e, in particolare, all’ambito di indirizzo politico che attiene
alla distribuzione del potere legislativo. In un sistema parlamentare, la fiducia tra Governo e
Parlamento comporta che l’esecutivo sia anche organo “propositivo”. La proposta passa anche, e
45
Seduta di venerdì 17 ottobre 1947, in Atti, cit., p. 1305.
Ibidem, p. 1301.
47
Ibidem, p. 1304.
48
Ibidem, p. 1308-1309.
49
Meriterebbe un approfondimento la questione della stabilità del Governo rispetto al Parlamento. Escluso, anche solo
in via di principio, che si tratti di un gioco a somma zero, per cui alla maggiore stabilità del primo corrisponde
necessariamente una perdita di autorità del secondo, si può, invece, pensare che alla maggiore “tenuta” del Governo
corrispondano strumenti tali da garantire a quest’ultimo organo la sostanziale direzione delle attività del Parlamento che
comportano scelte di indirizzo politico e, in particolare per quanto qui rileva, di quella quota di indirizzo politico che si
concreta nell’attività normativa.
L’ulteriore passo avanti del ragionamento consiste nella valutazione della governabilità, ovvero se la forma di governo
parlamentare a tendenza premierale sia più o meno governabile della versione a tendenza assembleare. Se per
governabilità si intende stabilità, ovviamente la risposta è positiva.
50
G. GROTTANELLI DE’ SANTI, Indirizzo politico, in. Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, vol. XVIII, spec. p. 4, ritiene che
sia rilevante, ai fini della determinazione dell’indirizzo politico, determinare se il Governo è espressione di volontà
diretta della sovranità popolare o se sia il risultato di scelte e di mediazioni politiche. Tale rilievo è “da accertare volta
per volta”.
46
10
non solo, attraverso l’iniziativa legislativa51: ma, posto che la Costituzione italiana concede la
delega legislativa e la decretazione d’urgenza, non è irrazionale che il Governo sfrutti tutte le
possibilità a sua disposizione per attuare il proprio programma e per indirizzare quanto possibile
l’organo che ad esso è legato e che compartecipa all’attuazione del programma. La riconosciuta
flessibilità della Costituzione in tema di forma di governo, che ha consentito e consente al
parlamentarismo italiano di funzionare anche in modo diverso, potrebbe non essere incompatibile
con i rapporti Governo-Parlamento riguardo al sistema delle fonti che derivano dai dati citati in
apertura.
Ammettere la non incompatibilità della prassi con il modello delineato dalla Costituzione non
significa omettere qualsiasi ulteriore considerazione critica nella convinzione, errata, che ciò che è
sta bene che sia. Volendo contestare che tutto ciò che è reale sia razionale, non si deve pure ritenere
che un determinato equilibrio di poteri sia lecito solo perché esiste. Sia di monito la reiterazione dei
decreti-legge, prassi che è esistita a lungo ma che il giudice delle leggi ha stabilito, appunto, essere
incompatibile con la Costituzione.
3. Equilibri e disequilibri di sistema.
Se il comportamento del Governo presenta una razionalità intrinseca52 e se tale prassi (sia ammesso
ma, se non piace, resti pure non concesso) non è incompatibile con il modello della forma di
governo parlamentare stabilita dalla Costituzione, vi sono due problemi da valutare. Il primo è la
questione dei limiti della compatibilità. Il secondo è l’equilibrio tra un Governo che produce
normativa primaria nei termini anzidetti e altri organi costituzionali, quali il Presidente della
Repubblica e la Corte costituzionale, nonché le Regioni. I primi perché organi che incidono, da
posizioni diverse, sul potere di indirizzo politico costituzionale e come organi di controllo del
sistema, le ultime perché anch’esse titolari di potere legislativo53, espressione di un (parzialmente)
autonomo indirizzo politico.
