Il cacciatore di alberi - Fito
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Il cacciatore di alberi - Fito
L'INTERVENTO Il cacciatore di alberi – I parte – Nel regno dei giganti!! Tiziano Fratus, scrittore e poeta, è l’Homo radix, il cacciatore di alberi monumentali! I suoi libri, pubblicati da Feltrinelli, la sua rubrica settimanale del venerdì su La Stampa, i suoi interventi televisivi e radiofonici stanno molto contribuendo a diffondere l’amore e il rispetto degli alberi. Abbiamo bisogno di artisti come Tiziano ed è per questo che abbiamo sostenuto il suo viaggio, come inviato de La Stampa, in California alla scoperta dei giganti vegetali per eccellenza: le sequoie. Volentieri pubblichiamo sulla nostra rivista questi esclusivi reportages di una bellissima avventura, quella di "Giona delle sequoie" www.homoradix.com. 4 La scorsa estate sono tornato in California. Alcuni anni fa, al contatto coi tronchi di alcune sequoie sparse nella mitica Big Sur, luogo della mente e dello spirito per la cultura americana, erano sbocciati i concetti di “Homo Radix” e “alberografia”, attorno ai quali s’è modellata la mia stessa identità di adulto e buona parte della mia bibliografia. Da allora a oggi ho pubblicato una quindicina di volumi dedicati allo scavo di questa mia nuova identità e alle mappature fatte navigando nella realtà, spesso fisicamente attraversando il paesaggio alla ricerca di alberi secolari e monumentali, aggiornando le misurazioni di alcuni già presenti nei nostri database, in precedenti pubblicazioni e documentando altri alberi ancora poco o per niente noti. Ho potuto così realizzare libri sulla quantità di Ficus macrophylla presenti a Palermo e in Liguria, ad esempio a Sanremo, dove non era mai stato fatto un lavoro simile, piuttosto che studiare i “pinosauri” dell’Allevè, nelle valli cuneesi, e lanciare una vasta campagna di misurazione e documentazione delle sequoie di grande dimensione in Italia. In California ci sono tornato come inviato de La Stampa e con le spalle sorrette dalla Fito-Consult di Daniele Zanzi, che qui vorrei ringraziare pubblicamente. In ventidue giorni ho visitato i maggiori Ficus del Nord America, che si trovano a Los Angeles e a Santa Barbara, i pini di Monterey di Peeble Beach a Carmel e quelli non meno spettacolari di San Francisco, molti parchi di sequoia costale (Sequoia sempervirens) come Pfeiffer Redwoods State Park, Big Basin Redwoods State Park, Armstrong Redwoods State Park, per citarne alcuni. Pezzi di antica e millenaria foresta si trovano nel cuore della città di Eureka, in quel che venne chiamato il Sequoia Park, e dove nell’Ottocento venivano a passeggiare signore eleganti per ammirare sequoie che oramai non ci sono più, ma che al tempo erano un ottimo sostituto (e assai comodo) delle foreste che richiedevano molte più ore, se non giorni, di trasbordo su carrozza e diligenza. Arrivato al confine con l’Oregon e ammirate le vastità di foreste di sequoia, svettanti oltre i 70 e gli 80 metri, con esemplari che sfondano i 100 metri di altezza (la più alta oggi conosciuta tocca i 115 metri e la sua posizione resta top secret), mi sono inabissato nella fascia centrale della California, toccando aree a vocazione vitivinicola, sorte fra zone di colline gialle e querce spinose, rare stazioni di platano californiano (P. racemosa) e coltivazioni di frutta. Dopo quasi un giorno di spostamento sono arrivato sulla famosa Sierra Nevada, le montagne a cui i francescani di fine Settecento diedero l’epiteto di innevate. Contrariamente a quanto m’ero immaginato in Sierra la foresta più diffusa non è quella di sequoia, bensì di pino. La California è il regno delle conifere, sono native cinquantadue specie, nessun’altra parte del mondo presenta una tale ricchezza. Diciotto sono specie di pino, fra le quali i più vecchi del pianeta, i Bristlecone Pines (Pinus longeava), gli alberi più annosi del pianeta con oltre 4800 anni, esemplari