3.1. Innanzitutto, i limiti della compatibilità. Il vantaggio di un Governo forte è che un simile
Governo decide e attua, non media tra le forze parlamentari ma spinge avanti le proprie decisioni
(che pure possono essere frutto di compromessi politici). Ciò è anche un problema, e sicuramente lo
è per coloro che non condividono le scelte governative e non hanno i mezzi per arrestarne il
cammino. Posto che chiunque potrebbe trovarsi nella condizione di essere all’opposizione, è questo
il punto di vista più interessante. Prescindendo dal quadro politico e, in particolare, dal ruolo non
irrilevante delle stesse personalità che hanno ricoperto la carica di Presidente del Consiglio dagli
anni ’90 in poi, si valuta solo il profilo giuridico e si ammette senza troppa difficoltà che i dati sopra
esposti si pongono già ai confini della forma di governo parlamentare e vedono il Governo più
rafforzato ed il sistema politico più vicino al bipolarismo che la Repubblica abbia mai conosciuto.
Oltre tale limite bisognerebbe ridiscutere i profili della stessa forma di governo 54, ma, al contrario,
per modificare sensibilmente i rapporti legislativo-esecutivo in tema di fonti del diritto è necessario
attendere che cambi di nuovo, profondamente, il sistema politico e partitico, e che la flessibilità
della Costituzione trovi un punto di equilibrio diverso, oppure, se non si vogliono aspettare eventi
51
Contra, nel senso di ritenere che, almeno in teoria, il ricorso al decreto-legge comporti una rinegoziazione della
fiducia, M. ESPOSITO, Decreto legge, indirizzo politico e rapporto di fiducia, in AA. VV., I rapporti tra Parlamento e
governo attraverso le fonti del diritto, cit., volume 1, p. 167 ss.
52
Riferita ai fattori politici e/o giuridici che si sono sopra accennati: le diverse interpretazioni possibili della
Costituzione, la legge elettorale, la personalizzazione della politica, il bipolarismo e tutto il problema della crisi dei
partiti.
53
Affrontare il tema delle Regioni porterebbe lontano, perché investe il problema della forma di Stato, della quale quasi
non si è fatto cenno, nonché il problema, interno alle Regioni, del rapporto tra Consiglio e Giunta. Pertanto, si limita
l’analisi agli organi dello Stato e si segnala soltanto il collegamento con il Titolo V, ritenendosi che sia sufficiente lo
schermo della competenza – sia concessa la semplificazione – per differenziare “del tutto” l’attività normativa statale da
quella regionale.
54
Cfr. G. DI COSIMO, Tutto ha un limite, cit.
11
futuri ed incerti, intervenire con una riforma costituzionale. Il tema delle riforme costituzionali non
è nuovo, anzi negli anni duemila si sono avute una grande riforma attuata, quella del 2001, ed
un’ulteriore riforma bocciata dal referendum nel 2006. Difficilmente, però, da una riforma
costituzionale realizzata nel contesto italiano di oggi si potrebbe auspicare un argine ai poteri del
Governo, anzi è più probabile che avvenga il contrario55.
Infatti, cosa significherebbe recuperare la centralità del Parlamento? Sicuramente non significa –
non può significare – cadere nelle degenerazioni del parlamentarismo, già condannate a suo tempo
dall’ordine del giorno Perassi.
La centralità del Parlamento comporta un Governo debole, o, semplicemente, più debole di quelli
più recenti? La risposta alla prima domanda è molto complessa e tocca tutti i punti che si sono già
analizzati. Per un tentativo di replica si rimanda ai modelli sopra esposti, considerando che la
centralità del Parlamento corrisponde alla centralità dei partiti politici. La stabilità delle idee
fondanti dei partiti non aveva riscontro nella stabilità dell’esecutivo, ma in compenso erano stabili
le alleanze di governo e spesso anche le compagini governative. Con la crisi dei partiti la situazione
non poteva non cambiare e il Governo ha potuto occupare gli spazi di indirizzo politico rimasti
orfani del ruolo delle ideologie.
3.2. Anche la risposta alla seconda domanda è complessa, ma, invertendo i termini, si può sostenere
che ad un Governo debole non necessariamente corrisponde un Parlamento forte. Ovvero, il
Parlamento può essere padrone del rapporto di fiducia, con conseguente rapido alternarsi degli
esecutivi, e, contemporaneamente, non essere in grado di decidere nulla, con conseguente debolezza
di entrambi gli organi. Se, al contrario, la maggioranza parlamentare fosse forte, non si vede perché
il capo del partito più rappresentativo non debba essere alla guida del Governo, con il che si
rafforzerebbe anche l’esecutivo. Il caso intermedio, del Parlamento mediatore di interessi politici,
compositore di alleanze, è già stato quello italiano, e ha funzionato – pur con i difetti non marginali
che gli sono riconosciuti – perché il sistema era multipolare, in assenza di concrete possibilità di
governare56 sia per la destra sia per la sinistra, ovvero gli estremi inconciliabili tra cui è
estremamente difficile mediare e concordare alleanze.
La compatibilità con il modello costituzionale è, dunque, possibile, ma con l’importante
osservazione che non è lontano il limite oltre il quale l’attività normativa del Governo finisce per
essere indizio di una forma di governo non più rispondente ai pur flessibili dettami della
Costituzione. Non si nasconde che la normazione primaria dell’esecutivo ha dei lati oscuri,
identificabili, per sommi capi, nei seguenti punti: non c’è pubblicità dei lavori preparatori
governativi; i tempi, proprio perché rapidi, possono generare rischi di norme “a sorpresa”, non
conoscibili né conosciute dagli operatori, privi di qualsiasi spazio di preparazione nell’attuazione;
infine, il ruolo dell’opposizione è inesistente.
Tuttavia, si è cercato di dimostrare che vi sono ambiti e procedure con i quali si recuperano tempi e
modalità e si può, a conclusione di questo aspetto analizzato, sostenere che gli elementi finora
esposti non comportano rischi per la democraticità del sistema o per lo stravolgimento della forma
di governo italiana. Il Governo-legislatore, circondato dalle cautele del caso, non è un monstrum e
tantomeno un prodigium, piuttosto è un elemento connaturato storicamente al sistema e
politicamente potenziato dal meccanismo tendente al bipolarismo.
55
La riforma del Titolo V ha reso ancor più rigido il rapporto di fiducia tra legislativo ed esecutivo regionale e non può
essere priva di significato la circostanza per cui tutte le Regioni hanno recepito nello Statuto la clausola aut simul
stabunt aut simul cadent. La personalizzazione del potere ha il suo fascino, forse oscuro, ma sempre tale. Quanto alla
riforma approvata nel 2005, essa attribuiva maggiori poteri al Governo in senso premierale. Cfr. (prima
dell’approvazione della riforma) P. CIARLO, Governo legislatore e super-rigidità costituzionale: due pregiudiziali, in
www.associazionedeicostituzionalisti.it e, per uno sguardo complessivo sul testo definitivo, il volume AA. VV., La
Costituzione riscritta, a cura di B. Pezzini e S. Troilo, Giuffrè, Milano, 2006.
56
Meglio, di governare esprimendo liberamente e pienamente il proprio indirizzo ideologico, prima ancora che politico.
Le (limitate) presenze della destra e della sinistra in diverse coalizioni di governo non si ritiene possano aver costituito
espressione di forte indirizzo politico.
12
3.3. Quanto alla compatibilità del sistema con ulteriori organi, si inizia dal Capo dello Stato. Egli,
pur non appartenendo al circuito politico in senso stretto57, interviene in vari modi nel procedimento
legislativo58: in sede di autorizzazione della presentazione dei disegni di legge governativi alle
Camere, in sede di promulgazione delle leggi, in sede di emanazione dei decreti-legge e dei decreti
legislativi. Le modalità di intervento gli permettono di conoscere a fondo l’attività normativa del
Governo: si pensi al caso di un disegno di legge governativo che contiene una delega, che passa dal
Presidente della Repubblica come progetto, poi come legge delega da promulgare e infine nella
diversa forma dei decreti delegati da emanare. I poteri del Presidente non sono puramente formali e
il controllo è effettivo, ma si tratta di uno scrutinio sistematico, piuttosto che di sistema. In altri
termini, il Capo dello Stato può porre all’attenzione delle Camere o del Governo singoli profili di
criticità ma, anche qualora dovesse estendere le sue osservazioni ad una certa prassi o ad un certo
modus operandi, non può imporre la propria volontà proprio perché è estraneo all’indirizzo politico
di maggioranza. Dal Presidente ci si può aspettare vigilanza, stimolo, al più ammonimento, se
necessario, ma è irrazionale – e probabilmente una forzatura costituzionale – attendersi di più,
considerato anche che è proprio sull’imparzialità che il Quirinale ha costruito la propria
autorevolezza istituzionale59.