dalle dimensioni straordinarie come il ponderosa, il Jeffrey, il Coulter, il Gray o il minuto, ma spettacolare Coda di volpe (Foxtail). E poi i ginepri della Sierra (Juniperus occidentalis) e gli arbusti che producono il legno più duro dell’intera area, la "Manzanita" come la chiamavano gli spagnoli, “piccolo melo”, un arbusto simile ai nostri corbezzoli, con foglie ovali, piccole e legno dalla corteccia color mogano. Fra una pineta e l’altra compaiono i boschi di sequoia. Esiste una rilevante differenza fra le due specie di sequoia: le sequoie di costa si dispiegano per decine di ettari; le sequoie giganti millenarie invece crescono in formazione, in gruppi, in “cluster” come mi insegnava un ranges a Mariposa, non se ne trova mai una solitaria, e le sequoie di giovane generazione circondano le vetuste. In Sierra esistono 67 groves (concentrazioni) di sequoia gigante con esemplari millenari e quelli che sono stato a visitare sono Calaveras of the Big Trees, Nelder grove, Mariposa grove nel mitico Yosemite, General Grant, Big Stump e Lost groves all’interno del parco di King’s Canyon, Giant Forest al Sequoia National Park, il decadente Montain Home Grove. Calaveras è il luogo dove l’uomo bianco ha scoperto e riscoperto le sequoie giganti, di certo un primo avvistamento risale al 1833, ma bisogna attendere il 1852 quando il cacciatore di grizzly Augustus T. Dowd vi ricapita e trascina alcuni suoi compagni. Alla fine dell’anno successivo, a Londra, arrivano le prime piante e i primi semi di sequoia e inizia la colonizzazione del nostro continente, Italia compresa. Termini quali “grande”, “gigantesco”, “monumentale”, “impressionante” usati in letteratura per definire le dimensioni dei grandi alberi, e in parte per manifestare lo stato d’animo, la costernazione di noi umani di fronte alle loro proporzioni, sono adatti alle misure vive in Europa. Ma di fronte alle sequoie millenarie e ai baobab africani l'unico aggettivo che sa scavare a fondo nella lingua e nel pensiero è “huge”, con la u che si bislunga, due, tre, quattro volte. Forse bisognerebbe adottarla in italiano: “iugesco”, pronunciandolo “iuuuuuugesco”. Percorrendo le strade di questo Stato (ho percorso in auto 5400 chilometri in 19 giorni) ho potuto appurare quante distanze esistano, quanta vasta natura, quanta wilderness esista ancora laddove ci aspettiamo un’umanità diffusa, un paesaggio antropomorfizzato. Mi rendo conto di quanta differenza esista fra le vastità alpine, dove sono abituato a vivere, e le vastità californiane. In California la colonizzazione vera e propria ha avuto luogo soltanto dagli anni cinquanta del XIX secolo, col richiamo della scoperta dell’oro. Città nate come funghi dopo la dispersione dei cercatori rimasti senza paga, e l’arrivo nei boschi, la scoperta dell’oro marrone, l’inizio degli abbattimenti di grandi boschi e l’attrazione di alberi enormi, come Mother e Father of the Forest che ho rivisto al Big Basin Redwoods, che imprenditori dall’ingegno curioso vollero scorticare per mostrare ad un pubblico morboso quanto potessero essere grandi quegli alberi, causando invero l’inizio dei movimenti di protezionismo che porteranno alla nascita dei primi parchi del pianeta e alla salvaguardia degli alberi che noi oggi possiamo ammirare. La gestione e il controllo del territorio è sotto l’egida del Bureau of Land Management, Fish and Wildlife Service, del Forest Service oppure del National Park Service. Esistono norme particolari e severe: divieto assoluto di fuochi se non nei luoghi deputati, impossibilità di campeggio se non nelle aree predisposte, addirittura i gruppi di visitatori devono essere al di sotto di un certo numero, per ridurre l’impatto del disturbo arrecato alla natura, e così via. Gli americani si prendono molto sul serio quando si tratta di praticità, non conoscono e non accettano l’elasticità anarchica di noi italiani di fronte ai regolamenti e alle leggi. (continua) 5