Pure la Corte costituzionale è estranea all’indirizzo politico di maggioranza, ma ha un potere più
incisivo. Infatti, la Corte, con alterne vicende nel tempo, si è pronunciata sia in tema di delega
legislativa60 sia in tema di decretazione d’urgenza, ma, ancora una volta, il suo approccio è casistico
e non sistematico: “ciò che rileva non è tanto il pur significativo dato quantitativo della produzione
normativa dell’esecutivo, quanto piuttosto l’esigenza che i singoli atti della fattispecie
procedimentale della delegazione legislativa rispondano alle condizioni dettate dall’art. 76 Cost., ed
in particolare ai limiti necessari che il precetto costituzionale impone prima al Parlamento”61. Se si
vuole, è una conferma della non incompatibilità della prassi con il modello di riferimento
costituzionale62: qualora i singoli atti rispettino la Costituzione, il “dato quantitativo” non assume
rilevanza determinante.
57
“Quel che conta è che posizione e funzioni del Presidente sono più complesse di quanto non ci dica la teoria d[elle]
garanzie e che moltissimi atti presidenziali sono caratterizzati da quella relativa libertà di apprezzamento e da quella
subordinazione alla sola costituzione che sono rilevanti [perché divengano caratteristici della forma di governo]”: M.
LUCIANI, Governo (forme di), in Enc. Giur., Annali III, Giuffrè, Milano, 2010, p. 570. Tuttavia, più risalente dottrina
ritiene completamente estraneo al circuito indirizzo politico di maggioranza il Presidente della Repubblica: G.
GUARINO, Il Presidente della Repubblica italiana (note preliminari), in Riv. trim. dir. pubbl., 1951, p. 903 ss.
58
Osserva che il Presidente della Repubblica “assolve alla funzione fondamentale di concorrere a presidiare il rispetto
del principio della separazione dei poteri, promuovendo il corretto e leale svolgimento delle relazioni tra le istituzioni di
vertice, a cominciare proprio dagli organi chiamati a tracciare l’indirizzo politico”, Q. CAMERLENGO, Il Presidente della
Repubblica e l’attività normativa del Governo, in Quad. cost., 2/2010, p. 37.
59
M. MANETTI, Procedimenti, controlli costituzionali e conflitti nella formazione degli atti legislativi, in
www.associazionedeicostituzionalisti.it, ritiene, al contrario, che in una forma di governo parlamentare maggioritaria il
Presidente della Repubblica diviene coautore delle regole; mentre, in tema di emendabilità del decreto-legge in sede di
conversione, P. CARNEVALE, D. CHINNI, C’è posta per tre. Prime osservazioni a margine della lettera del Presidente
Napolitano inviata ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio in ordine alla conversione del c.d. decreto
milleproroghe, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, ipotizzano che da un messaggio del Capo dello Stato si
possano trarre anche indicazioni che vanno oltre la vicenda concreta. Pare di poter ritenere che la tesi di un Presidente
della Repubblica imparziale non sia assolutamente incompatibile con la tesi del Presidente coautore delle regole: come
rilevato da M. Luciani, citato alla nota 577, i poteri del Presidente sono più ampi di quanto non appaia. Il punto,
piuttosto, e si rimanda al testo che segue, è la difficoltà di imporre un equilibrio diverso, poiché non di controllo o
garanzia si tratterebbe, ma di influenza ben più marcata, che, a sua volta, modificherebbe la forma di governo.
60
Si rinvia alla relazione di E. FRONTONI, Il decreto legislativo, in questo volume, spec. par. 5.
61
F. BILE, intervento al seminario sulla delega legislativa svoltosi a Palazzo della Consulta il 24 ottobre 2008, in
www.cortecostituzionale.it, rintracciabile anche nei relativi atti, AA. VV., La delega legislativa, cit.
62
Appare alla dottrina che la Corte sia eccessivamente timida nei controlli sull’attività normativa del Governo, oppure
(in un certo senso) giustificante, ovvero ancora tecnicamente e politicamente impossibilitata ad intervenire. Cfr. le
diverse posizioni, variamente intrecciate, ex multis, di G. BRANCA, Quis adnotabit adnotatores?, in Foro it., 1970, V, p.
29 ss.; G. PITRUZZELLA, Corte costituzionale e governo, in Foro it., 2000, V, p. 30; V. ANGIOLINI, Attività legislativa
del governo e Corte costituzionale, in Riv. dir. cost., 1996, p. 207 ss.; E. MALFATTI, Alcune considerazioni sul (difficile)
13
L’impressione è che l’equilibrio non possa essere imposto63 dagli organi di controllo e garanzia, i
quali a loro volta non sono completamente imperturbabili e impermeabili, né a considerazioni di
sistema – e ciò li eleva oltre il caso in esame – né a considerazioni di indirizzo politico – e ciò li
abbassa a valutazioni determinanti basate su singoli aspetti del caso64. D’altra parte, la posizione
degli organi citati non diventa oltremodo insostenibile per solo effetto del Governo-legislatore,
ammettendo che il loro ruolo non sia definitivo ed immutabile rispetto ad un modello precostituito,
ma che essi galleggino nel torrente che sgorga dalle fonti del diritto e si lascino, nei limiti flessibili
tracciati dalla Costituzione, trasportare dalla corrente, mantenendo, cioè, immutati ruolo e
fisionomia pur nelle condizioni differenti di funzionamento della forma di governo. In altri termini,
il Governo-legislatore non esautora dal loro ruolo il Presidente della Repubblica e la Corte
costituzionale, né li costringe ad andare oltre i propri limiti istituzionali, avendo a mente il modello
sopra proposto.
Rassegnarsi al Governo-legislatore potrebbe suonare fatalista, invocare necessariamente
corrispondenze d’amorosi sensi tra esecutivo e legislativo potrebbe suonare ingenuo: ecco perché
queste note non rappresentano un punto finale, ma, all’esatto contrario, un tentativo del tutto
preliminare di confrontare il modello con la prassi e, all’insegna di uno scetticismo costruttivo, di
mettere in discussione entrambi i termini di confronto.
ruolo che la Corte costituzionale assume in ordine agli sviluppi della delegazione legislativa, tra evoluzione recente e
prospettive di riforma, in AA. VV., I rapporti tra Parlamento e governo, cit., vol. 2, p. 959 ss.
63
Quanto alla posizione della Corte, v. A. ANZON DEMMIG, I problemi attuali del sindacato della Corte costituzionale,
cit., spec. p. 25.
64
S. STAIANO, relazione di sintesi Decreto legislativo, in AA. VV., I rapporti tra Parlamento e governo, cit., vol. 2, p.
951, utilizza la metafora dell’automa che vince ogni partita di scacchi per merito del nano nascosto all’interno:
“l’autonoma è la tecnica dell’interpretazione, che fornisce le forme rigorose del decidere; ma, dietro queste forme, c’è il
nano invisibile e dissimulato dell’argomentazione indotta della necessità politiche […].” Attraverso questo meccanismo
l’Autore ritiene che “la delega legislativa è stata attratta e condotta a mutare la propria ragion d’essere.” Ancora, “si
pensi per esempio a cosa sarebbe accaduto se il giudice costituzionale, con la sent. n. 408 del 1998, avesse dichiarato
incostituzionale la legge n. 59 del 1997”: così E. FRONTONI, Il decreto legislativo, nel presente volume.
14